05.06.2015 – Rotazione della dirigenza e controllo successivo di regolarità amministrativa

STEFANO GLINIANSKI*

Rotazione della dirigenza e controllo successivo di regolarità amministrativa


SOMMARIO: 1. La rotazione della dirigenza quale misura diretta alla prevenzione della corruzione e le sue criticità operative. 2. I limiti oggettivi alla rotazione e la posizione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. 3. Il controllo successivo di regolarità amministrativa negli enti locali quale correttivo all’impossibilità oggettiva alla rotazione della dirigenza.

1. Com’è noto, la legge 6 novembre 2012, n. 190, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, impone, tra le misure dirette a prevenire il fenomeno della corruzione, anche la rotazione dei dirigenti o – con specifico riferimento alle amministrazioni locali – delle posizioni organizzative [1], in assenza di figure dirigenziali, nei settori particolarmente esposti, oltre che la verifica, da parte del responsabile anticorruzione, d’intesa con il dirigente competente, dell’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio de quo.

Tra le criticità riscontrate nella concreta applicazione della misura prevista dalla legge, soprattutto presso le amministrazioni locali, è stata più volte richiamata la difficile applicazione della stessa, nell’ipotesi in cui a dovere ruotare siano figure professionali caratterizzate dalla specificità della loro funzione perché, ad esempio, esercitanti mansioni per il cui svolgimento è richiesto il possesso di peculiari professionalità e, soprattutto, di titoli di studio e/o abilitazioni particolari [2].

In particolare, il riferimento è a quei profili con elevato contenuto tecnico che, specie nelle amministrazioni di minori dimensioni, presentano un elevato grado di infungibilità, con conseguente impossibilità di una loro effettiva rotazione.

Ad onor del vero, il tema della rotazione della dirigenza, è sempre stato, anche prima, dunque, della approvazione della normativa anticorruzione, al centro di un profondo dibattito che vede contrapposte – in base alla chiave di lettura che si vuol offrire della norma disciplinante in via generale il conferimento degli incarichi dirigenziali e, dunque, dell’art.19, comma 1 [3] – due tesi.

Una prima opzione ermeneutica, più tradizionalista, che, enfatizzando l’inciso per cui – ai fini del conferimento degli incarichi de quibus, deve tenersi conto delle capacità professionali del singolo dirigente – ritiene fondamentale, al fine di preporre un dirigente in un settore caratterizzato da un elevato grado di tecnicità, una valutazione preliminare da parte dell’organo conferente l’incarico delle specifiche professionalità degli aspiranti a detto incarico e, soprattutto, dei titoli di studio e/o delle abilitazioni particolari possedute [4].

Logico corollario a tale assunto è, pertanto, una forte restrizione degli spazi di mobilità per tali figure professionali, il cui grado di specificità delle competenze, che discende dai titoli di studio conseguiti, ne determina una loro infungibilità e l’impossibilità della loro effettiva rotazione.

Altra corrente di pensiero, viceversa, di cultura sostanzialmente più aziendalista, ponendo l’accento sulla capacità direzionale che, indipendentemente dalla sua specifica professionalità, ogni dirigente deve possedere, valorizza un altro inciso del citato articolo 19 citato che impone, ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali, di considerare, altresì, le specifiche competenze organizzative possedute e, dunque, quella capacità di gestire risorse umane, finanziarie e strumentali che, trasversalmente, deve caratterizzare ciascun soggetto preposto alla direzione di un settore.

E’ evidente che aderire a tale prospettazione interpretativa risolve in modo più radicale il tema della effettività della rotazione, in quanto misura organizzativa prescindente valutazioni preliminari di possesso di specifiche competenze, essendo la managerialità una caratterizzazione trasversale che deve appartenere a ciascun dirigente per essere qualificato tale.

2. In questo contesto, già di per sé alquanto complesso, il tema, dunque, ritorna di profonda attualità identificando, la normativa anticorruzione, la rotazione del personale e, per quanto in questa sede interessa, della dirigenza, una misura centrale per la prevenzione dei fenomeni corruttivi.

In tal senso il PNA, infatti, dispone che, per il personale dirigenziale addetto alle aree a più elevato rischio di corruzione, la durata dell’incarico deve essere fissata al limite minimo legale che, si ricorda è di tre anni e che alla scadenza dell’incarico la responsabilità dell’ufficio o del servizio deve essere di regola affidata ad altro dirigente, a prescindere dall’esito della valutazione riportata dal dirigente uscente, innovando, così, per atto amministrativo, una disposizione legislativa, l’art. 19, comma 1, che impone, al contrario, ai fini del conferimento degli incarichi, di tener conto anche dei risultati conseguiti in precedenza nell’amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione.

A fronte delle prime difficoltà operative, la stessa Autorità nazionale Anticorruzione, consapevole dell’esistenza di limiti oggettivi alla rotazione, ha ipotizzato quale misura alternativa – come tra l’altro indicato dallo stesso PNA – la rotazione del personale non dirigenziale, con riguardo innanzi tutto ai responsabili del procedimento ma, soprattutto,   ha testualmente dichiarato che non si deve dare luogo a misure di rotazione se esse comportano la sottrazione di competenze professionali specialistiche da uffici cui sono affidate attività ad elevato contenuto tecnico [5].

3. Ciò detto, è evidente, tuttavia, che il non dar luogo da parte delle pubbliche amministrazioni – per impossibilità oggettiva e motivata dall’ente – alla rotazione delle figure dirigenziali o delle posizioni organizzative – a parere dello scrivente, non può legittimare una totale disapplicazione delle misure atte a prevenire il fenomeno corruttivo nei loro assetti organizzativi.

Con specifico riferimento alle amministrazioni locali in tal senso, allora, può essere un utile strumento di correzione il richiamo al controllo successivo di regolarità amministrativa da esercitare sugli atti dirigenziali ai sensi dell’art. 147 bis, comma 2, de decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213.

La norma, infatti, dispone, in primis, che il controllo di regolarità amministrativa è assicurato anche nella fase successiva all’adozione degli atti, secondo principi generali di revisione aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente, sotto la direzione del segretario.

Di poi, con riferimento all’ambito oggettivo del controllo, che sono soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, i contratti e gli altri atti amministrativi, scelti – al fine di garantire, dunque, una verifica, non solo sull’atto, ma anche sull’azione del dirigente che detto atto adotta, oggettiva e non discriminatoria- secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento.

Infine, che le risultanze del controllo sono trasmesse periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili dei servizi, unitamente alle direttive cui conformarsi in caso di riscontrate irregolarità, nonché ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione, e al consiglio comunale.

Orbene, un rafforzamento del controllo successivo di regolarità amministrativa sugli atti dei dirigenti preposti ai settori a maggior rischio corruzione, fornendo i risultati dei controlli sugli atti, potrebbe rappresentare – in una visione sinergica tra lo stesso controllo ed il piano anticorruzione  – un effettivo strumento di monitoraggio funzionale a proposte di azioni correttive.

Tra l’altro, essendo il funzionamento del controllo interno anche oggetto di verifica da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti [6], in una visione sinergica, oltre che tra controllo di regolarità successiva e piano anticorruzione, altresì, tra Corte dei conti ed ANAC, si potrebbe, così, ulteriormente valorizzare il protocollo d’intesa di recente siglato [7] tra la magistratura contabile e l’Authority, funzionale ad una strategia di prevenzione e di contrasto ai fenomeni corruttivi, nell’ambito di una comune cooperazione istituzionale.


(*) Magistrato della Corte dei conti – Segretario generale Autorità di garanzia scioperi servizi pubblici

[1] Il conferimento di una posizione organizzativa al dipendente apicale di un’amministrazione locale, in virtù del combinato disposto di cui agli articoli 50, comma 10 e 109, comma 2 del Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 determina, infatti, attraverso l’attribuzione delle funzioni dirigenziali di cui all’art. 107 del citato Decreto, il potere del soggetto al quale è stata conferita detta posizione, di impegnare, con proprie determinazioni, l’amministrazione all’esterno, acquisendo lo stesso, in tal modo, se non la qualifica di dirigente, sicuramente i poteri di quest’ultimo.

[2] Sul tema della rotazione degli incarichi e la problematicità che la stessa comporta, si segnala, ante legge 6 novembre 2012, n. 190, TAR Marche sez. I 23/5/2013 n. 370.

Più precisamente, il giudice amministrativo, dichiarando la illegittimità di un provvedimento con il quale il Sindaco, in dichiarata applicazione del principio di rotazione degli incarichi dirigenziali, ha trasferito l’architetto capo del Settore urbanistica e l’ingegnere capo del Settore Lavori Pubblici a dirigere, rispettivamente, il Settore affari generali e la polizia municipale, ha affermato il principio per cui se è certamente vero che, a seguito della riforma del pubblico impiego del 1993, sul dirigente incombe una responsabilità di tipo manageriale, ossia legata ad una valutazione complessiva dei risultati conseguiti della struttura che egli dirige in relazione agli obiettivi periodicamente fissati dagli organi di direzione politica dell’ente, è, altresì, vero che l’imputazione della responsabilità presuppone di necessità che il dirigente sia posto in condizione di poter controllare l’operato dei funzionari adibiti alla struttura. Ciò, soprattutto, in quanto nell’organizzazione degli enti locali le deliberazioni consiliari e giuntali debbono essere munite del parere di regolarità tecnica rilasciato dal dirigente del settore competente, con rilevanti conseguenze in termini di responsabilità amministrativo-contabile.

[3] La norma testualmente, recita: “Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell’amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell’incarico. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’articolo 2103 del codice civile”.

[4] Si pensi, ad esempio, a figure professionali quali un ingegnere o un architetto che, necessariamente, devono possedere una abilitazione rilasciata a seguito del superamento di un esame di Stato.

[5] Il richiamo è alla deliberazione 13 del 4 febbraio 2015.

Più precisamente, l’ANAC, valutando i provvedimenti adottati dal Comune di Roma in materia di rotazione del personale all’interno del corpo della Polizia municipale, ha, si noti, con deliberazione di carattere generale dichiarato che:1) La rotazione del personale, da sempre applicata in tutte le amministrazioni pubbliche come misura di arricchimento del bagaglio professionale del pubblico dipendente e come misura di efficienza dell’organizzazione degli uffici, è prevista in modo espresso dalla legge n. 190 del 2012 (art. 1, comma 4, lettera e); comma 5, lettera b); comma 10, lettera b)) come misura anticorruzione; 2) La rotazione del personale maggiormente esposto ai rischi di corruzione, pur non costituendo l’unico strumento di prevenzione è, come affermato dal PNA 2013 e dall’Autorità, misura fondamentale di prevenzione della corruzione; 3) L’Autorità si è già espressa con propri orientamenti su specifici casi di rotazione del personale e si riserva di adottare proprie Linee guida, anche prima dell’adozione del PNA 2015, al fine di orientare le pubbliche amministrazioni nelle loro scelte in materia di rotazione del personale; 4) La rotazione è rimessa alla autonoma determinazione delle amministrazioni, che in tal modo potranno adeguare la misura alla concreta situazione dell’organizzazione dei propri uffici e, soprattutto, al punto 5) che la rotazione incontra dei limiti oggettivi, quali l’esigenza di assicurare il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa e di garantire la qualità delle competenze professionali necessarie per lo svolgimento di talune attività specifiche, con particolare riguardo a quelle con elevato contenuto tecnico. Pertanto non si deve dare luogo a misure di rotazione se esse comportano la sottrazione di competenze professionali specialistiche da uffici cui sono affidate attività ad elevato contenuto tecnico.

[6] L’articolo 148 del  Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 dispone, infatti, che le sezioni regionali della Corte dei conti, con cadenza annuale, nell’ambito del controllo di legittimità e regolarità delle gestioni, verificano il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e dell’equilibrio di bilancio di ciascun ente locale. A tale fine, il sindaco, relativamente ai comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, o il presidente della provincia, avvalendosi del direttore generale, quando presente, o del segretario negli enti in cui non è prevista la figura del direttore generale, trasmette annualmente alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sul sistema dei controlli interni, adottato sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti e sui controlli effettuati nell’anno, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione; il referto è, altresì, inviato al presidente del consiglio comunale o provinciale.

[7] Il riferimento è al recente protocollo d’intesa siglato il 28 maggio 2015 tra la Corte dei conti e l’Autorità Nazionale Anticorruzione.

 

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