tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Se il concorrente non dichiara una risoluzione contrattuale in una precedente gara non è escluso automaticamente dalla stazione appaltante
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5228, del 26 agosto 2020, ha accolto il ricorso di una società nei confronti di un Comune in qualità di centrale unica di committenza, affermando che la mancata dichiarazione da parte del concorrente di una pregressa risoluzione contrattuale in danno non costituisce causa di automatica esclusione dalla procedura di gara.
Il contenzioso amministrativo
Nell’aprile del 2019 un Comune indiceva una gara per l’appalto dei lavori di “adeguamento sismico, efficientamento energetico e messa in sicurezza della scuola primaria e dell’infanzia “, da tenersi mediante procedura aperta e da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, determinato mediante ribasso sull’importo dei lavori posto a base di gara, ai sensi dell’art. 82, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006.
Alla gara venivano ammessi il Consorzio Stabile e la SRL ricorrente che, avendo proposto un ribasso maggiore, si aggiudicava il contratto con determina del settembre 2019.
L’aggiudicazione veniva impugnata dal Consorzio , sull’assunto che la controinteressata non avesse dichiarato, sia in sede di DGUE che nelle dichiarazioni sostitutive del legale rappresentante, una pregressa risoluzione contrattuale disposta, in suo danno, da un Comune calabrese: ai sensi del combinato disposto dell’art. 80, D.Lgs. n. 50/2016 e dell’art. 75, D.P.R. n. 445/2000, la ditta avrebbe dovuto essere estromessa dalla procedura.
Il TAR adito accoglieva il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati e dichiarando inefficace il provvedimento di consegna anticipata dei lavori .
La società ricorreva davanti al Consiglio di Stato.
I motivi di esclusione dall’appalto
L’art. 80, comma 1 , del codice dei contratti pubblici, stabilisce che costituisce motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto o concessione, la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’art. 105, comma 6, per uno dei seguenti reati:
a) delitti, consumati o tentati, di cui agli artt. 416, 416-bis del codice penale ovvero delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, dall’art. 291-quater, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 e dall’art. 260, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto riconducibili alla partecipazione a un’organizzazione criminale, quale definita all’art. 2 della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio;
b) delitti, consumati o tentati, di cui agli artt. 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 354, 355 e 356 del codice penale nonché all’art. 2635 del codice civile;
b-bis) false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 del codice civile;
c) frode ai sensi dell’art. 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee;
d) delitti, consumati o tentati, commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell’ordine costituzionale reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche;
e) delitti di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale, riciclaggio di proventi di attività criminose o finanziamento del terrorismo, quali definiti all’art. 1, D.Lgs. 22 giugno 2007, n. 109 e successive modificazioni;
f) sfruttamento del lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani definite con il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 24;
g) ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
La sentenza
Per il Consiglio di Stato il ricorso è fondato e va accolto. Rilevano preliminarmente, i giudici di Palazzo Spada, che la giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato ha già posto in risalto come, ai sensi dell’art. 80, comma 10, D.Lgs. n. 50 del 2016, “il periodo di esclusione per grave illecito professionale consistito nelle significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, in applicazione diretta della direttiva 2014/24/UE, art. 57, § 7, ha durata triennale dalla data del fatto, vale a dire dalla data di adozione della determinazione dirigenziale di risoluzione unilaterale” con la precisazione che “il triennio va computato a ritroso, dalla data del bando alla data del fatto”.
Ciò posto, avuto riguardo alle conseguenze ed agli effetti della omessa dichiarazione, il Consiglio di Stato ha recentemente chiarito la generale distinzione fra le omesse, reticenti e false dichiarazioni ai sensi dell’art. 80, comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016, rilevando che “v’è omessa dichiarazione quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come grave illecito professionale ; v’è dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell’ottica dell’affidabilità del concorrente. Infine, la falsa dichiarazione consiste in una immutatio veri; ricorre, cioè, se l’operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero”.
In relazione all’omissione comunicativa si è poi precisato che essa “costituisce violazione dell’obbligo informativo, e come tale va apprezzata dalla stazione appaltante”, la quale è chiamata a soppesare non il solo fatto omissivo in sé, bensì anche – nel merito – “i singoli, pregressi episodi, dei quali l’operatore si è reso protagonista, e da essi dedurre, in via definitiva, la possibilità di riporre fiducia nell’operatore economico ove si renda aggiudicatario del contratto d’appalto”.
Alla luce dei riassunti principi, nel caso di specie deve escludersi che la condotta dell’appellante – riferita ad una pregressa risoluzione negoziale anteriore al triennio ed oltretutto sub judice – potesse costituire, come ritenuto dal primo giudice, ragione di automatica estromissione dalla procedura di gara.
Invero, come si è evidenziato, la mancata ostensione di un pregresso illecito è rilevante – a fini espulsivi – non già in sé, bensì in funzione dell’apprezzamento della stazione appaltante, il quale va a sua volta eseguito in considerazione anzitutto della consistenza del fatto omesso.
Nel caso di specie, coincidendo il fatto omesso con una pregressa condotta in sé non rilevante a fini escludenti, difettano senz’altro i presupposti dell’illecito in relazione alla corrispondente omissione nella prospettiva – qui in esame – della “falsa dichiarazione o falsa documentazione” ovvero della esibizione di “dati o documenti non veritieri”.
Naturalmente, resta fermo il potere della stazione appaltante di valutare in modo autonomo la condotta dell’operatore economico concorrente, ai fini della valutazione di affidabilità dell’offerta: ma si tratta, appunto, di valutazione sottratta a qualunque automatismo, che postula la valorizzazione di idonei elementi probatori od indiziari, nel contraddittorio con l’interessato.
Le conclusioni
Per il Consiglio di Stato, alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
Art. 80, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (G.U. 19 aprile 2016, n. 91, S.O.)
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