Il tiro al piccione sui Tar confonde causa ed effetto
di Luigi Oliveri
Egregio Titolare,
nelle riviste e nei giornali di informazione specializzata su diritto amministrativo ed appalti campeggia una sentenza del Tar Lombardia-Brescia che spiega: il responsabile unico del procedimento degli appalti (Rup) non può assegnare valutazioni alle offerte ma può, invece, svolgere le attività amministrative connesse alla gara. Ora, Titolare, se si volesse aderire alla gara di tiro al piccione contro i Tar, scatenatasi con particolare virulenza da quando il Tar Lazio ha osato dire la sua sulle nomine dei direttori stranieri nei musei (alcuni dei quali, appena nominati, comunque non ci pensano nemmeno a restare) e rinvigoritasi a seguito della sentenza sul numero chiuso all’Università di Milano, si potrebbe ironizzare facilmente. Si potrebbe affermare che il Tar Lombardia-Brescia non aveva di meglio da fare che spendere risorse e tempo per affermare l’ovvio e, cioè, che un responsabile del procedimento, in quanto tale, è certamente chiamato a curare lo svolgimento amministrativo di una gara.
Questa irrisione, tuttavia, avrebbe davvero un senso se i Tar autoproducessero per partenogenesi le loro sentenze e se, quindi, fosse vero quel che racconta la vulgata attuale nell’attacco quasi quotidiano alla giustizia amministrativa, accusata di “entrare a gamba tesa” nei rapporti giuridici e, soprattutto, di bloccare l’economia con sentenze ed interventi che non tengono conto della necessità di dare certezze agli imprenditori e non bloccare gli appalti e, quindi, le risorse mosse dalle commesse pubbliche. Il fatto è, caro Titolare, che questa vulgata non tiene conto di un fattore decisivo: i Tar non agiscono d’ufficio ma sono chiamati a tutelare i cittadini contro violazioni di legge o sue cattive applicazioni da parte delle amministrazioni pubbliche. E la maggior parte delle vertenze presso i Tar sono avviate proprio dagli imprenditori, in cerca di tutelare le loro ragioni, quando le ritengano lese dall’azione amministrativa.
Non solo i Tar non agiscono di loro autonoma iniziativa. Ma, essi sono chiamati a decidere troppo spesso e troppe volte come conseguenza di una normativa concepita male e scritta peggio, tale solo da suscitare inevitabilmente dubbi e contenziosi.
Torniamo per un attimo alla sentenza del Tar Lombardia-Brescia. Sa, Ella, da quale norma prende le mosse? Dalla norma del codice dei contratti pubblici (quello che avrebbe dovuto semplificare gli appalti e rilanciare gli investimenti) che regola la composizione delle commissioni di gara; più tecnicamente, l’articolo 77, comma 4, che è spezzato in due parti. Nella prima si dispone: “I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”. Bene, una regola chiara, condivisibile o meno: chi ha costruito le regole tecniche e giuridiche dell’appalto è meglio che non valuti le offerte, per non restare condizionato al proprio modo di determinarle; poiché il Rup svolge sicuramente attività tecnica ed amministrativa (spesso redige i contenuti tecnici del capitolato e, comunque, sicuramente cura tutte le tantissime procedure amministrative per condurre la gara), allora è logico concludere che non può far parte della commissione. Questa, almeno, era l’intenzione di chi ha redatto il codice. Intenzione, tuttavia, che non ha tenuto conto della consolidatissima interpretazione contraria, affermatasi nella vigenza del precedente codice, secondo la quale, invece, il Rup può far parte della commissione di gara.
Risultato: il decreto correttivo del codice (che lo ha riscritto quasi integralmente) ha aggiunto all’articolo 77, comma 4, un altro pezzo: “La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”. Fantastico, no? La stessa norma, prima afferma un divieto, ma subito dopo lo smentisce, peraltro lasciandolo alla valutazione dell’amministrazione appaltante che, laddove intenda ricomprendere il Rup nella commissione dovrà in conseguenza profondersi nello spiegare perché esercita questa facoltà “derogatoria”.
Ora, Titolare, questo è solo un esempio tra le migliaia di norme ambigue, contraddittorie, bizantine e contorte che infestano l’ordinamento, che ad un tempo affermano e smentiscono, entrano nel dettaglio ma trascurano elementi fondamentali per chiarire, vietano ma non sanzionano oppure sanzionano senza spiegare con chiarezza come si giunge alla violazione, impongono comportamenti senza tenere conto di altre norme precedenti che nella medesima materia prevedono il contrario, regolano senza la minima valutazione dell’impatto organizzativo e del possibile contenzioso davanti ai Tar ed ai giudici ordinari. Di fronte ad una norma come quella vista prima, che allo stesso tempo vieta al Rup di far parte delle commissioni, ma lo consente (a determinate condizioni) è evidente che qualsiasi imprenditore non contento dell’esito della gara farà sempre ricorso al Tar, perché il Rup ha fatto parte della commissione mentre non doveva, oppure perché non ne ha fatto parte, mentre sarebbe stato opportuno.
Come dice, Titolare? Le sentenze dei Tar sono spesso anch’esse contraddittorie e spiazzanti? Purtroppo sì. Ma, non si dovrebbe dimenticare che i giudici non sono legislatori: decidono le cause in relazione alla strategia legale ed all’impianto documentale e probatorio prodotto dalle parti, che può evidentemente cambiare di vertenza in vertenza, sicché anche se la materia trattata è la stessa, l’esito può essere diverso e le sentenze, quindi, non tutte allineate tra loro.
Il problema, come sempre, sta “a monte”. La soluzione al contenzioso non è eliminare il giudice, bensì produrre regole del gioco tali da evitare il più possibile ambiguità applicative.
Se, poi, anche i commentatori evitassero, nel tiro al piccione, di presentare i Tar come giudici dipendenti dalle regioni, solo perché si tratta dell’acronimo di Tribunale Amministrativo Regionale, e si rendessero conto che la regione non è l’ente, ma la circoscrizione di competenza e che i Tar sono organi di un potere indipendente, la magistratura, operante su tutto il territorio della Nazione e che la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione è espressamente garantita ai cittadini dall’articolo 113 della Costituzione, per cui se non fossero i Tar a pronunciarsi, sarebbe comunque il giudice ordinario, sarebbe molto meglio: per non ingenerare ulteriore confusione nei cittadini in una materia già così complicata.
Nessun tag inserito.