La sentenza della Corte di cassazione n. 26605/2020 sconfessa la posizione dell’INPS.
L’articolo 42, comma 5-bis, del decreto legislativo 151/2001 stabilisce che «il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa».
L’Inps con la circolare n. 32 del 6 marzo 2012 ( punto 3.3 ) aveva interpretato la norma affermando che tale congedo rientrasse nella più ampia fattispecie di congedo regolata dall’articolo 4, comma 2, della legge 53/2000 (congedo straordinario biennale non retribuito per gravi e documentati motivi familiari) e che pertanto non fosse possibile per lo stesso lavoratore, che ha già usufruito del congedo biennale retribuito in base all’articolo 42 del Dlgs 151/2001, richiedere l’ulteriore congedo per assistere un altro familiare in situazione di disabilità grave.
Anche il Dipartimento della funzione pubblica con la circolare n. 1 del 3 febbraio 2012 aveva tenuto la stessa posizione disponendo che il limite del biennio di fruizione è compiuto entro un unico «contatore» complessivo «a prescindere dalla causa specifica per cui il congedo è fruito».
Per la Cassazione la tesi dell’Inps è da ritenersi infondata. Le norme in discussione mirano a tutelare il disabile e non il nucleo familiare in sè, o il lavoratore onerato dell’assistenza.
Pertanto il limite dei due anni deve essere riferito a ciascun figlio si trovi nella situazione di bisogno.
Peraltro questa identica posizione era stata già tenuta dalla Cassazione in precedente sentenza (5 maggio 2017 n.11031)
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