prima e seconda parte di un articolo di Luigi Oliveri tratto da rilievoaiaceblogliveri

#province #Circolare 1/2015: creativa, ma non risolve il #caos #lavoro

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Prima parte

Nell’Italia delle grida manzoniane, spesso per risolvere i nodi legati da leggi criptiche, imperniate di populismo, frettolose e poco ponderate, ci si affida alla manna: la circolare “esplicativa”.

La legge, insomma, non è chiara, non disciplina né con precisione né con completezza la materia, dunque, lasciamo che ad “esplicare” sia la circolare.

Dato il caos (ripetiamo questa parola da tempo, ma nessun altro vocabolo può spiegare meglio la situazione) creato dalla normativa di riordino delle province, leggi 56/2014 e 190/2014, allora, soprattutto per rimediare ai danni prodotti al riordino proprio dalla legge 190/2014, ci si affida alla circolare.

Tuttavia, dando uno sguardo alla circolare 1/2015 emanata congiuntamente dal Ministro della semplificazione ed il Ministro degli affari regionali, il risultato è, come era facile attendersi, da un lato deludente, dall’altro velleitario, dall’altro ancora aggiuntivo di caos a caos.

Sì, perché la circolare ha l’ambizione:

1.        a) di conciliare l’inconciliabile, cioè articolo 1, commi 92 e 96, lettera a), della legge 56/2014, con le disposizioni dell’articolo 1, commi da 420 a 427, della legge 190/2014, le quali altro non hanno fatto se non determinare l’abolizione implicita delle prime, per totale incompatibilità tra legge precedente e legge successiva;

2.        b) di specificare le modalità operative del complessissimo sistema determinato dalla scelta esiziale di gestire la mobilità dei dipendenti provinciali utilizzando l’articolo 30, comma 2, del d.lgs 165/2001, invece delle già citate regole della legge 56/2014, che avevano creato un sistema speciale e conchiuso, capace di guidare verso il trasferimento di funzioni e personale;

3.        c) di introdurre una disciplina nuova e diversa, nel tentativo di puntellare, un po’ qua, un po là, a macchia di leopardo, le tantissime lacune ed incertezze scatenate dalla legge 190/2014.

E’ perfettamente noto che se una cosa non deve essere fatta attraverso una circolare è proprio la creazione di una disciplina diversa rispetto a quella normativa che dovrebbe esplicitare. Quando con circolare si modifica di fatto il contenuto delle norme, si creano i presupposti per disastri operativi: è noto, infatti, che in sede di contenzioso i giudici, in particolare della magistratura ordinaria, non considerano le circolari alla stregua di fonti di regolazione del diritto. La disciplina delle assunzioni e delle mobilità scaturita dalla legge 190/2014 si presta moltissimo a contenziosi di ogni genere e tipo, sicchè la scelta di integrare o modificare la sua disciplina mediante la circolare-demiurgo si rivela già da subito devastante.

1.        Nuovo diritto. I punti nei quali la circolare 1/2015 finisce per andare di molto oltre la funzione di esplicazione, per creare fattispecie del tutto nuove e diverse rispetto a quelle rinvenibili nella normativa sono davvero parecchi.

1.1. Personale dei servizi per l’impiego. La prima innovazione che introduce la circolare è l’idea che vi sia un percorso di ricollocazione dei dipendenti dei servizi per il lavoro “separato” da quello degli altri dipendenti e da definire in sede di attuazione della legge 183/2014.

Questa affermazione della circolare, anche se può reggere in via ipotetica e logica, dal momento che la legge 183/2014, nota come Jobs Act, ventila l’idea della creazione di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione, non è suffragata da nessuna disposizione normativa.

Non dalla legge 56/2014, che si è limitata a non includere i servizi per l’impiego tra le funzioni fondamentali delle province.

Non dalla normativa di attuazione della legge 56/2014, cioè l’accordo Stato-regioni dell11.9.2014 e il Dpcm 26.9.2014, che si sono limitati a “congelare” il trasferimento delle funzioni connesse al mercato del lavoro, in attesa di una compiuta disciplina normativa.

Non dalla legge 190/2014, che quando impone, all’articolo 1, comma 421, il taglio delle dotazioni organiche, fa riferimento alla spesa di province e città metropolitane, senza escludere i servizi per l’impiego, sì da ricomprendere necessariamente nei lavoratori soprannumerari quelli addetti a tali servizi.

Non dalla legge 183/2014, la quale, contrariamente a quanto opina il Dipartimento della Funzione pubblica e continuano a sostenere i media, non parla assolutamente in modo esplicito della possibilità che i servizi per il lavoro delle province ed i loro dipendenti vadano con certezza a confluire nell’Agenzia.

Al contrario, l’articolo 1, comma 4, lettere c), f) e h), della legge 183/2014 dispone che l’Agenzia nascerà dall’accorpamento di strutture ed enti del Ministero del lavoro, prevedendo che avranno priorità nella ricollocazione in questo organo i dipendenti provenienti proprio dalle strutture centrali; solo genericamente di parla della confluenza nell’agenzia di personale di “altre amministrazioni”.

Anche laddove i dipendenti dei centri per l’impiego provinciali fossero parte del personale delle “altre amministrazioni” ricollocato nell’Agenzia, si pone però il problema di come l’Agenzia potrebbe finanziarne i costi. Infatti, sempre l’articolo 1, comma 4, lettera c), della legge 183/2014 dispone che l’Agenzia sia costituita “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Ma, attualmente non esiste finanziamento per i costi del personale delle province addetto ai centri per l’impiego, potenzialmente in predicato di passare all’Agenzia.

Il guazzabuglio è causato proprio dalla legge 190/2014, che ha scardinato il principio posto dalla legge Delrio, con l’articolo 1, commi 92 e 96, lettera a), secondo il quale gli enti destinatari delle funzioni dismesse dalle province dovessero ricevere dette funzioni, con tanto di personale e risorse strumentali e finanziarie per il loro funzionamento. La legge di stabilità 2015 impone alle province di versare allo Stato, a decorrere dal 2015, la somma di 1 miliardo (aggiunta ai 380 milioni previsti dal d.l. 66/2014, convertito in legge 89/2014), che diverranno 2 nel 2016 e 3 nel 2017. Le province, quindi, non possono finanziare le funzioni trasferite ad altri enti.

Dunque, non si capisce dove poggi l’affermazione della circolare, secondo cui esisterebbe il percorso di ricollocazione “separato” per i dipendenti dei servizi per il lavoro. Detta affermazione, di fatto, impedisce, come vedremo meglio dopo, ai detti dipendenti di entrare nelle liste dei soprannumerari e provare a ricollocarsi. Una diminuzione “ad personam” delle possibilità di proseguire nell’attività lavorativa francamente difficile da comprendere.

Se l’Agenzia per il lavoro fosse già costituita e vi fossero già i decreti ed i finanziamenti posti a disciplinare i passaggi di funzioni, patrimonio, risorse strumentali e di personale, il tutto avrebbe una sua logica. E’ ben noto, invece, che il decreto legislativo attuativo della legge 183/2014 per costituire l’Agenzia non è stato ancora approvato perché non c’è accordo tra Stato e regioni sulla possibilità stessa che esista un’agenzia “nazionale”, posto che le funzioni in tema di mercato del lavoro sono assegnate alle regioni dalla Costituzione.

In Parlamento, è vero, giace anche la riforma della Costituzione, la quale, non a caso, prevede la riacquisizione della competenza in tema di politiche del lavoro in capo allo Stato. Ma, la riforma della Costituzione se va bene giungerà a compimento alla fine del 2015, quando il termine per esercitare le deleghe della legge 183/2014 sarà scaduto.

Occorrerebbe, allora, una proroga del termine per approvare il decreto legislativo costitutivo dell’Agenzia a Costituzione riformata. Come è facile notare, il 2015 non sarebbe sufficiente; né lo sarebbe anche se l’Agenzia potesse sorgere a Costituzione invariata, in quanto i tempi tecnici e materiali per far nascere un nuovo ente, attribuirgli la personalità, formarne gli organi, la struttura, assorbire il personale, i beni, le sedi e le piattaforme informatiche non sono, ovviamente, questione di pochi mesi.

In sostanza, dunque, la circolare metterebbe i 7.500 circa dipendenti dei centri per l’impiego in un limbo, privandoli per grande parte dei 24 mesi a disposizione dei dipendenti provinciali per ricollocarsi, dell’opportunità di trovare un altro lavoro, in assenza della certezza dello sbocco, oggi solo presunto, verso l’Agenzia Nazionale dell’Occupazione.

1.2. Altro personale escluso dal sovrannumero. La circolare introduce un altro elemento di novità, completamente assente nella normativa, quando oltre a ritenere esclusi dalla sovrannumerarietà e, dunque, dalla mobilità verso altri enti, i dipendenti addetti ai servizi per il lavoro, ritiene non siano da comprendere nella lista dei soprannumerari:

1.        a) gli addetti alla polizia provinciale;

2.        b) coloro che saranno collocati a riposo entro il 31 dicembre 2016, anche con i requisiti “pre-Fornero”.

I ragionamenti svolti poco sopra riguardanti i dipendenti addetti ai servizi per il lavoro possono essere riprodotti anche per i componenti dei corpi di polizia provinciale. Con l’aggravante che, in questo caso, non vi è nemmeno una legge che sia pur lontanamente e per via di delega disponga la creazione di enti o strutture verso le quali possa lecitamente aspettarsi la confluenza degli agenti di polizia provinciale.

La circolare accenna alla circostanza, allo stato solo futuribile e totalmente incerta sia nel “se”, sia nel “quando”, che “saranno definiti specifici percorsi di ricollocazione a valle degli interventi di razionalizzazione e potenziamento dell’efficacia delle funzioni di polizia, anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio, garantendo in ogni caso la neutralità finanziaria”. Saranno definiti, quando? Lo sa, la Funzione Pubblica, che la ricollocazione dei dipendenti provinciali dura solo 2 anni?

C’è, poi, da chiedersi che senso abbia davvero escludere la polizia provinciale dal sovrannumero e dai processi di mobilità, dal momento che i componenti dei corpi verrebbero acquisiti alla velocità della luce dai comuni, per rafforzare i propri corpi di polizia municipale.

Il risultato è precludere ad altri circa 1000 dipendenti di province e città metropolitane, non si sa per quanti dei 24 mesi a disposizione per non andare in esubero, la possibilità di ricollocarsi, in un ambito, lo si ribadisce, estremamente appetibile per i comuni che prenderebbero al volo l’occasione di rafforzare le proprie compagini di polizia locale.

In quanto ai dipendenti che andranno in pensione entro il 31.12.2016 ha un senso non comprenderli nelle liste dei soprannumerari da destinare alla mobilità, anche per non assegnare agli enti di destinazione dipendenti che lavorerebbero pochi mesi.

Al di là delle oggettive difficoltà e disparità di trattamento create per i dipendenti dei servizi per il lavoro e dei corpi di polizia municipale, comunque la circolare nello stabilire questi percorsi particolari, pone in essere i presupposti per creare un danno finanziario non da poco alle province e alle città metropolitane.

Infatti, i tempi sicuramente molto lunghi di ricollocazione di circa 8500 dipendenti lasceranno i loro costi quasi interamente a carico di province e città metropolitane, che resteranno private, dunque, della possibilità di liberarsi di spesa corrente e provare a non andare dritte verso il dissesto cui le condanna il prelievo forzoso di oltre 3 miliardi imposto loro a regime dalla legge 190/2014.

La circolare, insomma, ragiona come se l’Agenzia Nazionale per l’Occupazione e non si sa quale nuovo ordinamento delle forze di polizia fossero già lì, ad aspettare a braccia aperte la provvista di personale proveniente da province e città metropolitane.

1.3. L’ampliamento delle dotazioni organiche. Altro elemento di novità introdotto dalla circolare 1/2015, inesistente nelle norme, è il passaggio contenuto nel paragrafo “Elenco del personale entro il 31 marzo 2015 e diverse procedure di mobilità in relazione alle funzioni”, lettera b). Si stabilisce che “nelle ipotesi in cui la Regione in base al precedente assetto non avesse delegato l’esercizio di funzioni alla Provincia il personale è trasferito presso la Regione con ampliamento, ove necessario, della dotazione organica, a valere sulle risorse destinate alle assunzioni, secondo la disciplina prevista dal comma 424. Rispetto alle altre amministrazioni che in base alla legge 56/2014 non ereditano la titolarità delle funzioni non fondamentali, al passaggio di personale, secondo le procedure di mobilità derivanti dai commi 424 e 425, non corrisponde anche l’ampliamento della dotazione organica”.

In effetti, di ampliamento della dotazione si parla anche nel precedente paragrafo a), disciplinante (come si vedrà di seguito) la mobilità connessa al trasferimento delle funzioni.

Basta dare un’occhiata veloce sia alla legge 56/2014, sia alla legge 190/2014 per rendersi conto che la possibilità di ampliare la dotazione organica non è contemplata proprio da nessuna parte.

E, a ben vedere, la circolare nell’introdurre questo quid novi crea un visibile controsenso. Se si consente l’ampliamento della dotazione organica, allora si permette anche l’incremento della spesa di personale. Perché, dunque, le mobilità in entrata del personale provinciale in soprannumero, allora, vanno a consumare la spesa per assunzioni derivante dal turn over?

Si tratta, ovviamente, di una domanda retorica, che lascia capire come la circolare butti lì una previsione “consolatoria”, che non cambia la realtà. La legge 190/2014, nel sottrarre alle province i già citati 3 miliardi da versare obbligatoriamente al bilancio dello Stato, crea un “buco” nella spesa del personale di pari importo, del quale si dovranno fare carico le amministrazioni che:

1.        a) acquisiranno il personale in soprannumero, per un costo di circa 820 milioni;

2.        b) acquisiranno le funzioni non fondamentali, per un costo di circa 2,3 miliardi.

Il finanziamento delle mobilità mediante le risorse del turn over è previsto per abbattere l’onere di 820 milioni. L’ampliamento delle dotazioni organiche, dunque, non avrebbe valore sul piano finanziario sebbene, paradossalmente, le dotazioni organiche abbiano esattamente lo scopo di segnare i costi di base del personale.

1.4. Enti del servizio sanitario regionale (e nazionale). La legge 190/2014 ha esteso i vincoli alle assunzioni per gli anni 2015 e 2016 a tutte le amministrazioni, senza distinzione, escludendo solo:

1.        a) i profili non amministrativi

2.        b) dei comparti

1.        sicurezza, difesa e Corpo nazionale dei vigili del fuoco,

2.        scuola, AFAM ed enti di ricerca.

Non è espressamente menzionata l’esclusione di alcun altro comparto e di nessuno specifico profilo professionale.

Si tratta, ovviamente, di un errore clamoroso perché i vincoli alle assunzioni finiscono per coinvolgere anche gli enti del servizio sanitario nazionale ed i loro profili non amministrativi, come medici ed infermieri.

Non vi è dubbio alcuno che l’errore vada corretto, per non impedire ad Usl ed ospedali di acquisire il personale medico e paramedico assolutamente necessario per le proprie funzioni.

Ciò che desta rassegnato dispetto è che la correzione all’errore passi, appunto, per la demiurgica circolare, ai sensi della quale “Le regioni valutano se estendere l’obbligo anche agli enti del Servizio sanitario regionale in relazione al loro fabbisogno di personale amministrativo e adottano appositi atti di indirizzo per un’applicazione del comma coerente con il regime delle assunzioni degli enti del medesimo Servizio sanitario regionale”.

Esattamente all’opposto di quanto prevede la legge, insomma, la circolare considera esistente una facoltà di valutazione, che la legge assolutamente non prevede, da parte delle regioni, ma non di disapplicare i vincoli alle assunzioni al personale non amministrativo, bensì di estendere detti vincoli al personale amministrativo! Ma, è esattamente l’opposto ciò che il legislatore (e non la circolare) dovrebbe fare, per escludere dai vincoli alle assunzioni il personale medico e paramedico!

1.5. Schede di rilevazione. Uno dei punti di maggiore utilità e delicatezza della circolare 1/2015, per il quale era molto attesa (è arrivata il 30 gennaio, un mese dopo l’entrata in vigore della legge…) era la definizione della procedura per rilevare i posti vacanti delle amministrazioni ed avviare la mobilità, per anticipare così i contenuti del decreto, attuativo dell’aricolo 30, comma 2.3, del d.lgs 165/2001, richiamato dall’articolo 1, comma 425, della legge 190/2014.

Purtroppo, la spasmodica attesa non è stata pienamente soddisfatta. La circolare 1/2015, chiarisce ben poco la procedura e si dimentica totalmente che in nuce esiste già, descritta nell’articolo 2, comma 13, del d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012. Tale norma, ancora vigente e prevista per i fini di riduzione delle dotazioni organiche indicati dalla spending review di Monti, in tutto analoghi a quelli del riordino delle province, dispone: “La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica avvia un monitoraggio dei posti vacanti presso le amministrazioni pubbliche e redige un elenco, da pubblicare sul relativo sito web. Il personale iscritto negli elenchi di disponibilità può presentare domanda di ricollocazione nei posti di cui al medesimo elenco e le amministrazioni pubbliche sono tenute ad accogliere le suddette domande individuando criteri di scelta nei limiti delle disponibilità in organico, fermo restando il regime delle assunzioni previsto mediante reclutamento. Le amministrazioni che non accolgono le domande di ricollocazione non possono procedere ad assunzioni di personale”.

La circolare 1/2015 non cita mai l’articolo 2, comma 13, citato. Ma, prova a costruire il percorso della mobilità seguendone il tracciato.

Infatti, ribadendo che le spese per il personale provinciale ricollocato non si calcolano ai fini del rispetto del tetto di spesa del personale previsto dall’articolo 1, comma 557, della legge 296/2006, la circolare precisa: “Il numero delle unità di personale ricollocato o ricollocabile è comunicato al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e al Ministro dell’economia e delle finanze nell’ambito delle procedure di cui all’accordo previsto dall’articolo 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Si precisa al riguardo che, in sede di osservatorio nazionale, saranno predisposte dal Dipartimento della funzione pubblica schede di rilevazione delle capacità di assunzione e dei processi di mobilità realizzati dagli enti, in analogia alla ricognizione prevista dal comma 425”.

In effetti, il comma 424 della legge 190/2014 non chiarisce affatto che regioni ed enti locali, come sarebbe opportuno, debbano rilevare le capacità di assunzione, come prevede il successivo comma 425 per le amministrazioni statali e come dispone il già richiamato articolo 2, comma 13, del d.l. 95/2012.

Dunque, la circolare anche in questo caso va oltre i limiti della mera esplicazione e crea nuovo diritto, ritenendo di estendere per analogia a regioni ed enti locali il sistema di rilevazione delle capacità assunzionali pensato per lo Stato.

1.6. Regole particolari per le assunzioni: vincoli e “aperture”. Il tasso maggiore di innovazione la circolare 1/2015 lo contiene nel paragrafo “Divieti ed effetti derivanti dai commi 424 e 425 per le amministrazioni pubbliche”.

E’ noto, ed era facile aspettarselo, che le amministrazioni siano molto refrattarie ad accettare i vincoli alle assunzioni imposti dalla legge di stabilità per il 2015. Infatti, nonostante le disposizioni in essa contenute siano molto chiare, fioccano su tutti i siti bandi di mobilità o di concorso, in violazione plateale delle previsioni della legge 190/2014.

La circolare è chiaramente improntata al tentativo di trovare una “via di mezzo”, dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, sottolineando, da un lato, la rigorosità delle norme, dall’altro escogitando chiavi di apertura delle maglie dei vincoli, tuttavia inesistenti nella legge 190/2014 e, talora, fonte di insanabili contraddizioni in termini (segue)

Seconda e ultima parte

1.6.1 Assunzioni sui budget degli anni precedenti. La circolare prende posizione sulla determinazione della spesa ammissibile per la ricollocazione dei dipendenti provinciali in soprannumero.

Allo scopo di disincentivare i comportamenti platealmente elusivi e in violazione delle disposizioni della legge 190/2014 già messi in opera da innumerevoli amministrazioni, la circolare dispone in maniera molto secca: “Nelle more del completamento del procedimento di cui ai commi 424 e 425 alle amministrazioni sopra individuate è fatto divieto di effettuare assunzioni a tempo indeterminato a valere sui budget 2015 e 2016”. E ricorda che “le assunzioni effettuate in violazione dei commi 424 e 425 sono nulle”.

Alla chiusura verso i comportamenti di vero e proprio boicottaggio della riforma, segue, tuttavia, una prima apertura: “Rimangono consentite le assunzioni, a valere sui budget degli anni precedenti, nonché quelle previste da norme speciali”.

Nulla da dire sulle assunzioni previste da norme speciali. Ma ci sarebbe stato da precisare:

1.        sono prioritarie o recessive rispetto alle ricollocazioni?;

2.        concorrono a consumare le risorse del turn over e, se sì, e se fossero prioritarie, ridurrebbero, allora, le possibilità di ricollocazione?

Dubbi non da poco, che andrebbero sciolti in fretta, dal momento che la sanzione generale di nullità (posta dalla legge, non dalla circolare) delle assunzioni in violazione anche del solo iter previsto dai commi 424 e 425, comporta nullità, che qualsiasi dipendente provinciale in soprannumero potrebbe vantare in giudizio. Non si dimentichi che anche le province vantano un evidente interesse ad agire per la dichiarazione di nullità di qualsiasi assunzione che vìoli il processo previsto dai commi 424 e 425, perché può rallentare l’esodo dei dipendenti e la riduzione del costo del personale, fondamentale per ridurre l’impatto del dissesto, procurato comunque dalle scelte contenute nella legge 190/2014.

Ma, ancora più problematica è l’affermazione secondo la quale restano consentite le assunzioni a valere sui “budget degli anni precedenti”.

Si pone un primo tipo di problema: il d.l. 90/2014 consente di effettuare assunzioni “aggregando” le riduzioni del costo del personale cessato dal servizio, per un triennio.

Se non vi fosse, dunque, la legge 190/2014, un comune potrebbe, ad esempio, utilizzare le risorse del turn over degli anni 2012-2013-2014 e assumere. Si sa che i comuni sono oltre 8100 e che la gran parte non arriva a 5000 abitanti. Per questi comuni, aggregare le risorse del turn over è fondamentale per ottenere un’unità piena di costo ed assumere, così, un lavoratore a tempo pieno. Andava precisato, allora, che l’aggregazione degli anni precedenti col 2014 non è possibile.

Un secondo ordine di problemi, che abbraccia anche la questione della sanzione di nullità delle assunzioni in violazione delle norme della legge 190/2014, riguarda i controlli: chi verifica e, comunque, può verificare che una certa assunzione o un certo bando di concorso, effettuati da una pubblica amministrazione, siano effettuati a valere su risorse degli anni antecedenti al 2014?

Non si sta affermando che tale controllo non sia possibile. Tuttavia, ma non era compito della circolare, manca l’indicazione di chi e come dovrebbe effettuare controlli di questa natura, che, allo scopo di evitare nullità delle assunzioni e connessi danni erariali e civili, dovrebbero essere di natura preventiva.

Manca totalmente nella normativa un sistema per verificare, in sostanza, se i vincoli alle assunzioni siano rispettati nel biennio 2015-2016. Non è roba da poco, perché l’assenza di controlli può inficiare l’efficacia di tutto il processo, come è ovvio.

1.6.2. Categorie protette. La circolare agisce, in questo caso, certamente “creando” diritto, ma in maniera corretta e coerente, evidenziando per via interpretativa che il sistema di vincoli alle assunzioni non può certamente pregiudicare la posizione dei soggetti appartenenti alle categorie protette, indicando, dunque, che la disciplina della legge 68/1999 non è intaccata.

Quindi, per tutte le amministrazioni (comprese le stesse province, come spiega la prima parte della circolare) “resta fermo l’obbligo di copertura della quota di riserva”. Che, del resto, non intacca le risorse provenienti dal turn over.

Corretto il suggerimento rivolto alle amministrazioni di adempiere agli obblighi di assunzione anche acquisendo le categorie protette da province o città metropolitane.

Sembra di capire, a questo proposito, che si possa trattare di mobilità tra enti al di fuori del percorso previsto dalla legge 190/2014, cioè che si possa dare luogo ad una sorta di mobilità “speciale”, non riguardante necessariamente i dipendenti soprannumerari, al di fuori anche del campo dell’articolo 30 del d.lgs 165/2001, concordata tra province e città metropolitane, da un lato, ed amministrazioni che abbiano scoperture. Una precisazione sul tema sarebbe necessaria.

1.6.3. Concorsi per gli anni da 2017 in poi. Ribadito il divieto di attivare procedure concorsuali utilizzando risorse da turn over degli anni 2015 e 2016, la circolare, sempre nell’intento di reperire strade per “conciliare” amministrazioni pochissimo propense a rispettare i vincoli creati dalla norma, prova ad aprire ulteriori maglie.

Dispone, dunque: “Le procedure concorsuali avviate, anche se finanziate su una programmazione che prevedeva l’utilizzo dei budget 2015 e 2016, possono essere proseguite ove l’amministrazione possa vincolare risorse relative ad anni successivi. Lo stesso dicasi per le procedure di avviamento mediante collocamento”.

In sostanza, si ammette che negli anni 2015 e 2016 le amministrazioni possano egualmente bandire concorsi “a futura memoria”, prevedendo di coprire i costi vincolando le risorse relative agli anni successivi.

Insomma, si bandisce ed effettua il concorso nel 2015, ma l’assunzione avviene nel 2017 o 2018. Un bel sistema per smentire quanto disposto dal “decreto D’Alia”: ricordate il “mai più precariato” e “mai più concorsi che lascino a casa per anni i vincitori”? Ecco, la normativa pensata per le province e le città metropolitane, come interpretata dai ministeri delle riforme degli affari regionali, ripristina esattamente la situazione che nel 2013, col d.l. 101/2013 si cercò di eliminare. Per altro, il tutto con l’ulteriore conseguenza di bloccare le aspirazioni degli idonei ad essere assunti, attraverso lo scorrimento delle graduatorie, bloccato per 2 anni almeno dalla legge 190/2014.

1.6.4. Categorie infungibili. La circolare prova ad ammorbidire la rigorosità dei vincoli alle assunzioni anche mediante la strada dell’individuazione delle “categorie infungibili”, come personale che, nella sostanza, può essere assunto anche in costanza delle disposizioni dei commi 424 e 425.

Dunque, libertà di assunzioni per magistrati, carriere diplomatica e docenti universitari (per questi ultimi, in effetti, il comma 425 è già molto chiaro).

In effetti, a ben vedere, appariva difficile immaginare il passaggio in mobilità dai ruoli di dipendenti pubblici, a quelli di magistrati. Tuttavia, la precisazione della circolare, in merito, appare utile e corretta, considerando, per altro, che le categorie menzionate sopra sono anche regolate da norme di disciplina del rapporto di lavoro molto diverse, non trattandosi di personale contrattualizzato, a differenza dei dipendenti di province e città metropolitane.

Tuttavia, la circolare estende il concetto di categoria infungibile anche al personale educativo e docente degli enti locali.

Anche in questo caso, come per le regioni in materia di enti del servizio sanitario, la circolare introduce qualcosa che non esiste (a torto) nella legge 190/2014: l’esclusione dai vincoli delle assunzioni di specifici profili professionali.

L’intuizione potrebbe rivelarsi corretta. Lo strumento, la circolare, sbagliato. Dovrebbe essere, infatti, il legislatore ad emendarsi dell’errore e disciplinare le categorie infungibili, escludendo espressamente la nullità come sanzione per le loro assunzioni.

Ma, al di là che sia una circolare o la legge a chiarire l’estraneità ai vincoli assunzionali delle categorie infungibili, resta un nodo da sciogliere, non affrontato nemmeno dalla circolare: posto che i comuni possano assumere educatori di asili nido o personale docente:

1.         tali assunzioni andrebbero a consumare le risorse del turn over anche degli anni 2014-2015?

2.        se sì, cosa garantirebbe che un comune non decida:

1.        di consumare tutte le risorse del turn over per assumere solo personale docente;

2.        dopo qualche tempo, modificare i profili e trasformarli in profili amministrativi

3.        eludendo così, senza colpo ferire, i vincoli previsti dalla legge 190/2014?

In effetti, non vi è alcuna garanzia che l’apertura indicata dalla circolare alle categorie infungibili non porti a distorsioni fortissime all’operatività del sistema se:

  • 1) non si attivino, come detto sopra, misure di controllo preventivo sulle assunzioni;

  • 2) non si chiarisca che tali assunzioni non vadano a consumare le risorse da turn over, proprio perché infungibili e proprio per l’eccezionalità dell’esigenza di ricollocare migliaia di dipendenti in soprannumero.

A ben vedere, questa previsione della circolare appare esiziale e potenzialmente molto dannosa, perché si presta fin troppo facilmente ad elusioni che, del resto, i comuni avevano già architettato da giorni e giorni.

Ancor più criticabile appare l’indicazione sul personale infungibile quando l’apertura si estende persino alla “eventuale assunzione anche di idonei”, per due ragioni. In primo luogo, perché prevede una fattispecie, l’assunzione di idonei, del tutto negata dalla legge. In secondo luogo, perché apre una disparità immensa di trattamento tra idonei e idonei. Ne valeva davvero la pena?

2.        La conciliazione tra legge 56/2014 e legge 190/2014. La circolare si assume il delicato, ma impossibile, compito di provare a coordinare tra loro norme assolutamente in antitesi.

L’operazione, anche in questo caso, andava effettuata dal legislatore e, in particolare, con la legge 190/2014, non bastando allo scopo una circolare che, come la 1/2015, non può che limitarsi ad enunciare una conciliazione ed un coordinamento, nei fatti e sul piano giuridico assolutamente inesistenti. Vediamo di seguito il perché.

Nel paragrafo “Comma 421 – Riduzione della dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario”, paragrafo “finalità e ambito soggettivo”, la circolare enuncia una visione interpretativa ovviamente in sintonia con quanto sostiene il Governo: “In relazione ai processi di riordino delle funzioni delle province, secondo la previsione della legge 7 aprile 2014, n. 56, il legislatore ha rapportato le dotazioni organiche delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario al fabbisogno connesso con lo svolgimento delle funzioni fondamentali attribuite dalla predetta legge 56/2014. Le percentuali di riduzione sono tarate, infatti, in ragione della consistenza delle funzioni fondamentali rispettivamente attribuite agli enti di area vasta”.

Si tratta, tuttavia, di affermazioni, che purtroppo costituiscono la premessa logica dell’intero impianto disposto dalla legge 190/2014, del tutto fuori strada.

Non è, purtroppo, vero che il legislatore ha rapportato le dotazioni organiche di province e città metropolitane al fabbisogno connesso con lo svolgimento delle funzioni fondamentali. La prova? Tale fabbisogno doveva essere rilevato per mezzo del lavoro degli Osservatori nazionale e regionali, previsti dal Dpcm 26.9.2014. La legge 190/2014 è intervenuta prima che le attività degli osservatori, ancora in corso e, per altro, molto in ritardo, si concludesse.

Dunque, non è materialmente possibile che il Parlamento (e il Governo, che ha redatto il maxiemendamento) conoscessero i fabbisogni.

Infatti, da notizie di stampa risulta che il Governo per apportare le riduzioni alla spesa del personale delle province, veri e propri tagli lineari, ha utilizzato strumenti molto diversi e totalmente forfetari. Ha fatto analizzare dalla società Sose i consuntivi delle province e da quei conti ha calato l’asso del taglio lineare. La prova? Il relatore della legge 190/2014, Bressa, in un’intervista al Sole 24 Ore del 20 dicembre 2014 ha spiegato come si è agito: “A quei numeri siamo arrivatiprendendo i consuntivi 2012 delle province e considerando solo le loro funzioni fondamentali: costruzione e gestione delle strade, oltre 5mila scuole secondarie e assistenza ai comuni che insieme valgono il 50% del personale. Nelle città metropolitane che hanno più funzioni valgono invece il 30 per cento. Sulla base di questo abbiamo poi rapportato il personale alle fonti di entrata ed è venuto fuori che i tributi provinciali sono sufficienti a gestire la spesa”.

Quello che manca, allora, è esattamente la taratura tra funzioni fondamentali da esercitare e risorse, sia finanziarie, sia di personale, residue alle province.

Infatti, in alcune province, il taglio lineare delle risorse di personale conduce all’effetto del tutto contrario a quello che avrebbe prodotto un riduzione realmente “tarata”: la sovrannumerarietà non solo del personale addetto alle funzioni non fondamentali, ma anche di quello addetto alle funzioni fondamentali.

Allora, il problema che si pone nel rapporto tra legge 56/2014 e legge 190/2014 sta tutto lì: nell’impostazione radicalmente diversa dell’impianto finanziario.

Infatti, la legge 56/2014:

1.        come detto, subordina la valutazione delle risorse, finanziarie, strumentali, patrimoniali e di personale, necessarie per le funzioni fondamentali alla conclusione del lavoro degli osservatori, attuativi del Dpcm previsto dall’articolo 1, comma 92;

2.        non ha previsto alcun taglio o prelievo forzoso nei confronti delle province;

3.        ha previsto, invece, che finanziamenti e spesa legati alle funzioni non fondamentali venissero spostati verso le amministrazioni destinatarie di queste (in applicazione, ovviamente, dell’articolo 119 della Costituzione);

4.        d) per questa ragione, all’articolo 1, comma 96, lettera a), prevede che il personale provinciale addetto alle funzioni non fondamentali, transitasse verso le amministrazioni destinatarie del riordino con l’intero trattamento economico, compreso quello accessorio: tutto sarebbe stato finanziato, in sostanza, dal volume di entrata e spesa delle province, da ripartire verso gli enti destinatari.

La legge 190/2014 scardina totalmente questo percorso logico, imponendo alle province il prelievo forzoso in favore del bilancio dello Stato di 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017. Non è, di conseguenza, più possibile finanziare personale e funzioni da trasferire ad altri enti con le risorse delle province.

Detto in altre parole, regioni ed enti locali dovrebbero reperire da sé le risorse per sostenere la spesa delle funzioni non fondamentali ad esse trasferite. Lo stesso vale per l’Agenzia per il lavoro (che, comunque, se sarà nazionale, dovrebbe poter reperire il finanziamento dal prelievo forzoso che lo Stato ha imposto alle province).

Quindi, la legge 190/2014 crea sostanzialmente un ammanco di 3 miliardi circa per la gestione dei servizi delle province. Il che significa:

1.        destinare le province, tutte, entro il 2016, al dissesto;

2.        imporre alle regioni ed ai comuni di supplire all’ammanco dei 3 miliardi.

Risposta ulteriormente conseguente: appena le regioni si sono rese conto della cosa, hanno alzato il piede dall’acceleratore dei lavori degli osservatori e si sono guardate bene dall’approvare le leggi che dovrebbero stabilire se riacquisire le funzioni non fondamentali o assegnarle ai comuni, perché dovrebbero trovare i soldi per garantirne la gestione.

Quindi, il coordinamento e la conciliazione tra legge 56/2014 e legge 190/2014 non passa, purtroppo, attraverso opere di esegesi giuridica, ma mediante il ridisegno delle grandezze finanziarie. Insomma, occorrerebbe una revisione della norma, che parta dal Ministero dell’economia, per conciliare le due leggi.

La circolare 1/2015, proprio perché risulta impossibile conciliare l’inconciliabile, si è dovuta produrre, di conseguenza, nell’enucleazione di procedure di mobilità del personale in soprannumero (escludendo quello addetto ai servizi per il lavoro, quello dei corpi di polizia ed i pensionandi entro il 31.12.2016), distinte in due gruppi:

1.        la mobilità connessa al trasferimento delle funzioni;

2.        la mobilità non connessa al trasferimento delle funzioni.

Il tutto, come conseguenza della volontà non espressa dalla circolare, ma discendente dalle previsioni della legge 190/2014, che, sul punto, è appunto inconciliabile con la legge 56/2014.

Questa, infatti, prevede un’unica tipologia di mobilità del personale provinciale: quella connessa anche al trasferimento delle funzioni non fondamentali. Chi non ne fosse convinto, dia uno sguardo attento all’articolo 1, comma 92, della legge Delrio: “Entro il medesimo termine di cui al comma 91 e nel rispetto di quanto previsto dal comma 96, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno e del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze, sono stabiliti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista. In particolare, sono considerate le risorse finanziarie, già spettanti alle province ai sensi dell’articolo 119 della Costituzione, che devono essere trasferite agli enti subentranti per l’esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto salvo comunque quanto previsto dal comma 88. Sullo schema di decreto, per quanto attiene alle risorse umane, sono consultate le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dispone anche direttamente in ordine alle funzioni amministrative delle province in materie di competenza statale”.

Lo schema operativo proposto dalla legge 56/2014 imponeva un complicato lavoro, tale da determinare risultati potenzialmente anche molto differenziati per ciascuna delle 107 province, visto che la loro organizzazione interna è diversa e le risorse utilizzate per la gestione delle funzioni non è uguale, come del resto dimostra proprio il lavoro del Sose pubblicato sul portale opencivitas.

Il taglio lineare del costo delle dotazioni organiche all’8 aprile 2014, nella misura del 50% per province e 30% per città metropolitane e province montane va in totale rotta di collisione con lo schema proposto dal Delrio. E fa sorgere, dunque, lo schema, enunciato dalla circolare, di una mobilità non connessa al trasferimento delle funzioni.

2.1. Mobilità connessa al trasferimento delle funzioni. La circolare 1/2015 prova a far risorgere dalle sue ceneri questo tipo di mobilità, cercando di ridare anche solo in parte vita alle disposizioni della legge Delrio.

Allo scopo meritevole, indica: “Qualora la Regione, sulla base del precedente assetto, avesse delegato alla provincia l’esercizio di funzioni con connesso trasferimento di risorse finanziarie (anche in forma di potestà impositiva, comprese le entrate derivanti dall’esercizio delle funzioni) a copertura degli oneri di personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato e/o determinato con la provincia, lo stesso personale è trasferito alla regione con relative risorse corrispondenti all’ammontare dei precedenti trasferimenti (v. punto 15 lettera e) dell’accordo ex articolo 1, comma 91, della legge 56/2014). In tal caso il personale provinciale adibito allo svolgimento di funzioni non fondamentali è trasferito alla Regione con possibilità, ove necessario, di ampliamento della dotazione organica. In termini finanziari deve essere garantita la neutralità del processo, attese le risorse economiche già stanziate e assegnate dalla Regione alla Provincia, comprese le entrate derivanti dall’esercizio delle funzioni. L’operazione di cui alla presente lettera si esaurisce nel corso dell’anno 2015 in relazione ai tempi di attuazione del riordino delle funzioni definito con legge regionale. Gli atti necessari sono tempestivamente adottati dall’ente di area vasta d’intesa con le regioni, sulla base dei criteri definiti in sede di osservatorio regionale. Si applica, per quanto riguarda le entrate tributarie, quanto previsto dal punto 15 lettera e) dell’accordo ex articolo 1, comma 91, della legge 56/2014”.

Abbiamo sottolineato i punti salienti (e dolenti) della previsione. Essa si incentra tutta quanta sulla presunzione che esista (ancora) una piena simmetria tra:

1.        funzioni che le regioni hanno conferito alle province, in particolare con le norme di attuazione del d.lgs 112/1998;

2.        trasferimenti regionali che le regioni avrebbero dovuto garantire alle province, in applicazione dell’articolo 119 della Costituzione e dell’articolo 4, comma 3, lettera i), della legge 59/1997.

Se così fosse, in effetti, l’operazione mista di riacquisizione delle funzioni e del personale da parte delle regioni avverrebbe senza alcun problema. In sostanza, il personale provinciale continuerebbe a svolgere le stesse attività di prima (magari riorganizzate dalla regione), avendo come datore di lavoro, invece della provincia, la regione che continuerebbe, per altro, a utilizzare sempre le medesime risorse in entrata ed uscita: “neutralità”, quindi, dell’operazione.

C’è, tuttavia, un fatto di realtà che inficia, purtroppo, l’accorta ricostruzione proposta dalla circolare: l’Unione Italiana Province ha evidenziato come dal 2010 al 2014 le regioni hanno ridotto i trasferimenti alle province da 3,7 miliardi a 2,5 miliardi, quasi del 32,4%. Se si prendesse a riferimento l’ammontare dei trasferimenti regionali a partire dal 2001, anno di avvio dell’attuazione del d.lgs 112/1998, la riduzione sarebbe ancora superiore.

Mancando, allora, un terzo delle risorse regionali finalizzate a sostenere la spesa delle funzioni regionali conferite alle province, il meccanismo di “conciliazione” proposto dalla circolare si spezza e interrompe. Non è immaginabile che si possa attuare per i suoi 2/3 in quanto i tagli ai trasferimenti regionali sono, ovviamente, trasversali a tutte le funzioni.

Vi potrebbe essere qualche regione più virtuosa di altre che non abbia ridotto nel tempo i trasferimenti alle province: in quelle regioni, allora, la mobilità proposta dalla circolare potrebbe trovare piena attuazione. Resterebbe in piedi il problema della disparità di trattamento per i dipendenti delle province, oltre al ben più grave problema della misura dell’efficienza dei servizi (su cui si tornerà dopo).

In generale, dunque, questo tipo di mobilità connessa alle funzioni, che ai sensi della legge Delrio dovrebbe essere l’unica mobilità ammessa, troverà ben difficilmente applicazione.

2.2. Mobilità non connessa al trasferimento delle funzioni. La circolare, allora, non può non prendere atto che, nella realtà, la legge 190/2014 vulnera il meccanismo previsto dalla legge 56/2014 ed evidenzia che esiste un secondo gruppo di mobilità: quella non connessa alle funzioni.

Per essere più chiari: questo secondo tipo di mobilità slega il trasferimento del dipendente provinciale dall’esercizio delle funzioni cui era addetto. Per ipotesi, dunque, un dipendente di una provincia addetto ai servizi turistici, potrebbe passare ad un comune a svolgere tutt’altra attività; la mobilità verso le amministrazioni statali prevista dal comma 425, del resto, è per sua natura slegata dall’acquisizione delle funzioni provinciali, in particolare quella a destinazione prioritaria verso gli uffici giudiziari.

Dunque, la circolare evidenzia che “nelle ipotesi in cui la Regione in base al precedente assetto non avesse delegato l’esercizio di funzioni alla Provincia il personale è trasferito presso la Regione con ampliamento, ove necessario, della dotazione organica, a valere sulle risorse destinate alle assunzioni, secondo la disciplina prevista dal comma 424. Rispetto alle altre amministrazioni che in base alla legge 56/2014 non ereditano la titolarità delle funzioni non fondamentali, al passaggio di personale, secondo le procedure di mobilità derivanti dai commi 424 e 425, non corrisponde anche l’ampliamento della dotazione organica”.

La previsione è chiara; questo secondo tipo di mobilità non può mai essere neutrale sul piano finanziario e comporta il consumo delle risorse da turn over che finanziano le assunzioni.

La circolare auspica che le regioni acquisiscano il personale provinciale, pur non avendo all’origine conferito le funzioni.

Ovviamente, se già sarà un problema il primo tipo di mobilità, perché alle risorse regionali trasferite alle province è venuto a mancare 1/3 dell’ammontare, ancor più difficile sarà questo secondo tipo di mobilità. Non sul piano giuridico, perché si applicano i vincoli imposti dai commi 424 e 425, bensì sul piano psicologico. Infatti, i comuni, che difficilmente saranno destinatari della titolarità di funzioni provinciali non fondamentali, non accettano quei vincoli e come è noto stanno bandendo concorsi e avvisi di mobilità come se la legge 190/2014 semplicemente non esistesse.

2.3. Servizi ai cittadini. Si noterà che manca un tassello fondamentale. Per evidenziarlo, occorre porre una domanda: che fine fanno i servizi connessi alle funzioni che non saranno ereditate da regioni, comuni o amministrazioni statali?

Non poteva certo essere la circolare 1/2015 a rispondere a questa domanda e, inevitabilmente, la circolare nemmeno pone il problema, per la semplice ragione che, come evidenziato sin dall’inizio, è il legislatore che si affida al demiurgo, invece di riconsiderare i problemi e risolverli sul piano legislativo, lasciando alle circolari il compito che è loro proprio: esplicare, attuare e chiarire.

La legge 190/2014, di fatto, come indirettamente anche la circolare 1/2015 non può non evidenziare, slega il processo di mobilità del personale provinciale da quello di trasferimento delle funzioni, al contrario di quanto previsto dalla legge 56/2014.

Dunque, un congruo numero dei dipendenti provinciali in soprannumero (diversi da quelli destinati ai percorsi “speciali” visti sopra) potrebbe andare verso regioni, comuni e amministrazioni statali e svolgere mansioni totalmente diverse da quelle precedenti.

Dunque, ci si dovrebbe chiedere quale ente, con quale personale e con quali risorse, si sostituirà alle province nel gestire le risorse non fondamentali: servizi per il turismo, servizi sociali (aiuti ai figli riconosciuti da un solo genitore, sostegno didattico per i disabili sensoriali), commercio, agricoltura, funzioni di matrice regionale legate a protezione civile o salvaguardia del territorio, formazione professionale, trasporto dei disabili e altro ancora.

Il rischio è, al fondo di tutto, che questi servizi non siano più resi. D’altra parte, il prelievo forzoso di 3 miliardi a regime imposto alle province non consente loro di sostenere nemmeno la spesa per il pieno svolgimento nemmeno delle funzioni fondamentali. Anche in questo caso, la circolare nulla poteva fare e dire e nulla ha fatto. E’ un problema di revisione totale della strategia messa in campo con la legge 190/2014, di natura finanziaria. Le conseguenze, ovviamente, si vedranno con l’andar del tempo, quando i nodi verranno al pettine. E’ già accaduto in Sicilia che i disabili si siano visti privati dei sistemi di trasporto a scuola, per esempio.

3.        Chiarimenti. La circolare in molte altre parti, laddove gli spazi normativi lo consentivano, riesce a fornire comunque alcuni chiarimenti operativi importanti.

Si è già detto che si intende estendere anche a regioni ed enti locali il monitoraggio dei posti vacanti, funzionale ai processi di mobilità. La circolare descrive anche il percorso e alcuni criteri per la mobilità.

3.1. Equiparazione. Un primo chiarimento offerto è che “la mobilità si svolgerà tenendo conto delle tabelle di equiparazione adottate in applicazione dell’articolo 29-bis del d.lgs. 165/2001”. Questo, ovviamente, vale per le mobilità che porteranno i dipendenti provinciali verso amministrazioni diverse da regioni e comuni: si deve ricordare che province, regioni e comuni appartengono, infatti, al medesimo comparto e non occorre alcuna tabella di conciliazione.

3.2. Criteri. In secondo luogo, la circolare prova a sbilanciarsi sui criteri che andranno rispettati per attivare i trasferimenti in mobilità, tra i quali:

1.        caratteristiche professionali,

2.        anzianità anagrafica e contributiva,

3.        sede di domicilio.

I criteri, per ora sommariamente elencati, “saranno condivisi in sede di osservatorio nazionale e recepiti con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste”.

Il riferimento alle caratteristiche professionali lascia intendere che, in ogni caso, le mobilità saranno attivate il più possibile per risultare utili ai fabbisogni degli enti di destinazione, facendo leva sulla competenza acquisita dai dipendenti in soprannumero. Infatti, la circolare evidenzia che “E’ il caso di evidenziare che le procedure di mobilità sono finalizzate a garantire la continuità dei rapporti di lavoro del personale interessato e a valorizzare la professionalità acquisita favorendo la ricollocazione in relazione alle competenze ed alle precedenti esperienze. In tale senso il criterio delle funzioni svolte è prioritario laddove il personale è trasferito per effetto del riordino di cui alla legge 56/2014”.

C’è, però, da osservare che la circolare non si sbilancia su quanto prevede l’articolo 1, comma 96, lettera a), della legge 56/20014 ai sensi del quale “il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all’atto del trasferimento, nonché l’anzianità di servizio maturata; le corrispondenti risorse sono trasferite all’ente destinatario; in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell’ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale. I compensi di produttività, la retribuzione di risultato e le indennità accessorie del personale trasferito rimangono determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non possono essere incrementati fino all’applicazione del contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dopo la data di entrata in vigore della presente legge”. L’applicazione concreta di questa norma è possibile solo laddove i finanziamenti delle funzioni provinciali siano trasferiti insieme con le funzioni. Abbiamo visto sopra che a causa del prelievo forzoso di 3 miliardi a regime imposto dallo Stato alle province e della riduzione di 1,2 miliardi dei trasferimenti regionali dal 2010 da parte delle regioni, nella sostanza risulterà impossibile realizzare quanto prevede la disposizione della legge Delrio appena citata. E’ dunque, solo una dichiarazione di intenti, priva di sostanza, quella contenuta nella circolare quando afferma che “resta ferma l’applicazione dell’articolo 1, comma 96, lettera a), della legge n. 56 del 2014, come sopra richiamato”, in quanto tale norma è di fatto inapplicabile, a causa delle disposizioni della legge 190/2014.

3.3. Incontro domanda/offerta. C’è, poi, il tema delle mobilità disgiunte dal trasferimento delle funzioni. La circolare annuncia l’attivazione di un sistema informatico di gestione: “laddove il personale si dovrà ricollocare presso altre amministrazioni, non interessate ai processi di riordino delle funzioni, per accelerare i tempi di attuazione e la ricollocazione ottimale del personale, si fa ricorso a strumenti informatici gestiti dai predetti soggetti o enti in house(Sose o Formez, nda). Essi predisporranno, sulla base delle indicazioni delle amministrazioni centrali competenti, apposite banche dati del personale, previa ricognizione delle informazioni necessarie per quantificare e censire qualitativamente il personale da ricollocare (Domanda di mobilità) e per rilevare le capacità di assorbimento da parte delle amministrazioni di destinazione (Offerta di mobilità), in relazione alle loro esigenze funzionali”.

Sembra, dunque, che sarà impostato un sistema telematico di incontro domanda-offerta di mobilità, col compito anche di fungere da mediatore. Non si dovrebbe, dunque, dare luogo a mobilità per contatto diretto tra dipendenti in mobilità e amministrazioni destinatarie. Il sistema informatico dovrebbe prevedere modalità di abbinamento del personale da ricollocare (selezionato, si ritiene, in base ai criteri visti sopra, come professionalità, anzianità contributiva e domiciaili) con le amministrazioni che abbiano posti disponibili.

Il sistema, per essere completo, dovrebbe anche offrire modalità selettive nel caso in cui le candidature dei dipendenti da ricollocare si rivelassero maggiori del numero di posti disponibili da parte di ogni amministrazione; oppure, precisare che in questo caso provvederanno le amministrazioni, sulla base di loro autonomi sistemi, pubblici, di selezione.

E’ fondamentale che il sistema parta presto, perché in particolare i comuni sono disponibili ad accettare di tenere bloccate le loro procedure di assunzione, a patto che si proceda in tempi stretti a compilare gli elenchi del personale in disponibilità e ad attivare il sistema.

A proposito, altro chiarimento importante della circolare: il personale va inserito in elenchi nominativi. Qualcuno sosteneva che si trattasse solo di un elenco “muto” di natura finanziaria. Ma, dovendosi dare luogo ad un vero e proprio incontro domanda/offerta, occorre invece che sia chiaro di quale persona si tratti, con quali esperienze e competenze.

3.4. Spazi per le assunzioni. I vincoli alle assunzioni, spiega la circolare, potranno essere allentanti anche prima del termine del 31.12.2016. Tutto dipenderà, evidentemente, dall’efficienza del sistema di ricollocazione dei dipendenti provinciali in soprannumero (e dalla circostanza che davvero sorga l’Agenzia per il lavoro e si trovi una riorganizzazione delle forze di polizia).

Dopo sottolineato che “il legislatore vincola gli enti a destinare il 100% del turn over alla mobilità del personale degli enti di area vasta, salvaguardando l’assunzione dei vincitori esclusivamente a valere sulle facoltà ordinarie di assunzione” e che “il vincolo descritto si applica anche agli enti non sottoposti al patto nel rispetto del regime delle assunzioni previsto”, la circolare fa intendere che vi saranno spazi per riaprire le porte alle assunzioni.

Infatti, “secondo i criteri di mobilità definiti con le modalità sopra illustrate, qualora l’osservatorio nazionale rilevi che il bacino del personale da ricollocare è completamente assorbito, vengono adottati appositi atti per ripristinare le ordinarie facoltà di assunzione alle amministrazioni interessate”.

Indirettamente, la circolare fa intendere alle amministrazioni che sarà interesse loro non boicottare il processo, bensì favorirlo, per ottenere il più celere riassorbimento del personale da ricollocare e riconquistare, così, gli spazi di autonomia limitati dalla legge.

3.5 Concorsi e mobilità. Il chiarimento forse più importante la circolare lo offre alla fine del paragrafo “Divieti ed effetti derivanti dai commi 424 e 425 per le amministrazioni pubbliche”, quando afferma: “Non è consentito bandire nuovi concorsi a valere sui budget 2015 e 2016, né procedure di mobilità”.

Insomma, anche ai più refrattari dovrebbe essere chiaro che non è possibile non solo non assumere, ma nemmeno bandire concorsi sulle risorse per gli anni 2015-2016 (cioè, il turn over degli anni 2014 e 2015).

Allo stesso modo, la circolare chiude (quasi) ogni questione relativa alla mobilità, rigettando la tesi da molti esposta, secondo la quale la mobilità volontaria tra enti, anche al di fuori dei percorsi definiti dalla legge 190/2014, sarebbe pur sempre possibile data la sua neutralità.

La circolare non si diffonde nelle ragioni del divieto di accedere alla mobilità indirettamente esposto dalla legge 190/2014 e, tutto sommato, fa anche bene. In effetti, non c’è molto motivo di dover spiegare che se non sono consentite assunzioni per concorso, non possono ammettersi assunzioni attraverso un istituto, la mobilità, che è presupposto dei concorsi, e che, soprattutto, in questo momento il fine principale non è acquisire personale ex novo da immettere nei ruoli, ma ridistribuire personale già appartenente ai ruoli pubblici, in funzione del processo di riordino previsto (purtroppo in maniera caotica) dalle norme in commento.

Abbiamo scritto poco sopra che la circolare chiude quasi ogni problema connesso alle mobilità extra processo di ricollocazione. In effetti, resta aperto un problema, quando la circolare, sempre nell’intento di non rivelarsi troppo drastica, apre quando afferma che “le procedure di mobilità volontaria avviate prima del 1° gennaio 2015 possono essere concluse”.

Francamente, non si comprende la ragione di tale previsione. Non può essere per coerenza con quanto affermato dalla circolare stessa, rispetto alla possibilità di assumere per concorso, utilizzando le risorse da turn over antecedenti al 2014, perché la mobilità non intacca le risorse da turn over.

La mobilità anche se avviata nel 2014, laddove comporti l’occupazione di un posto della dotazione organica nel 2015, chiude nel 2015 una possibilità di ricollocazione di un dipendente in soprannumero. Sarebbe stato più comprensibile affermare che sono ammesse le mobilità, avviate nel 2014 ma anche dopo, per le già viste figure “infungibili”.

Forse, la circolare è mossa dall’intento di non pregiudicare le aspettative legittime dei dipendenti coinvolti nelle procedure di mobilità avviate nel 2014, che abbiano ottenuto il nulla osta al trasferimento.

La chiave di lettura dell’apertura alle mobilità proposta dalla circolare, allora, potrebbe essere questa: sono da concludere le mobilità avviate nel 2014 e giunte già alla selezione del dipendente munito di nulla osta, che prevedano, tuttavia, il materiale trasferimento nel corso del 2015. Tuttavia, occorrerebbe un chiarimento di fonte ministeriale in merito.

Sta di fatto che in ogni caso, al di là dell’apertura un po’ critica alle mobilità, la circolare comunque rimane ferma nel perseguire come prioritario l’intento della ricollocazione del personale soprannumerario, quando afferma che “Fintanto che non sarà implementata la piattaforma di incontro di domanda e offerta di mobilità presso il Dipartimento della funzione pubblica, è consentito alle amministrazioni pubbliche indire bandi di procedure di mobilità volontaria riservate esclusivamente al personale di ruolo degli enti di area vasta”.

Si tratta certamente di un’opportuna precisazione a tutela di dipendenti che comunque hanno l’onere di tentare di ricollocarsi.

Da come è formulata la previsione, tuttavia, sembra di intuire che questo tipo di mobilità riservata non riguardi solo i dipendenti provinciali e delle città metropolitane in soprannumero, ma tutti. Lo dimostra il fatto che tale tipo di mobilità “riservata” è ammessa finchè non funzionerà la piattaforma di incontro domanda/offerta, la quale presuppone la sussistenza delle liste nominative di lavoratori soprannumerari.

Allora, potrebbero aspirare alla mobilità anche dipendenti delle province e delle città metropolitane addetti alle funzioni fondamentali.

Il che dovrebbe indurre province e città metropolitane a considerare con estrema cautela l’espressione dei nulla osta, per evitare di ritrovarsi, alla fine di tutti i percorsi, eccessivamente sotto dimensionate per numero e professionalità di personale, nella gestione delle funzioni che resterebbero in capo a loro.

3.6. Bando del Ministero della giustizia. C’è, poi, la sacrosanta bacchettata che la circolare infligge al Ministero della giustizia e al suo ormai celeberrimo bando per la mobilità di 1031 dipendenti. Al famoso tweet del Ministro Madia, ha fatto seguito una presa di posizione ben più significativa sul piano giuridico, operativo e anche “morale”.

Sicchè, la circolare sentenzia: “Il bando di mobilità volontaria adottato dal Ministero della giustizia con provvedimento del 25 novembre 2014, per la copertura di 1.031 posti vacanti, è destinato a riassorbire il personale degli enti di area vasta e solo in via residuale, in assenza di domanda di mobilità da parte del predetto personale, a processi di mobilità di altro personale”.

Una vera e propria sconfessione del bando, che, al contrario, è stato impostato totalmente al contrario: favorire la mobilità del personale dei ministeri e sfavorire il restante personale, in particolare quello delle province, addirittura chiamate a coprire col 50% del costo del personale il fondo previsto dall’articolo 30, comma 2.3, del d.lgs 165/2001, quando invece il comma 425 della legge 190/2014 esenta le province da tale onere.

C’è da precisare che nel momento in cui si scrive (31 gennaio 2015) il bando risulta ancora pubblicato nel testo originario. Per quanto tale testo debba intendersi etero integrato e modificato dalla circolare, in quanto essa proviene dal Ministero competente in generale in merito al rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, non sarebbe, tuttavia, inopportuna una rettifica, in ossequio e nel rispetto delle previsioni della circolare 1/2015.

Anche perché, il bando andrebbe rivisto nella sua tempistica. Le domande andrebbero presentate entro il 6 marzo, ma le province hanno tempo fino al 31 marzo per stilare le liste nominative del personale in soprannumero.

Oppure, si intende che qualsiasi dipendente provinciale possa anche ora, prima ancora che vi siano le liste di soprannumerari, presentare domanda?

Un ulteriore passaggio, sia del Ministero della Funzione pubblica, sia del Ministero della giustizia in proposito non sarebbe inopportuno.

3.7. Criteri per il taglio della dotazione organica. Un problema che rimane in parte insoluto è la quantificazione della spesa per apportare i tagli alle dotazioni organiche imposti dal comma 421.

La circolare chiarisce che per “spesa del personale di ruolo” “deve intendersi la spesa complessiva riferita a tutto il personale, (impegnato tanto nelle funzioni fondamentali quanto in quelle non fondamentali), appartenente al ruolo della provincia o della città metropolitana, ivi inclusi i dipendenti di ruolo che prestano servizio a qualsiasi titolo presso altre amministrazioni o enti o eventualmente in aspettativa”.

Quindi la nozione è la più ampia possibile, ma naturalmente esclude la spesa per i dipendenti assunti con qualsiasi tipo di lavoro flessibile.

Il costo da prendere a riferimento per apportare i tagli lineari imposti dalla legge 190/2014 è “il costo individuale dei dirigenti e delle singole posizioni economiche di ogni categoria calcolato per ciascun ente di area vasta. Il predetto costo si determina considerando il trattamento economico fondamentale e quello accessorio, ivi compresi gli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”.

La circolare, dunque, non prende a riferimento, come sarebbe stato consigliabile, i costi della dotazione organica, ma il costo effettivo all’8 aprile 2014, considerando anche elementi come il salario accessorio, per altro definitivamente conoscibili nel 2015, se riferiti al 2014. A meno che il salario accessorio da considerare all’aprile del 2014 non sia quello del 2013 (premi di produzione), considerando, inoltre, che non è affatto detto che all’aprile del 2014 fosse stato attribuito ai dipendenti l’intero salario accessorio. Dunque, non si dovrebbe trattare di cassa, ma di competenza. Però, la fotografia all’aprile non aiuta a chiarire quali grandezze considerare per i conteggi. La circolare su questi dettagli sorvola.

Più utile è il suggerimento di ripartire il valore finanziario dei sovrannumerari “stimandolo in relazione alle funzioni non fondamentali svolte [ad esempio: a) personale impegnato nello svolgimento delle funzioni e dei compiti in materia di servizi per l’impiego e politiche attive del lavoro; b) personale con qualifiche riguardanti lo svolgimento dei compiti di vigilanza e di polizia locale; c) personale ripartito in base alle altre funzioni oggetto di riordino.]”, utilizzando “ove possibile, anche i dati già forniti agli osservatori regionali”.

In questo modo è possibile farsi un’idea di quale sarà il costo effettivo del personale che seguirà i percorsi di trasferimento verso altre amministrazioni, che, come si capisce, sono:

1.        mobilità dei dipendenti dei servizi per il lavoro, verso l’Agenzia nazionale per l’occupazione, se e quando nascerà;

2.        mobilità dei dipendenti dei corpi di polizia provinciale, verso strutture di riorganizzazione delle forze dell’ordine, se e quando ciò avverrà;

3.        mobilità dei dipendenti da inserire nelle liste dei soprannumerari:

1.        connessa al trasferimento delle funzioni, che dovrebbe avere destinatarie principali le regioni;

2.        non connessa al trasferimento delle funzioni;

4.        mobilità dei dipendenti delle province e delle città metropolitane appartenenti alle categorie protette;

5.        mobilità volontaria, riservata esclusivamente ai dipendenti di province e città metropolitane, nelle more dell’attivazione della piattaforma telematica di incontro domanda/offerta.

La circolare precisa che il calcolo dei costi del personale può slittare dal 31 gennaio 2015 al 1° marzo 2015.

Inoltre, si suggerisce di “stimare il valore finanziario del personale destinato al collocamento a riposo entro il 31 dicembre 2016 in relazione alla normativa vigente, comprese le previsioni di cui all’articolo 2, comma 3, del d.l. 101/2013”, allo scopo di tenere a sua volta separato questo conto.

4.        Cosa manca. Una circolare non è e non può essere il demiurgo. Il compito della circolare 1/2015 era davvero improbo perché interpretare, chiarire ed applicare un caos come quello determinato dall’esiziale combinazione tra legge 56/2014 e 190/2014 era impresa ai limiti del possibile.

Non tutti i dubbi, dunque, potevano essere risolti, né lo sono stati. E restano ancora fattispecie irrisolte. Che anche in questo caso non potevano trovare sbocco nello strumento della circolare:

a) gli idonei; la circolare evidenzia lo slittamento dei termini per la stabilizzazione dei precari, posto dal comma 428, in applicazione della riforma “D’Alia”. Bene. Ma, quella riforma aveva anche indotto le amministrazioni a scorrere le graduatorie, prima di assumere nuovo personale, valorizzando le posizioni degli idonei dei concorsi. Questo processo viene evidentemente interrotto dalla legge 190/2014. Almeno la previsione, allora, di una proroga delle graduatorie per ricominciare col 2017 sarebbe necessaria. Anche se, comunque, la limitazione dei sovrannumeri, la destinazione speciale di circa 9-10 mila dipendenti all’agenzia per il lavoro o al riordino delle forze di polizia, potrebbe riaprire prima del previsto spazi alle assunzioni ex novo e, dunque, alle posizioni degli idonei.

b) i contratti di formazione e lavoro: nel 2015 scadranno centinaia di periodi formativi, positivamente valutati; si tratterebbe di nuove assunzioni, ma i contrattisti hanno assunto una posizione di aspettativa legittima estremamente forte. Come non tornare sulla normativa, e prevedere un esplicito spazio per le assunzioni dei contrattisti o, quanto meno, una proroga del periodo di Cfl?;

c) una disciplina sui controlli dei bandi di mobilità e di concorso, per verificare che siano rispettati anche gli spazi di apertura concessi dalla circolare e scongiurare rischi di contenzioso e blocchi di sistema.

 

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