responsabile della prevenzione della corruzione e conflitto di interessi

“Lo scrivente_______________, segretario comunale in servizio presso il Comune di_______________, rappresenta quanto segue.

Com’è noto, la legge 190/2012 prevede l’istituzione di un responsabile della prevenzione della corruzione; in particolare, l’articolo 1, comma 7, recita: “Negli enti locali, il responsabile della prevenzione della corruzione è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione”; il Dipartimento della Funzione Pubblica ha recentemente provveduto a fornire chiarimenti in merito alla predetta legge con la circolare nr.1/2013.

In capo al predetto Responsabile sono previste numerose incombenze (ad esempio, quelle di cui all’articolo 1, commi 8, 9 e 10) e una particolare forma di responsabilità aggravata (ai sensi del successivo comma 12), salvo che egli “provi tutte le seguenti circostanze:

a)-di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo;

b)-di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano”.

La stessa legge, tuttavia, all’articolo 1, comma 44, prevede: “Nel capo II della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo l’articolo 6 è aggiunto il seguente:

«Art. 6-bis. (Conflitto di interessi) 1. Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale».”

L’introduzione delle predette disposizioni nell’ordinamento, a parere dello scrivente, genera una palese antinomia.

E’ noto, infatti, che il segretario comunale è nominato intuitu personae dal sindaco; in disparte ogni altra considerazione, è di palmare evidenza che tale fattispecie palesa un conflitto di interessi, almeno potenziale, che genera incompatibilità rispetto allo svolgimento della predetta funzione di controllo.

In proposito, la predetta circolare DFP n.1/2013 è assai incisiva laddove testualmente precisa: “In proposito, considerato il ruolo e le responsabilità che la legge attribuisce al responsabile della prevenzione, è importante che la scelta ricada su un dirigente che si trovi in una posizione di relativa stabilità, per evitare che la necessità di intraprendere iniziative penetranti nei confronti dell’organizzazione amministrativa possa essere compromessa anche solo potenzialmente dalla situazione di precarietà dell’incarico. Pertanto, l’affidamento dell’incarico a dirigenti titolari ex art. 19, commi 5 bis e 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 andrebbe operato solo in ipotesi eccezionali, previa adeguata motivazione. E’ in ogni caso da escludere la nomina di dirigenti inseriti nell’ufficio di diretta collaborazione per la particolarità del vincolo fiduciario che li lega all’autorità di indirizzo politico e all’amministrazione”. La stessa circolare, poi, offre significativi esempi di incompatibilità: “Nell’effettuare la scelta occorre tener conto dell’esistenza di situazioni di conflitto di interesse, evitando, per quanto possibile, la designazione di dirigenti incaricati di quei settori che sono considerati tradizionalmente più esposti al rischio della corruzione, come l’ufficio contratti o quello preposto alla gestione del patrimonio. Occorre riflettere attentamente sull’opportunità che venga nominato responsabile della prevenzione il dirigente responsabile dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari, situazione che parrebbe realizzare un conflitto di interesse e quindi un’incompatibilità”.

Lo scrivente, perciò, in qualità di segretario comunale, si trova in un’evidente condizione di conflitto d’interessi, almeno potenziale, rispetto all’incarico de quo:

1)-qualora incaricato di responsabilità di servizi come quelli esemplificati dalla circolare, evento tutt’altro che raro soprattutto negli Enti minori;

2)-anche se non incaricato della responsabilità dei predetti servizi, in quanto soggetto tenuto a rendere i pareri, “in relazione alle sue competenze”, ex articolo 49, comma 2, del D.Lgs. n.267/2000, nel caso in cui l’ente non abbia i responsabili dei servizi nella materia oggetto di deliberazione;

3)-anche se non tenuto a rendere i pareri di cui al precedente punto 2), in virtù della ormai consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, che interpreta l’articolo 97 del D.Lgs. n.267/2000 come norma che impone, tra i doveri del segretario comunale, “anche quello, fondamentale, di esprimere pareri di legittimità sulle delibere dell’ente locale” (ex multis, Corte dei Conti – Sezione III Giurisdizionale Centrale d’appello, sentenza n. 40/2013);

4)-in ogni caso, in quanto funzionario pubblico nominato fiduciariamente dal sindaco, e il cui rapporto fiduciario che lo lega all’autorità di indirizzo politico e all’amministrazione deve necessariamente permanere durante lo svolgimento dell’incarico a pena del regolare svolgimento dell’azione amministrativa.

 

Tanto premesso, la citata novella alla legge n.241/1990 impone allo scrivente, titolare di un rapporto di lavoro con il Ministero dell’Interno, di segnalare alla E.V., prima della nomina a responsabile anticorruzione, la sopra descritta potenziale situazione di incompatibilità in cui versa, che lo obbligherebbe ad astenersi dallo svolgimento delle attività correlate alla nomina suddetta.

Per inciso, la disposizione di cui all’articolo 6-bis della legge n.241/1990 appare, in realtà, come la trasposizione in enunciato legislativo di un precetto immanente nel vigente ordinamento, come evidenziato in modo assai pregnante dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, da ultimo con la sentenza 13 novembre 2012, n.19704, laddove si fornisce una condivisibile lettura del codice di procedura civile che scaturisce dall’intreccio con la norma penale; lettura che sembra, altresì, applicabile anche alla fattispecie in discussione. La Suprema Corte statuisce quanto segue: ”L’art. 323 c.p., nella redazione della L. 16 luglio 1997, n. 234, art. 1 ha riordinato la disciplina dell’obbligo di astensione, dettando una norma di carattere generale e coordinando con quella le norme speciali che prevedono casi diversi e ulteriori in cui detto obbligo rimane vigente. Con il richiamo generalizzato, contenuto nel citato articolo, di tutte le norme che disciplinano casi specifici di obbligo di pubblici ufficiali di astenersi, si è risolto preventivamente e in radice qualsiasi contrasto delle norme speciali con la disposizione di carattere generale, che prevale sulle altre nei limiti della propria statuizione. In altri termini il richiamo – esteso, secondo lo schema della norma penale in bianco, anche alle norme speciali di futura emanazione – delinea un sistema in cui l’ipotesi di carattere generale e quelle particolari risultano armonizzate grazie a un effetto parzialmente abrogante che esclude ogni possibile contrasto.

4.4. Con l’espressione “omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto” l’art. 323 c.p. ha fondato un dovere generale di astensione in ipotesi che configuri oggettivamente un conflitto, anche solo potenziale, di interessi.

Va specificato che tale obbligo generalizzato di astensione sussiste per il solo fatto della presenza di un “interesse proprio o di un prossimo congiunto”, mentre non occorre che l’interesse sia finalizzato “a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri”. (…)va osservato che l’obbligo di astensione in presenza di interesse proprio o di prossimo congiunto, mirando a prevenire in radice il conflitto di interesse anche solo potenziale, rappresenta una modalità di attuazione del principio di imparzialità a cui deve ispirarsi tutta l’attività dei pubblici ufficiali, a norma dell’art. 97 Cost. (…).

4.5. Con l’ulteriore espressione “negli altri casi prescritti” l’art. 323 c.p. ha statuito che l’omessa illegittima astensione possa realizzarsi non solo in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, ma in tutte le altre situazioni in cui possa profilarsi un conflitto che scaturisca da un interesse diverso da quello proprio o di un prossimo congiunto. Solo in questa ipotesi è necessario che detto obbligo di astensione (…), derivi da specifiche norme legislative o da regolamenti”.

Dalla sentenza si evince che l’antinomia palesata, derivante dalla lettura sistematica delle norme applicabili alla fattispecie – e secondo l’interpretazione fornita dal DPF, la quale non può essere, evidentemente, risolta né con il criterio cronologico né con quello gerarchico, non parrebbe risolvibile nemmeno con il criterio della specialità: come evidenzia la Suprema Corte, l’ “effetto parzialmente abrogante” generato dall’articolo 323 c.p. ha effetto anche sulla norma speciale di futura emanazione (i.e., quella contenuta nella legge 190/2012) per escludere “ogni possibile contrasto”.

In ogni caso, pare fuor di dubbio che il dovere di astensione del pubblico ufficiale in caso di conflitto di interesse rientri nei principi generali dell’ordinamento giuridico, secondo la definizione di essi data dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.1107/1988.

Per quanto sopra esposto, con la presente chiedo, pertanto, alla E.V. l’indicazione delle linee di indirizzo da adottare al fine della applicazione della legge in oggetto.

Con osservanza.

 

 

 

 

 

 

 

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