04.01.2015 – I Vigili ed i vigilanti. Il caso Roma interpella tutti noi.

I Vigili ed i vigilanti. Il caso Roma interpella tutti noi.

 

E’ difficile sottrarsi all’emotività nel giudicare il caso “vigili” (ma anche autisti ATAC) verificatosi a Roma la notte di San Silvestro.

Il governo e i media di regime si sono già scatenati. Quale occasione migliore per legittimare un ulteriore giro di vite sulla P.A. e per attaccare i diritti (quelli veri) dei lavoratori?

In nome della lotta ai fannulloni si minacciano misure esemplari.

Spiace constatare che anche gli osservatori più lucidi però questa volta cadono della trappola del qualunquismo. Vi cadono ovviamente per ragioni e motivi opposti rispetto a quelli che animano Governo e media.

Così, Luigi Oliveri ci ha consegnato sul tema addirittura due riflessioni in due giorni http://rilievoaiaceblogliveri.wordpress.com/2015/01/02/roma-assenteismo-lavoro-pubblico-inutili-i-proclami-si-colpiscano-i-singoli-responsabili/

http://rilievoaiaceblogliveri.wordpress.com/2015/01/03/assenteismo-fa-rima-con-populismo-le-scelte-sbagliate-e-inefficaci/

Nella prima, forse sull’onda emotiva dell’immediato, carica a testa bassa contro “i singoli responsabili”.

Oggi, riprende l’argomento emendando l’intervento di ieri di alcuni eccessi polemici, senza – per altro – mutare impostazione.

Apprezzo Oliveri, inutile ribadirlo, e se mi soffermo su quanto scrive è perché per me resta un imprescindibile punto di riferimento. E lo è anche quando, come in questo caso, dissento dalle sue posizioni.

Le risposte di Oliveri sono rovesciate ma perfettamente simmetriche rispetto a quelle del Governo. Laddove questo annuncia misure “esemplari” per tutti e quindi indiscriminate. Oliveri invoca misure “esemplari” per “i singoli responsabili, applicando le norme e le sanzioni che già esistono”.

Detto così, non vi sarebbe ragione di dissentire da una posizione che appare di sin troppo evidente buon senso.

Il problema è che a Roma non si è trattato di “singoli responsabili” ma di un fenomeno di massa che, secondo le stime pubblicate, ha interessato quasi l’85% del corpo dei vigili. Sergio Rizzo, l’ha definita efficacemente “diserzione di massa”.

Chiedere sanzioni esemplari in questo caso, sia pure a danno dei “singoli responsabili”, pare allora impresa ardua. Il rischio che si corre è che si adotti, o si finisca nella pratica per adottare, la regola che vigeva nella grande guerra: la decimazione. Ossia che, a caso, qualcuno o alcuni (in genere i più fessi, i meno ammanicati ed i meno tutelati) paghino per tutti.

Sarebbe la beffa che si somma al danno.

Quando la violazione di una norma o di un comando assume dimensioni di massa, con gli tassi altissimi registratisi a Roma, l’esercizio dello ius puniendi appare una risposta comunque sbagliata o almeno insufficiente. Ci sono dietro o “a monte” altri problemi nascosti o insoluti che invece vanno portati alla luce, affrontati e risolti.

Non si risolve un problema, criminalizzando una intera categoria quand’anche essa avesse fatto ricorso a sistemi di lotta e rivendicativi sicuramente illegittimi come è accaduto a Roma.

Ma se i mezzi usati erano illegittimi il malessere era noto… tanto che il Prefetto è intervenuto per scongiurare una impropria assemblea sindacale preannunciata e convocata per la sera di San Silvestro. Ossia la decisione dei vigili, per quanto contestabile nelle forme, non è stata la semplice “furbata” per sottrarsi ad un obbligo di servizio ma una forma di renitenza ad un sistema organizzativo che essi contestano. E’ stato, soprattutto, un evento prevedibile che i responsabili politici ed amministrativi del Comune di Roma avrebbero dovuto disinnescare per tempo o comunque preventivamente denunciare alla pubblica opinione e non lasciare che l’unica risposta ufficiale fosse la precettazione da parte del Prefetto. Informare almeno preventivamente la cittadinanza di quanto stava accadendo era il minimo che si potesse esigere dall’Amministrazione capitolina.

Mi sembra, per quanto ne so, che invece sia la dirigenza politica che quella amministrativa abbiano fatto poco o nulla al proposito, favorendo così l’incubazione della protesta e poi il suo epilogo clamoroso. Perché tutti i fenomeni governati male hanno sbocchi sempre spiacevoli.

Tra l’altro, se quanto riferiscono le cronache è vero, il servizio reso in occasione di San Silvestro è ben remunerato ed in genere i vigili sono allettati dal particolare trattamento economico previsto. Per questo, evidentemente, l’astensionismo di massa verificatosi non può essere qualificato e liquidato come semplice manifestazione di lassismo. Non c’entrano i “fannulloni”. Qui si tratta di un uso distorto della protesta… che chiama in causa forse l’assenza di un sindacato (!) affidabile ed in grado di catalizzare e governare la protesta della base. Ma rileva anche la perdita della cultura della protesta che aveva nello sciopero il suo strumento istituzionale ora svilito da normative che – con il pretesto di tutelare l’utenza – lo hanno spesso ridotto a rito simbolico che tutti irridono…

Ma rileva soprattutto l’assenza di controparti credibili, non solo capaci di governare la macchina amministrativa con misure razionali ma anche in grado di poter gettare nella partita la propria autorevolezza etica. Chi oggi a Roma può chiamarsi fuori dal disastro di “mafia Capitale”? Chi ha l’autorevolezza morale per imporre ad altri obblighi ed oneri? Chi può scagliare la classica “prima pietra”? Queste domande sono irrilevanti?

E non serve neppure prendersela con i medici “compiacenti” o “collusi”. Oliveri sa meglio di me che uno dei disdicevoli fenomeni prodotti dalla cultura “causidica” di questi anni, fatta di seriali minacce di sanzioni (non solo penali ma anche disciplinari, dirigenziali, civili…..), è stata la c.d. “medicina difensiva”. Il medico cioè non agisce secondo i principi sacri del giuramento di Ippocrate ma sempre più per evitare “noie” giudiziarie (non importa se penali, civili o disciplinari).

Non è quindi esasperando ed associandoci il clima di caccia alle streghe che si risolve l’inghippo. Né, tantomeno, risulta proficuo sostituire l’identità delle streghe in un gioco delle parti infinito (noi, i vigili, i medici…). Si tratta di ricusare proprio quel paradigma culturale.

Oliveri sa molto meglio di me che contra factum non valet argumentum… Non è cioè agitando l’art. 55-quinquies che si intimidiscono i medici.

Le sintomatologie invocate dai malati “immaginari” sono le più varie e quasi mai verificabili ad una consultazione ordinaria.

Provi a mettersi Oliveri nei panni di un medico che venga interpellato perché una persona denuncia il più generico dei malesseri: il capogiro. Il medico di base, ma anche quello dell’INPS e fosse anche quello dell’esercito o anche una commissione di luminari, sono tutti disarmati rispetto ad un sintomo così generico e rispetto al quale bisogna decidere seduta stante e non dopo aver ordinato complicati accertamenti clinici. Oltre che la misurazione della pressione arteriosa e la mera auscultazione del ciclo cardiaco non penso si possa andare… dovrebbero disporsi delle verifiche più accurate ma si otterrebbe un unico risultato: intasare i pronto soccorso dei vari ospedali e nel frattempo San Silvestro sarebbe comunque passato. Anche lo stato ansioso è difficilmente riscontrabile, così come una nevralgia o una semplice emicrania. Ci sono poi sintomatologie perfettamente idiopatiche e quindi praticamente “insindacabili” dal medico. Insomma è come cercare di svuotare il mare con il classico secchiello.

E perché poi il medico dovrebbe assumersi la responsabilità di denegare un “riposo” ad un soggetto che denuncia malesseri di difficilissima verifica clinica? Quante volte ci capita di leggere di episodi di superficialità di medici che hanno sottovalutato sintomi per altro generici ed ingannevoli che poi hanno portato ad esiti infausti?

Perché il medico, nel dubbio, non dovrebbe assumere un ragionevole atteggiamento di “cautela” e “precauzione”? Tanto più che i vigili sono addetti a servizi spesso stressanti, su strada e quindi soggetti – specie la notte dello scorso S. Silvestro – ai rigori meteorologici ed alla tensione di un’atmosfera sì festaiola ma anche gravida di ogni possibile eccesso.

Non è tutta la legislazione in materia di sicurezza sul lavoro improntata al principio di “precauzione”? E la tutela della salute (valore di assoluto rilievo costituzionale ex art. 32) non merita ogni possibile cautela e precauzione?

Agitare lo spettro dell’art. 55-bis contro i medici sembra ripetere lo stessocliché del governo… Infatti se questo promette di moltiplicare le “grida” manzoniane, quest’ultime per vivere concretamente hanno sempre bisogno di un Azzeccagarbugli che le agiti.

E l’art. 55-bis, per quanto sopra accennato, non è altro che una norma manifesto di difficile e di non auspicabile applicazione.

Se passasse il rigore che invoca Oliveri a carico del medici, l’atteggiamento “difensivo” di costoro sarebbe automaticamente rovesciato. Dal rispetto del principio di cautela a tutela della salute si passerebbe ad un generalizzato diniego a danno di qualche povero diavolo effettivamente bisognevole di un semplice riposo. Non sappiamo, se non per triste esperienza diretta ma già solo per leggere la cronaca, che spesso i casi di infarto manifestano sintomatologie preventive generiche, subdole e talora confondibili e che magari anche un modesto picco di tensione può determinare conseguenti esiti fatali?

E poi la proposta di aggravare il procedimento di accertamento sanitario e di rilascio dei certificati mi pare incongrua rispetto al problema. Ripeto: quello di Roma non va confuso con una generica manifestazione di lassismo e di “fannullonismo”. E’ una forma distorta di protesta e come tale va considerata.

La proposta di Oliveri mi pare che inneschi un ulteriore aggravio di attività amministrativa, esasperando il tasso di autoreferenzialità, già insostenibile, della P.A..

Afferma Oliveri che bisognerebbe disincentivare già la “facile richiesta” del certificato. Resto un po’ interdetto. Quali forche caudine immagina il nostro per richiedere un certificato medico? Per punire gli 850 renitenti romani, si chiede di rendere la vita difficile a milioni di onesti lavoratori, spesso alle prese con patologie già angoscianti…. Perché invocare misure penalizzanti a danno di chi, si deve presumere, sta già male di suo?  Suppongo, anzi do per scontato che Oliveri non immagina misure vessatorie, ma suppongo che anche Oliveri non sottovaluti la perfidia (che lui quotidianamente stigmatizza) di coloro a cui andrebbe indirizzata la sua richiesta di “agire sul processo di formazione dei certificati di malattia”…. Processo di formazione dei certificati di malattia che significa?! Vogliamo formalizzare e rendere angosciante anche la più semplice delle operazioni?

E’ sicuro Oliveri che questa sia la strada da indicare ad un legislatore che già abbondantemente ci ottunde con adempimenti ridondanti, pletorici ed inutili? Appare ragionevole chiedere di costituire commissioni mediche (“medica e amministrativa” secondo Oliveri) per una banale influenza o per una transeunte emicrania da stress o per un raffreddore particolarmente sfibrante, per un’indisposizione conseguente all’abboffata natalizia o per un momentaneo innalzamento della pressione arteriosa conseguente ad un alterco con il coniuge o ad abuso di viagra?

Quanto alle misure adottabili nei confronti dei reprobi, già immaginare che l’85% dei componenti un corpo strategico come quello dei vigili urbani sia contemporaneamente sottoposto a procedimento disciplinare significa destabilizzare la credibilità e quindi la tenuta del corpo stesso. Questo non vuol dire passare tutto in cavalleria ma piuttosto che cadere nella ragnatela paralizzante di una miriadi di procedimenti disciplinari (la responsabilità disciplinare, come quella penale, non può essere che personale), con decorsi individualmente imprevedibili, va studiata ed adottata un’unica misura di massa straordinaria. Così come straordinario è stato il fenomeno registratosi il 31 dicembre.

In ogni caso, necessiterebbe una seria autocritica da parte del Sindaco (alla cui figura la legislazione nazionale riconduce il corpo dei vigili urbani), dell’Assessore competente e del Capo dei vigili, per non aver saputo prevenire quanto accaduto.

Questo in concreto… ma più generale il caso Roma richiede una riflessione più ampia sul sistema in cui siamo cacciati.

L’idea che la funzione pubblica (e quella dei vigili è una delle più tipiche funzioni pubbliche) possa essere oggetto di mercanteggiamenti e di contrattazioni, secondo il modello che si è affermato in questi ultimi 20 anni, sta producendo risultati disastrosi.

All’origine della protesta dei vigili c’è la questione delicatissima del salario accessorio che non trova pace in nessuna parte d’Italia.

Il modello uscito fuori dalla “privatizzazione” del pubblico impiego genera mostri. Per un verso, a fondamento dell’organizzazione della PA resta – e non potrebbe essere altrimenti – la “funzione pubblica” con tutto quanto (anche in termini di responsabilità penale e contabile) essa comporta. La funzione pubblica è espressione di un potere di supremazia che va esercitato – come recita l’art. 98 cost. – a servizio esclusivo della Nazione. Dall’altro però si pretende di trattare questo oggetto “particolare” come se fosse un’attività privata, ossia libera nei contenuti e nei modi di esplicarsi….

E’ un ibrido che non regge in alcun modo e che genera tante mostruosità. La prima è che il legislatore ed a cascata i soggetti preposti alla contrattazione nazionale (ARAN) pongono una serie di vincoli astrusi alla libertà di contrattazione, a partire dalla determinazione dei fondi ormai frutto di esoteriche formule magiche più che algebrico-matematiche…. Tanto è vero che quasi ovunque le verifiche accertano sovradimensionamenti ed errori comunque macroscopici. Ossia, si afferma in principio la privatizzazione ma poi la si nega nei fatti, rendendo il sistema intrinsecamente contraddittorio e quindi inefficiente già origine ed esso stesso patogeno.

Poi c’è il fatto che la funzione pubblica, per sua natura e cioè proprio perché esercitata in vista di valori ed interessi superiori, non può essere oggetto di contrattazione se non a livello generale e nazionale, con regole generalmente predefinite e non rimesse alle varie contingenze locali…

Il fallimento allora, non è di Ichino o di Micheli o di Brunetta; della CIVIT, dell’ARAN o dell’ANAC ma del sistema che tutti costoro hanno propugnato e che continuano a sostenere a suon di “performance”, di “verifiche”, di controlli che non controllano nulla e di adempimenti che sono pesanti farse, che servono solo a giustificare l’esistenza della CIVIT/ANAC ed i suoi ben remunerati apparati, dei vari OIV e compagnia cantando.

 Quanto alla normativa anticorruzione anch’essa ha concorso ad innescare il caso Roma con la questione della rotazione. Si tratta di uno dei dogmi del sistema seguito alla legge n. 190/2012.  Un dogma di cui nessuno ha mai dimostrato la validità e di cui nessuna evidenza empirica corrobora l’efficacia.

La rotazione periodica imposta comporta solo un aggravamento della penosità di chi si applica al lavoro, che deve reiteratamente riorganizzare la propria disposizione lavorativa. E se la giustificazione è che così facendo si previene l’incistirsi di situazioni patologiche si potrebbe rispondere che la rotazione di soggetti “infetti” produce il risultato di propagare, come una metastasi, il virus in tutto il sistema, agevolandone la diffusione… Insomma, si tratta al più di una misura cosmetica…

Si tratta di temi impervi. Me ne rendo conto. E questi non sono che accenni generalissimi. Bisognerebbe, come cittadini, prima ancora che come operatori occuparsene. Perché se molte decisioni vengono prese acriticamente dall’alto è perché spesso dal basso si è taciuto e si tace…. E, si sa, chi tace acconsente.

 

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