segretari comunali e spoil system corruttivo

tratto da La settimana degli enti locali n.14 del 08.04.2013 (il grassetto e le sottolineature sono di chi ha riportato e non dell’autore)

 

Parliamo di segretari comunali e di spoil system corruttivo

di Franzina Bilardo

L’arguto commento di Luigi Oliveri al mio pezzo intitolato Partecipate: scende in campo il dipartimento della funzione pubblica!, sul n. 12 di questo settimanale, mi stimola alcune insopprimibili riflessioni sul valore devastante del sistema dello spoil system in specifico riferimento alla materia dell’anticorruzione.

Al riguardo, non solo mi trovo assolutamente d’accordo con il direttore quando segnala “il caso eclatante dei segretari comunali, mortificati ed annientati da uno spoil system incostituzionale”, ma è anche mia ferma convinzione che costringere i segretari comunali ad assumersi il grave peso di responsabili della prevenzione della corruzione, negandogli però la dovuta indipendenza ed emancipazione dagli organi di indirizzo politico (ossia da chi, in quanto controllato potrebbe avere tutto l’interesse a scegliere e a tutelare un controllore meno avvezzo alle rigidità della legge e della vigilanza anticorruzione), è quanto di più criminogenetico possa immaginarsi …

Lo spoil system è quello che genera ambizioni smodate, favoritismi, prebende, nomine parentali, scelte amicali, comparaggi: esattamente i germi più profondi e le radici più antiche della cultura della parzialità, della illegalità, della corruzione in genere.

Si ricordino i periodi bui del papato medievale – Papa Callisto III che affidava cariche cardinalizie ed incarichi/nomine di altissimo rango a parenti ed amici, o Paolo Alessandro VI e Papa Paolo III che si at- torniavano di cardinali prescelti i tra i fratelli delle loro amanti e tra nipoti addirittura minorenni – o la politica di distribuzione di prebende ed onori a parenti ed amici da parte di Napoleone Bonaparte, o la filosofia del nepotismo tipica dei più peri colosi dittatori di tutto il mondo e di tutte le epoche.

E cos’è questa, se non corruzione nel senso più profondo del termine?

I delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal nostro codice penale (i reati di abuso, di corruzione sotto le più variegate forme, il nuovo delitto di induzione indebita a dare o a promettere utilità ex art. 319 quater c.p., le innumerevoli criminose fondate sul mercanteggiamento di poteri e di funzioni pubbliche) non presuppongono affatto, non solo, scambi di denaro o di mazzette tradizionali, bensì – anche e soprattutto – dazioni e promesse di altre utilità.

Come possa estrinsecarsi la fantasia su le altre possibili utilità ce lo dicono fiumi di giurisprudenza penale: sponsorizzazioni più o meno truccate; assegnazioni libere ed incontrollate di cariche ed incarichi; nomine immeritate e non giustificate; con- ferimento di onorificenze; mandati professionali a soggetti incompetenti; favori sessuali; riconoscimento di indennità non consentite; eccetera, eccetera in un serpentone di nauseabonda ingiustizia sociale e professionale che sembra davvero non avere fine.

I segretari comunali dovrebbero rappresentare – all’interno delle amministrazioni locali – la voce notarile della legalità, dell’indipendenza, della corretta applicazione del diritto a tutela della collettività e della cittadinanza.

Ed invece… si ritrovano loro malgrado costretti a vivere tra i capricci di chi li nomina e revoca a proprio piacimento; o meglio, a miglior piacimento del proprio partito…

Quale sia stata la scellerata evoluzione normativa dello status dei segretari comunali – ossia quella che li ha portati ad essere facile preda ed inerte bersaglio degli organi politici – è storia vecchia, che tuttavia è opportuno ripassare, anche al fine toccare con mano quanto possano essere stati pregiudizievoli gli ultimi sommovimenti legislativi nei confronti di questa importante categoria di funzionari pubblici.

La storia dei “nostri amici segretari” parte – si sa – ai tempi della legge 20 marzo 1865, n. 2248 allegato A, allorquando gli stessi venivano nominati dal consiglio comunale su una rosa di abilitati alla professione che avevano sostenuto regolari esami in prefettura.

Tale sistema garantiva una oggettiva indipendenza dei segretari dai politici di passaggio via via nominati in sede locale.

Anche il regio decreto n. 1953 del 17 agosto 1928 aveva stabilito: che i segretari comunali fossero nominati dal Prefetto della provincia; che agli stessi fossero estese le disposizioni giuridiche degli impiegati civili delle amministrazioni dello Stato; che le nomine ai posti del grado iniziale della carriera avessero luogo a seguito di pubblico concorso per titoli; che i trasferimenti all’interno della stessa provincia fossero disposti dal Prefetto; che i trasferimenti tra province diverse fossero affidati al Ministro per l’interno sentiti i podestà degli stessi comuni.

Tutto ciò – sebbene legato ad un periodo storico caratterizzato da una visione fortemente statalista – dava relative assicurazioni sul fatto che la figura del segretario comunale fosse quella di controllore e garante della legalità in nome e per conto dello Stato; che è poi lo stesso ruolo che sembra riaffacciarsi nella nostra legislazione anticorruzione ma in un contesto totalmente sprovvisto delle garanzie tipiche (pur non ottimali) di una carriera controllata da organi di natura amministrativa centrale.

Stesso tipo di logica – all’insegna della dipendenza organica e funzionale nei confronti dello Stato e non dei politici – era quella perseguita dalla legge 8 giugno 1962 n. 604, in base alla quale l’assegnazione ai comuni dei segretari comunali spettava al Ministero dell’interno e alle Prefetture. In tal modo, “il personale con qualifica di Segretario comunale o provinciale, pur appartenendo al genus dell’impiego statale, ne costituiva una species, regolamentata da un ordinamento particolare (recato dalla l. n. 604 del 1962, e non dal d.P.R. n. 3 del 1957), in correlazione con la peculiare caratteristica della non coincidenza dell’Amministrazione datrice di lavoro con quella che ne utilizzava le prestazioni instaurando il relativo rap- porto organico” (Cassazione civile, sez. un., 20 giugno 2007, n. 14288).

I segretari comunali continueranno a rimanere inquadrati nei ruoli di funzionari statali anche nel nuovo Ordinamento delle autonomie locali di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142.

Sarà invece con la legge 15 maggio 1997 n. 127 (c.d. legge Bassanini) che il segretario comunale perderà definitivamente i connotati di funzionario dipendente di Stato, per diventare – pur dovendo continuare ad esercitare importanti compiti e funzioni di collaborazione ed assistenza giuridico-amministrativa – dipendente funzionale del capo dell’amministrazione (rectius di un organo squisitamente politico come il sindaco), in posizione di subalternità rispetto al suo potere di scelta, nomina, revoca e durata d’incarico.

Il mutamento di inquadramento sistematico del segretario – da funzionario pubblico indipendente a dipendente funzionale del capo dell’amministrazione – stravolgerà completamente la prospettiva di legalità come valore di rilevanza nazionale, e soprattutto scardinerà in modo eclatante la speranza di affidare ad un organo terzo, autonomo ed indipendente dai poteri locali, lo spinoso compito di controllare il rispetto della legalità in nome e per conto della collettività.

Il Segretario comunale finirà per diventare una sorta di ausiliario – pur di primissimo ordine – dell’organo politico, legato ad esso da un rapporto che la stessa giurisprudenza definisce di tipo “fiduciario” (Cass. civ., sez. lav., 23 agosto 2003, n. 12403). Nessuna sorpresa – in questa logica – che il comma 85 del citato art.17 della l. 127/1997 abbia disposto la soppressione del parere preventivo di legittimità già previsto dall’art. 53 della l. 142/1990.

Ed altresì irrilevante, in questo quadro, il passaggio dei segretari comunali all’Agenzia autonoma per la gestione dei segretari comunali e provinciali, o il trasferimento della regolamentazione del rapporto di lavoro nell’ambito della contrattazione collettiva, laddove si consideri che la chiamata degli stessi segretari, anziché essere legata – come sarebbe giusto che sia – ad impersonali criteri di preferenza geografica per motivi familiari o personali, o ad eventuali classi di merito in base all’importanza o alla grandezza dei comuni, o ad anzianità, o a titoli, o ad esami, o ad altri indici di assegnazione di sedi liberamente valutabili dagli organi rappresentativi degli stessi segretari, continua invece ad essere affidata… ai politici!

Affidare la sorte dei segretari ai politici significa: da un lato, azzerare completamente l’importantissimo ruolo di “garante della legalità” loro assegnato; dall’altro, apporre un crisma di legittimazione formale e sostanziale a ciò che mai e poi mai dovrebbe essere fatto quando si vuole espletare un reale controllo di legalità all’interno di qualsiasi struttura organica, e cioè lasciare in balia del controllato la sorte del controllore. Valga per tutte, al riguardo, la struttura emblematica delle impugnazioni giurisdizionali, interamente basate sui rigidi principi di incompatibilità, di opportunità di astensione, di obbligatoria diversificazione dei giudici tra una fase ed un’altra, e così via in una serie di regole tutte all’insegna della libertà di valutazione scevra da possibili condizionamenti di ordine gerarchico.

E vogliamo parlare della revoca dei segretari comunali? Di quanto la stessa, nel sistema dello spoil system, sia rimasta sostanzialmente priva di tutela anche dal punto di vista squisitamente giudiziario? Il dato di fatto statisticamente insuperato è che la formale regola dell’art. 100 t.u. enti locali – revoca solo per violazione dei doveri di ufficio – viene ordinaria- mente bypassata, calpestata ed abusata laddove si ravvisi la “necessità” di mettere fuori gioco un segretario eccessiva- mente rompiscatole o pignolo nell’applicazione delle leggi…

Neanche la magistratura (divisa, anche a seguito della privatizzazione del rapporto di impiego dei segretari, su problematiche di tutti i tipi, ivi compresa quello del riparto di giurisdizione e di competenza sulla stessa revoca) è riuscita ad evitare questo massacro di Erode, o a censurare i discutibili principi di un rapporto a tutt’oggi considerato giuridicamente “fiduciario”. In questo disastro istituzionale, una sola – vera – speranza, offerta proprio dalla legge Severino 190/2012.

Ci riferiamo al nuovo art. 1, comma 82, della stessa legge, che testualmente dispone “Il provvedimento di revoca di cui all’articolo 100, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è comunicato dal prefetto all’Autorità nazionale anticorruzione, di cui al comma 1 del presente articolo, che si esprime entro trenta giorni. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace, salvo che l’Autorità rilevi che la stessa sia correlata alle attività svolte dal segretario in materia di prevenzione della corruzione”.

Potrebbe sembrare una norma di mera tappezzeria legislativa, ma non è stato sempre così. Non lo è stato, ad esempio, nei confronti del segretario comunale di Cumiana (Torino), che la scorsa primavera 2013 è riuscito ad ottenere giustizia proprio utilizzando questa norma. Ricordiamo, al proposito, che il 15 maggio 2013 era stato inviato all’Autorità nazionale anticorruzione, dal viceprefetto vicario della Prefettura di Torino, il provvedimento di revoca che riguardava il succitato segretario ai fini del parere ex art. 1 comma 82 della legge n. 190/2012. La revoca era stata deliberata dal Comune di Cumiana sul presupposto che il segretario si era rifiutato di dare attuazione ad un provvedimento ritenuto necessario e fondamentale per lo svolgimento delle attività amministrative dell’ente. Sennonché, il Segretario comunale in questione ha inviato alla Civit (ex A.N.AC.) delle controdeduzioni in cui ha spiegato: a) che il quadro ambientale in cui stava operando come responsabile della prevenzione della corruzione gli impediva di rispettare le regole di trasparenza, di efficienza e di efficacia dell’azione amministrativa richiesti dalla legge n. 190/2012; b) che era stato proprio il mancato rispetto dei principi di buon andamento e di legalità dell’azione amministrativa (ex art. 97, secondo comma, Cost.) che lo aveva portato all’emana- zione di pareri di non conformità dell’a- zione amministrativa. Sulla base di tali fatti, l’Autorità nazionale anticorruzione ha rilevato, alla semplice stregua di fumus, che il provvedimento di revoca in discussione era stato sì correlato al comportamento del segretario comunale, ma solo in quanto eccessivamente “attento” a garantire la legalità nell’amministrazione comunale. Conclusione: la Civit ha deliberato parere non favorevole al provvedimento di revoca! In chiave opposta, si è però verificata la revoca del segretario comunale di Rovato, per il quale pare che il sindaco non abbia neanche attivato la procedura di garanzia del succitato art. 1, comma 82, della legge 190/2012.

Non conosco la sorte successiva di questa vicenda, mi chiedo però: non è forse arrivato il momento di utilizzare con maggiore frequenza il codice penale, le denunce alla Procura della Repubblica, l’applicazione dei reati di omissione di atti di ufficio ex art. 328 c.p., o di abuso di ufficio ex art. 323 c.p, o di tante altre fattispecie penali similari?

Sono finiti – vivaddio – i tempi in cui le aule giudiziarie erano sale di attesa riservate ai malviventi di strada o agli assassini lombrosiani. Oggi c’è spazio – ma proprio tanto spazio – per i finti “signori” in giacca e cravatta che pensano di potere fare i furbetti ai danni degli onesti e dei lavoratori realmente per bene.

Gli strumenti di legge oggi ci sono, e solo lì, che aspettano di essere sbattuti in faccia a chi pensa di poterli scaltramente aggirare e calpestare.

Cominciamo a farlo. La rivoluzione di testa non aspetta altro…

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