tratto da La Gazzetta degli enti locali del 05.06.2015

Verbalizzazione e verbali: la rilevanza dei supporti audio e video e le questioni di privacy conseguenti

di Riccardo Nobile

Esperto di Diritto del Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni

Docente in corsi di formazione professionale

Docente in Master universitari in Pubblica Amministrazione

Autore di libri e pubblicazioni in materia di pubblico impiego

Membro di nuclei di valutazione

Giornalista pubblicista

riccardo.nobile@tiscali.it

Anche oggi torniamo a occuparci di verbalizzazioni e di verbali degli organi collegiali degli enti locali. Argomento chenel nostro ultimo intervento sulle pagine di questa Gazzetta avevamo definito prima facie ovvio e scontato, ma che tale non è affatto. In quella sede ci siamo soffermati sulle differenze fra la verbalizzazione, il processo verbale, l’estratto del verbale e la deliberazione, non senza soggiungere “è evidente che fra verbalizzazione e documentazione e fra verbale e documento vi è una perfetta simmetria, il che deve indurre a trattare i termini che abbiamo introdotto in piena e sinergica sintonia”. A ciò seguiva l’affermazione che “la verbalizzazione è un’attività, mentre il verbale ne è il prodotto, cosí come pure il verbale è una rappresentazione di accadimenti lato sensuintesi, mentre la deliberazione è un atto di volontà, la quale può avere, a seconda dei casi, direzioni differenti, ma non irrelate e dunque atteggiarsi in una manifestazione di volontà, conoscenza o giudizio. In quella sede soggiungevamo anche che “un buon modo per affrontare la problematica in questione è distinguere in via preliminare fra verbale-attività, verbale prodotto e deliberazione, rimarcando […] che il cosiddetto “processo verbale” [rispetto al verbale tout court] è entità parossistica che rileva solo per accrescimento, giacché il primo coincide nella forma e nella sostanza col secondo.

Quanto abbiamo sviluppato deve essere ora portato a compimento, analizzando cosa accade quando l’ente locale attui la verbalizzazione avvalendosi dei moderni mezzi tecnologici e quindi di supporti magnetofonici e/o cinematografici. Anche in questo caso, l’argomento può apparire prima facie peregrino e scontato. Per convincersi che cosí non sia è sufficiente accostare il combinato disposto degli artt. 2699 e 2700 c.c. al successivo art. 2712 della fonte di regolazione. Cosí facendo si ricava un primo elemento di riflessione, che incide di per sé sulla sistematica logico-giuridica ed interpretativo-applicativa della materia. Ed infatti, mentre per le prime due delle tre disposizioni citate “l’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, […] da [un] pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo in cui l’atto è formatoe“l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, per l’ultima della terna “le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche, informatiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Dalla giustapposizione dei due sottoinsiemi di norme si ricavano súbito non poche conseguenze. In primo luogo, il verbale è atto necessariamente scritto ad substantiam, e, come tale, non ammette forme equipollenti. In secondo luogo, l’utilizzazione di strumenti di riproduzione meccanica, quali la ripresa visiva o la registrazione fonica della seduta, non coincide affatto con il verbale, perché essa è una semplice forma di rappresentazione di accadimenti. In terzo luogo, il contenuto delle riprese visive e audiofoniche non possiede affatto la forza probatoria che caratterizza il verbale. In quarto luogo, il contenuto dell’utilizzazione delle tecniche de quibus ammette sempre la prova contraria, anche se ciò può apparire, soprattutto per le riprese cinematografiche, un vero e proprio non sense.

Detto in altri termini, l’utilizzazione delle tecniche di ripresa audiofonica e/o cinematografica delle sedute degli organi e degli organismi degli enti locali, e dunque, per quel che qui ci interessa, delle sedute del consiglio comunale [e provinciale] e delle commissioni consiliari non esime affatto dalla redazione del verbale di seduta, il quale è l’unico documento la cui rappresentazione fa piena prova, salva la querela di falso, della verità della narrazione degli accadimenti occorsi.

Il punto di approdo ha immediate conseguenze sui contenuti dell’autonomia regolamentare degli enti locali in tema di disciplina delle modalità di svolgimento delle sedute dei loro organi ed organismi collegiali. Essa, a ben vedere, non può affatto sospingersi fino a negare che un verbale delle loro sedute debba essere comunque predisposto, con la conseguenza che l’apprestamento delle piú volte richiamate tecniche di ripresa audiofonica e/o cinematografica vale solo quale supporto per la redazione del verbale e non mai può sostituirlo. Corollario di ciò è che l’integrale utilizzazione del prodotto della ripresa audiofonica e/o cinematografica da parte dell’ufficiale verbalizzante è e deve essere sempre e comunque mediata dalla sua dichiarazione che gli accadimenti oggetto di ripresa sono occorsi alla sua vista e presenza ex art. 2700 c.c.

Anche questa conclusione ha conseguenze di ordine pratico. In primo luogo, la costante presenza alla seduta dell’ufficiale verbalizzante non ammette infrazione, talché essa deve essere assicurata con continuità. In secondo luogo, poiché un verbale deve essere comunque predisposto, parimenti obbligatoria è la sua approvazione, che deve essere effettuata o prima del termine della seduta, ovvero alla prima occasione utile. In terzo luogo, vale la pena di ribadirlo, fra ripresa audiofonica e/o cinematografica e verbale non v’è coincidenza. Il loro prodotto, infatti, non si sovrappone affatto con la forma del verbale, ma è altro: esso è solo il supporto dal quale trarre il contenuto del verbale, che va trasferito e trasfuso in un documento caratterizzato dalla forma scritta ad substantiam, o meglio ad existentiam.

Tutto ciò non è affatto contraddetto dalla definizione di “documento” fornita dall’art. 22, comma 1, lett. d), della legge 7.8.1990, n. 241: “per «documento amministrativo», [si intende] ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;”, né di quella di “documento” e di “documento informatico” che si rinviene nell’art. 1, comma 1, lett. a) e b), del d.P.R. 28.12.2000, n. 445, il quale stipulativamente dispone che è a) DOCUMENTO AMMINISTRATIVO ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa. […] e che b) DOCUMENTO INFORMATICO [è] la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti;, definizione, questa, ripresa dall’art. 1, comma 1, lett. p), del d.lgs. 7.3.2005, n. 82 (il cosiddetto “codice dell’amministrazione digitale”). Qui, infatti, si è in presenza sí di atti (meglio, di documenti) con efficacia rappresentativa, i quali sono il prodotto di specifiche forme di rappresentazione e dunque di documentazione riproduttiva. Ciò però non significa affatto che sia il modo della rappresentazione a determinare la forza del documento cosí prodotto, ma che essa sia riferibile solo al documento, senza che la tecnica utilizzata per confezionarlo possa in alcun modo rilevare ai fini che qui interessano. Il perché è ovvio e risiede nella definizione di “atto pubblico” fornita dall’art. 2699 c.c., per addivenire alla quale è imprescindibile l’intermediazione della redazione del documento da parte del pubblico ufficiale “autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, nel luogo dove l’atto è formato”, nel rispetto delle avvertenze richieste dall’art. 2700 della fonte di regolazione.

Anche per le tecniche di ripresa audiofonica e/o cinematografica deve essere osservato che l’ostentazione del loro prodotto pone specifici problemi di relazione fra il binomio trasparenza-pubblicità, da un lato, e tutela dellaprivacy, dall’altro. Per convincersene è sufficiente osservare che la loro utilizzazione è comunque una modalità di rappresentazione, la cui esibizione costituisce trattamento di dati personali, giudiziarî, sensibili e supersensibili, qualora essi ricorrano nella ripresa. Ed infatti, ancorché sfornita della forza che l’ordinamento riconosce solo all’atto pubblico ex artt. 2699 e 2700 c.c., il loro prodotto enuclea pur sempre un documento, almeno nell’accezione fornita dall’art. 22, comma 1, lett. d), della legge 7.8.1990, n. 241 e dalle altre fonti di regolazione richiamate.

La cosa in questione è di particolare delicatezza, soprattutto osservando la pratica invalsa di attuare la diffusione in presa diretta delle sedute pubbliche dei consiglî comunali [e provinciali] e delle commissioni consiliari attraverso il cosiddetto streaming. Per convincersi di ciò, infatti, è sufficiente osservare che per l’art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30.6.2003, n. 196 è trattamento […] qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati;. In questi casi, l’utilizzazione degli usuali criterî elaborati dalla giurisprudenza e dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali (pertinenza, inerenza, proporzionalità e non eccedenza in relazione alla loro tipologia) è di segnalata difficoltà in ragione della contestualità e della sostanziale coincidenza che v’è fra la formazione del dato ed il suo trattamento, che avviene illico et immediate e di quanto dispone per tabulas l’art. 15, comma 1, del d.lgs. 30.6.2003, n. 196: “chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile”. Il che, in ragione dell’equiparazione del trattamento dei dati personali all’esercizio di un’attività pericolosa ai fini della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., vale a fortiori per i dati per i quali l’ordinamento assicura una maggiore protezione.

A ben vedere, l’unico modo per porre rimedio al trattamento illecito che deriva dalla diffusione in streaming delle sedute pubbliche degli organi e degli organismi degli enti locali sono la moderazione dei loro componenti [peraltro non sempre consapevoli dei contenuti e dei limiti del loro ufficio] e la particolare abilità del loro presidente nel bloccare tempestivamente la diffusione della ripresa altrimenti in corso.

Ovviamente osservando che invocare il principio di trasparenza e di pubblicità tutto può essere fuorché una scriminante di attività illecite perché contra ius e non iure.

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