Sul sito NTPLUS l'articolo integrale di Andrea Alberto Moramarco

I giudici della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27420/2020,  ripercorrono tutte le tappe normative, a partire dal Rd 383/1934, per finire al Testo unico sul pubblico impiego (Dlg 165/2001 più volte aggiornato), passando per il Dpr 3/1957, sottolineando la riserva di regolazione tramite atti aventi forza di legge sul tema, a salvaguardia della omogeneità dei rapporti di lavoro nel settore pubblico. Attualmente, sostiene la Cassazione, la questione è regolata dal combinato disposto degli articoli 53 del Testo unico sul pubblico impiego e degli articoli 60-64 del Dpr 3/1957. Queste disposizioni delineano un quadro tripartito: attività assolutamente incompatibili, ovvero inibite anche se autorizzate, espressamente indicate dall’articolo 60 del Dpr 3/1957; attività consentite senza autorizzazione, indicate dall’articolo 53 del Testo unico sul pubblico impiego; attività esercitabili con autorizzazione, ovvero tutte le altre, indicate sempre dall’articolo 53 del Testo unico sul pubblico impiego.

L’art.60 include tra le attività assolutamente incompatibili con l’impiego pubblico il commercio, l’industria, la professione o impieghi alle dipendenze di privati e cariche in società, utilizzando una previsione ampia dal punto di vista oggettivo, che include «tutte le attività che presentino i caratteri della abitualità e professionalità idonee a disperdere all’esterno le energie lavorative del dipendente e ciò al fine di preservare queste ultime e tutelare il buon andamento della p.a.». Tra tali attività, anche se non è espressamente indicata, per il collegio, rientra anche l’attività agricola, oggi esercitata per mezzo di strutture societarie e con gli stessi caratteri di ogni altra attività imprenditoriale. 

QUI L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE 

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