tratto da giustizia-amministrativa.it
La premialità edilizia, la compensazione urbanistica e il trasferimento dei diritti edificatori
di Cirillo, Gianpiero Paolo
 
1-   Rassegna   dei   diritti   edificatori:   il   trasferimento   di cubatura  e  di  volumetria.  Gli  altri  diritti  edificatori:  la perequazione edilizia; la compensazione edilizia; le premialità edilizie
 
I ‘diritti edificatori’ costituiscono un’evoluzione dei negozi di trasferimento di cubatura e di volumetria. Il minimo comune denominatore di essi consiste nella possibilità che la cubatura potenzialmente spettante ad una certa area edificabile possa essere utilizzata su un altro suolo, anch’esso edificabile, con il consenso del Comune e dei proprietari delle due aree, anche a prescindere da una espressa previsione della norma di attuazione del piano o del regolamento edilizio (1).
 
Tuttavia, nella cessione di volumetria è accentuato il carattere della realità, in quanto il “decollo” e “l’atterraggio” – per usare immagini che derivano dagli studiosi di diritto urbanistico – del diritto riguardano aree ben identificate, anche se non necessariamente confinanti, ma comunque   contigue   o   radicate   nella   stessa   zona.   Invece, nel trasferimento di cubatura il medesimo carattere è attenuato, in quanto -soprattutto per   effetto   della disciplina normativa regionale-  è possibile la negoziazione dei diritti edificatori persino a prescindere dalla presenza di un’area cedente e di un’aria cessionaria.
 Sicché, sempre per usare il linguaggio metaforico degli urbanisti, il trasferimento di volumetria si può fare quando il diritto è “in volo”, a prescindere dal “decollo e dall’atterraggio”. Da qui l’espressione, largamente usata, di “crediti edilizi”. Non a caso in qualche regione sono state previste forme di mercato borsistico; mentre in alcune altre è stata prevista l’attribuzione diretta di diritti edificatori da parte del Comune ad operatori che, pur non essendo proprietari, volessero impegnarsi nel recupero dei centri storici, con la possibilità di trasferimento a terzi (2).
 
Una volta ricordata la continuità storica con la cessione di cubatura, che può essere considerata come la capostipite delle figure in   esame, i   diritti   edificatori   che   emergono   dalla   legislazione nazionale e regionale sono stati variamente classificati. Tuttavia essi possono essere ricondotti a tre figure fondamentali.
 
La prima figura che viene in rilievo è la cosiddetta “perequazione edilizia”. Essa “consiste nell’attribuire anche ad aree qualificate dal piano non edificabili una cubatura potenziale da realizzare altrove, cioè su aree qualificate come edificabili” (3), realizzando così la separazione tra la conformazione della proprietà e la distribuzione della edificabilità. Nella perequazione si assiste ad accordi tra privati e non con la pubblica amministrazione. I proprietari dei suoli vincolati o destinati a pubblici servizi trasferiscono la volumetria, cui avrebbero avuto diritto, ai proprietari dei suoli edificabili. Tali accordi a loro volta sono preceduti da un intervento dell’autorità comunale che assegna, in sede di pianificazione delle attività, un valore edificatorio uniforme a tutte le aree atte a concorrere alla trasformazione urbanistica del territorio comunale. 
In altri termini, la pianificazione attuata con finalità perequativa vuole porre rimedio alla legittima <>, i quali, laddove individuavano in maniera unilaterale e autoritativa le diverse destinazioni dei suoli, creano inevitabilmente discriminazioni e iniquità, giacché vengono avvantaggiati i titolari di terreni edificabili o vicini a infrastrutture e opere pubbliche e si pregiudicano invece i proprietari di suoli non edificabili, lontani da dotazioni pubbliche. Spesso tali terreni erano destinati all’espropriazione.
Il meccanismo della perequazione edilizia assegna la capacità edificatoria in modo proporzionale ai proprietari delle aree stesse sulla base delle sole caratteristiche oggettive a prescindere dalla edificabilità prevista dallo strumento urbanistico. Sicché anche i proprietari di aree inedificabili o destinate ad opere pubbliche diventano titolari di diritti edificatori <>, che vengono normalmente ceduti dietro corrispettivo in danaro ai proprietari di aree edificabili.
Tra i tipi di piani perequativi si distingue tra perequazione endoambito e perequazione diffusa. Nella prima essa si realizza in un perimetro fissato a monte dal pianificatore, nella seconda si ha una vera e propria smaterializzazione della dotazione volumetrica assegnata, attraverso appunto la creazione di un diritto edificatorio cedibile a titolo oneroso. In quest’ultimo caso tutto si fonda sul libero funzionamento del mercato nell’insieme dei suoli oggetto di trasformazione, prefigurando addirittura l’istituzione di una vera e propria ‘borsa’ dei diritti edificatori.
 Un’altra figura che viene in rilievo è la cosiddetta “compensazione urbanistica”, che, nell’attuazione del piano, si pone come alternativa all’espropriazione. In presenza di un vincolo preordinato all’esproprio, il proprietario dell’area vincolata cede la medesima al Comune in cambio della disponibilità di una cubatura su di un’altra area.
 Infine, vi sono le cosiddette “premialità edilizie”, che consistono nell’attribuzione di un diritto edificatorio aggiuntivo   in   caso   di   raggiungimento di   determinati   obiettivi pubblici, in particolare di interventi di riqualificazione urbanistica ed ambientale (4).
Nelle ultime due ipotesi tratta di singoli accordi fra privati e pubbliche amministrazioni, i titolari esclusivi della potestà in materia di governo del territorio e quindi anche quella di costituire o modificare diritti edificatori. Come suggeriscono i contributi della dottrina urbanistica, l’ipotesi della istituzione di titoli volumetrici (compensativi o premiali) rientra tra i procedimenti di urbanistica cosiddetta consensuale, in funzione compensativa o incentivante appunto.
 
 
2.  L’origine dei contratti di volumetria.
Le ipotesi indicate, essendo catalogazioni della dottrina, subiscono il limite proprio di ogni processo di generalizzazione, per mitigare il quale forse è il caso di dare qualche riferimento normativo.
 
È utile premettere che l’origine dei contratti di trasferimento di volumetria va ricercata nella legge n. 765 del 1967 (c. d. legge Ponte), laddove ha introdotto l’art. 41 quinquies nella legge urbanistica del 1942, contenente la previsione degli standard urbanistici edilizi, volti a determinare i cosiddetti indici di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, nonché i rapporti massimi fra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, verde pubblico e parcheggi.
 
Va anche ricordato che gli “standard urbanistici” indicano il rapporto fra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali o produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi; mentre gli “standard edilizi” indicano la densità edilizia, l’altezza massima e la distanza fra i fabbricati. Inoltre lo “standard di tipo planovolumetrico”, che è quello che ha dato origine alla prassi dei trasferimenti di volumetria, indica la densità edilizia ovvero il rapporto tra i volumi edificabili e la superficie disponibile.
 
Infatti, la funzione di questo standard è quella di consentire uno sviluppo edilizio controllato, ma non implica una distribuzione delle potenzialità edificatorie tra i proprietari bensì la distribuzione del carico edilizio sul territorio, indipendentemente dal modo con cui esso è frazionato tra privati.
 
Proprio tale circostanza, si ripete, ha fatto emergere la prassi dei trasferimenti di volumetria (5)
 
3. Rassegna della frammentaria legislazione statale e regionale.
La materia dei diritti edificatori, e in particolare il fenomeno della cosiddetta perequazione estesa (ossia quella consistente nella dematerializzazione della dotazione volumetrica dal fondo da cui sorge nella forma di diritto edificatorio, cedibile a titolo oneroso anche a terzi), difetta di una regolamentazione organica da parte della legge nazionale. Sicché, è possibile rinvenire una qualche disciplina solamente nella legislazione regionale e negli strumenti di programmazione urbanistica. La necessità di una organica disciplina nazionale è data dal fatto che, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera   l)   della Costituzione,   i   rapporti   civilistici   dei   soggetti interessati sono riservati esclusivamente alla competenza normativa statale; mentre invece è devoluta alla legislazione concorrente la regolamentazione del governo del territorio, ai sensi dell’articolo 117, comma terzo, della Costituzione medesima.
 
 Tuttavia, anche in assenza di una legge-quadro nazionale, e fino a poco tempo fa anche in assenza di una legge statale relativa ai “rapporti  civili”,  le  regioni  hanno  regolamentato  le  fattispecie  in modo diverso tra di loro, utilizzando anche una terminologia non univoca.
 
Vengono fatti numerosi esempi, quali il Veneto, dove si parla di crediti edilizi; la Lombardia, dove si parla di meccanismi di incentivazione; in Umbria, dove si parla di incrementi preliminari.
 
L’obiettivo  delle  norme  regionali  è  quello  di  riempire  un vuoto e al tempo stesso garantire la certezza di negozi giuridici perequativi in presenza di un sistema pubblicitario nazionale informatizzato presso l’agenzia del territorio, particolarmente rigido.
 
Il dato unificante delle diverse discipline diffuse sul territorio è dato dall’istituto premiale, giustificato proprio dall’esecuzione di interventi di riqualificazione urbanistica ed ambientale, cui vengono aggiunti  obiettivi  diversi,  quali  la  realizzazione  di  interventi  di edilizia   residenziale   pubblica   (Lombardia,   Provincia   di   Trento,
Puglia); la tutela e la valorizzazione dei beni storico-artistici in generale (Lombardia e Veneto); la valorizzazione dei centri storici (Umbria); il risparmio energetico (Lombardia) e infine la prevenzione sismica (Umbria).
 
 Vanno registrati anche alcuni sporadici interventi del legislatore nazionale.
 
In primo luogo la legge 15 dicembre 2004 n. 308, che, all’articolo 1, comma 21, dispone che “qualora per effetto di vincoli sopravvenuti diversi da quelli di natura urbanistica non sia più esercitabile il diritto di edificare che sia già stato assentito a norma delle vigenti disposizioni è in facoltà del titolare del diritto di chiedere di esercitare lo stesso su un’altra area del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilità a fini edificatori”.
Al comma 22 della medesima disposizione si aggiunge che “in
caso di accoglimento dell’istanza presentata ai sensi del comma 21, la traslazione del diritto di edificare su area diversa comporta la contestuale  cessione  al  comune,  a  titolo  gratuito,  dell’area interessata dal vincolo sopravvenuto”.
In secondo luogo, va segnalato l’articolo 1, commi 258 e 259
della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, laddove dispone che, all’interno  dei  meccanismi  perequativi  delle  previsioni  degli strumenti urbanistici, in aggiunta delle aree necessarie per garantire gli  standards,  siano  definiti  ambiti  la  cui  trasformazione  è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale in rapporto al fabbisogno locale e in relazione all’entità ed al valore della trasformazione, prevedendo la possibilità che, in tali ambiti e in occasione della localizzazione di edilizia residenziale sociale ed altro, sia riconosciuta una premialità di cubatura che deve restare nei limiti di incremento massimo della capacità edificatoria prevista per gli ambiti medesimi, come definiti dalla stessa legge.
 
Va infine ricordato l’articolo 11 della legge 6 agosto 2008 n.
133, che, sotto la rubrica “piano casa”, contiene le linee guida per
l’emanazione di un decreto legislativo che garantisca su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo ed il pieno sviluppo della persona umana. La disposizione contiene, al comma 5, precise indicazioni normative che, secondo qualche commentatore, per la prima volta sembrano attribuire alla cubatura in sé vera e propria dignità di bene, inteso in senso tecnico giuridico, ai sensi dell’articolo 810 codice civile.
 
In altri termini, sembra che la volumetria cessi di essere un mero rapporto matematico per assurgere essa stessa ad oggetto del diritto.
 
In particolare, gli interventi del “piano casa” potranno essere realizzati anche: – mediante il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo; – mediante incrementi preliminari di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive a verde pubblico a parcheggi di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; – e ancora mediante la cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate (6).
 
3. La norma sulla trascrivibilità dei contratti relativi ai diritti edificatori.
 Dalle norme indicate risulta evidente come il legislatore nazionale mostri un rinnovato interesse per l’urbanistica perequativa (compensativa e premiale), sia in riferimento ai modi di formazione sia ai modi di circolazione dei diritti edificatori. L’interesse del legislatore nazionale è poi culminato con l’emanazione della norma sulla trascrizione delle vicende traslative dei diritti edificatori.
 
L’articolo 5, n. 3 del decreto legge 13 maggio 2011 n. 70, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 2011 n. 106, ha stabilito che “Per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, all’articolo 2643 del codice civile, dopo il numero 2, è inserito il seguente:
2  bis)  i  contratti  che  trasferiscono,  costituiscono  o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
Una norma apparentemente innocua, nei limiti in cui può esserlo una norma che incida nel codice civile, pone all’interprete delle questioni di grande rilievo.
 
La prima, di carattere preliminare e metodologico, consiste nell’individuazione dell’ambito in cui essa va a collocarsi, ossia stabilire se di essa se ne debbano occupare solamente i civilisti, in particolare i notai, oppure riguardi anche gli studiosi del diritto amministrativo.
 
Sinora è accaduto che i primi si sono concentrati sulle tecniche utilizzabili per rendere effettivo il commercio della volumetria, la cui natura giuridica era quanto mai incerta e quindi anche gli strumenti che ne riguardavano la vicenda mutavano di conseguenza; mentre i secondi  si  concentravano  sui  profili  più  squisitamente  legati  agli effetti della pianificazione edilizia e in particolare di quella convenzionata.
 
La netta separazione degli approcci al tema ha portato a soluzioni  frammentate  e  non  appaganti.  L’incomunicabilità  degli
studiosi e degli operatori pratici, persino nel caso di un istituto, quale quello in esame, che presupponeva la capacità di padroneggiare i due sistemi, ha però avuto il merito di riproporre il tema legato alla necessità di finalmente superare la dicotomia diritto civile-diritto pubblico, soprattutto quando lo richieda la dimensione di un istituto che ha indubbie ricadute sulle nozioni fondanti delle due grandi discipline, quale appunto quello noto come la cessione di volumetria (7).
 
Tornando all’istituto specifico, le questioni che la norma pone sono costituite dall’individuazione: a) dei tipi e della natura giuridica dei c.d. diritti edificatori; b) del tipo di contratto che li costituisce e li trasferisce; c) dell’oggetto della trascrizione e degli strumenti legati a quest’ultima, utilizzabili per condizionare la discrezionalità dell’amministrazione cui è stata attribuita la potestà edilizia (i comuni).
 
 
4. Rassegna critica delle principali teorie sulla natura giuridica della cessione di volumetria.
Si è voluto riportare il quadro normativo, sia pure nei suoi termini essenziali, per due ragioni: la prima, per ricordare che la ricerca della natura giuridica degli istituti va fatta sulle norme e non in astratto; la seconda, per mostrare come nella fattispecie vi è la costante presenza della mano pubblica, che amministra utilizzando le moderne tecniche consensualistiche (di cui le micropianificazioni urbanistiche sono l’esempio applicativo più vistoso), pur esercitando la potestà urbanistico-edilizia. Questo non può non avere, come vedremo, un’importanza decisiva nella ricerca della natura giuridica dei “diritti edificatori”.
 
Finora, tranne qualche lodevole eccezione, la ricerca della natura giuridica del diritto edificatorio e del contratto che lo costituisce (lo modifica o lo trasferisce), è stata fatta quasi esclusivamente dai civilisti, in particolare dal mondo notarile, in cui peraltro la prassi della cessione di volumetria è nata. Naturalmente questo ha comportato che gli specialisti della materia hanno usato gli strumenti  loro abituali,  pur  essendo  tutti  consapevoli  della immanente presenza dell’autorità pubblica e dell’importanza che essa comportava nella ricostruzione dell’istituto.
 
 Già prima dell’emanazione della norma sulla trascrizione dei trasferimenti dei diritti edificatori si era formata una vasta letteratura sulla natura della cessione di cubatura.
 
Forse  è  il  caso  di  passare  rapidamente  in  rassegna  le principali teorie formatesi su quell’istituto, anche perché alcune di esse vengono riproposte anche a seguito della nuova ipotesi di cui all’art. 2643 del codice civile .
 
L’interrogativo che ci si è posto sin dall’inizio è stato quello di verificare se con la cessione di cubatura si sia creato un nuovo diritto reale di godimento. La risposta positiva comportava dover ammettere che il principio del “numero chiuso” sarebbe stato superato. Pertanto occorreva, invece, inquadrare l’istituto in uno dei diritti reali di godimento già previsti e conosciuti. In questo caso, però, si ponevano altri interrogativi, ossia se potesse esistere un diritto reale su un bene che non abbia i caratteri della realità e se la volumetria potesse essere di per sé oggetto di un diritto, dato che si distacca completamente dal terreno a cui si riferisce.
 
Un caso analogo esiste ed è l’istituto della vendita di un bene da costruire, introdotto in una legge finanziaria. Esso, tuttavia, si distingue dalla volumetria perché è in gioco un bene materiale, anche se futuro perché non ancora realizzato.
 
Nella cessione di cubatura, invece, non si acquista un bene materiale ma la cubatura. La res, ossia il terreno, è solo il punto di riferimento per quantificarla.
 
 Ciò premesso, sulla natura giuridica, come si ricordava, si sono formate varie teorie (8).
 
La prima è quella che inquadra l’istituto nell’ambito delle servitù prediali. Con la cessione di cubatura si creerebbe un rapporto tra fondi, uno dei quali è asservito all’altro. Si tratterebbe di una servitù negativa simile alla servitus altius non tollendi. Originariamente si riteneva che i fondi dovessero essere contigui, ossia che tra di essi dovesse esistere un rapporto di vicinitas. Lentamente  si  è  affermata,  ed  è  prevalsa  l’idea,  che  il  rapporto potesse essere anche solo funzionale. Se fosse prevalsa questa tesi, essendo la servitù un diritto reale, il contratto di cessione di cubatura sarebbe trascrivibile ai sensi dell’art. 2643 c.c.
 
La seconda teoria considerava la cessione di cubatura un contratto ad effetti obbligatori. Per comprendere meglio questa impostazione veniva utile operare un collegamento con la c.d. “colonna d’aria” cioè il diritto del proprietario del lastrico solare di soprelevare. La “colonna d’aria” sembrerebbe l’espressione di un rapporto obbligatorio perché il diritto di soprelevazione non sarebbe, come sembra, una sorta di diritto di superficie attribuito al proprietario  del  lastrico  solare  da  tutti  gli  altri  proprietari dell’edificio. Dalla cessione della colonna d’aria deriverebbe, invece, per i condomini un’obbligazione negativa, giustificata da ragioni di civile convivenza. Non sarebbe, infatti, possibile la cessione ad altri soggetti senza compromettere l’esercizio del diritto di proprietà del condomino dell’ultimo piano. Anche la Corte di Cassazione (9) ha seguito questa teoria e ha costruito il rapporto di cessione della cubatura  come  un  rapporto  obbligatorio,  escludendone  la  natura reale.
 
Va da se che si segue lo schema del rapporto obbligatorio la tutela è di tipo personale, ossia responsabilità da inadempimento di un’obbligazione e, pertanto, le azioni reali a difesa della proprietà non sono utilizzabili e il negozio di trasferimento non è trascrivibile. Per rendere più chiaro il concetto basta considerare il caso di inadempimento del cedente, il quale, pur avendo venduto la propria volumetria, chiede ugualmente all’amministrazione comunale il permesso di costruire. Se l’autorità amministrativa non aveva dato assenso alla cessione di cubatura e rilasciava il permesso, il cedente, nonostante la precedente cessione, costruiva legittimamente.
 
A questo punto se la cessione era da qualificarsi come servitù negativa, il soggetto che agveva acquistato la cubatura poteva chiedere il risarcimento in forma specifica ed ottenere l’ordine di abbattimento della costruzione; se, invece, si riteneva che dalla cessione derivasse un rapporto obbligatorio, il cessionario poteva chiedere solo il risarcimento del danno per equivalente. La tutela, quindi, era di tipo personale.
 
In effetti, poiché il contenuto dell’obbligazione può essere anche l’obbligo  di  “non  fare”  è  molto  difficile  stabilire  se  nella cessione di cubatura si configuri un’obbligazione negativa o una servitù negativa perché in entrambi i casi non c’è visibilità o apparenza.
 
Un’altra   teoria   propendeva  per   la   natura   di   diritto   di superficie atipico. L’atipicità consisterebbe nella cessione del diritto di edificare  su  un  bene  di  proprietà  altrui,  mentre  nel  diritto  di superficie  tipico  si  cede  il  diritto  di  edificare  sul  proprio  bene. Esistono anche delle teorie minoritarie, come ad esempio quella della rinuncia,  che  vede  nella  cessione  di  cubatura  una  rinuncia  del soggetto al1a sua facoltà di edificare. Si tratterebbe in questo caso di una rinuncia traslativa. Altra teoria minoritaria considera la cessione di cubatura un onere reale negativo.
 
Non sono mancati autori che hanno ritenuto di ricondurre la fattispecie agli accordi procedimentali, sui quali torneremo.
 
 
 
 
 
5. I primi orientamenti dopo l’emanazione della norma sulla trascrivibilità dei diritti edificatori.
 
Con   l’introduzione  nel   nostro  ordinamento  della  nuova ipotesi di cui all’articolo 2643, 2 bis del codice civile, i primi commentatori, andando alla ricerca della natura giuridica dei diritti edificatori, si sono sostanzialmente divisi in tre filoni fondamentali.
 
 Il primo filone ha affermato la natura di bene immateriale (10). Questa tesi ha sviluppato i contributi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza anteriore alla riforma del 2011, appositamente passate in rassegna nel paragrafo precedente.
 
Secondo questa impostazione la prospettiva storica, irrinunciabile in una materia così complicata, non può che condurre alla qualificazione della volumetria quale bene. Infatti, la trascrizione è funzionale ad un meccanismo di circolazione che assicuri la certezza non solo alle operazioni di micropianificazione urbanistica ma anche ad ipotesi quali i meccanismi perequativi (compensativi ed incentivanti), oltre che al caso classico della cessione di cubatura. Per questa dottrina la capacità edificatoria di un lotto, espressa in termini di volumetria, viene avvertita sempre di più nella comunità come un valore economico, che costituisce esso stesso oggetto di attività negoziale tra privati. Anche se non si nasconde la difficoltà legata all’impossibilità di immaginare che lo spazio aereo connesso alla proprietà  del  suolo  possa  essere  oggetto  di  diritti,  separatamente dalla proprietà del suolo.
 
Tuttavia, la lettura, largamente accettata, dell’articolo 810 del codice civile – per il quale il concetto di bene è più ampio del concetto di cosa, nella quale possono essere incluse entità immateriali o ideali, che, in quanto idonee a soddisfare gli interessi tutelati dal nostro ordinamento giuridico, divengono bene nel momento in cui adempiano una funzione economica – consente di includervi agevolmente i diritti edificatori. Per confortare maggiormente la tesi vengono richiamati gli studi fatti a proposito delle quote-latte e del diritto al reimpianto del vitigno.
 
Per questa dottrina la cubatura reificata consiste in una “chance”, ossia una potenzialità di trasformazione in termini volumetrici del territorio e dei beni in sé distinto dal bene finale, ossia la costruzione, la cui prerogativa è la concreta possibilità di impiego della volumetria corrispondente, proprio in considerazione dell’elevato grado di rigore che anima la disciplina urbanistica ed edilizia. Pertanto un contratto può ben avere ad oggetto le possibilità edificatorie di un bene, a prescindere dalla preventiva individuazione del lotto su cui avverrà, se avverrà, la costruzione.
 
In proposito si può subito osservare che sarebbe più in linea con la nuova ipotesi di trascrizione la configurazione del diritto edificatorio come diritto reale immobiliare, così come fatto notare anche dalla giurisprudenza e dalla dottrina meno recenti (11), in quanto il cedente, con la cessione, distaccherebbe in tutto o in parte la facoltà insita nel suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura concessagli dal piano regolatore e, una volta formato un diritto a se stante, lo trasferisce all’acquirente a beneficio di un suo fondo confinante o contiguo.
 
 Il secondo indirizzo (12) ha affermato la natura reale del diritto. Secondo questa impostazione il nuovo dato positivo scongiura il  pericolo della  violazione del  principio del  numerus clausus  dei diritti reali, in quanto il nuovo articolo 2643 n. 2 bis, va letto in consecuzione con il numero 3 della medesima disposizione, laddove fa riferimento alla trascrizione dei contratti che trasferiscono la proprietà e gli altri diritti reali. Il riferimento letterale è sufficiente a qualificare i diritti edificatori quali diritti reali. Più esattamente diventa un diritto reale e tipico, sia perché se la volumetria fosse realmente un bene non sarebbe stato affatto necessaria la previsione di una autonoma ipotesi, trattandosi semplicemente di un diritto di proprietà, e sia perché è stato previsto anche il contratto costitutivo del diritto edificatorio, che è un fenomeno tipico dei diritti reali di godimento. Inoltre la “realità” è stata fatta derivare dalla necessità della sussistenza di un fondo sul quale consolidare il diritto eventualmente acquisito in capo al titolare di un diritto di edificare (premiale, compensativo perequativo che sia), avulso da qualsiasi riferimento ad un suolo ormai, come nel caso di procedimento ablativo conclusosi con  un  accordo  compensativo, di  proprietà di terzi, estraneo al rapporto fra cedente e il cessionario .
 
   Queste due principali letture dell’istituto del diritto edificatorio, susseguenti all’importante norma sulla trascrizione, sono state, pur nel rispetto della loro assoluta dignità scientifica, sottoposte a critica da parte di un civilista assai autorevole (13), che invece ha ritenuto di seguire l’intuizione di taluni  amministrativisti, che, onde evitare inutili duplicazioni, avevano ipotizzato che nel caso di specie ricorresse la presenza di un interesse legittimo di tipo pretensivo.
 
Per le critiche, ineccepibili, sia alla teoria del diritto reale di godimento sia a quella della edificabilità quale bene giuridico in sé, di natura immateriale, si rinvia allo scritto dell’autorevole studioso, in quanto qui si intende approfondire proprio l’ipotesi che si tratti di un interesse legittimo pretensivo, che invece in quello scritto si ha l’impressione  (forse  sbagliata)  sia  stata  accolta  più  per l’inadeguatezza delle teorie strettamente civilististe, inesorabilmente sottoposte a critica, che per l’intrinseca consistenza giuridica di quella costruzione.
 
 
 
 
 
6. Critica della lettura atomistica della vicenda costitutivo- traslativa dei diritti edificatori.
 
È stato già messo in evidenza come i diritti edificatori siano stati oggetto di contratti tra privati, rispetto ai quali il ceto dei notai ha  cercato  di  tutelare  al  massimo  grado  le  operazioni  negoziali, adottando  lo  schema  di  costituire  in  capo  al  fondo  da  cui  la volumetria prende il “volo” una vera e propria servitù negativa e al tempo stesso imponendo al titolare del fondo cedente una procura irrevocabile in rem propriam a favore del beneficiario da far valere nei confronti dell’autorità amministrativa, affinché il successivo permesso edilizio fosse rilasciato nei confronti di quest’ultimo.
Nella pratica questo sistema ha funzionato abbastanza bene. Tuttavia, risulta evidente che il limite della prassi indicata è
dato dalla  frammentazione dell’operazione negoziale, e  comunque
dall’impossibilità di coinvolgere in maniera più stringente la volontà dell’amministrazione. Così come è innegabile che la tesi, secondo cui la cubatura si atteggerebbe quale bene che può formare oggetto di diritti nei rapporti tra privati e al tempo stesso interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione, rispetto al quale si esercita la potestà di pianificazione propria di quest’ultima, costituisce una inutile superfetazione, che sarebbe giustificabile sole se non vi fosse un istituto capace di “sintetizzare” la vicenda. Ma per fortuna esso c’è.
 
In ogni caso, ora si impone una ricostruzione della vicenda in termini unitari, sia perché il contratto è stato in un certo qual modo tipizzato (15) e sia perché nella vicenda vanno ricompresi fattispecie, tutte trascrivibili, diverse dalla cessione di volumetria, quali appunto le premialità edilizie, che normalmente vedono protagonisti due soli soggetti, ossia il privato e l’amministrazione, facendo così scomparire il segmento “civilistico” della vicenda.
 
 Si diceva all’inizio di come il tema implichi un ritorno ai principi fondanti delle due discipline che trovano proprio in questo istituto un punto di contatto vistoso.
 
Vengono, quindi, in rilievo la “valenza sostanzialistica” dell’interesse legittimo, che nasce (si trasforma e circola) al di là della sua dimensione processuale (ed ora anche procedimentale), al pari di tutte le altre situazioni giuridiche soggettive; il momento costitutivo di  detta  situazione  giuridica  soggettiva  e  il  suo  rapporto  con  il procedimento amministrativo in cui normalmente si esercita; il “valore patrimonialistico” di detta situazione soggettiva, che determina l’effetto reale del negozio o dell’atto che la costituisce o la trasferisce; la possibilità di ricondurre l’intera vicenda agli accordi di cui all’articolo 11 della legge n. 241 del 1990; il rapporto con la tradizionale trascrizione delle convenzioni urbanistiche quale antecedente in cui si inserisce la trascrivibilità della nuova ipotesi di cui all’art. 2643 del codice civile.
 
 
 
 
 
7. La vicenda dello ius aedificandi e la proprietà conformata.
 
Cominciando dal tema, oramai quasi stucchevole, se lo ius aedificandi sia qualificabile come diritto soggettivo o interesse legittimo, non è più oramai seriamente dubitabile che esso configuri quest’ultima situazione giuridica soggettiva e che il provvedimento che la costituisce, ossia il permesso di costruire, sia un’autorizzazione costitutiva (16).
 
 È noto come il tema si inserisca nell’ambito delle teorie sviluppatesi a proposito dell’istituto della proprietà (o meglio delle proprietà). Infatti, va solo ricordato che il sistema non si basa su un unico tipo di proprietà. Il codice tratta della proprietà edilizia, di quella rurale, della proprietà collettiva, della comunione, ed oggi la legge disciplina anche quella turnaria.
 
Inoltre, va ricordato che esistevano una teoria tradizionale, di derivazione  francese, della proprietà come diritto assoluto, ed una teoria, più moderna,   della proprietà conformata. Quest’ultima sarebbe espressione diretta del principio, sancito dalla nostra Costituzione, della funzione sociale della proprietà, secondo cui il diritto di proprietà ha un contenuto essenziale minimo.
 
Lo sviluppo della disciplina urbanistica deriva dall’idea di un potere pubblico che ha, tra i suoi doveri, quello specifico di regolamentare l’assetto del territorio. La concezione moderna della proprietà conformata nasce proprio da qui, come già ricordato, ma forse non è mai abbastanza, l’emanazione della legge generale urbanistica, con la quale nel 1942 sono stati introdotti i piani regolatori generali, non è stato un evento casuale.
Al contrario il legislatore ha voluto modificare il modo di concepire la proprietà, ponendo a carico del comune l’obbligo di utilizzare gli strumenti urbanistici quali il piano regolatore, il programma di fabbricazione, il regolamento edilizio e le convenzioni urbanistiche. Esso ha voluto non solo che fosse disciplinato l’assetto del territorio, ma ha voluto soprattutto incidere su una delle facoltà essenziali del diritto di proprietà, ossia il diritto di costruire sul proprio terreno.
 
Fino a quel momento, nessuno aveva dubitato che la parte più importante del contenuto del diritto di proprietà fosse la facoltà di edificare. Dopo la fondamentale legge urbanistica n. 1150/1942 viene emanata la legge n. 187/1968, c.d. legge Ponte, che prevede gli standard edilizi come già riferito. Il legislatore ha, quindi, creato un sistema  basato  sulla  zonizzazione,  ossia  sull’individuazione  delle zone e della loro vocazione urbanistica, sul rapporto tra territorio e volumetria realizzabile nell’ambito di un’intera zona a vocazione edilizia, infine sulla densità fondiaria, ossia sul rapporto tra le singole aree dell’intera zona e la prestabilita volumetria ivi realizzabile, come già ricordato. La legge Ponte (L. n. 187/1968) ha previsto anche, per la prima volta, il rilascio da parte del Comune, dietro il pagamento di contributi, della licenza edilizia. Tale atto sembrava avere carattere commutativo. Successivamente è stata emanata la c.d. legge Bucalossi n. 10/1977 che alla parola “licenza” ha sostituito la parola “concessione”. Da ciò è sorta la tesi secondo cui il Comune è titolare del diritto di costruire su un fondo e lo può concedere al proprietario del fondo stesso dietro corrispettivo. All’epoca, quindi, la disciplina normativa è stata considerata quasi una prova che lo ius aedificandi non facesse parte del contenuto del diritto dì proprietà. Tale impostazione ha richiesto l’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 5/1980) che, invece, si è espressa nel senso dell’esistenza di un “contenuto essenziale minimo” del diritto di proprietà e dello stretto legame tra la proprietà e diritto di costruire (17).
 Paradossalmente, da quel momento si è nettamente affermata la concezione della proprietà conformata secondo la quale il tipo di utilità che si può trarre dal bene, almeno per la proprietà edilizia, deriva dalla sua vocazione urbanistica. Sicché, il bene nasce già con quelle caratteristiche. Se, infatti, si è proprietari di un terreno a vocazione edilizia su di esso sicuramente si può esercitare lo ius aedificandi, anche se devono essere rispettati i canoni dettati dall’autorità pubblica. Se, invece, il terreno di cui si è proprietari ha un’altra destinazione, per esempio agricola, lo ius aedificandi viene meno, né il Comune lo potrebbe attribuire perché non rispetterebbe la regolamentazione del territorio che esso stesso si è data. Per queste ragioni si può  affermare che la  proprietà è originariamente conformata non solo per il proprietario, ma anche per l’autorità pubblica, tanto è vero che se vuole attribuire lo ius aedificandi ad un terreno che non ha vocazione edilizia deve apportare delle varianti al piano regolatore generale e modificarlo.
 
8.   La valenza sostanziale e patrimoniale dell’interesse legittimo pretensivo. Premesse di carattere generale.
 
Si sono volute richiamare queste nozioni, note, solamente per arrivare al punto decisivo, ossia che la ricaduta sulla fattispecie in esame della concezione “conformata” della proprietà edilizia è costituita dal fatto che la situazione di base del soggetto è già di interesse legittimo pretensivo; e il diritto di  proprietà del fondo non è l’oggetto dell’esercizio della potestà pubblica, che invece si indirizza direttamente verso l’interesse legittimo proteso all’ottenimento del provvedimento favorevole, costituito dal permesso di costruire. La proprietà del fondo, essendo stata già direttamente conformata dalle norme urbanistiche, diventa insensibile al potere edilizio, che, rispetto al potere urbanistico, ha quasi un carattere esecutivo.
 
L’interesse legittimo pretensivo è l’unico oggetto del procedimento teso ad ottenere il permesso edilizio. Esso è anche la situazione base, che, come quasi tutti gli interessi pretensivi, non è costituita  da  un  diritto  soggettivo  o  da  altra  situazione  giuridica soggettiva, ma solo da se stessa. Quindi, occorre stabilire cosa significhi in concreto concepire l’interesse legittimo quale situazione giuridica “sostanziale” a valenza “patrimonialistica”.
 
 Forse giova alla comprensione dell’istituto predisporre il quadro del sistema generale in cui esso si inscrive (18)
 
Per comprendere a fondo la natura del “contatto” che si instaura tra la potestà della P.A. e la situazione giuridica soggettiva del privato bisogna prendere atto che, prima che si apra il procedimento amministrativo che determina la nascita in capo al privato medesimo dell’interesse legittimo, il soggetto è normalmente già   legato   al   bene   della   vita   da   un’altra   situazione   giuridica soggettiva, sulla quale va poi ad incidere l’azione amministrativa. Sicché, è semplicistico ridurre il “contatto” tra privato e P.A. al semplice rapporto potestà-soggezione, in quanto tale soggezione si connota nei modi più vari, a seconda del tipo di rapporto giuridico in cui il soggetto si trova rispetto al bene della vita coinvolto nel procedimento amministrativo. Così come è riduttivo pensare che l’unico modo di esercitare la situazione sostanziale sia quello di aprire il procedimento amministrativo. L’interesse legittimo pretensivo, proprio in virtù della sua valenza sostanziale, può benissimo essere negoziato con altri soggetti privati, pur rimanendo fermo che il suo effetto fondamentale, dato dall’ottenimento del provvedimento favorevole, si potrà realizzare solamente aprendo il procedimento amministrativo.
 
Da  qui  la  difficoltà  di  trovare  il  nucleo  essenziale  della nozione di interesse legittimo e ciò che lo differenzia dal diritto soggettivo e dalle altre situazioni giuridiche soggettive.
 
Studi autorevoli (19) avvertono che il diritto soggettivo è una categoria storica e che il rapporto giuridico non è solo quello che si svolge tra soggetti che si trovano in una situazione di parità. Inoltre altri autorevoli studi (20) hanno dimostrato che l’interesse legittimo è una situazione soggettiva non esclusiva del diritto amministrativo, potendosi rinvenire anche nei rapporti privatisti. Anzi essa si riproduce in  maniera identica di  fronte all’esercizio dei  cosiddetti poteri        privati       (impresa,   associazione, uffici      di      diritto privato, possesso).
 
Se si fa riferimento all’interesse materiale che lega il soggetto al  bene della vita e  che, attraverso i collaudati schemi del  diritto civile, intende conservare o conseguire, ci si accorge che la struttura di fondo del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo è identica; e che questi istituti sono semplicemente degli strumenti, storicamente definiti, per “delaicizzare” l’interesse materiale al bene, per dargli dignità giuridica e, quindi, proteggerlo secondo le trame del diritto. In fondo, anche secondo le leggi economiche, il soggetto vuole conservare o conseguire un bene; e in questi due moduli sembrano esaurirsi gli atteggiamenti pregiuridici della persona.
 
Non a caso i civilisti distinguono tra diritti assoluti e diritti relativi e, sia pure con le perplessità di taluno, anche i diritti di credito vengono ricondotti alla storica categoria dei diritti soggettivi. Invece gli amministrativisti distinguono, a seconda che si voglia conservare o conseguire il bene della vita, tra interessi oppositivi e interessi pretensivi.
 
 Il richiamo di queste nozioni basilari consente di ritenere che, se si guarda la sostanza delle cose, per il soggetto privato, l’unica cosa che rileva veramente quando si pone in rapporto di tensione rispetto ad un bene della vita, è il tipo di soggetto dell’attività giuridica con cui viene in contatto. Se si tratta di soggetto privato il rapporto si snoda normalmente secondo le trame proprie del diritto civile. Qualora si tratti invece, di un soggetto pubblico, che, agendo in veste di autorità, voglia conseguire il bene oppure abbia la disponibilità del bene che il privato intende conseguire, si ha la particolarità che il soggetto pubblico può, nel primo caso, ottenere il bene della vita senza la negoziazione con il privato e nel secondo caso, il privato non solo non ha un analogo potere, ma non può ottenere il medesimo bene neppure passando attraverso l’intermediazione del giudice. Sarà sempre solo l’amministrazione che farà conseguire il bene della vita a chi ne ha diritto.
Sicché, si può concludere che ciò che caratterizza e distingue l’interesse legittimo dal diritto soggettivo è solamente la misura o il modo con cui l’interesse sostanziale ottiene protezione.
 
 Il procedimento amministrativo, oltre ad essere la forma dell’esercizio della funzione amministrativa, è anche lo strumento di composizione degli interessi, pubblici e privati, analogamente a quanto accade per il contratto nei rapporti privati. Esso costituisce il luogo dove confluisce sia la potestà pubblica in concreto esercitata e sia quella situazione che nasce accanto alla situazione base (diritto, possesso, mero potere e così via), vuoi dall’esercizio della potestà, vuoi dall’esercizio della stessa situazione base di cui è titolare il privato, e che quando viene esercitata nei confronti di un soggetto dotato di potestà, viene appunto denominata interesse legittimo.
 
Le situazioni si muovono su piani diversi e, pur confluendo nel procedimento, non possono mai fondersi come invece avviene nel contratto di diritto privato. Tale fusione, secondo alcuni è da escludersi anche nell’ipotesi in cui si pervenga ad un accordo procedimentale, atteso che esso non è niente altro che un particolare modulo di formazione della volontà dell’amministrazione.
 
  Per  meglio comprendere quanto  si  dirà  a  proposito dei
“crediti edilizi” è utile fare un’altra premessa di teoria generale.
 
 
Il diritto di credito e l’interesse pretensivo, da un lato, e il diritto assoluto e l’interesse oppositivo, dall’altro, sono situazioni giuridiche soggettive profondamente diverse. Tuttavia vi sono dei tratti comuni.
 
 
Ai   nostri   fini   il   diritto   di   credito   e   l’interesse  legittimo pretensivo sono caratterizzati dall’essere situazioni strumentali, nel senso che, per essere soddisfatto l’interesse al bene della vita cui sono proposte, hanno bisogno dell’intermediazione dell’opera di un altro soggetto, rispettivamente il creditore e il soggetto titolare di potestà. Il diritto assoluto l’interesse legittimo oppositivo sono delle situazioni finali, in cui il soggetto ha già una relazione diretta con il bene della vita minacciato, che si sostanzia nella facoltà di godere del bene e di disporre della propria situazione soggettiva.
 
Sicché dall’altro lato non solo non vi è alcun obbligo di collaborazione, ma v’è piuttosto un obbligo di astenersi da ogni ingerenza nella relazione del soggetto con il bene.
 
Appare evidente che, mentre la seconda coppia di situazioni risulta essere monolitica, in quanto il suo nucleo essenziale è costituito semplicemente dal libero godimento del bene e dall’obbligo di astensione da parte di chiunque, anche della p.a., la prima coppia è molto più variegata.
 
Infatti, il soggetto può essere titolare di un mero potere che chiede di essere esercitato; di un diritto che intende espandersi in una direzione dove è necessaria l’autorizzazione o la concessione dell’amministrazione; di  un  vero e  proprio  diritto  di  credito  o  di debito nei confronti dell’amministrazione e così via.
 
Nel caso dell’azione amministrativa, che, in quanto procedimentalizzata, stabilisce il contatto giuridico con il privato a seguito dell’inizio del procedimento, si determina il legittimo affidamento. Esso consiste nel fatto che la p.a.  – più che rispetto ad altri soggetti, i quali non si muovono all’insegna dell’imparzialità – si comporterà correttamente e quindi soddisferà la pretesa dell’atto favorevole, a meno che vi osti il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa nel caso concreto, laddove porti a far prevalere un altro interesse.
 
Tale situazione soggettiva ha una dimensione patrimonialistica, nel senso che l’illegittimo sacrificio dell’affidamento giustamente riposto nell’esito favorevole del procedimento iniziato, può provocare una perdita di carattere economico, che, in quanto lesione di una situazione protetta in sé, va risarcita.
 
Delineare la dimensione patrimonialistica della situazione soggettiva di chi, attraverso l’atto amministrativo favorevole, intende conseguire il  vantaggio  derivante  dagli  effetti  dell’atto,  significa valutare l’attuale possibilità di conseguire quel risultato, da accertarsi secondo un criterio di verosimiglianza, alla stregua del id quod plerumque accidit.
 
Tale situazione soggettiva si radica, di norma, nel patrimonio dell’istante con l’apertura del procedimento amministrativo e non è costituita dal diritto alla pretesa, bensì dalla possibilità di ottenere il risultato favorevole a seguito del regolare corretto svolgimento del procedimento, dove si governano le regole della discrezionalità. Così congegnata la situazione protetta, ovverosia costituita non dal diritto al risultato, ma dalla possibilità di conseguirlo, si ha che essa è già concreta ed attuale a seguito dell’apertura del procedimento. Quel che varia è solamente la consistenza di tale possibilità, che si differenzia a seconda del normale esito del procedimento azionato.
 
In questo quadro la consistenza della possibilità di conseguire il risultato sperato è maggiore, anzi si tramuta in certezza, nei procedimenti vincolati, dove l’atto è praticamente dovuto; mentre invece è minima nei procedimenti altamente discrezionali ( 21).
 
 
 
 
 
9. Il valore patrimoniale della pretesa all’ottenimento del permesso di costruire.
 
Se le nozioni indicate vengono applicate ai diritti edificatori risulta agevole concludere che la cosiddetta possibilità edificatoria è un vero e proprio interesse legittimo pretensivo, non solo patrimonialmente valutabile, ma già presente nel patrimonio del titolare del fondo, non in base al diritto di proprietà bensì in base alla norma urbanistica che ha conferito a quest’ultimo la vocazione edilizia. Il “valore patrimoniale” di detta situazione giuridica soggettiva è dato dalla legittima aspettativa a conseguire il provvedimento favorevole in base a un criterio di normalità. Nel caso di specie la possibilità di conseguimento è particolarmente alta, in quanto  l’amministrazione  non   potrà   non   emettere  il   permesso edilizio, nella consistenza volumetrica richiesta, se il fondo, in virtù della norma di piano, è ubicato in zona a vocazione edilizia. La valenza patrimonialistica della situazione soggettiva si ricava “a contrario” sol che si pensi alle conseguenze derivanti dall’annullamento del permesso di costruire a causa della non esatta individuazione del soggetto legittimato ad ottenerlo o a causa del mancato o ritardato rilascio del permesso “maggiorato”, laddove il ricorrente vittorioso chieda al giudice amministrativo il risarcimento per la lesione costituita dalla mancata possibilità edificatoria nel termine. Non vi è spazio qui per ricordare le tecniche di quantificazione della c.d. perdita di “chance” e del danno da ritardo nel nuovo processo amministrativo (22).
 
Sempre in base all’applicazione delle nozioni svolte, la patrimonialità della possibilità edificatoria consente di ricondurre la vicenda negoziale che la costituisce (la modifica o la trasferisce) nell’ambito dei contratti ad effetti reali, essendo questi caratterizzati proprio dalla capacità di modificare, attraverso la c.d. attribuzione patrimoniale, la sfera  giuridica dei contraenti per effetto del semplice consenso legittimamente manifestato.
 
Inoltre, è nozione di teoria generale che la circolazione giuridica non ha ad oggetto beni ma situazioni giuridiche soggettive riguardanti beni. Pertanto anche l’interesse pretensivo, al pari di un diritto di credito semplicemente sperato (come nel caso di contributi promessi dal Comune a un’associazione sportiva) o di un’aspettativa di diritto, non solo può essere oggetto di negoziazione, ma può liberamente circolare, come una situazione giuridica compiuta in sé (23).
 
Come è stato autorevolmente (24) osservato, l’articolo 1376 del codice civile, laddove include anche “ogni altro diritto”, vuole includervi tutte le situazioni giuridiche soggettive e non solamente i diritti personali di godimento. Inoltre, si può aggiungere, su questa norma si innesta anche quella di cui alla novella in esame, in quanto, laddove parla di diritti comunque denominati, non vuole riferirsi soltanto  alle  varie  categorie  dei  diritti  edificatori  individuati,  ma anche a tutte quelle situazioni giuridiche soggettive aventi una qualche connessione con le possibilità edificatorie dei fondi urbani.
 
10. La vicenda costitutivo-circolatoria dell’interesse pretensivo. Il c.d. “credito edilizio” e lo strumento dell’accordo procedimentale
 
Occorre  ora  indugiare  sulla  struttura  procedimentale  e negoziale in cui il diritto edificatorio si forma, si modifica o si trasferisce.
 
Se si guarda alla sostanza della vicenda, l’accordo tra i proprietari sulla cessione di cubatura, per essere efficace, deve avere l’assenso del Comune. Sembrerebbe, pertanto, un atto trilaterale o complesso.  Bisogna  però  chiedersi  se  sia  più  corretto  classificarlo come accordo procedimentale.
 
Per risolvere la questione occorre analizzare in concreto la vicenda giuridica: un soggetto intende costruire su un proprio terreno ma la volumetria che intende realizzare è maggiore rispetto a quella che gli standard gli consentono; nel procedimento per il rilascio del permesso di costruire produce anche l’accordo con il quale un altro proprietario di un terreno edificabile gli ha ceduto la volumetria che potrebbe realizzare; l’amministrazione comunale ha, così, acquisito tutti  gli  elementi  per  l’istruttoria  del  procedimento  e,   qualora l’edificio che s’intende costruire risulti conforme agli strumenti urbanistici, deve provvedere al rilascio del relativo permesso. Da questa fattispecie emerge che colui che acquista la cubatura realizzabile da un altro proprietario, acquisisce un diritto di costruire “maggiorato” perché utilizza la vocazione edilizia del suo terreno oltre a quella di un altro terreno.
 
A questo punto occorre chiedersi se possa acquisire la “maggiorazione”  da  un’area  che  non  ha  vocazione  edilizia.  La risposta è negativa.
 L’assenso del Comune, infatti, si chiede proprio per  verificare  la  conformità  dell’operazione  allo  strumento urbanistico. Sicché, se il Comune acconsente alla cessione di cubatura relativa ad un’area priva di vocazione edilizia, l’assenso è illegittimo ed è soggetto all’impugnativa vittoriosa del terzo o  di  qualunque altro interessato. Tutto ciò dimostra che la parte pubblica è necessaria, immanentemente presente nella vicenda e assoggettata come tutti al principio di legalità.
 
Naturalmente questo non esclude che vi possa essere una negoziazione tra privati da far valere nei confronti dell’amministrazione. Tuttavia, essa va spiegata nel senso che il titolare dell’interesse pretensivo, situazione giuridica sostanziale e compiuta in sé, può esercitarla non solamente nei confronti dell’amministrazione aprendo il procedimento amministrativo, così come normalmente avviene, ma anche nella direzione di soggetti privati, che nel caso di specie utilizza appunto il negozio di cessione per trasferire la situazione soggettiva di cui è titolare. A seguito dell’acquisto, quella situazione sostanziale può essere ancora esercitata nei confronti di altri soggetti privati, dando luogo al fenomeno conosciuto come “credito edilizio”, oppure nei confronti dell’amministrazione aprendo il procedimento per il rilascio del permesso di costruire.
 
 
Il “credito edilizio”, al di là di quanto detto sulla differenza tra diritto di  credito e interesse pretensivo, è un’espressione atecnica (25).
Infatti, il privato, a seguito dell’accordo con il soggetto che gli ha ceduto la propria capacità edificatoria, non vanta nei confronti della pubblica amministrazione nessun “diritto” ad edificare, bensì solo la legittimazione ad aprire il procedimento per ottenere il permesso di costruire. Né tanto meno il soggetto che gli ha ceduto il suo “credito edilizio” poteva garantirgli tale risultato.
 
 
Il “credito di volumetria” significa semplicemente che, pur prendendo origine da un dato terreno di proprietà, è in grado di circolare più o meno liberamente, anche più volte nel tempo, fino a che non vi sarà un soggetto che, aprendo il procedimento per il rilascio del permesso di costruire, ottenga l’assenso dal Comune e realizzi la cubatura, sulla base delle norme urbanistiche.
 
 
Il punto più delicato riguarda la possibilità che il “credito” non si generi da un fondo, ma direttamente dallo strumento urbanistico comunale, laddove        l’ente crei   (e      ceda) diritti         edificatori per“autopoiesi” (26). In altri termini il “bene volumetrico” viene creato dall’atto amministrativo.
 
 
Parimenti  delicato  è  il  possibile  commercio  tra  privati  dei crediti edilizi, ma anche tra privati e l’amministrazione comunale, laddove questa abbia interesse a creare una riserva per poi cederli al migliore offerente.
 Va da sé che il trasferimento di diritti edificatori “smaterializzati”, al pari della cessione dei crediti, non solo è tecnicamente possibile, ma, con la formula onnicomprensiva adoperata dall’articolo 2643, n. 2 bis del codice civile, è anche possibile la trascrizione, dato che essa è organizzata su base personale, con il vantaggio pratico che gli atti relativi saranno opponibili e quindi prevalenti rispetto ad altri eventuali aventi causa.
 
 
Peraltro, la situazione soggettiva può circolare anche a procedimento già chiuso, ossia dopo il rilascio del permesso di costruire (vendita del fondo con il progetto approvato), in quanto essa si estingue solo a seguito della concreta realizzazione della volumetria.
 
L’affermazione secondo cui il soggetto pubblico è immanentemente presente nella vicenda si spiega in base alla considerazione che è proprio la “natura” della situazione giuridica sostanziale, ossia l’interesse pretensivo, che ne postula l’esistenza anche nella contrattazione privata, in quanto essa non può che esistere in presenza di un potere pubblico (o anche privato); e comunque essa non può che assumere “quella natura” a fronte di un soggetto dotato di potestà, unilateralmente esercitabile. Inoltre essa è sempre uguale a sé stessa, nel senso che non muta natura a seconda che venga esercitata verso l’amministrazione o verso soggetti privati.
 
Proprio   in   questo   risiede   la   necessità   di   inquadrare   la fattispecie della figura dell’accordo procedimentale, in quanto – a parte i diritti edificatori di nuova generazione (perequativi, premiali, compensativi), dove la vicenda, svolgendosi direttamente con il Comune, porta quasi naturalmente verso detto inquadramento, così come ritiene la  dottrina dominante e  la  giurisprudenza –  l’effetto fondamentale del negozio che ha ad oggetto l’interesse pretensivo non consiste solamente nel far acquistare al ceduto una nuova situazione giuridica soggettiva, ma quella “specifica” situazione soggettiva, caratterizzata dalla legittimazione ad ottenere il provvedimento amministrativo favorevole.
 
 
Come vedremo, la sicurezza della negoziazione che il notaio stipulante deve garantire è proprio quella di assicurare all’avente causa la legittimazione al provvedimento amministrativo.
 
Peraltro, quanto alla natura dell’accordo procedimentale, in cui rientra la fattispecie in esame, già altrove si è tentato di dimostrare (27) quanto semplicistica sia l’idea che l’accordo procedimentale sarebbe un contratto a tutti gli effetti oppure un atto amministrativo il cui contenuto sia stato negoziato, con la conseguenza che il regime applicabile sarà o quello proprio del primo o quello proprio del secondo. Infatti, l’accordo procedimentale c.d. sostitutivo finisce con il coincidere con il c.d. contratto ad oggetto pubblico, anche se nella maggior parte dei casi genera obblighi e non obbligazioni. Tuttavia quando esso contempla profili strettamente patrimoniali può generare obbligazioni in senso tecnico e in questo caso diventa “nelle cose” contratto   in senso proprio; e non sono le parti a stabilire se l’attività giuridica compiuta sia da qualificarsi come contratto e se questo sia di diritto privato o di diritto pubblico, ma è l’ordinamento che ricollega determinati effetti a una determinata attività.
 
Il legislatore, nel dettare l’articolo 11 della legge n. 241 del 1990, ha individuato nell’accordo la categoria giuridica più ampia ed innocua possibile ed esso può vivere nell’ordinamento isolatamente oppure accompagnato ad un provvedimento amministrativo.
 
È utile aggiungere che, come già accennato, il legislatore alla fin fine, per l’espressione generica usata, lascia intendere che non aveva necessità di tipizzare il contratto di cessione dei diritti edificatori. Infatti, la norma usa la parola “contratti”, al plurale, essendo evidentemente ben consapevole sia che è la natura giuridica del diritto edificatorio a determinare il tipo di contratto, sia che vi sono vari modi di costituire modificare e trasferire il diritto medesimo, sia infine che anche le parti sono di qualità e numero variabile. Tanto più che la norma si inserisce in un contesto dove le microconvenzioni urbanistiche venivano stipulate con atto pubblico trascritto.
 
Il ragionamento svolto dimostra che una corretta ricostruzione non deve basarsi sull’accordo trilaterale o sull’atto complesso, ma sull’istituto dell’accordo procedimentale previsto dall’art. 11 della L.
241/90. Il permesso di costruire, infatti, non è altro che un atto amministrativo, se pure vincolato, il cui contenuto, nell’ipotesi particolare di cessione di cubatura, viene definito con la col1aborazione dei privati.
 
 
 
 
 
11. La trascrizione del contratto avente ad oggetto l’interesse pretensivo.
 
Venendo alla trascrizione, bisogna premettere che, prima dell’introduzione della nuova ipotesi di cui all’art. 2643 del codice civile, e al di là dell’artifizio ricordato della costituzione di servitù negativa collegata con un mandato in rem propriam, gli orientamenti erano nel senso di ritenere possibile la trascrizione, laddove si ritenesse la realità della volumetria; mentre invece questa non era possibile, laddove, ritenendosi che non si potesse prescindere dal provvedimento amministrativo del Comune, l’accordo non poteva che avere un carattere obbligatorio.
 
Questo ovviamente, come già ricordato, comportava diverse forme e gradi di tutela in caso di inadempimento, potendosi nel secondo caso solamente ammettersi il risarcimento del danno, in conseguenza del fatto che il cedente non aveva posto in essere i presupposti necessari al cessionario per ottenere il permesso edificatorio con cubatura maggiorata.
 
Il fatto che il legislatore abbia scelto di introdurre la trascrivibilità nel commercio dei diritti edificatori, a meno di non sconvolgere il sistema delineato dall’articolo 1376 del Codice Civile, impone, come già si diceva, di considerare il contratto di cessione tra quelli ad effetti reali e non più obbligatori.
 
La seconda conseguenza della prevista trascrivibilità è quella di risolvere i conflitti tra più aventi causa,   secondo la nota regola della prevalenza di chi per primo trascriva, senza che questo nulla tolga o aggiunga al procedimento amministrativo teso ad ottenere il permesso di costruzione, che rimane fuori dal meccanismo protettivo della trascrizione (28).
 
In altri termini, il cessionario, pur protetto dal meccanismo di cui all’articolo 2644 del codice civile, non potrebbe andare oltre il risarcimento del danno qualora il cedente non presenti l’atto di asservimento nei confronti del comune, che rimane comunque estraneo al rapporto.
 
Tuttavia, sarebbe davvero minimo il risultato ottenuto dal legislatore, se non si potesse ritenere che a seguito della trascrizione il cessionario non possa procedere autonomamente nei confronti del Comune, atteso egli è divenuto l’unico legittimato a chiedere il provvedimento; e al tempo stesso se il Comune non potesse esser vincolato da quanto risulta dal registro della conservatoria immobiliare.
 
In altri termini, l’amministrazione non ha più la necessità di ottenere un ulteriore consenso da parte del cedente una volta che è stato trascritto il contratto di cessione. La norma intende mettere in condizione l’amministrazione di poter procedere al rilascio del permesso di costruire sulla base della semplice visura catastale, in quanto il contratto trascritto equivale all’atto di asservimento, che prima della riforma costituiva il necessario presupposto per rilascio della concessione a favore di un soggetto diverso dal proprietario del fondo. Fissare in capo al Comune l’onere delle visure catastali, significa, non solo verificare che colui il quale chiede il rilascio del permesso di costruire per una cubatura maggiore sia legittimato sulla base di un regolare contratto di trasferimento, ma che questi abbia anche osservato la continuità delle trascrizioni, ivi compresa la verifica che non siano stati trascritti a carico del cedente pregressi pignoramenti o iscrizioni di ipoteche sul terreno edilizio da cui ha preso il ‘volo’ la cubatura ceduta.
 
Questo naturalmente comporta, per il notaio, il compito di far risultare l’estinzione dell’interesse legittimo in capo al cedente e l’acquisizione del medesimo in capo al cessionario, non esclusa la necessità della indicazione della consistenza della volumetria trasferita, della descrizione del bene da cui prende il “volo” il diritto edificatorio e quella del bene su cui si può realizzare l’eventuale “atterraggio”. Sicché diventa importante verificare se la normativa codicistica in materia consenta la completa gestione della complessa vicenda traslativa. L’utilizzazione degli artt. 2645 e 2655 del codice civile diventa inevitabile, al pari del famoso riquadro N del modello di trascrizione, significativamente definito refugium peccatorum dei notai (29). L’utilizzazione del riquadro è tanto più necessaria quanto più si consideri che l’oggetto della trascrizione non è l’atto bensì l’effetto dell’atto, quindi bisogna che questo venga compiutamente descritto.
 
Non a caso si è suggerito di utilizzare proprio il quadro D della nota di trascrizione per ospitare tutti gli elementi che contribuiscono a determinare ed a rendere perfettamente individuabili  i  contenuti  del  diritto  oggetto  di  pubblicità immobiliare, al pari di quanto normalmente avviene quando viene costituita una servitù (30).
 
In buona sostanza, i notai debbono avere consapevolezza, essendo l’oggetto del trasferimento l’interesse legittimo pretensivo, che l’effetto giuridico fondamentale della vicenda negoziale non è dato dalla realizzazione della volumetria ma dall’esito positivo del procedimento di rilascio del permesso di costruire. In altri termini, devono porre in essere tutti gli accorgimenti idonei a far conseguire al cessionario il risultato finale dell’operazione, dato dal   rilascio a questi e non ad altri del permesso di costruire.
 
 
12. Conclusioni
 
La relazione che ora si conclude, e che ha consentito a chi vi parla la rivisitazione di temi studiati al primo apparire della norma sulla trascrizione del 2011, permette di aggiungere quanto segue.
Il cambio di prospettiva che l’importante riforma impone agli operatori pratici si estende anche alla giurisdizione. Infatti, essa si radica in  capo il  giudice amministrativo, che,  dovendo conoscere della legittimità del rilascio del permesso di costruire, deve valutare la sussistenza dei presupposti dell’atto e dei riflessi invalidanti che su di esso ha avuto la trascrizione del negozio di trasferimento, ivi compresa la distribuzione della responsabilità risarcitoria, che si estende anche al notaio che non abbia adeguatamente rappresentato all’amministrazione la giusta legittimazione all’apertura del procedimento amministrativo o quella -a compensazione- del soggetto che ha imprudentemente omesso di trascrivere; e ciò sia in caso di controversia susseguente all’annullamento dell’atto sia di controversia risarcitoria autonoma ( art. 30 Cpa). Ciò è tanto più vero quanto più si consideri che la materia degli accordi procedimentali al pari di quella dell’urbanistica e dell’edilizia rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (artt. 7 e 133 Cod. Proc. Amm.).
 
Inoltre, cosa più importante, il fatto che sembra sia prevalsa la tesi, allora sostenuta assieme ad altri, secondo cui la natura e la vicenda traslativa dei diritti edificatori configurino un’ipotesi chiara di trasferimento di un interesse legittimo pretensivo, a fronte di altre, autorevolmente sostenute, che insistevano sulla natura di diritto soggettivo, avente ad oggetto per alcuni un bene materiale e per altri un bene immateriale di origine immobiliare, non significa affatto “condannare fatalmente il civilista al silenzio”, come pure è stato scritto. Bensì sta semplicemente ad indicare che l’amministrazione per consenso, di cui il governo del territorio da parte delle amministrazioni si avvale in maniera larga e profonda, postula l’esigenza per il civilista di spingersi nel diritto amministrativo con la consapevolezza che l’interesse legittimo è una situazione giuridica sostanziale (e trasversale) che circola, al pari del diritto soggettivo e degli altri diritti reali e personali di godimento non esclusi i diritti di credito, nei rapporti giuridici con tutta la sua intrinseca valenza patrimoniale, mentre per l’amministrativista significa prendere atto che il diritto amministrativo si è appropriato delle categorie civilistiche, che vanno conosciute e adattate.
La forza della storia, economico-giuridica, che agita le moderne società umane ha rotto definitivamente gli schemi e le categorie tradizionali nel cui ambito il giurista era abituato a muoversi. Quindi bisogna crearne altre senza tradire il metodo tradizionale, fortemente collaudato e che ci è stato consegnato addirittura dal diritto romano.
La velocità e la finezza tecnica delle negoziazioni, sia quelle che si svolgono tra privati sia quelle che si svolgono tra questi e le amministrazioni pubbliche (nazionali transnazionali e globali), impongono di prendere atto che i beni non preesistono necessariamente al contratto e al provvedimento amministrativo, ma in taluni casi sono essi stessi a creare il bene, quando non lo siano addirittura in sé.  E il fenomeno della compensazione urbanistica e delle premialità edilizie ne costituisce l’esempio più vistoso.
 
 
                                          Prof. G. Paolo Cirillo
                                     Presidente di sezione del consiglio di Stato
                               Componente del Consiglio di presidenza della                                               giustizia amministrativa
 
Pubblicato il 4 ottobre 2019
 
 
*La presente relazione, tenuta a Varenna nell’ambito del 65° convegno di studi amministrativi dal titolo “Dall’urbanistica al governo del territorio”, è una rivisitazione del saggio breve “La trascrizione dei diritti edificatori e la circolazione degli interessi legittimi””, pubblicato nella Rivista del notariato e sul sito ww.giustizia-amministrativa del 2011. Nel rileggerlo, e nel confrontarlo con quanto avvenuto in dottrina e giurisprudenza successivamente, mi è sembrato che fosse ancora proponibile, salvo alcuni aggiustamenti, data la sostanziale riconferma dell’impostazione allora proposta.
 
 
 
Note:
 (1)    Per una rassegna si veda: Ceccherini, Asservimento di area edificabile cessione di cubatura,  in   Nuova   giurisprudenza  civile   commerciale,  2009,II   557;  Felis, Superficie e fattispecie atipiche. La cessione di cubatura, in Contratto impresa,
2011,632 ss; E. Boscolo, Le perequazioni e le compensazioni, in Riv. Giur. Urb., 2010, II,p. 104 ss. In ogni caso si veda per tutti il bel volumetto di B. Mastropietro, Natura e circolazione dei diritti edificatori, ESI 2013, che sviluppa nel senso del testo i temi fondamentali
(2)   G. Trapani, Dalla cessione di cubatura alle operazioni sui crediti di cubatura: evoluzione o mutazione del diritto?, In studi e materiali del CNN l’, 2011, reperibile con il titolo La cubatura quale bene in senso tecnico, in www.notaicomolecco.it, 31; Bartolini, Profili giuridici del c. d, credito di volumetria, in Riv. Giur.Urbanistica, Il  caso  della  legge  urbanistica  veneta,  in  Riv.  Giur.  Uistica,  2005,  II,  644;
M.Fracanzani, Il credito edilizio nella leggi regionale veneto n.11/04: emissione di carta moneta, in www. Giustizia-amministrativa.it.
(3)     P. Stella Richeter, Diritto urbanistico, Milano, 2010, 51. Dello stesso Autore si veda: I poteri di pianificazione nella legislazione urbanistica, in Riv. Giur. Edil., 1968, II, p.123 e ss. L’espressione tra virgolette di cui subito nel testo è di G. Morbidelli, Presentazione, in A.Bartolini e A.Maltoni (a cura di), Governo e mercato del territorio. Esperienze regionali a confronto, Napoli,2009, p. 12. Si veda anche E. Boscolo, La perequazione urbanistica: un tentativo di superare l’intrinseca discriminatorie della zonizzazione tra applicazioni pratiche e innovazioni legislative regionali in attesa della riforma urbanistica, in E. Ferrari, L’uso delle aree urbane e la qualità dell’abitato, atti del terzo convegno AIDU, Genova 19-20 novembre 1999, Milano 2000,p.195 e ss. Sui pericoli del libero commercio dei diritti edificatori, di cui subito nel testo, si veda A. Police, Governo e mercato dei diritti edificatori, in A. Bartolini e A. Maltoni, volume già cit, p. 30 ss. Si veda altresì
(4)     Per una rassegna incrociata tra il diritto pubblico e il diritto privato si veda: G.
Trapani, I diritti edificatori, in Riv. Not., 2012,0 4,775.
(5)     Da ultimo, per una rassegna aggiornata dell’origine dell’istituto, si veda: S. De
Paolis, Riflessioni in tema di trasferimento di volumetria, in Riv. Giur. Dzia, 2011,0
5,199.
(6)     Una rassegna critica della legislazione viene fatta da G. A. Di Vita, Riflessioni sul tema “cessione di cubatura”: una lettura provocatoria della novella, in Il notaro, 15-
30 novembre 2011.
(7)    Sul punto vedasi: N. Irti, Prefazione al volume “Amministrazione pubblica e diritto  privato” di V. Cerulli Irelli, Torino 2011; G .’P. Cirillo, Prefazione alla prima edizione del volume “Diritto civile pubblico”, Direkta, Roma 2012 e ora diventato l’impianto di base del volume: “Sistema istituzionale di diritto comune”, Cedam 2018.
(8)     Una rassegna rapida si può anche vedere in G. P. Cirillo, Diritto civile pubblico,
cit., 367-372.
(9)     Si vedano, a cominciare dalla prima, la fondamentale: Cass. n.4245 del 29/6/1981 e
quelle successive conformi, tra cui Cass. n. 1352 del 22 febbraio 1996. (10)         G. Trapani, I diritti edificatori, in Riv. Not.,cit., 775.
(11)    Cass. 14 dicembre 1988 n. 6807; Cass. 20 dicembre 1983 n. 7499. Ma anche: Libertini, Sui <>, in Contratto impresa, 1991, 92 e ss. ,
dove già si definiva l’istituto come un diritto reale atipico simile alla servitù.
(12)  G.A. Di Vita, Riflessioni sul tema “cessione di cubatura”: una lettura provocatoria
della  novella,  in  Il  notaro,  cit.,  93  ss..  Tale  Autore  sembra  inclinare  per  tale soluzione, anche se non si nasconde le difficoltà. In ogni caso, ai fini della trascrizione propone ai notai di utilizzare lo stesso schema che viene usato per gli atri diritti reali di godimento, in ispecie le servitù. In ogni caso sembra molto interessante la valorizzazione da parte di -S. De Paolis (Riflessioni in tema di trasferimenti di volumetria, in rivista giuridica edilizia, 2005, 5, 223) di quelle dottrine ( A. Bartolini, A Maltoni, (a cura di), Governo e mercato dei diritti edificatori, esperienze regionali a confronto, Atti del convegno AIDU, 30 novembre 2007, Napoli, 2009, 97) che vogliono separare i diritti edificatori dallo ius aedificandi, essendovi’ tra le due posizioni soggettive un rapporto di tipo quantitativo, laddove i diritti indicano solo la misura del secondo esercitabile sul fondo, che quindi continua a rimanere una delle facoltà del diritto di proprietà, legittimando così la necessità di un intervento della legge statale, l’unica che può regolare i rapporti privatistici.
(13)  F. Gazzoni, Cessione di cubatura, “volo” e trascrizione, in Gius. Civ., 2012,101 ss. (14)  Bartolini, profili giuridici del cosiddetto credito di volumetria, in rivista giuridica
urbanistica, 2007,304; S. Fantini, profili pubblicistici dei diritti edificatori, in www.giustizia-amministrativa. it, 6; M. Renna, L’esperienza della Lombardia, in A. Bartolini e A. Maltoni, volume già cit., p. 57 e p. 84, dove prende in esame il piano regolatore di Vigevano.
(15)  Di Vita, cit., 89, giustamente fa notare come ciò di cui si sentiva la necessità non era tanto l’attribuzione del connotato della tipicità al contratto, diffuso nella prassi, per
realizzare la cessione di cubatura, in quanto in sede giurisprudenziale il meccanismo di  cui  al  testo  aveva  funzionato  bene,  quanto  piuttosto  l’esigenza  di  una
qualificazione sotto il profilo giuridico della vicenda, che comunque dal legislatore non è venuta e forse non poteva venire.
(16)  G.   P.   Cirillo,   L’attività   edilizia   e    la   tutela   giurisdizionale   del   terzo,   in www.giustizia-amministrativa .
(17)  Per  una  ricostruzione  della  vicenda,  sintetica  ma  efficace,  su  cui  esiste  una letteratura sterminata, si rinvia a S. De Paolis, cit, 199-212 e le note ivi contenute.
(18)  Per piu ampi riferimenti si rinvia a G. P. Cirillo, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, Padova, 2003, 83 ss. Per una rivisitazione e per l’inserimento del problema in un contesto più ampio e rigoroso si rinvia al già citato G. P. Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, 302 e ss.
(19)  P. Rescigno, Manuale di diritto privato, edizione a cura di GP Cirillo, Milano,
2000,211. In tale contesto il chiarissimo autore mette in rilievo anche la storicità
della   distinzione  tra   diritti  di   interessi,   destinata  ad   affievolirsi  attraverso l’estensione della giurisdizione esclusiva
(20)  L.  Bigliazzi-Geri,  Contributo  ad  una  teoria  dell’interesse  legittimo  nel  diritto privato,  Milano,  1967,  passim,  cui  si  rinvia  per  la  formulazione  dell’interesse
legittimo quale situazione di rapporto, che lega la situazione inattiva di vantaggio del titolare al potere dell’altro.
(21)  Per più ampi svolgimenti, anche applicativi, si rinvia ancora a G. P. Cirillo, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, cit., 203 ss.
(22)  In ogni caso si rinvia per una sintesi generale a G.P. Cirillo, Il risarcimento del danno e l’incidenza nella sua valutazione della mancata proposizione dell’azione di
(23)    Per  tutti,  F.  Gazzoni,  op.  cit.,107.  Ma  si  rileggano  anche:  F.  Pugliatti,  Il
trasferimento delle situazioni soggettive,I,1964; R. Nicolò, Istituzioni di diritto privato,I,1962; C.M. Massimo Bianca, La proprietà, 2005; G.P. Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, cit. 238-241.
(24)  F. Gazzoni, Cessione di cubatura, “volo” e trascrizione, cit., 107. (25)  F. Gazzoni, op. ult. cit., 112.
(26)  Bartolini, cit., 438. Pur essendo questo un fenomeno limitato, sembra sia necessaria una   legge  statale  che  abiliti  il  comune  ad  autogenerare  diritti  edificatori,
prescindendo da un proprio diritto di proprietà, poiché il fenomeno sembra andare oltre la concezione della proprietà conformata, già a stento giustificata dal principio
costituzionale della funzione sociale della proprietà.
(27)    G. P. Cirillo, I contratti e gli accordi delle amministrazioni pubbliche, 178 ss.,in
Manuale  di  diritto  civile  e  commerciale, diretto  da  N.  Lipari  P.  Rescigno  C. Angelici, 2009. Ma si vedano i rilievi critici di P. L. Portaluri, Considerazioni (forse in)attuali sugli accordi di diritto amministrativi, in Riv. Giur. Edil., 2015, p. 125 ss.
(28)  F. Gazzoni, op. cit., 109 ss. (29)  F. Gazzoni, op. cit, 115.
(30)  G.A.  Di Vita, op  cit., 93. Forse  è  il caso  di riportare i suggerimenti proposti
dall’autore a pag. 93:<
La  nota  di  trascrizione  relativa  alla  costituzione  del  diritto  di
edificare dovrebbe allora esporre nel quadro A, il riferimento al titolo dal quale detto diritto trae origine, ovvero ad una convenzione fra il privato e la
Pubblica Amministrazione, attuativa del disposto di legge con riferimento alla fattispecie compensativa, premiale o perequativa posta in essere concretamente, o ad un accordo fra privati idoneo, come evidenziato, a far assurgere il diritto di edificare, estrapolato dal diritto di proprietà, a diritto autonomo “in re aliena”.
Nel quadro B dovrebbero essere indicati sia l’immobile che viene a subire la depauperazione del relativo diritto ad edificare che l’immobile, ove sussista e sia individuato nel titolo, che abbia godere dell’arricchimento di cubatura; è da sottolineare che in ogni caso, una volta individuato il fondo depauperato, resta assicurata la pubblicità “erga omnes” sia della perdita, per il fondo stesso, del diritto di edificare,  indirettamente evidenziandosi il vincolo di inedificabilità che viene conseguentemente a gravare sul terreno stesso, che il sorgere del nuovo diritto di edificare, il quale, successivamente a tale formalità, dovrebbe circolare come diritto autonomo, con riferimento, sotto il profilo oggettivo, al fondo depauperato e, sotto il profilo soggettivo, alle parti del contratto di trasferimento eventualmente posto in essere successivamente alla sua costituzione.
Nel    quadro    C    dovrebbero    trovare    collocazione    i    soggetti
rispettivamente proprietario del fondo depauperato, quale soggetto a carico, e proprietario del fondo arricchito o acquirente del diritto di edificare, quale soggetto a favore.
Successivamente alla sua costituzione, regolarmente assoggettata al trascrizione, il diritto di edificare, cedendo alla classificazione del diritto stesso come un nuovo diritto “in re aliena”, dovrebbe circolare, con riferimento al fondo dal quale risulti estrapolato ed ora avulso, anche in presenza di un fondo di riferimento individuato nell’atto di costituzione, a favore di un diverso soggetto, resosi acquirente dall’originario beneficiario.
Le    fattispecie    contrattuali    relative    alla    circolazione    e    alla
modificazione del diritto in oggetto sono, comunque, esattamente uguali a quelle, titolo gratuito o a titolo oneroso, idonea a trasferire un qualsiasi diritto reale e, come tali, soggetti a trascrizione.
Per il caso di circolazione del diritto di edificare, una volta che si sia originato e abbia costituito oggetto di pubblicità immobiliare, dovrebbe ritenersi assolutamente praticabile anche l’ipotesi della divisibilità del diritto di edificare a discrezione del relativo titolare, in qualsiasi momento della relativa circolazione si intenda attuare, in termini concreti, detta astratta
divisibilità; questa potrebbe essere operata dalla relativo titolare, sotto il profilo reale, individuando più fondi propri di consolidamento del diritto, nel rispetto degli standard limitativi delle potenzialità edificatoria delle singole zone di appartenenza, o essere il risultato di più accordi inter soggettivi,  idonei  a  determinare  il  frazionamento  dell’originario  unico diritto in funzione di più acquirenti, ciascuno legittimato, poi, a determinare l’arricchimento, sotto il profilo della potenzialità edificatoria, di uno o più fondi  propri  od  anche  altrui,  fin  da  ora  paventando,  però,  difficoltà
connesse con la necessità di quantificare detti diritti derivati, in termini assoluti e/o  di  percentuale, rispetto alla  volumetria propria del  terreno stesso originariamente depauperato.>>
 (31) L’espressione è di G. Amadio, I diritti edificatori: la prospettiva del civilista, in Aa..Vv., Urbanistica e attività notarile. Ad attenuare la drastica conclusione è B. Mastropietro, op. cit., 105 e ss., in quanto la confluenza dell’accordo traslativo fra privati all’interno del procedimento edilizio costituisce semplicemente l’occasione per tentare una corretta qualificazione del contenuto della situazione giuridica soggettiva.

 

 

 

 

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