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La pubblica amministrazione è obbligata a recuperare le somme date ai propri dipendenti per errore

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale dei conti e giornalista pubblicista

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania con la sentenza n. 1774 del 1 aprile 2017, ha affermato che la pubblica amministrazione è obbligata a recuperare le somme indebitamente corrisposte ai propri dipendenti; si tratta di un atto obbligatorio finalizzato a tutelare il pubblico interesse.

Il contenzioso del lavoro

I ricorrente sostenevano di essere membri del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, e di aver ottenuto, negli anni tra il’90 e il 2000, per scelte precise dei vertici dell’amministrazione, provvedimenti di avanzamento del grado, a diverso titolo, con anzianità assoluta e decorrenza assegni retrodatata, nonché di essere stati destinatari dei benefici retributivi previsti dalla D.Lgs. n. 196 del 1995, estesi agli appartenenti al Corpo Militare C.R.I. con le medesime decorrenze del personale delle FF.AA.

A seguito dell’avanzamento di carriera anche in sovrannumero, dei militari riconosciuti non idonei, l’amministrazione non dava esecuzione a tali promozioni, in considerazione della mancanza di corrispondenti posti in organico, dando vita ad una nuova figura di personale, giudicato “idoneo e non promosso”.

La posizione così elaborata dai vertici dell’amministrazione C.R.I. di personale sostanzialmente promosso, ma dichiarato formalmente “idoneo” senza che avesse luogo l’effettiva promozione, costituiva la base per un importante contenzioso che vedeva gli appartenenti al Corpo Militare C.R.I. agire in giudizio per rivendicare l’effettività dell’affermato inquadramento, nonché i corrispondenti arretrati spettanti in ragione delle promozioni con anzianità assoluta retrodatata.

Per risolvere tale problematiche fu richiesto all’Avvocatura Generale dello Stato un parere legale in ordine alla fondatezza delle pretese del personale militare, nonché delle indicazioni circa le soluzioni legali che si presentavano all’amministrazione per risolvere il conflitto venutosi a creare.

L’Avvocatura Generale rappresentava al Commissario Straordinario della C.R.I. che, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario in materia di avanzamenti nel pubblico impiego, le pretese dei ricorrenti non avrebbero trovato soddisfazione, pur non tacendo la possibilità di un mutamento di opinione da parte dei giudici aditi.

L’Avvocatura Generale dello Stato, con il medesimo parere, rappresentava tre possibili ipotesi alternative: 1) promuovere istanza di prelievo in uno dei giudizi proposti (circa 200) dai dipendenti dell’ente, per sollecitare una pronuncia giudiziale sulle questioni sollevate; 2) esporsi al rischio, in caso di inazione, di dover risarcire i militari destinatari degli avanzamenti per il ritardo nella corresponsione degli arretrati; 3) stipulare singoli atti di transazione con gli appartenenti al personale militare, mediante i quali, senza alcuna ammissione di colpa o di responsabilità, domandare agli interessati di rinunciare ai giudizi in corso, giusta accettazione di una somma pari agli arretrati richiesti, senza corresponsione di interessi legali, rivalutazione e spese legali sostenute per la proposizione dei giudizi.

Il Commissario Straordinario C.R.I., verificata la disponibilità di bilancio, adottava, nel luglio 2003, tre ordinanze, con le quali dava all’amministrazione potere di stipulare atti di transazione con il personale militare, nel senso indicato dall’Avvocatura Generale dello Stato, con contestuale rinuncia del personale stesso alle azioni giudiziarie proposte.

L’ente rivede le transazioni

Dopo circa cinque anni dalla stipulazione degli atti di transazione predetti e, in particolare, in concomitanza ad una ispezione condotta internamente alla Croce Rossa Italiana dalla Ragioneria Generale dello Stato, venivano evidenziati grossi ammanchi di cassa ed irregolarità nella gestione dell’ente; il Direttore Generale della Croce Rossa, esprimeva il parere che fosse necessario procedere all’esame degli atti pregressi con cui erano stati riconosciuti e concessi, al personale della Croce Rossa, i benefici stipendiali di cui alle richiamate ordinanze del Commissario straordinario, al fine di dichiarare l’illegittimità di tali provvedimenti e di provvedere al recupero delle somme erogate.

Dopo ben tredici anni dalla stipulazione degli atti di transazione, l’ente riteneva di notificare agli odierni ricorrenti e a tutti i militari con i quali erano state formalmente transatte le reciproche posizioni, i provvedimenti individuali , con i quali l’amministrazione sostanzialmente richiedeva indietro le somme corrisposte in modo indebito.

Le motivazioni del ricorso

Avverso tale richiesta i dipendenti sono ricorsi al TAR, sostenendo principalmente: 1) violazione dell’art. 2946 c.c., atteso che il diritto al recupero delle somme in parola si è prescritto; 2) violazione dell’art. 97 Cost., atteso che l’amministrazione resistente intende, con i provvedimenti impugnati, recuperare oggi dagli odierni ricorrenti, somme che essa stessa assume erogate a titolo diverso e, in particolare, a titolo di conguaglio degli adeguamenti retributivi spettanti al personale militare in forza dell’estensione in loro beneficio della D.Lgs. n. 196 del 1995; 3) violazione dell’art. 7L. n. 241 del 1990, attesa l’omessa comunicazione di avvio del procedimento; 4) carenza di motivazione, tanto più che le somme sono state corrisposte in base ad atti transattivi.

L’Amministrazione resistente eccepiva di aver adottato atti interruttivi della prescrizione, sicché questa non è mai maturata.

L’analisi del TAR

Per i giudici amministrativi il ricorso non è fondato e va respinto per i motivi che di seguito si analizzano.

E’ in primo luogo infondata la censura secondo cui il diritto al recupero delle somme in questione si sarebbe prescritto. Come eccepito dall’Amministrazione resistente, rilevato anche dai giudici del TAR in altri precedenti su casi del tutto analoghi, l’argomento è infondato per le ragioni già espresse, in relazione a una vicenda identica alla presente, dal Consiglio di Stato (Cons. di Stato, Sez. IV, n. 5011/2015) e che il Collegio condivide pienamente.

Posto, quindi, che la prescrizione non poteva che decorrere successivamente all’erogazione delle somme, avvenuta dopo il 2003, va ribadito che il diritto di ripetizione dell’indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c., di somme indebitamente percepite è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c. per cui la pretesa recuperatoria può spingersi sino al decennio precedente l’atto interruttivo .

Nel caso di specie, nel 2016 si è disposto il recupero di somme indebitamente erogate a partire dallo stesso anno 2016, sicché attesi i principi sopra ricordati , è evidente che la prescrizione non poteva essere maturata.

Per il TAR anche le restanti censure (in sintesi, di carenza di motivazione, di contraddittorietà perché erano già stati stipulati degli atti transattivi, di lesione dell’affidamento e di violazione dell’art. 21 noniesL. n. 241 del 1990) devono essere respinte. Anche per quanto riguarda tali censure ci si può richiamare ai precedenti del TAR relativi a casi analoghi “l’inquadramento a cui sono riconducibili gli aumenti stipendiali corrisposti indebitamente è senz’altro illegittimo”.

Sebbene nel caso specifico, tale illegittimità non sia contestata, va ribadito che l’Amministrazione giammai avrebbe potuto prescindere dalla necessità di subordinare le promozioni alla verifica della sussistenza di vacanze in organico per l’inserimento diretto nel relativo ruolo. E ciò nel pieno rispetto della previsione normativa contenuta nel 2 comma, dell’art. 89R.D. 10 febbraio 1936, n. 484, che testualmente recita “non possono aver luogo promozioni nel personale di assistenza del ruolo normale se non vi siano posti vacanti nei ruoli organici nei singoli gradi”.

Al riguardo, va richiamato il consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che considera “quale atto dovuto l’esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedimentale. In tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione: a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Si tratta, dunque, di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale; il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore “.

A ciò si aggiunga, osserva il TAR, anche che l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero, per cui l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato.

Peraltro, in proposito è utile osservare che, secondo un altrettanto consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa, la doverosità del recupero da parte dell’Amministrazione delle somme indebitamente corrisposte ai propri dipendenti esclude che l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento configuri causa di illegittimità della ripetizione, anche ai sensi dell’art. 21-octiesL. 7 agosto 1990, n. 241 perché, trattandosi di atto completamente vincolato e non autoritativo, il suo contenuto non sarebbe stato diverso, sia in quanto l’eventuale mancanza del preavviso non influisce sulla debenza delle somme né sulla possibilità di difesa del destinatario perché questi, nell’ambito del rapporto obbligatorio di reciproco e paritetico dare/avere, può sempre far valere le sue eccezioni nell’ordinario termine di prescrizione.

Conclusioni

Il TAR respinge il ricorso ma ritiene vi siano giustificati motivi attesa la peculiarità della questione, per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio, ad eccezione del contributo unificato, se ed in quanto versato, che rimane definitivamente a carico della parte ricorrente.

T.A.R. Campania, Napoli, 1 aprile 2017, n. 1774

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