tratto da luigioliveri.blogspot.com
I danni da ipernormazione
 
La questione del genitore multato alla presenza del figlio di quattro anni per il giro in bicicletta intorno all’edificio di casa andava risolta in un modo solo: l’annullamento d’ufficio della sanzione e una bella e chiara spiegazione a chi l’ha disposta di come funzionano le cose. Questo, in un mondo normale. In Italia, no. 
Il Paese non riesce a liberarsi dal micidiale viluppo della mentalità burocratica, che è quella da cui derivano norme ancora più burocratiche. Come quella che stabilisce di dare a tutti i titolari di partita Iva l’indennità di 600 euro ma “con regolare istanza, sottoscritta in calce”, con inevitabile e perfettamente prevedibile tilt totale del sito Inps. Sarebbe bastato stabilire che l’erogazione sarebbe stata disposta d’ufficio, con l’eccezione dei soli che avessero segnalato sul sito di non volere il sostegno, dando a costoro 5-10 giorni per farlo.
 
L’idea è sempre quella di intervenire con una norma che preveda il singolo dettaglio, cui, far seguire, in caso di dubbi, altra regola che chiarisce un dettaglio ulteriore, specificata da linee guida, attuata da una disciplinare operativo, a sua volta spiegato da una direttiva, sulla base di un protocollo, adeguato ad un indirizzo tecnico, fondato su specifiche tecniche, chiarite da una circolare, interpretata autenticamente da una rettifica, cui segua un decreto attuativo.
Non ci si rende conto che è l’ipernormazione una delle cause primarie del caos operativo ed interpretativo.
Ne è ulteriore esempio l’altro caos di questi giorni: i buoni spesa. Non è risultato chiaro che la disciplina di questo intervento è contenuta in un’ordinanza d’urgenza, adottata dalla Protezione Civile con i poteri straordinari previsti dal d.gs 1/2018. L’ordinanza ha fissato due criteri due per individuare gli assegnatari: la condizione di bisogno e la priorità per chi non fruisca giù di un sostegno pubblico. Bastava, doveva bastare, per orientare i tecnici degli uffici sociali a verificare in concreto lo stato di bisogno, sulla base dell’anamnesi dei casi specifici analizzati.
Ma no. In tantissimi hanno ritenuto di dover far seguire all’ordinanza della Protezione Civile, un’ordinanza o un decreto del sindaco (perché non un editto o una pragmatica sanctio?), per ripetere quanto già previsto dall’ordinanza della Protezione Civile, cui far conseguire una delibera di giunta per definire i criteri già definiti dall’ordinanza della Protezione Civile, seguita da Linee Guida, per “declinare” i criteri della delibera, di specificazione di quelli dell’ordinanza sindacale, a sua volta specificativa dell’ordinanza della Protezione Civile.
L’esperienza concreta indubbiamente avrà dimostrato che i casi di bisogno possono essere molti di più e molto diversi da quelli cristallizzati nelle linee guida di chiarimento dei criteri della delibera attuativa dell’ordinanza sindacale; con la necessità di adottare la circolare chiarificatrice, oppure di adottare l’ordinanza sindacale che autorizzi la giunta a modificare i criteri, da cui conseguano nuove linee guida aggiornate “versione 2.0”.
Un profluvio di atti, che rende l’iter perfetto, come l’operazione chirurgica tecnicamente riuscita a malato morto.
Il tutto a discapito di logica ed efficienza: quel banale principio che implica il conseguimento di un risultato (output) col minor impiego possibile di risorse (input). O, se vogliamo, a discapito della semplificazione: quell’ancor più banale operazione di riduzione dei termini di un assunto: inutile scrivere “8/8*2+3” per dire “4”.
Invece, nell’Italia del paradosso, sotto attacco del virus, ai decreti legge sorretti dal d.lgs 1/2018 e basati sulla deliberazione dello stato di emergenza, si sommano i Dpcm, le Ordinanze dei Ministeri, le Ordinanze delle regioni, le Ordinanze dei sindaci, i moduli, le istanze, i buoni, tutti simili, tutti diversi, con la beffa di chiedere ai cittadini di sottoscrivere autocertificazioni nelle quali affermare di essere a conoscenza della ridda di norme (centinaia in un mese) che così tante e diverse autorità, in modo nemmeno coordinato tra loro, hanno stabilito. Nella convinzione che un problema si risolva con una legge o con un regolamento, rinunciando al compito fondamentale dell’azione amministrativa: esercitare la discrezionalità della scelta. Che significa saper ponderare, tra due scelte legittime, quella che persegue in modo migliore l’interesse pubblico col minor sacrificio di quello privato.
L’abitudine all’ipernormazione, invece, spinge all’applicazione cieca delle norme da parte dei livelli di controllo e alla iperproduzione di rettifiche, interpretazioni, aggiunte, correzioni, novellazioni, codicilli, alinea, linee guida e quant’altro. Inutile rinfacciare a certi soggetti di imperversare con delibere, segnalazioni, linee guida più volte aggiornate, correzioni apportate con comunicati stampa, se poi, anche al livello che dovrebbe essere il più vicino al cittadino lo si costringe ad orientarsi, anzi a disorientarsi, tra mille gride manzoniane.

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