tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Non si applica l’istituto della prestazione in luogo dell’adempimento per le entrate tributarie
di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria-Tributi del Comune di Serramazzoni e Vicesegretario Comunale
Il tema oggetto del parere della Corte dei conti-Molise, giusta delibera 13 marzo 2020, n. 15, è l’istituto della datio in solutum; un Sindaco, infatti, ha adito il magistrato contabile, ai sensi dell’art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131, per verificare la possibilità, per l’Ente, di acquisire beni dal privato per effetto della loro dazione ai fini dell’estinzione di un’obbligazione avente ad oggetto il pagamento di un tributo; il quesito, in particolare, si riferisce alla possibilità di acquisire entrate patrimoniali (automezzi), cui l’ente ha interesse, in funzione solutoria di un pregresso credito tributario (la cui natura può integrare un limite al pieno dispiegarsi del divisato effetto traslativo).
Attraverso l’istituto della datio in solutum, ovvero la prestazione in luogo di adempimento di cui all’art. 1197 c.c., il creditore, se ritiene, può accettare che il proprio debitore si liberi dell’obbligazione eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, in mancanza della quale resta obbligato ad eseguire la prestazione originaria; la norma codicistica, evidentemente, tutela il creditore, il quale non può essere costretto ad accettare una prestazione diversa, anche se di valore superiore, essendo al riguardo necessario un suo apposito atto di consenso; ciò fermo restando che, per l’Ente locale, seguito dell’accettazione di una prestazione diversa in luogo dell’adempimento originario, il residuo attivo mantenuto in bilancio corrispondente al credito assolto mediante datio in solutum, perde il titolo giuridico su cui si basa e, pertanto, dev’essere cancellato.
L’adita Corte, al riguardo, reputa condivisibile, in continuità con l’avviso già espresso in precedenti deliberazioni di altre Sezioni regionali, l’orientamento che esclude l’applicazione dell’istituto di cui trattasi alle obbligazioni tributarie, con particolare riferimento al pagamento dei tributi locali, e motiva la propria conclusione su argomenti di natura sistematica e logica:
– l’ordinamento ha disciplinato specifiche ipotesi di adempimento mediante datio in solutum, nelle quali al contribuente è consentito assolvere il tributo (in particolare, le imposte sui redditi e sulle successioni e donazioni, ai sensi degli artt. 28 e 28-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e dell’art. 39, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) mediante la dazione di beni di interesse storico, artistico o archeologico, previa accettazione del creditore; l’unica ipotesi di applicazione dell’istituto a prestazioni imposte dall’ente locale è quella contenuta nell’art. 16, comma 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che prevede la possibilità di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale della quota del contributo di costruzione relativa alle stesse; pertanto, occorre muovere dalla presa d’atto che l’ordinamento ha previsto, in materia di riscossione delle imposte sul reddito e di pagamento dell’imposta sulle successioni e donazioni, due limitate fattispecie di datio in solutum come modalità di estinzione dell’obbligazione tributaria diverse dall’adempimento (peraltro circoscritte nell’individuazione dei beni suscettibili di cessione e accompagnate da una dettagliata disciplina riguardante le condizioni e il valore della cessione, demandate a uno specifico decreto ministeriale), mentre non risulta alcuna analoga previsione riguardante il pagamento dei tributi locali;
– l’indicata ed eccezionale disciplina di sporadiche ipotesi di applicazione dell’istituto s’inquadra nella regola dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, trattandosi di obbligazione legale che sorge per il solo verificarsi in concreto della fattispecie astrattamente prevista dalla norma tributaria e la cui attuazione è rigidamente predeterminata dalla disciplina normativa, ex art. 23 Cost.;
– per la sua applicazione, attesa la sua natura di contratto solutorio, occorrerebbe prospettare che il diverso interesse del creditore possa sovrapporsi e sostituirsi all’interesse pubblico primario, tipizzato dal legislatore ex art. 23 Cost., all’ottenimento di una prestazione monetaria;
– nel nostro ordinamento, ai fini della provvista, da parte dell’ente pubblico, di beni/lavori/servizi, è espressamente codificato il generale obbligo di rispettare la disciplina in materia di procedimenti ad evidenza pubblica, che ammette deroghe nei soli casi previsti dal legislatore;
– vanno evidenziate le difficoltà di ordine pratico che sorgerebbero ove si ammettesse la possibilità di sostituire la somma di denaro oggetto dell’obbligazione tributaria, la cui determinazione è munita del requisito della certezza, con prestazioni aventi ad oggetto beni il cui valore economico dovrebbe quantificarsi all’esito di atti di determinazione suscettibili d’incertezze, errori o abusi, con evidenti, possibili riflessi negativi per le casse comunali;
– l’evidenziato orientamento restrittivo in ordine all’applicazione di un modo di estinzione dell’obbligazione che trova fondamento, tra l’altro, nella tutela dell’interesse di ciascuna delle parti del rapporto alla liberazione dal proprio debito e a godere il vantaggio del contestuale ottenimento di quanto dovuto dalla controparte, preclude sul piano sistematico la possibilità di ammettere il ricorso generale alla datio in solutum, la cui disciplina è ispirata alla ratio di tutela d’interessi complessivamente meno rilevanti.
Trattasi, questi, di argomenti già sviscerati, come detto, da altre Sezioni della Corte dei conti, analogamente interpellate sull’argomento ma che, diversamente, non respingono l’ipotesi di un’applicazione della datio in solutum per l’estinzione di obbligazione non tributarie; in particolare: Corte dei conti-Lombardia, delibere 6 settembre 2016, n. 225 e 24 giugno 2016, n. 172; Corte dei conti-Lazio, delibera 22 gennaio 2010, n. 3; Corte dei conti-Emilia Romagna, delibera 23 marzo 2016, n. 27.
La disamina della Corte dei conti-Molise conclude affermando che la questione affrontata non attiene al tema dell’ammissibilità della compensazione come modo di estinzione delle obbligazioni tributarie, istituto previsto dal legislatore:
dapprima nell’ambito dello stesso tributo, poi tra tributi diversi, fino a consentirne l’operatività con riferimento a prestazioni aventi natura non omogenea, ad esempio tributaria e contributiva (art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241);
– infine, con l’art. 8, comma 1, L. n. 212/2000, secondo cui “l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione“, con la previsione di regolamenti di attuazione finora non emanati (sebbene parte della giurisprudenza sostenga l’immediata e generale operatività della regola, escludendo che essa possa essere condizionata da regolamenti attuativi, l’orientamento prevalente ritiene che la disposizione, in attesa dell’emanazione dei regolamenti attuativi, integri una previsione di natura meramente programmatica).
L’esame dello stato della normativa e della giurisprudenza di legittimità in materia di adempimento delle obbligazioni tributarie tramite compensazione offre, secondo la Corte, un ulteriore argomento alla ritenuta inapplicabilità in ambito tributario dell’istituto della prestazione in luogo di adempimento, atteso che nell’ordinamento mancano norme di carattere generale parallele al soprarichiamato art. 8, L. n. 212/2000.
Tutto quanto premesso e conclusivamente, la datio in solutum di cui all’art. 1197 c.c. non può trovare applicazione laddove il diritto di credito del quale il Comune è titolare derivi da un’obbligazione tributaria
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