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Mobilità, arrivano le tabelle di equiparazione ma è scontro fra Governo e sindacati

di Gianni Trovati

·         PDFLo schema di Dpcm con le tabelle di equiparazione

 

Il dipendente pubblico che cambierà comparto con la mobilità obbligatoria manterrà il trattamento economico fondamentale e accessorio «mediante assegno ad personam riassorbibile, nei casi in cui sia individuata la copertura finanziaria, anche a valere sulle facoltà assunzionali». È stata questa frase, contenuta nella bozza di decreto con le tabelle di equiparazione per avviare la mobilità fra un settore e l’altrodella pubblica amministrazione, ad accendere ieri lo scontro fra Governo e sindacati. «Il Governo propone tagli al salario d’ufficio, e sulle professionalità si torna indietro di vent’anni: la nostra risposta sarà dura», gridano i sindacati confederali in un comunicato congiunto scritto dopo l’incontro tecnico di ieri mattina alla Funzione pubblica. «Le tabelle – ha replicato a stretto giro il ministro della Pa e della semplificazione Marianna Madia – servono a guidare con maggiori certezze per i lavoratori il processo della mobilità, che già esiste e che non ha mai funzionato in maniera efficace». Per i sindacati, secondo il ministro, le strade sono due: «Vogliono aiutarci con i loro contributi puntuali e di merito prima dell’adozione definitiva del provvedimento oppure vogliono proseguire in una battaglia ideologica proprio alla vigilia di una grande operazione di mobilità come quella delle Province?».

Il meccanismo

La questione, oltre a essere delicata perché riguarda le buste paga, è complessa, e prima di arrivare a conclusioni merita quindi di essere analizzata. Lo schema di Dpcm presentato ieri, previsto dalla riforma Brunetta, riguarda tutta la pubblica amministrazione, ma è stato rilanciato dal decreto Madia dell’anno scorso e diventa fondamentale ora per avviare la mobilità dalle Province alleggerite di funzioni per la riforma Delrio. Per regolare i passaggi fra enti pubblici caratterizzati da contratti diversi servono appunto le tabelle di equiparazione, che leggono l’inquadramento di provenienza del dipendente e lo traducono nella struttura dell’ufficio di destinazione. Il meccanismo non è così automatico perché, spiega l’articolo 2 del decreto, nell’inquadramento del dipendente pubblico trasferito bisogna tenere conto anche «delle specifiche ed eventuali abilitazioni del profilo professionale di provenienza e di destinazione», con l’avvertenza che in ogni caso le vecchie progressioni economiche non possono spingere il dipendente verso posizioni caratterizzate «da un più elevato inquadramento giuridico iniziale». Le tabelle, in quanto «strumento di corrispondenza tra i livelli economici di inquadramento», sono in ogni caso l’architrave del sistema, e la garanzia dei livelli retributivi per chi si sposta sono il cuore dell’operazione.

Il nodo stipendi

Sul punto, il provvedimento spiega che nella mobilità volontaria si applicano le regole del Testo unico in base alle quali il trattamento economico è quello previsto nella Pa di destinazione (articolo 30, comma 2-quinquies del Dlgs 165/2001), mentre negli altri casi i dipendenti trasferiti mantengono «il trattamento fondamentale e accessorio ove più favorevole, limitatamente alle voci fisse e continuative». Questa garanzia, che esclude premi e altre voci variabili di anno in anno, scatterebbe però nei limiti della copertura finanziaria presente nella Pa di destinazione: attenzione, però, nei calcoli per la copertura entrerebbero anche «le facoltà assunzionali». Dal momento che in questa fase il turn over, comunque limitato, ha una corsia preferenziale per gli ex provinciali, nelle intenzioni governative il paracadute sarebbe completo. Così concepito, il meccanismo si allontana dal cosidetto “zainetto” previsto dalla riforma Delrio, secondo cui per i dipendenti in mobilità dalle Province «le corrispondenti risorse sono trasferite all’ente destinatario». La spiegazione arriva dalla nota diffusa nei giorni scorsi dalla stessa Funzione pubblica, in cui si spiega che anche alla luce dei tagli miliardari chiesti agli enti di area vasta dalla manovra, «il trasferimento di personale non comporta trasferimento di risorse finanziarie». Il nuovo provvedimento si differenzia però dalla legge Delrio anche in un altro punto, con cui si aggiunge la facoltà per i dipendenti trasferiti di mantenere il trattamento previdenziale di provenienza. I sindacati contestano poi anche il meccanismo dell’assegno ad personam che ospiterebbe i vecchi trattamenti se più favorevoli e sarebbe «riassorbibile con i successivi miglioramenti economici conseguiti a qualsiasi titolo», perché per gli interessati si tradurrebbe in un nuovo stop pluriennale agli stipendi. Dopo il passaggio di ieri, il provvedimento è atteso ora alla Conferenza unificata, dove potrebbe approdare il 16 aprile per il parere: ma i sindacati minacciano «battaglia» se non ci sarà «un vero tavolo di confronto».

 

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