tratto da ilquotidianodellapa.it
CORTE DI CASSAZIONE
Rifiuto di atti d’ufficio: quando il silenzio del Responsabile dell’Ufficio tecnico integra reato
La definizione di provvedimento dato per ragione di giustizia nella sentenza della Suprema Corte, Sez. VI, n. 4417/2015.
La vicenda giunta all’attenzione della Suprema Corte vede protagonista ed imputato il responsabile dell’Ufficio Tecnico di un Comune al quale era stato contestato di essersi rifiutato di riferire, a seguito di richiesta della polizia municipale, se un’opera edilizia realizzata nel Comune fosse penalmente rilevante. In particolare a seguito di un sopralluogo effettuato dal personale del Comando della Polizia municipale, unitamente all’imputato, veniva accertata che era in corso di realizzazione da parte di un privato un’opera muraria in cemento armato, senza alcuna autorizzazione. Il giorno seguente, la Polizia municipale inoltrava, senza ricevere alcuna risposta, richiesta all’imputato di riferire con sollecitudine se tale opera fosse penalmente rilevante.
In primo grado il Tribunale dichiarava non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 328, comma primo, cod. pen., con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato“. Il Giudice dell’udienza preliminare, riportandosi ad un precedente giurisprudenziale del giudice di legittimità, riteneva che il fatto ascritto all’imputato non fosse previsto dalla legge come reato, in quanto la fattispecie legale prevista dall’art. 328 cod. pen. doveva ritenersi applicabile esclusivamente ai rapporti tra la pubblica amministrazione ed i privati.
Di diverso avviso è invece la Corte di Cassazione Penale Sez. VI (udienza pubblica 22.10.2015 – Pres. Cercano) che con sentenza n. 4417/2015 ha annullato la sentenza rinviando la causa al Tribunale perché si pronunci nuovamente, ma sulla base dei principi di diritto di seguito enunciati.
Precisa la Corte che il precedente di legittimità richiamato dalla sentenza impugnata (Sez. 6, n. 2351 del 06/02/1998 – dep. 23/02/1998, Schillizzi A, Rv. 209978) si riferiva infatti a ben diversa situazione fattuale, essendosi pronunciata la Cassazione in merito all’applicabilità del secondo comma dell’art. 328 c.p. ai rapporti tra pubbliche amministrazioni. Il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava invero una fattispecie di indebito rifiuto di un atto dell’ufficio che investiva il rapporto tra uffici amministrativi, fondato sul mero interesse dell’ufficio richiedente a promuovere il procedimento previsto dalla norma penale (richiesta, provvedimento o obbligo di risposta), sprovvisto di interesse qualificato all’adozione del richiesto atto amministrativo.
La contestazione in esame riguarda invece la autonoma fattispecie di cui al primo comma dell’art. 328 cod. pen. nella quale il pubblico ufficiale indebitamente (senza cioè che ne sia rinvenuta una giustificazione nella legge) rifiuta un atto del suo ufficio incidente su beni di interesse primario (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità), che deve essere compiuto senza ritardo.
La norma ora richiamata richiede, quindi, che l’atto rifiutato sia “qualificato” e “indifferibile”. L’espressione “per ragioni di….”, che figura nella norma incriminatrice, denota la causa dell’atto, espressamente richiamata dalle norme che ne regolano il compimento o desumibile da queste. L’urgenza di compiere l’atto, proprio perché questo va ad incidere su settori essenziali del vivere civile, è omposta dal semplice verificarsi di una situazione corrispondente a quella, astrattamente prevista, in funzione della quale il pubblico ufficiale (o l’incaricato di un pubblico servizio) deve immediatamente attivarsi, per non pregiudicare il fine alla cui realizzazione l’atto è preordinato; l’indifferibilità dell’atto si valuta in base all’entità del danno, di tipo naturalistico o giuridico, che il ritardo potrebbe provocare.
All’imputato responsabile dell’ufficio tecnico si è contestato il rifiuto di atti del suo ufficio, che, per ragioni di giustizia, avrebbe dovuto compiere senza ritardo.
Ad avviso della Suprema Corte, per provvedimento dato per ragione di giustizia deve intendersi qualunque provvedimento od ordine autorizzato da una norma giuridica per l’attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile o più agevole l’attività del giudice, del Pubblico Ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria: sono infatti da comprendere tra le ragioni di giustizia non solo quelle inerenti all’attività giurisdizionale vera e propria, ma anche quelle che attengono all’attività d’indagine del P.M. o all’attività di polizia rivolta all’accertamento del reato o all’attuazione del diritto obiettivo, nel pubblico interesse.
Nella specie, precisa la Corte, dagli elementi fattuali desunti dalla sentenza impugnata, si evince che siamo in presenza di una inazione dell’imputato a fronte di una richiesta di compimento di un atto di ufficio dettato da urgenti ragioni di giustizia, proveniente da un organo di polizia giudiziaria e connesso ad un bene di valore primario tutelato dall’ordinamento (repressione dei reati in materia edilizia).
Fonte: Corte di Cassazione
Enrico Michetti
La Direzione
(3 novembre 2015)
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