Abolizione delle province, breve viaggio tra dipendenti disperati e servizi nel caos
A causa della confusione delle norme, la cancellazione delle province si sta rivelando un dramma. Per gli oltre 20 mila dipendenti da ricollocare. Ma soprattutto per i servizi di prima necessità che nessuno più assicura
di F. Q. | 30 gennaio 2015
Servizi sospesi, assistenza ai disabili cancellata, manutenzione delle strade bloccate, assunzioni congelate, trasferimenti di personale impossibili per via di norme contraddittorie e inattuabili. Dopo l’abolizione, il mondo delle Province è in subbuglio, piombato nel caos e nell’emergenza finanziaria a causa delle norme contraddittorie che tra legge di Stabilità e la riforma di Graziano Delrio avrebbero dovuto regolare la riorganizzazione delle funzioni e il ricollocamento del personale. Mentre il ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia cinguetta messaggi rassicuranti, sulla rete impazza l’hashtag disperato #achicompetela cultura, lanciato dai dipendenti senza più un ruolo dopo che le competenze su biblioteche, orchestre, musei e tutto il resto sono state tolte alle province ma non ancora riassegnante. Nessuna sorpresa dunque se la rabbia dei dipendenti esplode. Manifestazioni, proteste, cortei e da due settimane persino uno sciopero della fame a turnazione che coinvolge tutta la Penisola, dalle Alpi alla Sicilia, all’insegna dello slogan “impiegati di tutta Italia, unitevi!”. Una situazione esplosiva come questo breve viaggio in alcune delle province italiane dimostra.
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DIPENDENTI ALLA FAME A Torino due settimane fa gli impiegati della Provincia erano talmente esasperati che i loro rappresentanti sindacali hanno indetto uno sciopero della fame sostenuti anche dall’arcivescovo Cesare Nosiglia. Protestano contro la decisione di non prorogare per un anno il contratto di lavoro di 22 precari, in servizio da 10 anni. Nelle more del passaggio da Provincia a città metropolitana, il sindaco Piero Fassino ha preferito rispettare le disposizioni sullo sforamento del patto di stabilità, piuttosto che mantenere al lavoro i 22. Morale: tutti senza impiego. Non così il suo collega di MilanoGiuliano Pisapia, che invece ha riassorbito i 55 precari della “sua” Provincia. La battaglia di Torino si è comunque allargata a macchia d’olio a tutta la Penisola: dopo la prima settimana sono entrati in sciopero della fame i rappresentanti della provincia diFirenze, da venerdì 23 gennaio quelli di Milano, seguirà a ruotaPistoia, poi Padova, quindi Brindisi. Una valanga che potrebbe arrivare a sommergere anche i palazzi ovattati della capitale. “La ministra Madia rassicura, ma in prospettiva ci sono circa 20.000 lavoratori da ricollocare entro il 2019 – spiega Francesco Candido, rappresentante Cgil della Provincia di Torino – Ma già entro il 2017 chi non avrà trovato un posto avrà lo stipendio ridotto all’80%, chi non sarà poi riassorbito entro aprile 2019 verrà di fatto licenziato”.
FUORI STRADA Sempre a Torino il comune ha bisogno dieducatori per gli asili nido e le materne. E’ pronto a emettere un bando, ma non sa bene come scriverlo: da un lato deve dare la precedenza ai dipendenti provinciali da ricollocare; dall’altro c’è il problema che tra questi lavoratori non ci sono gli educatori che il comune cerca. Risultato: bando sospeso e nidi senza educatori e con il sindaco Fassino in attesa di lumi sul da farsi. Dagli asili ai trasporti, stavolta con il blocco di una strada provinciale. Si chiamastrada Giaglione e collega l’Italia con la Francia attraverso il valico del Moncenisio. Un’arteria internazionale, quindi. Le piogge d’autunno hanno provocato una frana, rendendo inagibile l’arteria. Una volta a rimediare ci avrebbe pensato la provincia, tradizionale custode delle strade. Solo che, dopo l’abolizione e il taglio delle risorse non si sa chi e come debba fare l’intervento. Alla città metropolitana di Torino non è rimasto altro da fare che chiuderla e invitare gli automobilisti a seguire un percorso più lungo, con spreco di tempo e denaro. E con uno pesante sospetto sull’andazzo: “Temiamo che ci sia un disegno preciso– aggiunge Candido – quello di affidare ai privati al gestione della manutenzione stradale e quella dell’edilizia scolastica, altro capitolo importante dei vecchi compiti delle Province”. Motori spenti aCuneo, dove per mettere insieme i risparmi imposti dalla legge di Stabilità, molti automezzi sono stati bloccati nei garage. “Non ci resta che confidare in un inverno mite – spiega il sindacalista Valter Giordano- perché non abbiamo le risorse per assicurare lo sgombero della neve, così come non possiamo garantire gli interventi di manutenzione necessari”.
OLTRE IL RUBICONE Si scende la penisola ma la situazione non cambia, neanche oltrepassando il Rubicone. A Pesaro e Urbinoil presidente è stato costretto a sospendere il servizio di educazione pomeridiana ai disabili perché per la legge Delrio quella funzione dovrà essere trasferita. Spariti anche i 375 mila euro annui di cui la Provincia disponeva e necessari per svolgere il compito. Purtroppo, anche in questo caso, né Regione, né comuni sono intervenuti per coprire il vuoto. E’ così che 78 minori (e rispettive famiglie) sono rimasti praticamente abbandonati. Ed è solo uno dei casi tra i tanti. Perché continuando a scendere verso il sud la mappa del disagio si allarga. Ancora due casi emblematici. Riguardano Brindisi e Lecce.
PROVE D’ORCHESTRA A Brindisi c’è molta preoccupazione per via della mancata assegnazione delle funzioni di protezione civile, anch’esse assegnate fino allo scorso anno alla provincia. Adesso non si sa chi deve occuparsene. Eppure i problemi non mancano: “Da noi arrivano naufraghi e profughi dal nord Africa – spiega infatti la sindacalista Evy Galiano – chi se ne deve occupare?”. Un vero disastro anche per la cultura. Biblioteche, musei, orchestre si ritrovano senza un’amministrazione di riferimento. Dal primo gennaio di quest’anno dovrebbero dipendere da Regioni e Comuni, ma in pochissimi si sono adeguati. Il risultato è che molte strutture rischiano la chiusura: dai servizi ai cittadini e ai turisti alla tutela del patrimonio culturale del Paese. La situazione è talmente allarmante che i dipendenti delle strutture interessate hanno aperto la pagina facebook “achicompete lacultura” ed hanno lanciato l’hashtag, con il quale comunicano le ultime novità, con un appello per salvare operatori e servizi. A Lecce invece si sono mobilitati i musicisti dell’orchestra Tito Schipa, rimasta senza finanziatori dopo la chiusura del canale provinciale. I 60 orchestrali, sostenuti dal presidente Antonio Gabellone, hanno lanciato la campagna “save the orchestra”, una raccolta fondi per riuscire a finanziarsi e presentare entro fine gennaio un programma al ministero della Cultura. Sinora, sono stati raccolti 6.636 euro.Troppo pochi per sopravvivere.
di Bianca Di Giovanni
#province, la speculazione de Il Fatto Quotidiano #caos #tuttoprevisto
http://linkis.com/ilfattoquotidiano.it/lhZvc
Lo avevamo previsto mesi e anni addietro. La stampa che ha preteso, in modo demagogico, la “testa” delle province, avrebbe guazzato di inchieste varie, scaturenti dalle conseguenze nefaste di una riforma devastante, qual è quella voluta dal Governo, avviata dal Delrio e ulteriormente peggiorata da Padoan, con la legge di stabilità.
Il Fatto Quotidiano ha l’imperdonabile responsabilità di aver indossato la “cappa” del grillino duro e puro, ed ha appoggiato una riforma deleteria. E adesso, dopo che a dicembre il giornale ha iniziato a rendersi conto di che pessima qualità fosse la riforma, inizia a raccontare i disastri causat.
Troppo facile. Troppo comodo. Le province potevano bene essere riformate, anche abolite. Ma non in questo modo. I cittadini, ingannati dalla propaganda di giornali spregiudicati e disinformanti e portati a credere che vi sarebbero stati risparmi e maggiore efficienza, sono le prime vittime di un’azione dissennata, che distrugge senza saper ricostruire una parte fondamentale dei servizi. Il tutto gridando al risparmio, per nulla conseguito, che, comunque sarebbe stato riferito ad appena l’1,20% della spesa pubblica: tanto è, infatti, il volume della spesa delle province.
Il Fatto deve fare cronaca. È vero. Non può non raccontare, dunque, i canni causati dalla riforma delle province. Non sarebbe male, però, che Padellaro e Travaglio, specie il secondo, accanito sostenitore senza un perchè dell’attacco alle province, manifestassero le loro scuse, per aver appoggiato un’azione rovinosa. E così, accompagnare il racconto delle macerie che tale riforma si porta dietro. È ovvio, però, che questo è chiedere troppo.
Un ultimo appunto. Qualcuno ritiene che il sottoscritto, nel commentare in chiave critica le norme sull’azione verso le province “non è costruttivo”. A leggere la cronaca de Il Fatto pare proprio che se un commentatore, forse, non è costruttivo, di sicuro è il legislatore che è stato distruttivo. La costruzione non passa per il polpastrelli e la mente di chi commenta le norme. Che, appunto per essere costruttivo, non può raccontare che tutto va bene, madama la marchesa, ma deve evidenziare ciò che deriva dalle norme.
Di caos, disastri, inefficienze, servizi negati ai cittadini lo scrivente parla dal 2011. Non perchè non sia costruttivo. Ma perché ha da subito compresoi contenuti della riforma, cogliendone i troppi aspetti negativi. E li ha raccontati.
Piacerebbe molto essere non costruttivi ed avere torto, vedendo i servizi provinciali resi meglio, con più efficienza, con maggiori risorse, con riordino vero di funzioni e reale capacità di ricollocare utilmente 20.000 dipendenti. Ma, se essere costruttivi vuol dire solo cantare lodi, senza accorgersi e rilevare norme e fatti, allora chi scrive si rassegna a non esserlo. Sapendo bene, però, che il costruire, riformare, dare servizi non è compito di chi scrive e commenta. Ma di chi governa.
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