Reddito di cittadinanza a trazione comunale
di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale
Il reddito di cittadinanza
Dopo tanto chiacchiericcio, il D.L. n. 4 del 2019 istituisce, a decorrere dal prossimo aprile, il reddito di cittadinanza (Rdc), quale misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, all’informazione, all’istruzione, alla formazione, alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione. Sostituisce il reddito di inclusione (Rei), istituito dal D.Lgs. n. 147 del 2017, anch’esso pensato quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale.
Per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni il Rdc assume la denominazione di “pensione di cittadinanza”, quale misura di contrasto alla povertà delle persone anziane. I requisiti per l’accesso, le regole di definizione del beneficio economico e le procedure di gestione sono le medesime del Rdc.
Per accedere al beneficio occorrono requisiti riferiti a tre sfere: cittadinanza, residenza e soggiorno; requisiti reddituali e patrimoniali; godimento di beni durevoli (art. 2). Il beneficio si compone di due elementi: una componente ad integrazione del reddito familiare, fino alla soglia di euro 6.000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza; una componente, ad integrazione del reddito dei nuclei familiari residenti in abitazione in locazione, pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto in locazione come dichiarato a fini ISEE, fino ad un massimo di euro 3.360 annui (art. 3).
I Patti per il lavoro
L’art. 4 subordina l’elargizione del beneficio a due condizioni: 1) la dichiarazione, da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, non occupati e non studenti, della immediata disponibilità al lavoro; 2) l’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, riqualificazione professionale, completamento degli studi e altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale.
Il richiedente e i componenti del nucleo riconosciuti beneficiari sono quindi tenuti a rendere dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro tramite l’apposita piattaforma digitale, gli istituti di patronato convenzionati ovvero presso i centri per l’impiego, i quali ultimi convocano gli stessi al fine di stipulare un “Patto per il lavoro”, che assume le caratteristiche del “patto di servizio personalizzato” di cui all’art. 20, D.Lgs. n. 150 del 2015 (proprio il jobs act), destinato a contenere: l’individuazione di un responsabile delle attività; la definizione del profilo personale di occupabilità secondo le modalità tecniche predisposte dall’ANPAL; la definizione degli atti di ricerca attiva che devono essere compiuti e la tempistica degli stessi; la frequenza ordinaria di contatti con il responsabile delle attività; le modalità con cui la ricerca attiva di lavoro è dimostrata al responsabile delle attività.
Nel Patto viene inoltre riportata la disponibilità del richiedente a svolgere attività di formazione, riqualificazione o altra iniziativa di politica attiva e ad accettare congrue offerte di lavoro, definite tali da apposito decreto del Ministero del lavoro sulla base dei principi di coerenza con le esperienze e le competenze maturate, distanza dal domicilio e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico, durata della disoccupazione, retribuzione (art. 25).
Il Patto per il Rdc è il medesimo, deve essere solo integrato con l’espressa accettazione degli obblighi e rispettare gli impegni ivi previsti e in particolare: registrarsi sull’apposita piattaforma digitale “e consultarla quotidianamente quale supporto nella ricerca del lavoro”; svolgere ricerca attiva del lavoro secondo le modalità individuate nel diario delle attività che devono essere svolte settimanalmente; accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale o progetti per favorire l’auto-imprenditorialità; sostenere colloqui psicoattitudinali ed eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione; accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue.
La congruità fa sempre riferimento all’art. 25, D.Lgs. n. 150 del 2015, ma viene integrato dal comma 9, che definisce congrua un’offerta:
a) entro 100 Km di distanza nei primi dodici mesi di fruizione del beneficio se si tratta di prima offerta, 250 se si tratta di seconda offerta, ovunque collocata nel territorio italiano per la terza offerta;
b) decorsi dodici mesi di fruizione del beneficio, è congrua un’offerta entro 250 Km di distanza per la prima o seconda offerta, ovunque se terza offerta;
c) in caso di rinnovo del beneficio l’offerta è congrua ovunque sia collocata nel territorio italiano anche nel caso si tratti di prima offerta;
d) nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità non operano le previsioni di cui alla lett. c) e in deroga alle previsioni di cui alle lett. a) e b), con esclusivo riferimento alla terza offerta, l’offerta è congrua se non eccede la distanza di 250 Km dalla residenza del beneficiario.
I Patti per l’inclusione
Qualora la situazione di povertà sia connessa, come quasi sempre accade, non solo alla situazione lavorativa, i richiedenti sono convocati dai servizi sociali dei Comuni, che avviano il percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo, previa valutazione multidimensionale finalizzata ad identificare i bisogni del nucleo familiare.
Tale valutazione rimane regolata dall’art. 5, D.Lgs. n. 147 del 2017, modificato solo per proiettarci il Rdc, all’esito della quale i beneficiari sottoscrivono un “Patto per l’inclusione sociale”, che anche in questo caso assume le caratteristiche del “progetto personalizzato” di cui all’art. 6 del medesimo D.Lgs., anch’esso modificato in minima parte.
Il Patto, come il progetto personalizzato, individua gli obiettivi, i sostegni e gli impegni del nucleo e contempla, oltre agli interventi per l’accompagnamento al lavoro, quelli di contrasto alla povertà indicati al successivo art. 7, rimasto praticamente intatto.
Il ruolo dei Comuni resta dunque centrale, non solo perché impegnati ad elaborare i Progetti personalizzati rinominati Patti per l’inclusione sociale, ma anche perché vengono chiamati ad integrare gli stessi Patti per il lavoro stipulati presso i centri per l’impiego: “Gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà sono comunque attivati, ove opportuni e richiesti, anche in favore dei beneficiari che sottoscrivono il Patto per il lavoro” (art. 4, comma 13).
I progetti di pubblica utilità
Il comma 15 dell’art. 4 impone al beneficiario di offrire, sia nel Patto per il lavoro che in quello per l’inclusione sociale, la propria disponibilità a partecipare a “progetti a titolarità dei comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore non superiore alle otto settimanali”.
Ai Comuni viene consegnato l’onere di predisporre le procedure amministrative utili per l’istituzione di tali progetti e comunicare le informazioni ad una apposita sezione della piattaforma dedicata al programma del Rdc del Ministero del lavoro. Sembra di capire dal tono della disposizione che l’attivazione dei progetti di utilità sociale (PUS) sia tutt’altro che obbligatoria, in quanto subordina all’attivazione dei progetti l’esecuzione delle attività e l’assolvimento degli obblighi da parte del beneficiario, non già la concessione del beneficio. Inoltre, l’art. 7, comma 5, prevede la decadenza del Rdc qualora uno dei componenti il nucleo familiare non aderisca ai progetti “nel caso in cui il comune di residenza li abbia istituiti” (lett. d).
Per nulla chiara appare la conformazione di tali progetti né è dato capire quali siano le procedure amministrative utili alla loro “istituzione”. Sono però evidenti i due rischi che una tale scelta comporta: la partecipazione ai progetti può portare alla creazione di una nuova progenie di lavoratori socialmente utili (LSU) o di pubblica utilità (LPU) verso cui generare attese di stabilizzazione nel pubblico impiego; tali progetti potrebbero “spiazzare” posti di lavoro negli stessi ambiti in cui si svolgono, inducendo i Comuni a utilizzare i beneficiari del Rdc in sostituzione di personale alle proprie dipendenze.
Controlli e comunicazioni
Il comma 4 dell’art. 5 affida ai Comuni, nelle more del completamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), l’onere di verificare i requisiti di residenza e di soggiorno per l’accesso al beneficio, comunicandone l’esito all’INPS per il tramite della piattaforma digitale. Una simile disposizione è riprodotta al comma 15 dell’art. 7, che imputa ai Comuni la responsabilità delle verifiche e dei controlli anagrafici, specificando questa volta che tali verifiche e controlli vanno effettuati “attraverso l’incrocio delle informazioni dichiarate ai fini ISEE con quelle disponibili presso gli uffici anagrafici e quelle raccolte dai servizi sociali e ogni altra informazione utile per individuare omissioni nelle dichiarazioni o dichiarazioni mendaci al fine del riconoscimento del Rdc”.
Altro ruolo chiave per i Comuni è nell’ambito di una delle due piattaforme digitali dedicate al Rdc, istituite dall’art. 6: quella istituita presso il Ministero del lavoro nell’ambito del Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS), di cui all’art. 24, D.Lgs. n. 147 del 2017, dedicata al coordinamento dei Comuni. L’altra è istituita presso l’ANPAL nell’ambito del Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro (SIUPL) per il coordinamento dei centri per l’impiego.
Alla piattaforma sono inviate le disponibilità degli uffici per la creazione di una agenda degli appuntamenti in sede di riconoscimento del beneficio, l’avvenuta o la mancata sottoscrizione del Patto per il lavoro o del Patto per l’inclusione sociale, le informazioni sui fatti suscettibili di dar luogo a sanzioni, l’esito delle verifiche sui requisiti di residenza e di soggiorno, l’attivazione dei PUS, altre informazioni utili a monitorare l’attuazione dei Patti.
I Comuni, al pari dei centri per l’impiego, segnalano alle piattaforme l’elenco dei beneficiari per cui sia stata osservata una qualsiasi anomalia nei consumi e nei comportamenti dai quali si possa dedurre una eventuale non veridicità dei requisiti economici, reddituali e patrimoniali dichiarati e la non eleggibilità al beneficio.
La mancata comunicazione dei fatti suscettibili di dar luogo alle sanzioni di decurtazione o decadenza della prestazione determina responsabilità disciplinare e contabile del soggetto responsabile (art. 7, comma 13).
Le risorse
Di risorse tratta l’art. 12, comma 12, che finanzia i livelli essenziali delle prestazioni sociali correlati alla elaborazione dei Patti per l’inclusione sociale, “ivi inclusi eventuali costi per l’adeguamento dei sistemi informativi dei comuni, in forma singola o associata”. Le risorse sono però quelle residue della quota del Fondo per la lotta alla povertà e alla esclusione sociale di cui al comma 386 della L. n. 208 del 2015, destinata al rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali ai sensi dell’art. 7, D.Lgs. n. 147 del 2017.
Formulazione, questa, molto criptica in quanto non consente di capire quali siano i servizi da finanziare – se per esempio è possibile assumere assistenti sociali – a quanto ammonta la quota del Fondo attualmente disponibile e con quali criteri e modalità verranno distribuite le risorse. Risorse che, è bene tenerlo a mente, vengono distolte da quelle destinate a dare fondamento operativo ai progetti personalizzati.
Di risorse parla anche l’art. 6, comma 7, che principia con la solita formula di invarianza della spesa per INPS, Ministero del lavoro, ANPAL, centri per l’impiego, Comuni e altre amministrazioni interessate, ma contiene un riferimento alle attività dei Comuni “di cui al presente articolo, strumentali al soddisfacimento dei livelli essenziali di cui all’art. 4, comma 14”, quindi a quelle finalizzate alla elaborazione dei Patti per l’inclusione sociale e alla valutazione multidimensionale, che costituiscono livelli essenziali delle prestazioni (LEA).
Con riferimento a tali attività, dice il secondo periodo del comma 7, gli eventuali oneri sono sempre a valere sul Fondo per la lotta alla povertà e alla esclusione sociale, istituito dal comma 386 della L. n. 208 del 2015 al fine di garantire l’attuazione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, rifinanziato dal comma 196 della L. n. 205 del 2017.
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