Ottime le misure annunciate dal premier. Tuttavia la repressione non basta se non si semplificano le norme e non si interviene sul rapporto patologico tra politica e amministrazione pubblica
di Sabino Cassese
Eccellenti le quattro misure annunciate dal presidente del Consiglio dei ministri (inasprimento delle pene, confisca dei beni, restituzione del maltolto, allungamento della prescrizione). Servono a sanzionare più duramente i colpevoli e a dissuadere futuri corruttori. Il presidente Renzi è, però, consapevole che vanno anche accompagnate da misure per prevenire la corruzione, per creare le condizioni istituzionali che la impediscano. Ha, infatti, detto che vuol «fare di tutto» per combattere il malaffare amministrativo, anche con altre norme e con l’educazione, senza fare sconti.
E allora, in attesa del processo (che sia sollecito) e considerando l’accusa, val la pena di riflettere sulle condizioni istituzionali che hanno consentito la corruzione romana: che cosa non funziona nelle amministrazioni e ha reso possibile un così esteso e multipartitico sistema corruttivo, che ha coinvolto la gestione dei campi profughi, l’assistenza agli immigrati, l’agenzia per le case popolari, la manutenzione delle piste ciclabili, la manutenzione delle aree verdi, i servizi di igiene urbana, la raccolta differenziata, gli interventi per il maltempo, la gestione delle gare, molti uffici amministrativi? Guardando al di là della cronaca, quali lezioni possono trarsi dalle accuse, che servano a prevenire ulteriori fenomeni di cattiva amministrazione e di criminalità?