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#riforma #PA #segretaricomunali Pauperismo senza meritocrazia

Pubblicato il 14 giugno 2014 di rilievoaiaceblogliveri

E’ osannata da tutti i giornali come la riforma della PA che cambia l’Italia, all’insegna dell’efficienza e anche della meritocrazia.

Purtroppo, si tratta dell’ennesimo intervento normativo stile riforma delle province: un’accozzaglia di norme mal congegnate, caotiche, di pessima qualità e dagli effetti ancora peggiori, che, però, deve essere fatta passare come il viatico per la soluzione dei problemi del Paese.

Non conta nulla che la riforma contenga disposizioni in plateale contrasto con le enunciazioni e di utilità zero per i cittadini.

Si prendano due esempi. Il decreto legge prevede:

            a) l’abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria;

            b) l’abolizione dell’incentivo per la progettazione delle opere pubbliche (il 2% della somma a base di gara) e per la redazione dei connessi atti di pianificazione.

Tutto ciò che determini la riduzione dei trattamenti economici di chiunque, ma soprattutto dei lavoratori pubblici suscita, senza esitazione alcuna, l’ovazione da parte delle moltitudini. Da anni e anni, ormai, l’attacco a quello che dovrebbe essere un bene di tutti, la pubblica amministrazione e coloro che la compongono, è oggetto di scherno, derisione, attacchi.

Chiaro che presentare al popolo, composto, è bene ricordarlo, sempre da “tricoteuse” lietissime di veder cadere le teste degli altri e a respirare l’dore acre del sangue, la riduzione degli stipendi di qualcuno è mossa demagogicamente accorta e apportatrice del medesimo consenso di chi al bar annuncia di voler offrire il prossimo giro.

Se vi fosse, tuttavia, la ricerca della razionalità o della vera efficacia delle norme, non ci si dovrebbe fermare all’esultanza acritica e all’intonazione dei peana per qualsiasi norma venga approvata, ma guardare nel profondo delle cose.

Ora, se l’abolizione degli istituti remunerativi citati prima consentisse il rilancio dell’economia e degli investimenti, nonché la riduzione del debito pubblico e l’estensione degli 80 euro famosi anche a chi un reddito proprio non lo percepisce, non ci sarebbe che da rallegrarsi della scoperta di simile uovo di Colombo, chiedendosi perché mai nessuno ci abbia pensato prima.

La realtà, tuttavia, è ben diversa. Nessuno, infatti, degli effetti descritti prima si potrà verificare.

Gli incentivi per i segretari comunali che rogano i contratti ed i tecnici che progettano a ben vedere non costituiscono, infatti, un costo per le amministrazioni pubbliche. Anzi, si tratta(va) di uno dei pochi casi nei quali una specifica remunerazione professionale era specificamente finanziata.

Infatti, i diritti di rogito altro non sono se non una compartecipazione ad un’entrata incassata dai comuni, a seguito della stipulazione dei contratti e, per altro, incontravano il limite del terzo del trattamento economico dei segretari comunali. L’incentivo per i progettisti, invece, traeva la sua fonte di finanziamento dal quadro economico complessivo dell’opera.

Non c’era, dunque, nessuna esigenza né di risparmio, né di redistribuzione della ricchezza. Tanto è vero che le risorse connesse a questi incentivi aboliti restano acquisiti ai bilanci degli enti e, per la loro entità, non sono in grado di determinare alcun cambiamento decisivo alle sorti dei bilanci, mentre, invece, costituiscono certamente un passo nella direzione opposta alla sbandierata “meritocrazia” e “valutazione” della professionalità.

Il Governo ha indicato che occorre modificare la PA “a partire dagli uomini”. Affermazione, questa, che lascia immaginare una valorizzazione del lavoro, ovviamente connessa ad una sfida sulla produttività ed il miglioramento continuo.

Si tratta, invece, si uno slogan vuoto, ottimo per lasciare la sensazione che la riforma vada nella direzione giusta nei confronti di chi non voglia o non abbia gli strumenti per analizzare nel dettaglio i contenuti della riforma.

Infatti, lungi dal valorizzare le professionalità, in omaggio alle tricoteuse del demos si adotta una politica che è solo pauperismo. Si tagliano, dunque, remunerazioni che altro non erano se non compartecipazioni ad entrate, connesse ad investimenti (i diritti di rogito sono particolarmente finanziati dalle opere pubbliche), abbandonando totalmente il concetto dell’opportunità di attribuire specifici incentivi per particolari professionalità.

Su qualche giornale nei giorni scorsi è perfino apparsa la notizia, sbagliata, secondo la quale per effetto della riforma i segretari comunali non cogiteranno più i contratti. Non è così, almeno per ora e almeno fino alla definitiva riforma della dirigenza locale. Se così fosse, letricoteuse non sanno che i comuni e le province dall’abolizione dei diritti di rogito non solo non guadagnerebbero un gran che (la compartecipazione dei segretari era limitata al 10% della connessa entrata), ma addirittura spenderebbero molto di più, perché dovrebbero rivolgersi all’opera dei notai.

Il rischio di un incremento dei costi vivi si apre, adesso, per la progettazione delle opere pubbliche. E’ assai probabile che il numero delle progettazioni interne, eliminato l’incentivo, si riduca drasticamente, con simmetrico aumento degli incarichi a professionisti esterni, che certo – per quanto le tariffe siano ormai molto basse – non si contentano di un 2% dell’importo a base di gara.

Comprendere fino in fondo, allora, quali siano le meditazioni che stanno dietro le riforme approvate in questi giorni, appare molto difficile, se a tali pensieri si voglia attribuire un minimo di razionalità ed utilità. Se ci si rassegna a prendere per buono acriticamente ogni decisione, oppure a ritenere che lo scopo delle leggi non sia il bene e l’utilità comune, ma solo la formazione del consenso, allora la comprensione di tali decisioni risulta molto più semplice.

 

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