Nelle mense non si può tenere un regime diverso per i cittadini extracomunitari
01/01/2019 Approfondimenti
Un Comune che dichiara non sufficiente la produzione dell’autocertificazione, da parte dei cittadini extracomunitari per ottenere prestazioni sociali agevolate, sta abusando del suo potere, infatti anche i non appartenenti all’Unione Europea possono presentare la domanda per l’accesso ai benefici con il modello Isee alle stesse condizioni dei cittadini italiani e dei cittadini dell’Unione Europea. Così si è pronunciato il Tribunale di Milano il 12 dicembre scorso, con l’ordinanza riguardante il caso delle mense scolastiche a Lodi.
Il fatto è abbastanza noto: con una delibera del 2017, il Comune di Lodi modificò il “Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali”, rendendo queste ultime più gravose per i cittadini extracomunitari, rispetto a quelli italiani. Al fine di accedere ad alcune prestazioni sociali agevolate (soprattutto la mensa scolastica degli asili) si richiedeva al cittadino non appartenente all’Unione Europea di presentare una certificazione concessa dalle autorità del proprio Stato d’origine, con relativa documentazione sulla composizione del nucleo familiare e che attestasse l’assenza di proprietà immobiliari in tale paese, il tutto con annessa traduzione proveniente dalle autorità consolari italiane. Una situazione che al di là delle molte polemiche, portava anche diversi problemi sul piano pratico, poiché le famiglie interessate non avrebbero certo potuto risalire a una simile documentazione in tempi utili e in costi sostenibili. La conseguenza fu la discriminazione di molti bambini che non poterono godere della mensa scolastica al pari dei compagni italiani.
L’Associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) e l’Associazione volontaria di assistenza sociosanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti (Naga) fecero ricorso contro il Comune di Lodi, chiedendo che ne venisse regolata la scelta discriminatoria e la modifica al regolamento comunale.
Passato in giudizio, il ricorso è stato accolto dal Tribunale di Milano che ha confermato e dichiarato discriminatorio il comportamento del Comune e la conseguente modifica al regolamento, che dovrà quindi essere annullata. Le associazioni sono state quindi riconosciute legittimate a ricorrere alle vie legali per osteggiare il regolamento comunale, il giudice ha quindi chiarito che stando al DLgs 215/2003 (riguardante l’Attuazione direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’ origine etnica) non si può negare la tutela processuale quando si parla di discriminazioni collettive fondate sulla nazionalità o riguardo le condotte offensive rivolte ne confronti di una pluralità di soggetti non individuabili.
Il carattere discriminatorio della modifica al regolamento comunale è stato riscontrato comparando gli articolo 43 del DLgs 286/1998 e 2 del DLgs 215/2003, oltre agli articoli 2 e 3 della Costituzione e 18 del Tfue e 14 del Cedu. Si è stabilito quindi che la discriminazione per motivi di nazionalità trova “ampia tutela nel dato normativo sia nazionale, sia sovranazionale, con riferimento all’ipotesi di diversità di trattamento, in senso più svantaggioso, dello straniero quale effetto della sua appartenenza ad una nazionalità diversa da quella italiana”. C’è quindi un obbligo alla parità di trattamento, a cui si aggiunge una palese violazione del Comune (nel caso in atto) perché un ente pubblico non può “introdurre discipline in deroga a quanto stabilito dalle norme di rango primario”.
Il Comune di Lodi è stato quindi trovato trasgressore delle norme del Dpcm 159/2013 in tema di accesso alle prestazioni sociali agevolate, il quale non autorizza tale distinzione.” Macchiandosi quindi di un comportamento inaccettabile, quanto illegale.
Articolo di Massimo Chiappa
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