tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Abbandono di rifiuti, quali i doveri della curatela fallimentare?
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Il Tar Brescia con la sentenza (non definitiva) in esame affronta il tema della corretta esegesi dell’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente) essendo stato ordinato al curatore di un fallimento di procedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati all’interno di alcuni capannoni industriali del soggetto fallito.
Si consideri, preliminarmente, come il base al cennato Codice, la P.A. non possa imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità, né diretta, né indiretta, sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari o gestori o addirittura in ragione della mera collocazione geografica del bene, l’obbligo di bonifica di rimozione e smaltimento di rifiuti ed, in generale, della riduzione al pristino stato dei luoghi che è posto – dal Legislatore – unicamente in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare.
Ai fini della responsabilità in esame è dunque necessario che sussista – e sia provato attraverso l’esperimento di adeguata istruttoria – un nesso di causalità fra l’azione o l’omissione ed il superamento (o pericolo concreto ed attuale di superamento) dei limiti di contaminazione, senza che possa venire in rilievo una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell’immobile, meramente in ragione di tale qualità (T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, 9 aprile 2019, n. 587).
Quanto alla specifica figura del curatore fallimentare si è sottolineato come esso non possa essere “destinatario, con riferimento ai beni del soggetto fallito, del provvedimento di cui all’art. 192 D.Lgs. n. 152 del 2006 adottato nei confronti del proprietario dell’area interessata dall’accumulo di rifiuti. Per onerare il curatore della rimozione dei rifiuti, è infatti necessario che l’amministrazione riscontri la sussistenza di una responsabilità “univoca, autonoma e chiara” del suddetto organo fallimentare nell’illecito abbandono degli stessi” (T.a.r. Puglia, Lecce, sez. II, 16 aprile 2019, n. 611).
Il curatore, infatti, non sostituisce il fallito, atteso che la procedura fallimentare ha uno scopo liquidativo e non già amministrativo o continuativo dell’impresa fallita; a tale organo della procedura fallimentare sono solo attribuiti poteri di disporre dei beni fallimentari in vista delle finalità proprie della procedura concorsuale, senza che ciò comporti l’attribuzione allo stesso del dovere di adottare comportamenti attivi (di rimozione dei rifiuti), poiché il curatore fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito, salvo quanto può essere più specificamente connesso all’eventuale esercizio provvisorio dell’impresa (T.a.r. Toscana, Firenze, sez. III, 27 ottobre 2015 n. 1457; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. III, 5 gennaio 2016, n. 1).
Anche secondo la giurisprudenza di legittimità la curatela fallimentare non può essere destinataria di ordinanze dirette alla bonifica di siti, per effetto del precedente comportamento (omissivo o commissivo) dell’impresa fallita, posto che, tra l’altro, il curatore, nell’espletamento del munus publicum, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 R.D. n. 267 del 1942), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cass. civ., sez. I, 23/06/1980, n. 3926), avendo il fallimento – come detto – finalità meramente liquidatorie (v. anche: T.a.r. Puglia, Lecce, sez. III, 11 maggio 2017 n. 746; T.a.r. Campania, Napoli, sez. V, 8 febbraio 2018, n. 829).
Nel solco di questo insegnamento si colloca la sentenza qui in esame nel contesto della quale l’adito Collegio giudicante lombardo osserva, in via di estrema sintesi, che:
– condizione di legittimità di un’ordinanza ex 192 in esame è l’individuazione del soggetto responsabile;
– il fallimento, almeno di regola, non subentra negli obblighi correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito.
In senso contrario alla tesi fin qui esposta si vedano i seguenti arresti della giurisprudenza:
– Tar Lazio, Roma, sez. II bis, 16 settembre 2019, n. 11010 il quale ha osservato “che il curatore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 31, 42, R.D. n. 267 del 1942, ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare, sottratto alla disponibilità del fallito (cfr., ex multis, Corte Cass. pen., III, n. 17749 del 2018, Corte Cass., civ., I, n. 15669 del 2007); che al curatore sono quindi assegnati compiti di gestione e conservazione dei beni, al fine di preservarne il loro valore, in un’ottica di tutela dei creditori (cfr. ancora Corte Cass. pen., III, n. 17749 del 2018, Corte Cass., civ., I, n. 15669 del 2007); che incombono pertanto sul curatore medesimo gli obblighi di pulire l’edificio in questione e l’area di pertinenza, di rimuovere i rifiuti, di mettere in sicurezza il predetto fabbricato, impedendo l’accesso e l’occupazione”;
– Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2017, n. 3672 secondo cui: “17. L’individuazione dell’obbligo di smaltire i rifiuti in capo al detentore trova il suo fondamento anche nel diritto comunitario.
17.1. L’art. 3 par. 1 punto 6 della Dir. 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE definisce il detentore, in contrapposizione al produttore, come la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti. Nel diritto comunitario la categoria del possesso comprende anche la detenzione secondo il diritto interno (compresa la categoria che qualifica il tipo di detenzione esercitato sui beni del fallimento). Per le finalità perseguite dal diritto comunitario, infatti, è sufficiente distinguere il soggetto che ha prodotto i rifiuti dal soggetto che ne abbia materialmente acquisito la detenzione, senza necessità di indagare il titolo giuridico sottostante. L’elemento decisivo è il carattere materiale della detenzione dei rifiuti. Anche i commercianti e gli intermediari hanno quindi il possesso dei rifiuti, ma nel loro caso la norma comunitaria prevede eccezionalmente che il possesso possa anche non essere materiale (v. 3 par. 1 punti 7-8 della Dir. 2008/98/CE).
17.1.1. In base al diritto comunitario (art. 14 par. 1, Dir. 2008/98/CE), i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale, o dai detentori del momento, o dai detentori precedenti dei rifiuti. Questo costituisce un’applicazione del principio “chi inquina paga” (considerando n. 1, Dir. 2008/98/CE). In definitiva, la detenzione dei rifiuti fa sorgere automaticamente un’obbligazione comunitaria avente un duplice contenuto:
(a) il divieto di abbandonare i rifiuti;
(b) l’obbligo di smaltire gli stessi. Se per effetto di categorie giuridiche interne questa obbligazione non fosse eseguibile, l’effetto utile delle norme comunitarie sarebbe vanificato (v. Corte giust. UE, Sez. IV 3 ottobre 2013 C-113/12, Brady, punti 74-75). Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi siano collocati, può invocare l’esimente interna dell’art. 192 comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006.
17.2. La curatela fallimentare, che assume la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell’art. 192 cit., lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall’attività imprenditoriale dell’impresa cessata. Nella qualità di detentore dei rifiuti secondo il diritto comunitario, la curatela fallimentare è obbligata a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero.
17.3. Il rilievo centrale che, nel diritto comunitario, assume la detenzione dei rifiuti risultanti dall’attività produttiva pregressa, a garanzia del principio “chi inquina paga”, appare, del resto, coerente con la sopportazione del peso economico della messa in sicurezza e dello smaltimento da parte dell’attivo fallimentare dell’impresa che li ha prodotti.
17.4. D’altra parte, dal rilievo centrale che assume la figura del detentore dei rifiuti, discende la non pertinenza di tutte quelle obiezioni, svolte dalla curatela, che trovano il loro perno nella non configurabilità di un fenomeno giuridico di tipo successorio tra società fallita e curatela”.
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