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Estremi quesito
     Anno 2018
     trimestre 2
Ambito Patrimonio
Materia Beni pubblici
Oggetto

Obblighi di manutenzione delle aree latistanti un percorso pedonale privato.

Massima

1) Affinché una strada privata possa dirsi assoggettata ad un uso pubblico/servitù pubblica è necessario che sussistano le seguenti condizioni: a) l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione uti singuli, cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso a un determinato immobile di proprietà privata; b) l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù; c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico. 2) L’obbligo di manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale non si estende alle aree estranee ad essa e circostanti: grava, infatti, sui proprietari delle ripe dei fondi laterali alle strade l’obbligo di mantenerle in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti o scoscendimenti del terreno, o la caduta di massi o altro materiale sulla strada, dove per ripe devono intendersi le zone immediatamente sovrastanti e sottostanti la scarpata del corpo stradale.

Funzionario istruttore BARBARA RIBIS

barbara.ribis@regione.fvg.it

Parere espresso da Servizio affari istituzionali e locali, polizia locale e sicurezza

Testo completo del parere

Il Comune chiede un parere in merito all’individuazione dei soggetti tenuti alla messa in sicurezza di un’area latistante un percorso pedonale che collega il centro cittadino alle pendici del monte sito nel medesimo comune. 

Più in particolare, riferisce dell’esistenza di un sentiero di proprietà privata aperto all’uso pubblico il quale è stato oggetto di apposizione di idonea segnaletica di divieto di accesso da parte sia del privato che dell’amministrazione comunale, la quale ha, altresì, provveduto a transennare detto percorso; il tutto a causa del pericolo di caduta di grossi massi sullo stesso. Ciò premesso l’Ente desidera sapere a chi competa l’eliminazione delle cause che hanno comportato l’insorgenza di detto pericolo, atteso che anche l’area latistante il sentiero in oggetto è di proprietà privata. 

In via preliminare, si osserva che, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, num. 48) del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), si definisce “sentiero (o Mulattiera o Tratturo)” la “strada a fondo naturale formatasi per effetto del passaggio di pedoni o di animali”. 

Il successivo articolo 14 del medesimo D.Lgs. 285/1992, stabilisce che gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono, tra l’altro, “alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi” (lett. a)) ed “alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta” (lett. c)). 

Al contempo, la giurisprudenza[1] ha rilevato che “se un comune consente alla collettività l’utilizzazione, per pubblico transito, di un’area di proprietà privata assume l’obbligo di accertarsi che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata; e l’inosservanza di tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario della pa, per il principio del neminem laedere, integra gli estremi della colpa e determina la responsabilità per il danno cagionato all’utente dell’area, nulla rilevando che l’obbligo della manutenzione incomba sul proprietario dell’area”.[2] 

La sussistenza di tale “dovere di sorveglianza” che fa capo alla Pubblica Amministrazione comporta che la stessa debba “a) segnalare ai proprietari [dei fondi privati] le situazioni di pericolo suscettibili di recare pregiudizio agli utenti della strada; b) adottare i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti o conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio; c) come extrema ratio, permanendo l’eventuale negligenza dei proprietari dei fondi finitimi nel rimuovere le situazioni di pericolo, chiudere la strada al traffico”[3]. 

Premesso quanto sopra, con riferimento all’ulteriore aspetto, che qui rileva, dell’individuazione del soggetto tenuto a rimuovere le cause che hanno comportato l’insorgenza della situazione di pericolo sul percorso pedonale in questione, si tratta in primis di stabilire se sullo stesso possa o meno essere provata l’esistenza di una servitù di uso pubblico/servitù pubblica[4]. 

Qualora mancasse una tale prova, in applicazione delle regole civilistiche sulla proprietà privata, seguirebbe che solo il proprietario dovrebbe provvedere alla manutenzione dell’area di sua proprietà, ferma rimanendo, tuttavia, la possibilità per lo stesso di chiudere il passaggio ai terzi. In altri termini, l’obbligo ricadente sul solo privato cittadino della manutenzione delle aree presuppone che le stesse non siano gravate da servitù di pubblico transito e ciò giustifica, altresì, il potere del proprietario di chiudere il proprio fondo impedendone l’accesso ai terzi[5]. 

Affinché una “strada” privata possa dirsi assoggettata ad un uso pubblico/servitù pubblica è, invece, necessario che sussistano le seguenti condizioni: 1) l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione uti singuli, cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso a un determinato immobile di proprietà privata; 2) l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù; 3) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico.[6] Quest’ultimo può consistere nel protrarsi dell’uso per il tempo necessario all’usucapione, nella avvenuta stipulazione di una convenzione tra il proprietario e l’ente pubblico, in provvedimenti amministrativi di natura ablativa, nell’uso da tempo immemorabile, nella dicatio ad patriam, cioè nel comportamento del proprietario che mette volontariamente il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, con carattere di continuità e, quindi, non in via precaria o di mera tolleranza[7]. 

Qualora venisse accertata l’esistenza dell’uso pubblico sul sentiero seguirebbe l’obbligo anche da parte del Comune di provvedere alla manutenzione dello stesso. 

Circa l’entità di tale partecipazione sono state riscontrate posizioni non univoche in giurisprudenza, anche in relazione alle diverse realtà fattuali su cui la stessa si è trovata a pronunciarsi. In particolare, accanto ad alcune pronunce che riconoscono l’obbligo esclusivo dell’ente locale di provvedere alla manutenzione delle “strade” ad uso pubblico, sul presupposto che trattavasi di aree soggette quasi esclusivamente all’uso pubblico[8], altre, invece, affermano che il Comune debba partecipare alle spese di manutenzione in applicazione, diretta[9] o analogica dell’articolo 3, primo comma, del decreto legge luogotenenziale 1 settembre 1918, n. 1446[10] il quale, dettato con precipuo riferimento alle strade vicinali, recita: “Il Comune è tenuto a concorrere nella spesa di manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali soggette al pubblico transito in misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, secondo la diversa importanza delle strade.”. 

Si riporta, al riguardo, quanto affermato dal T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, nella sentenza dell’11 novembre 2008, n. 1602: «La norma di riferimento per stabilire la misura della partecipazione dei comuni agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali è in effetti l’art. 3 del DLLgt. 1446/1918, il quale prevede una misura variabile da 1/5 fino a metà della spesa a seconda dell’importanza delle strade. Condizione essenziale perché possa sorgere l’obbligo di contribuzione è che le vicinali siano soggette a pubblico transito.”[11]. 

Da ultimo necessita rilevare che le considerazioni sopra esposte afferiscono non solo al sentiero in senso stretto ma anche all’area latistante lo stesso. In questo senso la giurisprudenza[12] ha affermato che: “È in colpa la Pubblica Amministrazione la quale né provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le vie pubbliche, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti della strada, né provveda ad inibirne l’uso generalizzato; ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione di una strada, la natura privata di questa non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell’amministrazione comunale, se per la destinazione dell’area o per le sue condizioni oggettive, l’amministrazione era tenuta alla sua manutenzione”. 

Viceversa tale obbligo di manutenzione, gestione e pulizia delle strade non si estende alle aree circostanti, in particolare alle ripe[13] site nei fondi laterali alle strade. Soccorre, al riguardo, l’articolo 31 del codice della strada il quale, al comma 1, stabilisce che: “I proprietari devono mantenere le ripe dei fondi laterali alle strade, sia a valle che a monte delle medesime, in stato tale da impedire franamenti o cedimenti del corpo stradale, ivi comprese le opere di sostegno di cui all’art. 30[14], lo scoscendimento del terreno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale in modo da prevenire la caduta di massi o di altro materiale sulla strada. Devono altresì realizzare, ove occorrono, le necessarie opere di mantenimento ed evitare di eseguire interventi che possono causare i predetti eventi.”. 

Come rilevato da recente giurisprudenza[15] “sussistono […] obblighi manutentivi in capo ai proprietari relativamente alle aree esterne al confine stradale e, in particolare, riguardo alle ripe situate nei fondi laterali alle strade, ai sensi dell’art. 31 cit., in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo. […] Ne consegue che le norme di cui agli artt. 30 e 31 del C.d.S. delineano un quadro stabile dei rapporti tra proprietari dei fondi finitimi e enti proprietari delle strade, addossando ai primi gli oneri della manutenzione delle ripe dei fondi laterali ovvero la realizzazione di opere di mantenimento”. 

Ancora, la medesima pronuncia giurisprudenziale ha, altresì, rilevato – come anche altre pronunce intervenute su tale tema[16] – che: “l’obbligo di manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale non si estende alle aree estranee ad essa e circostanti: grava, infatti, sui proprietari delle ripe dei fondi laterali alle strade l’obbligo di mantenerle in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti o scoscendimenti del terreno, o la caduta di massi o altro materiale sulla strada, dove per ripe devono intendersi le zone immediatamente sovrastanti e sottostanti la scarpata del corpo stradale (Cass. n. 13087/04)”. 

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[1] In tal senso si veda Cassazione civile, sentenza del 15 giugno 1979, n. 3387 richiamata da Cassazione civile, sez. III, sentenza del 4 gennaio 2010, n. 7. Nello stesso senso si veda, anche, Cassazione civile, sez. III, sentenza del 12 gennaio 1996, n. 191 ove si afferma che: «Gli obblighi di prevenzione derivano dalla gestione di fatto della cosa perché soltanto chi la esercita, anche in mancanza di una titolarità de jure, è in grado di predisporre tutte le cautele necessarie per prevenire ogni prevedibile danno. Tali criteri interpretativi valgono soprattutto quando […] una strada viene, di fatto utilizzata per pubblico transito, perché tale circostanza fa insorgere, a carico dell’ente l’obbligo di assicurare che l’utenza si svolga senza pericoli e la conseguente responsabilità aquiliana verso i terzi danneggiati dall’inosservanza di tale obbligo” (Cass. 1174/77). […] gli obblighi di prevenzione, derivando unicamente dal concreto utilizzo pubblico, si debbono ad esso collegare al di fuori di ogni rilevanza della titolarità de jure». Di recente sul punto anche Cassazione civile, sez. III, sentenza del 14 marzo 2018, n. 6141. 

[2] Per completezza espositiva si segnala che la giurisprudenza, nel sancire l’obbligo della pubblica amministrazione di provvedere alla manutenzione delle strade anche di proprietà privata, se soggette ad uso pubblico, riconnette la responsabilità sulla stessa gravante sia all’avvenuta violazione del principio del neminem laedere sancito nell’articolo 2043 c.c. sia ai più stringenti requisiti richiesti dall’articolo 2051 c.c. relativo alla responsabilità per danni cagionati da cose in custodia. In questo senso si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza dell’11 novembre 2011, n. 23562. 

[3] In questo senso si veda, Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 6141/2018, già citata in nota 1; Cassazione civile, sez. III, sentenza del 22 ottobre 2014, n. 22330; Cassazione civile, sez. III, sentenza dell’11 novembre 2011, n. 23562. 

[4]Sul presupposto della natura privata dell’area di cui trattasi. 

[5] Peraltro, come rilevato anche dalla giurisprudenza (T.A.R. Sicilia, sez. II, sentenza del 1 aprile 2016, n. 989), il fatto che il sentiero in riferimento sia utilizzato anche dalla collettività non è indice che di per sé depone per l’esistenza dell’uso pubblico, potendo tale fatto essere ricondotto alla mera tolleranza del proprietario. 

[6] In questo senso si è espressa, in maniera univoca la giurisprudenza, sia amministrativa che di legittimità. Si vedano, tra le altre, Cassazione, civile, sez. II, sentenza del 29 novembre 2017, n. 28632; Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, n. 333; Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2001, n. 6924. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 giugno 2012, n. 3531 e Consiglio di Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 728; Consiglio di Stato, sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1240; TAR Milano, sez. III, 11 marzo 2016, n. 507. 

[7] Si vedano, al riguardo, tra le altre, T.A.R. Marche, sez. I, sentenza del 1 febbraio 2016, n. 48; T.A.R. Napoli sez. VI, sentenza del 3 agosto 2016, n. 4013; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 21 giugno 2007, n. 3316. In dottrina (A. Angiuli, “Strada pubblica e servitù di passaggio di uso pubblico”, in Giurisprudenza italiana, fasc. 7, 2001, pag. 1370) si è affermato che “tale fattispecie di servitù non può sorgere con il semplice uso di fatto o attraverso una unilaterale manifestazione di volontà della P.A. ma può aver origine attraverso la cosiddetta dicatio ad patriam, posta in essere dal proprietario del fondo, o da una convenzione fra privato e P.A., oppure per usucapione del relativo diritto”. 

[8] In questo senso si veda T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, sentenza del 28 gennaio 2004, n. 818 ove si afferma che: “il comune di XX ha già da tempo riconosciuto che la via in questione è utilizzata dalla collettività, il che (fermo restando la proprietà della strada da parte del Consorzio) costituisce una situazione giuridica corrispondente all’esercizio di una servitù ed impone all’ente esponenziale della collettività che esercita l’uso di curarne la manutenzione; ciò in quanto l’uso della strada da parte della collettività secondo le caratteristiche e nella misura delle strade comunali (art. 2 D. Lgs. n. 285 del 1992) viene ad assorbire l’uso che della stessa fanno i privati a ciò abilitati dai proprietari o dall’ente proprietario, sicché questo viene a confondersi in quello. 

Non si ritiene che nella specie sia applicabile per analogia il D. L. Lgt. n. 1446/18 (che all’art. 3 recita […]). Infatti, l’ubicazione della strada in questione e quindi l’assunzione da parte della stessa delle caratteristiche delle strade comunali, esclude l’applicazione di una norma formulata per una situazione oggettivamente diversa, nella quale l’uso pubblico ha un rilevo limitato e si aggiunge a quello privato”. Nello stesso senso si veda T.A.R. Lecce, sez. II, sentenze del 1 aprile 2004, n. 2265 e del 22 luglio 2004, n. 5368. 

[9] Si veda al riguardo Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 23 maggio 2005, n. 2584 nella parte in cui recita: “o la strada è nazionale, regionale […], provinciale o comunale, ed allora, non presenta caratteri della strada privata, ma è pubblica, e l’onere della manutenzione va posta a carico del soggetto proprietario, oppure è privata e l’onere della manutenzione non può essere posto a carico del Comune, salvo quando dipenda dalla costituzione del consorzio”. 

[10] Per completezza espositiva, si segnala che il D.Lgt. 1446/1918 era stato abrogato, a decorrere dal 16 dicembre 2009, dall’articolo 2, comma 1, del D.L. 22 dicembre 2008 n. 200. Successivamente l’efficacia dell’indicato decreto è stata ripristinata dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179. 

[11] Prosegue l’indicata sentenza affermando che: “L’esistenza dell’obbligo in capo ai comuni è indipendente dalla formazione di un consorzio tra gli utenti, sia nella forma facoltativa di cui all’art. 2 del DLLgt. 1446/1918 sia nella forma obbligatoria di cui all’art. 14 della legge 12 febbraio 1958 n. 126. La costituzione del consorzio è necessaria per imporre la ripartizione delle spese tra i privati, mentre nei confronti del comune competente per territorio l’obbligo di finanziamento è una conseguenza automatica del diritto di uso pubblico secondo il principio generale dell’art. 1069 cc. in materia di opere necessarie per la conservazione della servitù.”. 

[12] Cassazione civile, sez. VI, ordinanza del 7 febbraio 2017, n. 3216. 

[13] La definizione di ripa è contenuta nell’articolo 3, comma 1, num. 44) del D.Lgs. 285/1992 secondo cui essa è quella “zona di terreno immediatamente sovrastante o sottostante le scarpate del corpo stradale rispettivamente in taglio o in riporto sul terreno preesistente alla strada”. 

[14] L’articolo 30 del codice della strada recita: “1. I fabbricati ed i muri di qualunque genere fronteggianti le strade devono essere conservati in modo da non compromettere l’incolumità pubblica e da non arrecare danno alle strade ed alle relative pertinenze. 

2. Salvi i provvedimenti che nei casi contingibili ed urgenti possono essere adottati dal sindaco a tutela della pubblica incolumità, il prefetto sentito l’ente proprietario o concessionario, può ordinare la demolizione o il consolidamento a spese dello stesso proprietario dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina se il proprietario, nonostante la diffida, non abbia provveduto a compiere le opere necessarie. 

3. In caso di inadempienza nel termine fissato, l’autorità competente ai sensi del comma 2 provvede d’ufficio alla demolizione o al consolidamento, addebitando le spese al proprietario. 

4. La costruzione e la riparazione delle opere di sostegno lungo le strade ed autostrade, qualora esse servano unicamente a difendere ed a sostenere i fondi adiacenti, sono a carico dei proprietari dei fondi stessi; se hanno per scopo la stabilità o la conservazione delle strade od autostrade, la costruzione o riparazione è a carico dell’ente proprietario della strada. 

5. La spesa si divide in ragione dell’interesse quando l’opera abbia scopo promiscuo. Il riparto della spesa è fatto con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti , su proposta dell’ufficio periferico dell’A.N.A.S., per le strade statali ed autostrade e negli altri casi con decreto del presidente della regione, su proposta del competente ufficio tecnico. 

6. La costruzione di opere di sostegno che servono unicamente a difendere e a sostenere i fondi adiacenti, effettuata in sede di costruzione di nuove strade, è a carico dell’ente cui appartiene la strada, fermo restando a carico dei proprietari dei fondi l’obbligo e l’onere di manutenzione e di eventuale riparazione o ricostruzione di tali opere. 

7. In caso di mancata esecuzione di quanto compete ai proprietari dei fondi si adotta nei confronti degli inadempienti la procedura di cui ai commi 2 e 3. 

8. Chiunque non osserva le disposizioni di cui al comma 1 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 422 ad euro 1.697”. 

[15] Consiglio di Stato, sez. III, sentenza del 26 gennaio 2017, n. 329. Nello stesso senso si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza del 2 agosto 2000, n. 10112; T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, sentenza del 18 novembre 2013, n. 1386 la quale, dopo aver precisato che: “in sostanza la norma di cui all’art. 31 individua una situazione di normalità esistente e impone ai proprietari finitimi di mantenere questa situazione”, prosegue rilevando che “l’attività di manutenzione comprende tutte quelle attività volte a impedire l’alterazione dello stato dei luoghi, quali per esempio pulizia dei sedimi e dei boschi e così via.” 

[16] Tra queste si veda, anche, Cassazione civile, sez. III, sentenza del 2 agosto 2000, n. 10112.

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