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Riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza italiana

Quali sono i termini per la conclusione di un procedimento di riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza italiana ai sensi della circolare 8 aprile 1991, n. K. 28.1 del Ministero dell’Interno? La Giunta Comunale, ai sensi dell’art. 35D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, ha stabilito un termine di 365 giorni per la conclusione del procedimento di riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza italiana. E’ corretto?
a cura di Massimiliano Alesio
In base alla L. 13 giugno 1912, n. 555 sulla cittadinanza italiana, la prole, nata all’estero da padre cittadino italiano, acquisisce dalla nascita il possesso della cittadinanza italiana. Da ciò, deriva la concreta possibilità che i discendenti di seconda, terza, quarta generazione ed oltre di nostri emigrati divengano destinatari della cittadinanza italiana. Siffatta eventualità si presenta ancor più estesa per gli appartenenti a famiglia d’antica origine italiana, i quali siano nati dopo il 1° gennaio 1948. Infatti, a partire da tale data, debbono essere considerati, secondo il dettato della sentenza n. 30 del 9 febbraio 1983 della Corte Costituzionale, cittadini italiani anche i figli nati da madre in possesso della cittadinanza italiana all’epoca della loro nascita ovvero riconosciuti dalla madre o la cui maternità sia stata giudizialmente dichiarata. Ne consegue che pure i discendenti di emigranti italiane o di figli di emigrante italiane sono da reputarsi cittadini italiani iure sanguinis in derivazione materna, purché nati dopo il 1° gennaio 1948, data d’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Le istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana devono essere indirizzate al Sindaco del Comune italiano di residenza, ovvero al Console italiano nell’ambito della cui circoscrizione consolare risieda l’istante straniero originario italiano. Le istanze devono essere corredate da una specifica documentazione.
Orbene, in sede di quesito si chiede di sapere se risulta “corretto” il comportamento della Giunta Comunale, che ha determinato in giorni 365 il termine per la conclusione del procedimento di riconoscimento della cittadinanza. Al riguardo, occorre principiare dalle seguenti considerazioni:
– L’art. 35D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 si occupa del solo profilo afferente la pubblicazione del termine di conclusione di un procedimento amministrativo. Siffatta disposizione normativa non disciplina il potere di fissazione dei termini.
– Il potere di fissazione dei termini è previsto dall’art. 2L. 7 agosto 1990, n. 241. Siffatto articolo, al comma 1, stabilisce che la Pubblica Amministrazione ha il dovere di concludere un procedimento amministrativo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Al successivo comma 2, si stabilisce che, laddove non sia previsto uno specifico termine (dalla legge o dall’Autorità competente), il procedimento deve concludersi entro il termine di trenta giorni.
– Ai sensi del comma 7, dell’art. 2L. 7 agosto 1990, n. 241, il termine può essere sospeso dall’Amministrazione, per un periodo massimo comunque non superiore a ulteriori 30 giorni, per l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, o per acquisire informazioni e certificazioni inerenti a stati e qualità non attestati in documenti in suo possesso e non direttamente acquisibili presso altre Amministrazioni.
– La Circ. 8 aprile 1991, n. K. 28.1 del Ministero dell’Interno non prevede alcun specifico termine.
– Viceversa, la Tabella 4D.M. 5 gennaio 2004, n. 57 del Ministro degli affari esteri (“Regolamento di modifica ed integrazione del decreto ministeriale 3 marzo 1995, n. 171, relativo all’attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in materia di procedimento amministrativo”), stabilisce che la durata complessiva del procedimento relativo all’accertamento del possesso della cittadinanza italiana e rilascio della relativa certificazione per tutti i soggetti discendenti jure sanguinis da cittadini italiani non può eccedere i giorni 240. Ovviamente, tale termine non esplica una valenza cogente nei riguardi di un Comune, dotato di autonomia territoriale. Infatti, il Dpr si applica ai procedimenti amministrativi di competenza di organi dell’Amministrazione degli Affari Esteri, sia che conseguano obbligatoriamente ad iniziativa di parte sia che debbano essere promossi d’ufficio. Tuttavia, l’indicazione contenuta nel decreto può prudentemente orientare il Comune nella delicata operazione di fissazione del termine.
A fronte di queste considerazioni, appare evidente che il Comune deve disciplinare la fissazione del termine mediante un atto regolamentare. Insorge, il problema del preciso termine. Ovviamente, il termine ordinario di trenta giorni appare esiguo. Parimenti, il termine di un anno (365 giorni) appare sproporzionato per eccesso. In primo luogo, in quanto non tiene conto delle riportate prescrizioni del comma 7, dell’art. 2L. 7 agosto 1990, n. 241, nel senso che se occorre acquisire informazioni, documenti o altro da altre Autorità, il termine può essere legittimamente sospeso. In secondo luogo, supera di gran lunga il termine “ministeriale” di 240 giorni, che, giova precisarlo, esplica solo una funzione orientativa. Pertanto, appare congruo il termine di 180 giorni, adottato, per prassi, da numerose Amministrazioni Comunali.

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