tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Abusi edilizi, agli eredi la sanzione pecuniaria alternativa all’ordine di demolizione
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Il Consiglio di Stato (adito per la riforma della sentenza del T.A.R. Lombardia sez. II, n. 4287/2009), si sofferma in tema di irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’avvenuta realizzazione di opere in parziale difformità dal titolo edilizio (disposta nel caso concreto in considerazione del grave pregiudizio, nell’ipotesi di demolizione di dette opere, per la parte conforme dell’edificio).
Nodo centrale della questione è stabilire se l’avvenuto decesso dell’originario responsabile comporti, o meno, la cessazione della materia del contendere (non potendo – secondo la tesi della parte privata – la sanzione pecuniaria essere trasmessa agli eredi del responsabile dell’abuso giusta i criteri generali ex L. n. 689/1981).
Il quadro normativo è dato dall’art. 34, D.P.R. n. 380 del 2001 (applicabile anche ai casi di DIA sostitutiva del permesso di costruire ai sensi dell’art. 22, III, del medesimo decreto) che disciplina l’ipotesi degli interventi realizzati in difformità parziale dal permesso di costruire per le nuove costruzioni, che si configura ogni qual volta un determinato intervento, pur se contemplato dal titolo edilizio rilasciato, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, che vadano ad incidere su elementi particolari, e non essenziali, della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 26 novembre 2019, n. 5578).
Ha osservato la giurisprudenza che “l’assenza di una compiuta definizione della categoria dei lavori ed interventi eseguiti in parziale difformità ha indotto il legislatore a fissare una soglia di rilevanza minima delle variazioni non costituenti illecito edilizio. Si tratta di quegli scostamenti dai parametri autorizzati di misura talmente contenuta da non potere essere considerati un illecito edilizio. Per questo è stata introdotta una soglia minima di rilevanza delle difformità parziali, che è esclusa “in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali” (comma 2-ter)” (Cons. Stato, sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1484).
In ordine alla operatività di tale norma si è osservato:
– la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione (Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2017, n. 5585; Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001);
– in quella sede, l’interessato potrà ampiamente dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato derivante dall’esecuzione della demolizione delle opere abusive (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4939).
Secondo l’insegnamento della giurisprudenza penale: “il provvedimento adottato dall’autorità amministrativa a norma dell’art. 34, comma 2 citato trova applicazione solo per le difformità parziali e, in ogni caso, non equivale ad una sanatoria, atteso che non integra una regolarizzazione dell’illecito ed, in particolare, non autorizza il completamento delle opere, considerato che le stesse vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente” (Cass. pen., sez. III, 21 giugno 2018, n. 28747).
Occorre poi considerare che l’alternatività della sanzione pecuniaria rispetto all’ordine di demolizione comporta che la prima condivida il carattere reale e ripristinatorio dell’ordine giuridico violato proprio di questo con conseguente possibilità di irrogazione anche nei confronti dell’attuale proprietario sebbene incolpevole ed in buona fede (T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 16 novembre 2016, n. 1290; T.A.R. Toscana, sez. III, 17 febbraio 2012, n. 361; T.A.R. Veneto, sez. II, 8 febbraio 2012, n. 204).
Come è stato osservato (T.A.R. per il Veneto, sez. II, 3 aprile 2013, n. 473) “per principio generale in materia di responsabilità amministrativa per abusi edilizi, l’ordine di demolizione o nel caso di specie la sanzione alternativa ex art. 34, può essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, perché l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell’abuso. Appare altresì utile ricordare, sul tema dell’applicabilità delle misure sanzionatorie in materia edilizia e della buona fede del terzo acquirente o, più in generale, del proprietario non responsabile dell’attività illecita, l’orientamento giurisprudenziale, che trae spunto dalla sentenza di Corte costituzionale n. 345 del 15 luglio 1991, sviluppatosi in materia di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva nel caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, di cui all’art. 31, D.P.R. n. 380 del 2001. A tal proposito la giurisprudenza distingue l’ordine di demolizione dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva. L’ordine di demolizione può legittimamente essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, perché, come si ripete, l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell’abuso (ex multis, T.A.R. Napoli, Sez. IV, 16 maggio 2008 n. 4715; T.A.R. Umbria 1 giugno 2007 n. 477, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 25 ottobre 2006 n. 3836; T.A.R. Salerno, Sez. II, 15 febbraio 2006 n. 96)”.
In altre parole, così come il proprietario, ove provi di essere incolpevole, può sottrarsi all’acquisizione gratuita dell’area su cui insiste l’opera abusiva ma non alla demolizione, allo stesso modo non può sottrarsi al pagamento della sanzione alternativa alla demolizione, ferma restando in ogni caso la possibilità di rivalersi in regresso nelle sedi competenti, laddove siano accertati i presupposti di responsabilità nei confronti del proprio dante causa ex art. 1298 c.c. (T.A.R. Veneto, sez. II, 15 febbraio 2018, n. 174).
Difatti, nel caso di realizzazione di opere edilizie abusive, è considerato responsabile anche il proprietario, non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito edilizio, ma in virtù del suo rapporto materiale con la res. Egli è, infatti, titolare di obblighi di collaborazione attiva, tra cui rientra senz’altro la rimozione di un abuso edilizio, indipendentemente dal fatto che egli fosse o meno responsabile di tale illecito.
Il Consiglio di Stato ha infatti di recente ribadito che “Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio – ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario – che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi e quindi legittimati attivi all’impugnazione della sanzione. D’altra parte, l’acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l’abuso commesso prima del passaggio di proprietà” (Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 6983).
Ed allora, avuto riguardo al merito della vicenda sottoposta al suo vaglio, il Consiglio di Stato, nella sentenza qui in esame, ha ritenuto corretto l’argomentare della P.A. (il Comune) secondo cui all’irrogata sanzione pecuniaria deve riconoscersi natura non già punitiva, bensì ripristinatoria (del pregiudizio che l’illecito edilizio ha cagionato al territorio) con conseguente inapplicabilità delle norme ex L. n. 689/1981.
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