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Da Napoli a Catania «fallimento» eterno per le città in crisi 

di Gianni Trovati

Due settimane fa la Corte dei conti ha commissariato di fatto il Comune di Napoli. Ha bloccato tutte le spese non obbligatorie, e avviato il meccanismo che per legge dà 60 giorni per tentare evitare il dissesto. Lo stesso ultimatum era arrivato a fine luglio a Catania. Ma niente paura. Il Milleproroghe si è preoccupato al Senato di salvare Napoli, e poi alla Camera si è ricordato di Catania. Ma come sempre, questi interventi salvano i sindaci e non i conti. Da anni la finanza pubblica non ha soldi da offrire agli enti locali in perenne crisi. La strada allora è quella del rinvio. Il nuovo calendario chiede un nuovo piano di riequilibrio entro novembre, e sposta il giudizio finale (si fa per dire) a primavera, dopo i consuntivi. Napoli e Catania sono grandi e finiscono qualche volta sui giornali nazionali.

Ma da Caserta a Vibo Valentia, da Milazzo alla Provincia di Siracusa, l’ elenco degli enti locali che sono già finiti in dissesto o ballano sull’ orlo del burrone come Cosenza o Messina si allunga. L’ ultima lista del Viminale conta 126 enti locali in default: 118 (il 94%) sono al Centro-Sud. Al Nord il dissesto riguarda una manciata di piccoli Comuni piemontesi e due micro-enti lombardi, tra cui Campione d’ Italia trascinato nel baratro dal suo Casinò. Il riequilibrio mancato Altre 193 amministrazioni sono invece nella condizione di Napoli e Catania, alle prese con il pre-dissesto introdotto nel 2012 da Monti per evitare fallimenti a catena negli enti del Sud nell’ estate dello spread alle stelle e dell’ allarme internazionale sull’ Italia. Il pre-dissesto dovrebbe riportare l’ equilibrio con un piano di risanamento in 10 anni, allungati fino a 20 dal penultimo salva-Napoli scritto a Natale nella manovra 2018.

Anche qui, con 144 casi su 193 (75%), domina il Mezzogiorno, dove oltre a Napoli e Catania sono in questo limbo fra gli altri Foggia, Cosenza, Reggio Calabria e Messina. Nell’ elenco non c’ è Palermo, dove però la Corte dei conti ha bocciato i consuntivi 2015 e 2016 aprendo nuove incognite sul futuro prossimo del capoluogo. Accanto a una geografia che punta a Sud, a caratterizzare le crisi dei Comuni sono i tempi. Infiniti, e resi tali proprio dalla tecnica del rinvio che fa pagare ai figli i debiti accumulati dai padri. Dal dissesto vero e proprio si dovrebbe uscire in cinque anni, dal “pre-dissesto” in 20 mentre i buchi aperti dalla cancellazione delle entrate mai incassate si possono ripianare in 30. Così il problema si incancrenisce, e schiaccia il futuro. Numeri da incubo A Napoli la rata da pagare al risanamento costerebbe 170 milioni all’ anno: per infanzia e asili nido, giusto per capire le proporzioni, il Comune impegna meno di 30 milioni ogni 12 mesi, per il suo sterminato patrimonio culturale non arriva a 11 milioni e per l’ edilizia residenziale pubblica la spesa è vicina allo zero. Anche a Catania i numeri sono da incubo. Per Salvo Pogliese, eletto a giugno con il centro-destra, leggerli nella relazione della Corte dei conti è stata la prima esperienza da sindaco.

Le cifre (1,58 miliardi di debito, un disavanzo annuale da 537 milioni) sono nate dalle verifiche sul consuntivo 2016, quando a guidare Catania era l’ ex ministro dell’ Interno e più volte sindaco Enzo Bianco (Pd), che a sua volta aveva ereditato il piano anti-default dal predecessore Raffaele Stancanelli (Forza Italia). Ma la crisi dei Comuni non si limita ai dissesti conclamati e ai pre-dissesti. Nel complesso, gli 8mila Comuni italiani superano l’ obiettivo del pareggio di bilancio, e anzi ogni anno regalano un maxi-saldo positivo ai conti pubblici del Paese (oltre 6 miliardi nel 2017). Al loro interno, però, c’ è una minoranza che nei bilanci ha voragini. È la Corte dei conti a fornire i numeri: nel 2016 (l’ esame dei consuntivi 2017 è in corso), solo 5 sindaci su 100 hanno chiuso l’ anno in rosso, ma questi 418 Comuni sono bastati ad accumulare un disavanzo da 2,6 miliardi: un valore più che doppio, per esempio, al costo aggiuntivo prodotto quest’ anno dalle fiammate dello spread sui nostri titoli di Stato. E anche qui il Centro-Sud domina, con un protagonismo assoluto della Sicilia che da sola totalizza un miliardo di deficit in 26 amministrazioni.

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