11/04/2022 l principio di sussidiarietà orizzontale nella valorizzazione dei beni culturali: una possibile leva nel processo di riqualificazione territoriale.

Sommario: 1. Premessa. 2. Beni culturali e turismo: un ambito di applicazione privilegiato per il principio di sussidiarietà orizzontale. – 2.1. Partenariato e contratto di sponsorship: prospettive e opportunità. – 3. I beni culturali nel modello di ripartizione delle competenze: l’assetto post riforma del Titolo V. – 4. Il turismo culturale tra opportunità e prospettive. – 4.1. La gestione dei centri storici: un difficile contemperamento di interessi per la definizione di una strategia di successo. – 4.2. Overtourism: costi, effetti e fattori scatenanti. – 4.3. Uno sguardo oltre l’overtourism: le possibili soluzioni. – 4.4. Civita di Bagnoregio: la città che risorge. – 5. Le nuove frontiere del turismo: il turismo esperienziale. – 6. Il principio di sussidiarietà orizzontale “preso sul serio”: l’importanza della valorizzazione delle istanze più vicine al cittadino come chiave di volta di una nuova politica di valorizzazione dei beni culturali.

 

  1. Premessa.

 

I beni culturali racchiudono in sé le espressioni creative più preziose dell’eredità degli uomini del passato e rappresentano, al contempo, un inestimabile lascito per gli uomini del futuro. Per questo motivo può risultare utile ripercorrere le tappe concettuali di un cammino logico che muove dalla tutela e arriva fino alle nuove forme di turismo, cercando di fissare qualche punto di riferimento che ci permetta di costruire un impianto adeguato per rilanciare un settore capace di far da traino alla ripresa dell’intero Paese.

Non a caso i Padri Costituenti, già nei principi fondamentali, sancivano il dovere, in capo alla Repubblica, di promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, nonché di tutelare il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione (art. 9 Cost.).

Negli anni, la nozione di tutela si è riempita di nuovi contenuti[1] fino a riconoscerne, nel binomio con la valorizzazione (profilo emerso a livello costituzionale soltanto a partire dal 2001), un’esigenza di reciproca funzionalità per cui la prima si pone come prerequisito essenziale per la seconda, ma non si esaurisce se non attraverso un’adeguata promozione: da qui l’esigenza di innalzarne le possibilità di fruizione.

E’ in questo passaggio che è possibile ravvisare il ruolo chiave dei cittadini: i beni culturali, infatti, per il loro intimo legame con la comunità di riferimento giocano un ruolo decisivo nel rinsaldare il rapporto con il territorio, nella nuova ottica di un principio di sussidiarietà orizzontale capace di far compiere al cittadino un vero e proprio salto di qualità in cui, quest’ultimo, non rivesta più il ruolo di suddito di un’amministrazione opaca, ma piuttosto di vero e proprio partner di un’amministrazione condivisa.

In altre parole, è senz’altro possibile affermare che la piena valorizzazione non potrà avvenire se non sfruttando al massimo le sinergie offerte dal principio di sussidiarietà con la comunità di riferimento, depositaria e custode della vera essenza del proprio territorio, rappresentandone, al contempo, una delle opportunità economicamente più rilevanti per lo sviluppo dell’economia territoriale e una delle occasioni su cui provare a sperimentare quelle buone pratiche di governo che richiedono la capacità di fare sistema tra i differenti poteri che insistono sul territorio.

Per questo si rende necessario innalzare il livello di partecipazione dei portatori di interesse all’interno delle arene decisionali: ciò contribuirebbe, se non a incrementare quei meccanismi rivolti alla formazione del consenso, quantomeno al superamento del dissenso, per ricucire un circuito democratico troppo spesso minacciato da derive plebiscitarie e pulsioni antisistema. Purtroppo, il quadro delineato dal Titolo V non aiuta a raggiungere questo scopo ed anche in ambito di beni culturali è riuscito, in questo ventennio, a dar vita ad una selva di rapporti tra legislazione statale, regionale, e attività amministrativa degli enti locali difficile da sbrigliare producendo, così, soltanto incertezza.

Se, come abbiamo detto, la cultura può diventare, in questo senso, uno straordinario traino nel processo di riqualificazione territoriale e di sviluppo locale, allora il turismo ne diventa il naturale catalizzatore: da un lato si propone, infatti, come il collante necessario per rilanciare una coesione sociale sempre più incerta, dall’altro come l’unica ancora di salvataggio, anche nell’ottica comunitaria, per incentivare l’integrazione e salvaguardare un multiculturalismo sempre più in difficoltà.

Il nuovo concetto di cultura ha allargato i propri confini verso l’intangibile fino a ricomprendervi le arti popolari, stili di vita, scienza, tecnologia, cibo locale e produzioni contemporanee, spingendo verso nuove forme di turismo a forte valenza esperienziale ed emozionale: un vero e proprio momento di intrattenimento che sfugge dalle tradizionali modalità di fruizione passiva, condividendo valori e producendo non più vacanze, ma ricordi ed esperienze.

Proprio per questo è quantomai necessario arginare le degenerazioni del turismo attraverso politiche lungimiranti in grado di porre un freno sia al fenomeno del c.d. overtourism, capace di produrre conseguenze negative non solo nei confronti dei residenti ma degli stessi turisti riducendone la qualità dell’esperienza, sia ad una gestione disattenta e disordinata dei centri storici, oggi, sempre più preda di degrado, gentrificazione e desertificazione.

Le nuove esigenze del turismo creativo propongono, invece, un’immersione del visitatore nella cultura del quotidiano spingendo, così, i turisti verso una partecipazione attiva che trasferisca autenticità all’esperienza e richiedono politiche lungimiranti capaci di estendere l’effetto moltiplicatore delle spese culturali, ma con attenzione a ridurre le esternalità negative che una gestione disattenta, o troppo orientata alla ricerca del consenso nel breve periodo come spesso accade in politica, è in grado di generare.

 

 

  1. Beni culturali e turismo: un ambito di applicazione privilegiato per il principio di sussidiarietà orizzontale.

 

La valorizzazione dei beni culturali, per il suo intimo legame con il territorio e la comunità di riferimento, porta con sé riflessioni circa il ruolo decisivo giocato dai cittadini proprio alla luce di quel principio di sussidiarietà orizzontale enunciato dal IV comma dell’art. 118 Cost. Diventa, pertanto, fondamentale individuare strategie capaci di stabilire una connessione tra beni culturali e la comunità di riferimento e di riconoscere, quindi, un ruolo determinante dei cittadini in tal senso: nessuna forma di stato, infatti, può definirsi democratica se ignora o dimentica le opportunità di dialogo istituzionale con i propri cittadini[2].

Con il principio di sussidiarietà orizzontale si è tentato di scardinare il tradizionale modello gerarchico, verticale, unidirezionale, caratterizzato da un’azione di tipo autoritativo che incideva in modo unilaterale in capo agli stessi cittadini che avevano dato avvio al circuito democratico. In altre parole, l’obiettivo, ambizioso, è quello di compiere un netto di salto di qualità circa il ruolo dei cittadini visti, questi ultimi, non più come sudditi di un’amministrazione opaca, tenuti a subire l’effetto dell’azione amministrativa senza potervi incidere in alcun modo, ma piuttosto veri e propri protagonisti di un nuovo paradigma non più verticale, ma orizzontale, non più bipolare, ma multipolare, non più gerarchico, ma paritario. Un nuovo paradigma che, a dire il vero, non può sostituirsi del tutto al precedente[3], ma vi si affianca dando vita così ad un modello di amministrazione condivisa.

Tutto ciò diventa ancor più importante quando parliamo di beni culturali che si inseriscono in un quadro, qual è quello delineato dall’art. 9 Cost., caratterizzato dal principio della reciproca funzionalità, c.d. teoria della cura, per cui esiste un legame circolare fra tutela e valorizzazione, con la prima prerequisito essenziale per garantire la promozione della cultura, ma senza dimenticare che nessun bene può considerarsi adeguatamente tutelato se non anche opportunamente valorizzato[4]. L’esigenza è quella di individuare, dunque, un ragionevole trade off tra intervento pubblico e azione privata che sia capace di combinare quel valore obiettivo consacrato proprio dall’art. 9 Cost.[5].

Per questo si è posta in dottrina l’esigenza, innanzitutto, di chiarire la portata del principio di sussidiarietà che, nel corso del tempo, ha suscitato sensibilità diverse. Nella sua accezione economica, secondo la versione liberista[6], l’intervento dello Stato è concepibile solo in via suppletiva nel caso di incapacità da parte dell’individuo di autodeterminarsi. Perciò lo Stato sarebbe chiamato a intervenire solo nei casi di market failures, ma tale impostazione prende in considerazione solo l’output senza chiedersi a quali condizioni esso venga di fatto realizzato. L’impostazione liberista, infatti, ignora le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza e si concentra solo sulla somma complessiva[7]. In altre parole, si tenta di affermare, in questo modo, che l’unica strada per porre rimedio alle diffuse situazioni patologiche nella gestione dei pubblici poteri e per innalzare la qualità del prodotto è quella di spostare l’azione dallo Stato al mercato lasciando alla concorrenza fare il suo gioco[8].

Superando la mera visione economistica, il significato più profondo del principio è, invece, da ravvisare in quel primato etico della persona rispetto allo Stato, sia come singolo, sia all’interno delle formazioni sociali in cui si esplica la sua personalità. Lo Stato, infatti, deve far in modo che le articolazioni della società si sviluppino spontaneamente senza pretendere di assorbirle[9]: “La persona precede lo Stato ed è ingiusto o illecito togliere agli individui ciò che possono svolgere utilmente con le proprie forze[10]. Una visione di questo tipo implica una spinta verso quella cittadinanza di azione che sia capace di valorizzare la creatività e la genialità dei singoli e delle formazioni sociali ove, inevitabilmente, la personalità di questi ultimi si esplica. Un principio che, insomma, non può essere svilito dalla lettura neoliberista ma che ha radici più profonde che, talvolta, sconfinano nel sacro[11].

Piuttosto, occorre fare attenzione che la sussidiarietà, nel suo versante decisionale, che presuppone un innalzamento dei livelli di condivisione con i cittadini della decisione, possa intaccare il principio maggioritario, sostituendo la decisione della società civile a quella del rappresentante democratico. Il rischio, infatti, è che un principio nato per ovviare alle condizioni di debolezza dei cittadini finisca per determinare, in realtà, la debolezza della democrazia compromettendo così il corretto funzionamento di un già precario circuito democratico.

Sul versante dell’azione, invece, soprattutto in periodi di crisi dove le situazioni di debolezza si moltiplicano e le risorse si riducono, si rivela un validissimo alleato per perseguire quell’eguaglianza sostanziale prevista dall’art. 3 II c. Cost., tanto da parlare di una nuova forma di esercizio della sovranità popolare che contempli le tradizionali forme della partecipazione politica e amministrativa. Una democrazia pluralistica che, insomma, sappia far da correttivo alle carenze della democrazia maggioritaria senza per questo comprometterla[12]. Ciò che, piuttosto, occorre scongiurare è che la Repubblica si sgravi per intero del perseguimento dell’eguaglianza sostanziale per affidarla interamente alla società civile. Per questo occorre ribadire la necessità che all’iniziativa dei privati si affianchi e non si sostituisca alla società civile. Purtroppo, in Italia, invece, il principio di sussidiarietà troppe volte ha finito per essere rovesciato: non è lo Stato che aiuta la società civile a fare quello che deve fare, ma, viceversa, è lo Stato che si fa aiutare dalla società civile a colmare le sue lacune.

La lettura corretta del principio di sussidiarietà orizzontale, dunque, è coerente con una visione per cui le funzioni pubbliche, laddove sia possibile, conveniente ed equo, debbono essere affidate alla partecipazione in via primaria dei cittadini, in particolare attraverso le formazioni sociali, con le Amministrazioni che siano attente a fornire quel supporto necessario dando vita, così, ad un sistema di sussidiarietà circolare che, da un lato, rivaluti il ruolo dei cittadini verso il nuovo prototipo del cittadino partner: vero e proprio custode dei beni comuni, sui quali, questi ultimi, da un lato, esercitino un vero e proprio “diritto di cura” che vada oltre il diritto di proprietà, e dall’altro, consenta all’Amministrazione di concentrare le proprie energie proprio a individuare e rimuovere quegli ostacoli che di fatto possono limitare la libertà e l’uguaglianza ex art. 3 Cost.

Due attori, dunque, che sappiano spalleggiarsi colmando l’uno le lacune dell’altro per favorire un fermento che nella società civile è più che mai vivo ed è rivolto alle fasce più deboli della popolazione grazie all’azione di quelle realtà di stampo caritatevole che svolgono un ruolo prezioso di supplenza di istituzioni sempre più spesso in difficoltà nel prendersene cura. Il traguardo di questo percorso deve essere comune verso una società più equa e più attenta alle categorie più fragili.

Calando queste riflessioni nel mondo dei beni culturali è piuttosto facile comprendere come, per un Paese come l’Italia, depositario di un patrimonio storico-artistico smisurato, con risorse sempre più risicate e dove la gran parte della proprietà di tali beni fa capo ai privati, occorra, più che mai, individuare strategie di governo capaci di riconoscere potere di intervento ai cittadini nell’ambito dell’esercizio delle funzioni, idea coerente con la concezione della cultura configurata come risorsa collettiva capace di esprimere potenzialità di sviluppo per l’intero corpo sociale[13].

Il binomio tutela-valorizzazione riesce ad assicurare al contempo, benefici alle attività collegate ma si spinge oltre per favorire quel progresso socio-culturale della collettività in cui i beni sono collocati. La cultura, quindi, può diventare uno straordinario traino nel processo di riqualificazione territoriale e di sviluppo locale, a condizione che siano individuate quelle formule adatte perché ciò possa accadere. Il fattore chiave di successo passa per la capacità di introdurre nuovi modelli organizzativi fondati sul paradigma orizzontale capaci “di creare valore per la comunità nel cui contesto i beni sono inseriti a partire già dalla fase programmatoria[14].

Per questo è essenziale che, una volta individuati opportunamente gli obiettivi e definite le modalità di raggiungimento, si verifichi, innanzitutto, se nella collettività vi sia chi è in grado di farlo[15]. Escludere a priori la collaborazione con il privato è insensato e anacronistico, soprattutto dal punto di vista finanziario[16]: sono, quindi, da salutare con favore le iniziative di quei comuni che hanno adottato modelli orizzontali di cooperazione tra cittadini e PA che vanno al di là del tradizionale modello autoritativo, e si basano su Regolamenti, con l’obiettivo di valorizzarne il ruolo attivo ed innalzare i livelli di partecipazione politico-amministrativa, incrementando, al contempo, il livello di efficacia nella soddisfazione del bisogno e rinsaldando, finalmente, quel rapporto tra territorio, comunità e patrimonio culturale. Si tratta di vere e proprie forme innovative di gestione dei beni pubblici che si traducono in esperienze virtuose di sperimentazione democratica intese come l’individuazione di modelli, formule e luoghi nei quali possa accrescere con metodo il grado di democraticità dell’ordinamento nella nuova prospettiva di un’amministrazione condivisa[17]. Esperienze che, quindi, si pongono al di fuori del tradizionale circuito politico-rappresentativo e che avvicinano realmente cittadini e amministrazioni per dar vita ad un modello che potrebbe essere definito “a responsabilità diffusa” in cui federalismo, sussidiarietà verticale e orizzontale si intersechino in nome di un’effettiva solidarietà sociale in chiave partecipativa[18].

Ciò che occorrerebbe valorizzare pare essere un’effettiva partecipazione dei portatori di interesse all’interno dei processi decisionali soprattutto attraverso quei percorsi di progettazione partecipata attraverso public call volti a generare un cambiamento condiviso nelle pratiche di valorizzazione dei beni comuni[19]. Ciò permetterebbe di incrementare quei meccanismi rivolti alla formazione del consenso, o quantomeno al superamento del dissenso[20], e costituirebbe, un primo passo, per ricucire quel circuito democratico sempre più minacciato da pulsioni antisistema e derive plebiscitarie che solo un’iniezione di credibilità nei confronti delle istituzioni può curare. Sarebbe, a tal proposito, opportuno una loro collocazione strategica stabile all’interno delle arene decisionali per renderle un vero e proprio metodo di governo, anziché viverle alla stregua di esperienze isolate e occasionali.

A questo punto, appare piuttosto chiaro il legame strettissimo tra patrimonio culturale e turismo: con il primo che diventa prerequisito essenziale per lo sviluppo sostenibile del turismo definendone un’identità unica, e con il secondo che, a sua volta, ne rappresenta un formidabile strumento per assicurare la conoscenza e la diffusione dei nostri beni culturali, sostenendone la piena valorizzazione. Il positivo raccordo tra la cultura e il turismo non potrà dunque che essere fecondo, perché valorizzerà le potenzialità dell’uno e dell’altro settore, senza però intaccarne le complesse e specifiche peculiarità[21].

Questo binomio si può sviluppare in tanti modi, ma soprattutto creando percorsi di senso, ben focalizzati in ambiti territoriali specifici, in modo che la visita a un museo, a una città d’arte o a un parco naturale non sia semplicemente un passare in rassegna una serie di capolavori o di monumenti, ma si traduca in un cammino storicamente e culturalmente coerente, o in molti possibili cammini paralleli. Il bene culturale diventa così un indice di un’identità, segno di un percorso di civiltà che deve appartenere, con piena coscienza, alla comunità in cui esso si colloca[22].

 

Ecco, quindi, che la piena valorizzazione non potrà che avvenire sfruttando al massimo le sinergie offerte dal principio di sussidiarietà con la comunità di riferimento, depositaria e custode della vera essenza del proprio territorio, rappresentandone, al contempo, una delle opportunità economicamente più rilevanti per lo sviluppo dell’economia territoriale e una delle occasioni su cui provare a sperimentare quelle buone pratiche di governo che richiedono la capacità di fare sistema tra i differenti poteri che insistono sul territorio.

 

 

2.1. Partenariato e contratto di sponsorship: prospettive e opportunità.

 

Nel solco di una nuova collaborazione con il privato, sempre con l’intento di reperire le risorse necessarie per tutelare e valorizzare un patrimonio ampio e smisurato, è intervenuto anche il legislatore del 2016 con una nuova regolazione del contratto di sponsorship[23], introducendo un procedimento semplificato che impone la preventiva pubblicazione, per almeno 30 giorni, sul sito istituzionale della PA sponsee, di un avviso pubblico in cui si ravvisi il ricevimento di una proposta di sponsorship ovvero la ricerca dello sponsor, nella prima ipotesi viene reso noto il contenuto della proposta di sponsorship e, in entrambi i casi, deve essere precisato oggetto, tipo di sponsorship offerta ed abbinamento pubblicitario richiesto o offerto. Decorso inutilmente il termine dell’avviso la PA è tenuta a procedere al closing[24].

Si configura, così, un’amministrazione dotata di ampia discrezionalità sia nell’individuazione dello sponsor che nella successiva negoziazione in termini di iniziativa o progetto sponsorizzato, modalità di promozione del marchio etc. Riassumendo il quadro delineato dall’art. 19 del D.Lgs. 50/2016 e ss.mm.ii., prevede: al c. 1 un procedimento semplificato per i contratti sopra soglia, al c. 2 la necessità, comunque, di verificare i requisiti esecutori in caso di sponsorizzazioni tecniche. Il tutto completato dalla previsione di cui all’art. 151 III comma del suddetto D. Lgs. 50/2016 per cui, al fine d assicurare la fruizione del patrimonio culturale della Nazione, lo Stato, le Regioni e gli altri enti territoriali possono attivare forme speciali di partenariato con enti o organismi pubblici e con soggetti privati attraverso procedure semplificate ulteriori, aprendo così le porte ad una partecipazione attiva dei soggetti interessati e al contempo sperimentando forme innovative di partnership in funzione della miglior valorizzazione dei beni culturali in modo da aderire, in maniera più incisiva, proprio al principio di sussidiarietà orizzontale con l’auspicio che sia i privati che le amministrazioni siano in grado di cogliere le novità non solo per i beni più rilevanti, per loro natura più appetibili al privato, ma sull’intero patrimonio culturale, soprattutto quello in mano agli enti territoriali che devono essere capaci di comprendere la fattispecie aperta disegnata dal legislatore per cucire nuovi abiti su misura con le realtà territoriali rinsaldando così l’identità del territorio e rendendo chiaramente distinguibili le peculiarità dell’offerta turistica. La capacità di individuare nuove forme di collaborazione più adeguate coinvolgendo le realtà territoriali, oltre ad aderire alla nuova concezione del principio di sussidiarietà orizzontale, è senza dubbio un alleato strategico per costruire un’offerta unica e coerente rafforzando il legame identitario tra territorio e operatori, pubblici e privati, che rappresenta, senza dubbio, un elemento di successo.

 

 

  1. I beni culturali nel modello di ripartizione delle competenze: l’assetto post riforma del titolo V.

 

La Riforma del Titolo V del 2001 ha rappresentato un passaggio cruciale nell’attuale assetto della ripartizione delle competenze tra centro e periferia. Il dibattito, circa i meccanismi individuati dal legislatore costituzionale nell’allocazione delle competenze, a vent’anni dall’entrata in vigore, rimane accesissimo e si alterna tra spinte centripete e istanze di autonomia ancor più marcate.

Innanzitutto, abbiamo assistito ad un radicale ripensamento della posizione in cui si trovano gli elementi costitutivi della Repubblica. Già la nuova formulazione dell’art. 114 offre indicazioni importanti in tal senso: Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni sono tutti, in modo paritario, elementi costitutivi della Repubblica. Repubblica che, pertanto, non coincide più con lo Stato ma lo ricomprende assieme, ed al pari, degli altri elementi appena ricordati. Con la nuova formulazione dell’art. 117 assistiamo, poi, come è noto, ad una vera e propria parificazione delle potestà legislative regionali e statali che si configurano ormai come fonti pari ordinate e distinte tra loro solo per i diversi ambiti di competenza e che trovano nell’ordinamento comunitario, assieme alla Costituzione, un vincolo immediato e diretto sancendone così il definitivo riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico.

Allo Stato è riservata la potestà legislativa esclusiva nelle materie di cui al II comma, salvo poi riconoscerne la competenza nel fissare i principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente individuate al comma successivo. Alle Regioni, invece, viene rimessa la c.d. competenza residuale o generale (IV c.) e sono chiamate a svolgere il ruolo di nuovo protagonista (almeno sulla carta). In realtà, invece, gli ambiti di intervento del legislatore statale sono stati configurati come vere e proprie materie trasversali: un espediente per poter intervenire nelle materie di competenza regionale. Purtroppo, il criterio di ripartizione per materie è stato spesso contaminato con quello per funzioni finendo, così, per dar vita a competenze trasversali alle stesse materie[25]. Le formulazioni generiche spesso utilizzate (vedi ad esempio il termine tutela) combinate con competenze trasversali, in grado di muoversi in modo orizzontale nell’ordinamento abbracciando gli interessi più vari, assieme al potere di fissare principi negli ambiti di legislazione concorrente (con l’unico limite di non potersi spingere verso una compressione in senso verticale che esaurisca o addirittura esautori le prerogative del legislatore regionale) ed un sistema di competenze a cascata (vedi ad esempio quanto previsto in tema di istruzione[26]), sono tutti fattori dal quale emerge un quadro fumoso e frammentato in cui i margini di manovra regionali sono piuttosto risicati, per non dire compromessi, finendo così per dar vita a quella che e stata definita come una vera e propria “anarchia di Stato” in cui “si è aperta la strada alle troppe voci di protagonisti alla ricerca di popolarità” che “hanno cominciato a battibeccare confliggendo invece che cooperando con un tira e molla che ha prodotto soltanto incertezza[27].

È facile intuire come in un’impostazione di questo tipo, in cui lo Stato ha competenza esclusiva in una serie di materie trasversali all’interno dell’ordinamento e fissi i principi nelle materie di competenza concorrente[28], le prerogative delle regioni sfumino e il contenzioso, anche dinnanzi alla Corte Costituzionale si esasperi[29].

Con riferimento ai beni culturali la materia è suddivisa, così come rinnovata nella riforma del 2001, in due differenti aree di competenza. La Cost. affida allo Stato, infatti, la potestà legislativa esclusiva in sede di tutela dei beni culturali ed alla potestà legislativa concorrente la valorizzazione, dando così vita, anche in questo caso, ad una selva di rapporti tra la legislazione statale, quella regionale e l’attività amministrativa degli enti locali[30].

Dal punto di vista della competenza amministrativa questa spetterebbe ai comuni salvo che, per assicurare l’esercizio unitario, non venga attribuita ad un livello di governo sovraordinato. Il comma 3 dell’art. 118 dispone però che la legge statale disciplini forme di intesa e coordinamento fra stato e regioni proprio in materia di tutela dei beni culturali.

Ciò ha aperto un dibattito per cui parte della dottrina ritiene che, con riguardo alla tutela, la potestà amministrativa sia stata considerata già in Costituzione non propria dei Comuni[31]. In altre parole, il legislatore costituzionale avrebbe sottratto all’applicazione del principio di sussidiarietà verticale proprio la tutela dei beni culturali, mentre per la valorizzazione rimane intatto il principio generale restando, così, nella potestà amministrativa dei comuni [32].

Con riguardo alla potestà regolamentare, secondo quanto stabilito dall’art. 117, co. 6 Cost., quella in materia di tutela spetterebbe allo Stato (che può delegarla alle Regioni), mentre quella in materia di valorizzazione spetterebbe, invece, alle Regioni. Gli enti locali, infine, eserciterebbero la propria potestà regolamentare solo per ciò che attiene la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle «funzioni loro attribuite», le quali, nel caso di specie, consistono nei compiti di valorizzazione dei beni culturali ad essi conferiti dalla legge regionale.

Tirando a questo punto le somme possiamo affermare che si è conservata una forte impostazione statocentrica in ambito di beni culturali che, purtroppo, non porta ad altro se non ad un progressivo isolamento del ministero ed, in conseguenza, uno scollamento con il sistema regionale e locale che determina un freno allo sviluppo economico dei territori ed un progressivo scollamento della comunità politica, sociale e civile di riferimento[33].

Per questo occorre ribadire l’esigenza di rafforzare il ruolo delle comunità locali oggi ormai consapevoli delle ricchezze del patrimonio di cui dispongono la cui tutela e valorizzazione ne rappresenta una delle opportunità più rilevanti sia in termini di sviluppo, sia in termini di mobilità, sia in termini di turismo[34]. Un patrimonio culturale così esteso, infatti, non può che essere affidato alla capacità della comunità civile di riconoscerlo come fondamento della propria identità ed, al contempo, come fattore propulsivo del proprio sviluppo[35].

Con riguardo al turismo, invece, l’espressione turismo e attività alberghiera, dopo la riforma del 2001, non trova un’espressa indicazione né tra le materie di competenza statale, né tra quelle di competenza concorrente per cui è possibile affermare che trattasi di materia rientrante nella c.d. competenza residuale e, come tale, facente capo alle Regioni. Tuttavia, come ha ribadito la Corte Costituzionale (Sent. n. 76 del 20 Marzo 2009) “l’esigenza di un esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, al fine di aumentare i flussi turistici e far nascere nuove imprese nel settore, abilita lo Stato a disciplinare siffatto esercizio per legge (…) e ciò anche se quelle funzioni sono riconducibili a materie a legislazioni concorrente o residuali (…) a condizione che la valutazione sia proporzionata, assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio di stretta costituzionalità e rispettosa del principio di leale collaborazione con le Regioni”. A dire il vero negli ultimi anni, a fronte di una sempre più spiccata vivacità dei comuni in materia, le regioni spesso non si sono fatte trovare pronte ad assolvere appieno le proprie prerogative con interventi spesso disorganici e disposizioni perlopiù inserite in atti normativi ad altro dedicati[36].

  1. 4Il turismo culturale tra opportunità e prospettive.

 

Dalle considerazioni sin qui svolte è facile intuire quanto il binomio turismo-beni culturali rivesta un ruolo decisivo nella realtà italiana[37]. Il primo passaggio sta sicuramente nel riuscire ad innalzare la fruibilità dei beni che fino ad ora hanno esercitato, nei confronti del turismo culturale, un’innata capacità attrattiva frutto di un fascino ed un appeal le cui potenzialità vanno oggi gestite, governate per poterle sfruttare appieno.

I risvolti economici e giuridici che il turismo culturale porta con sé sono di primaria importanza e permetterebbero, oggi, di rinsaldare quel rapporto col territorio: una sorta di collante, insomma, che rilanci una coesione sociale sempre più incerta. Inoltre, il turismo culturale non si esaurisce nella sua funzione aggregatrice, ma rappresenta altresì un efficace alleato nel processo di integrazione europea e multiculturale. Per i cittadini comunitari, infatti, il turismo può diventare la chiave di volta per sviluppare quei valori sociali e civili e favorire così il processo di integrazione europea ed il dialogo tra i popoli e le civiltà. Lo sviluppo di un’identità europea non può prescindere da una conoscenza più approfondita dei Paesi, delle tradizioni culturali e delle differenze che ne compongono il mosaico. Sul piano extracomunitario, invece, il turismo può divenire lo strumento capace di accrescere il livello di conoscenza di una cultura, spesso molto diversa, tutto ciò può offrire un importante contributo per favorire conoscenza e dialogo, soprattutto in un momento, come quello attuale, dove il multiculturalismo vive una grande difficoltà[38].

Per troppi anni, purtroppo, il turismo culturale ha risentito di un’impostazione elitaria per cui solo pochi addetti erano in grado di apprezzare la bellezza e il valore del patrimonio artistico, se a questo aggiungessimo anche un’impostazione tradizionalmente conservativa del patrimonio e le croniche ristrettezze economiche allora sarebbe piuttosto semplice comprendere il ritardo che il Paese deve scontare in termini di politiche turistiche lungimiranti. Quest’eredità pesa ancor di più per un Paese come l’Italia desideroso di esser vissuto come un enorme museo a cielo aperto, catalizzatore di un’innata capacità attrattiva in quanto culla di beni culturali, scenari paesaggistici, tradizioni (culturali, ma anche enogastronomiche) con pochi eguali nel panorama mondiale[39].

Prima di passare ai risvolti più problematici legati alle difficoltà nella gestione sia dei centri storici che dei flussi dei turisti, vale la pena chiarire intanto alcuni importanti aspetti definitori. Per turismo culturale, infatti, si fa riferimento a quella tipologia di turismo in grado di porre in rilievo il valore dell’attività culturale e il suo specifico apporto alla coesione sociale e allo sviluppo di un territorio, con ricadute importanti sia in termini economici che occupazionali.

Negli ultimi anni il fenomeno si è sganciato dalla propria tradizione elitaria ed ha conosciuto uno sviluppo crescente grazie ad una serie di concause, tra cui vale la pena ricordare: l’innalzamento dei livelli di reddito e di istruzione, la diffusione dei voli low cost abbinati a nuove modalità di soggiorno sempre più orientate verso short breaks sotto forma di week end fuori porta e, non ultimo, anche da un forte richiamo pubblicitario proveniente spesso dai social media, capaci di generare il c.d. effetto bucket list, una sorta di passaparola incontrollabile con destinazioni che vengono letteralmente prese d’assalto da moltissimi turisti, senza però portar alle stesse reali benefici[40].

Dal punto di vista economico è possibile fornire anche una prima segmentazione del mercato turistico-culutrale con una profilazione che si basi quantomeno su parametri motivazionali. Laddove la motivazione sia alta è possibile ravvisare un primo nucleo storico di turisti, quelli elitari tradizionali, spinti da visitare un monumento o un museo o a partecipare ad un dato evento culturale. Si tratta perlopiù di appassionati che arrivano con un bagaglio di conoscenze di livello medio-alto e spesso adeguatamente preparati in materia. Talvolta, lo stimolo nasce proprio da un libro o da una particolare ricerca, casuale o meno, l’accoglienza diventa fondamentale per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza e per vivere appieno l’esperienza che si sono regalati come una piacevole occasione di crescita e arricchimento interiore. Si tratta di soggetti solitamente dotati di capacità di spesa piuttosto elevata, come dimostra la tendenza per l’alta ristorazione e per i soggiorni in strutture ricettizie lussuose fornite di centri benessere o comunque promotrici di attività di relax all’interno o all’esterno, in modo da conciliare l’esigenza di scoprire e di vivere cose nuove con pause rigeneranti e rilassanti e, perché no, con un po’ di sano sport.

A sua volta è possibile dividere gli appassionati in monomaniaci, se si tratta di una clientela motivata e appassionata ad un tema specifico, o in bulimici laddove siano egualmente motivati su un insieme ampio di beni culturali. Vi sono poi gli occasionali che sfruttano la visita non tanto come obiettivo del viaggio, ma soltanto come tappa (o comunque come una sorta di motivazione aggiuntiva). Si tratta, perciò, di visite piuttosto brevi, fugaci, superficiali, meno approfondite che spesso non superano la giornata e con budget ben più limitati. Infine, vi sono i turisti casuali o accidentali che vi fanno visita come una sorta di deviazione dell’ultimo minuto rispetto alla road map.

Questo rappresenta il primo step verso l’elaborazione di vere e proprie strategie di marketing territoriale capaci di valorizzare i vantaggi competitivi di una località per poi metterli a sistema con veri e propri piani di sviluppo. Ricondurli all’interno di piani di sviluppo, oltre a focalizzare bene le leve del vantaggio competitivo di un territorio, permetterà poi di governarne meglio i flussi per cercare quantomeno di arginare quel fenomeno di turismo insostenibile di cui parleremo tra poco. Costruire l’offerta in modo strategico, ed essere consapevoli dei risvolti sui territori di natura economica, occupazione e di coesione sociale che le scelte possono comportare, rappresenta una grande opportunità per l’economia nazionale, considerate le caratteristiche multiformi del nostro Paese, la sua versatilità, la disponibilità di un patrimonio inestimabile sia a livello artistico che paesaggistico ed un clima favorevole perlopiù mite e temperato. Per questo diventa strategicamente importante individuare quelle leve capaci di differenziare l’offerta e trasferire unicità al prodotto turistico.

A livello territoriale, invece il fenomeno non riguarda più soltanto le grandi città d’arte, ma anche i piccoli borghi ricchi di storie e tradizioni. Ciò è la riprova di come il turismo si stia sempre più affacciando verso nuove forme che tendono alla ricerca dell’autenticità dei luoghi da visitare. Per questo diventa imprescindibile una valorizzazione di quegli aspetti intangibili dell’esperienza che coinvolga le sfaccettature più varie: dal cibo alla pittura passando per danza, canto e know how artigiano di cui i piccoli borghi ne sono naturali custodi.

Tuttavia, questo porta con sé non poche implicazioni dal punto di vista logistico: sia per la necessità di un’adeguata rete infrastrutturale per raggiungere fisicamente il luogo, spesso assente per la collocazione geografica del sito talvolta lontano dalle principali arterie autostradali e isolato rispetto al sistema aeroportuale o ferroviario, sia dal punto di vista delle strutture ricettizie a cui spesso si tenta di sopperire con soluzioni casalinghe con porzioni di immobili adibiti a alloggi di fortuna. Infine, da segnalare anche un primo mutamento nell’organizzazione del soggiorno, soprattutto per i turisti stranieri, dapprima orientati verso i classici tour di gruppo, oggi alla ricerca di nuove forme di vacanza in gruppi più ristretti e non per forza rivolti verso le grandi città turistiche.

Al fine dell’elaborazione di strategie consapevoli e coerenti, è utile far riferimento alla teoria del ciclo di vita della località turistica elaborata da Richard Butler secondo la quale il relativo ciclo di vita si sviluppa in 6 distinte fasi, nell’ordine: scoperta, coinvolgimento, sviluppo intensivo, consolidamento, stagnazione e declino. Questa successione permette un’ulteriore profilazione del turista che va dal pioniere, precursore visitatore di mete poco convenzionali con strutture perlopiù dotate di scarsa professionalità nell’accoglienza, fino al turista di massa, tipico delle fasi successive di coinvolgimento e sviluppo intensivo, con catene alberghiere e di ristorazione che assumono sempre più peso a scapito delle piccole imprese a conduzione familiare, per arrivare poi al turista abituale, tipico del periodo di stagnazione, che adotta comportamenti ripetitivi e fa da preludio al declino[41]. Solitamente è solo in quest’ultima fase che si tenta una ricollocazione della meta che può avvenire soltanto attraverso l’introduzione di strategie di sviluppo sostenibile.

 

4.1. La gestione dei centri storici: un difficile contemperamento di interessi per la definizione di una strategia di successo.

Il governo dei centri storici rappresenta oggi una tra le questioni più delicate tra quelle connesse alla gestione dei flussi turistici. Il decisore pubblico è chiamato, infatti, ad un difficile contemperamento di interessi: da un lato vi è l’esigenza di conservare e salvaguardare l’ambiente antropico, dall’altro vi è quello di limitarne l’abbandono alla ricerca, da parte degli abitanti, di una migliore qualità della vita sia in termini infrastrutturali sia in termini di vivibilità a causa di flussi turistici spesso fuori controllo.

Aumentare la fruibilità dei siti rappresenta una prerogativa essenziale per garantire una corretta conservazione degli stessi nella consapevolezza che una strategia meramente conservativa porterebbe soltanto ad una museificazione del sito. La vera sfida oggi si gioca, invece, sulla capacità di evitarne la desertificazione: l’eccessivo isolamento di alcuni centri, la carenza di dotazioni infrastrutturali, l’inadeguatezza strutturale degli edifici, l’utilizzo improprio degli immobili o il deterioramento estetico degli stessi, la collocazione delle attività professionali o produttive al di fuori dei nuclei storici, le difficoltà nel convivere con concezioni urbanistiche che mal si adattano alle esigenze della vita quotidiana, l’eccessiva terziarizzazione, una gestione disattenta dei flussi turistici che rendono invivibili i vicoli angusti dei centri storici, rappresentano tutte concause che contribuiscono a smarrire la vocazione residenziale del sito. Il decisore pubblico, pertanto, si viene a trovare nella morsa tra l’adozione di misure meramente conservative e piani di sviluppo audaci con il rischio, però, di disperdere l’autenticità dell’agglomerato[42].

Ma oltre alla desertificazione, l’altro problema legato alla gestione dei centri storici riguarda senz’altro la questione del loro degrado, che si pone al contempo come causa e effetto del predetto fenomeno della desertificazione. L’incuria può far sì che non solo il centro storico smarrisca la propria vocazione residenziale, ma che sia progressivamente abbandonato anche dalle attività economiche spalancando così le porte alla criminalità (anch’essa a sua volta causa e effetto del degrado): se è vero infatti che incuria e abbandono rappresentano le cause più rilevanti all’avanzare della criminalità, è altresì realistico affermare che una criminalità fuori controllo possa spingere residenti e operatori economici a guardare altrove.

Per questo è importante che il decisore pubblico adotti tutte quelle misure necessarie per garantire una riqualificazione del sito, come: l’eliminazione delle strutture incongrue e obsolete, l’arricchimento dei siti artistici, il potenziamento delle dotazioni infrastrutturali, il miglioramento della stabilità antisismica, l’abbattimento delle barriere architettoniche. Tutti interventi necessari per garantire adeguati standard di vita per i residenti, innalzare la fruibilità dei servizi, la capacità ricettizia delle strutture e contrastare così la desertificazione e il degrado[43].

Anche la salvaguardia dell’aspetto cromatico, l’attenzione per l’utilizzo di materiali e delle tecniche storiche di lavorazione, il recupero degli antichi mestieri attraverso la localizzazioni di laboratori e botteghe sono fattori che concorrono tutti a evidenziare la crescente sensibilità dei legislatori regionali verso il recupero e la riqualificazione dei centri storici per conservarne l’aspetto originario contribuendo, al contempo, a incentivare quel turismo esperienziale, di cui parleremo in seguito, e di cui il turista moderno va sempre più alla ricerca.

In tutto questo i soggetti privati non possono esser certo estromessi dal processo decisionale, ma anzi devono essere coinvolti già in sede di programmazione utilizzando nuove modalità che vadano oltre i tradizionali moduli autoritativi verso nuovi modelli, in una prospettiva bottom up, attraverso veri e propri progetti di rigenerazione urbana e opportune forme di incentivazione per coloro che propongono interventi di recupero dei centri storici degradati[44]. Si tratta di un passaggio importante, a condizione che non si tratti di interventi puntuali rivolti a singoli immobili: una visione parcellizzata rappresenterebbe, quantomeno, un approccio miope al problema e smarrirebbe il senso stesso di tali iniziative che assumono un loro peso specifico solo se rimangono ancorate a progetti unitari. Solo in questo modo si riuscirebbe, infatti, ad abbattere i costi, migliorare la situazione estetica e infrastrutturale dell’intero agglomerato e renderlo più omogeneo e coerente con le zone limitrofe[45].

 

 

4.2. Overtourism: costi, effetti e fattori scatenanti.

 

Se, come abbiamo visto, i risvolti legati al turismo, in termini economici, occupazionali e sociali sono senza dubbio di primaria importanza, non si può certo nascondere che le derive legate alle sue degenerazioni siano oggi un tema centrale su cui i decisori pubblici devono accuratamente riflettere. Innanzitutto, si fa riferimento a quel fenomeno, ormai conosciuto come overtourism, per indicarne l’impatto netto negativo che i flussi turistici generano, all’interno di una destinazione, sulla qualità della vita dei residenti e/o sull’esperienza del visitatore[46].

Flussi turistici fuori controllo portano con sé problemi non di poco conto che il decisore pubblico dovrebbe essere in grado di affrontare con lungimiranza per garantire un corretto e equilibrato sviluppo del territorio. La riduzione dei prezzi di trasporto, l’avvento e la diffusione delle compagnie low cost, il crocierismo, la forte spinta proveniente dai social media[47], il crollo dei prezzi degli alloggi per i soggiorni, soprattutto quelli extralberghieri, hanno fatto sì che il turismo si trasformasse in un fenomeno di massa con mete sempre più congestionate da flussi di turisti, ma di fatto incapaci strutturalmente di accoglierli.

Sempre più si delinea un profilo di turismo vissuto come “divoratore incontrollato” di quei paesaggi che sono il suo stesso palcoscenico. Soprattutto le mete naturalistiche finiscono, infatti, per rimanerne inevitabilmente compromesse perdendo, dapprima, l’appeal della non contaminazione, e assistendo col tempo ad una vera e propria distruzione di quegli stessi ecosistemi (pensiamo a Maya Bay o alla spiaggia Rosa di Budelli) che avevano indotto i turisti a visitarli.

L’industria turistica, inoltre, presuppone un consumo di suolo importante sia a livello di infrastrutture (porti, aeroporti, autostrade), sia a livello di aree edificate utilizzate, perlopiù ai fini ricettizi. Se aggiungessimo anche la piaga dell’abusivismo, sarebbe piuttosto semplice intuire come spesso tutto ciò si traduca in dissesto mettendo così a repentaglio un territorio sempre più fragile. Ma non solo consumo di suolo, turismo significa anche inquinamento sia esso legato ai rifiuti[48], o all’eccessivo affollamento (inquinamento visivo), ma anche inquinamento acustico provocato, oltre al rumore fisiologico prodotto da una grossa massa di persone e dalla movida dei turisti, anche dai decolli e dagli atterraggi degli aerei. Per non parlare delle vibrazioni: il nuovo aeroporto in progetto nei pressi di Machu Picchu, proprio a causa delle vibrazioni degli aerei, rischierebbe di mettere in serio pericolo le famose rovine. Anche la salute, per i residenti in prossimità degli aeroporti, potrebbe essere compromessa: studi dimostrano che il rischio di contrarre malattie cardiovascolari risulta fino a 20 volte più alto rispetto a chi non risiede nelle vicinanze[49]. Il crocierismo, inoltre, porta con sé anche un inquinamento legato ai carburanti, come nel caso di Venezia[50], il cui fondo lagunare è seriamente minacciato dalla sedimentazione dei detriti dovuta al dislocamento di enormi quantità di acque generato proprio dal passaggio delle enormi navi da crociera da oltre 40.000 tonnellate[51].

Dal punto di vista dei costi spesso quelli legati alla pulizia hanno un peso determinante, soprattutto se si considerano sotto il profilo dell’equità. Il dilagare dei c.d. escursionisti rischia, poi, di accentuare il problema in quanto i benefici spesso non riescono a compensare gli effetti negativi prodotti[52]. Non solo: ciò che genera è anche un disallineamento nei destinatari dei costi che spesso vengono fatti ricadere su quei redditi che non sono generati dal fenomeno turistico. Costi per la pulizia a cui si devono necessariamente aggiungere quelli relativi ai servizi essenziali da mettere a disposizione dei turisti e quelli legati al deterioramento (e spesso del maltrattamento) delle infrastrutture cittadine ed alle necessarie manutenzioni.

Vi è poi una stretta correlazione anche con la criminalità in quanto l’incremento della popolazione in una certa area provoca fisiologicamente un aumento dei reati. Si tratta perlopiù di episodi di microcriminalità diffusa, di cui il turista diventa vittima privilegiata con il malvivente che si approfitta del loro stato relax che li induce a cadere più facilmente nel crimine. Anche il livello di istruzione ne risente con un precoce abbandono degli studi a fronte di guadagni sì minori (nel lungo periodo), ma immediati generati da lavori perlopiù poco qualificati, mal pagati e stagionali.

I residenti da parte loro vengono progressivamente spinti fuori dai tradizionali luoghi del circuito turistico sempre più orientato verso la creazione di un vero e proprio habitat naturale del turista (Disneyfication): uno spazio costruito a misura di turista e del tutto inadatto all’uso residenziale. Questo determina una progressiva desertificazione dei centri storici e una gentrificazione di interi quartieri, un tempo popolari, ora destinati al mercato, molto più redditizio, degli affitti brevi. Le logiche dell’housing sono cambiate radicalmente grazie a nuove piattaforme come Booking e Airbnb. Ciò comporta un netto balzo in avanti sia dei prezzi, in generale, sia degli alloggi al m[53], aumenti che le classi popolari, chiaramente, non possono sopportare.

I movimenti “Tourist go home[54] stanno sempre più popolando i muri e le piazze delle mete turistiche e sono la riprova di quanto i rapporti tra turisti e residenti si stiano esasperando. Questi ultimi, ormai saturi dell’eccessivo affollamento e delle condizioni invivibili delle città, che si traducono inevitabilmente in stress, abbassamento della qualità della vita, traffico fuori controllo con perdite di tempo, incremento degli incidenti stradali e smog, riversano il loro malessere proprio nei confronti dei turisti visti, sempre più, come vere e proprie cavallette che si stanno impadronendo delle loro città. Una vera e propria turismo-fobia che, nella migliore delle ipotesi, viene incanalata in comitati[55], ma che spesso sfocia in veri e propri movimenti di protesta a cui gli amministratori devono dare ascolto prima che degenerino in violenza.

Il c.d. modello di Doxey analizza, proprio, il ciclo di vita della località turistica, ma stavolta dal punto di vista del fattore psicologico percepito dai residenti. Il modello muove da una sensazione iniziale di euforia, in cui la popolazione locale intravede nel turismo una straordinaria opportunità di benessere e sviluppo, passa per una condizione di apatia, in cui si registra una perdita di interesse dei residenti per le dinamiche legate al turismo, e sfocia nella saturazione, in cui emergono i primi attriti dovuti al sovraffollamento e all’aumento generale dei prezzi, fino a degenerare nell’antagonismo che segna il momento in cui la curva di carico che una destinazione è in grado di sostenere è stata superata e si traduce proprio in quel tourist go home che abbiamo appena ricordato.

Per questo c’è bisogno di amministratori attenti e capaci di elaborare vere e proprie politiche turistiche in grado di gestire i flussi e fornire servizi adeguati senza che il territorio e, i suoi abitanti, finisca per rimanerne svilito. Purtroppo, invece, i benefici economici legati ad una crescita di turisti sono spesso immediati, mentre i risultati di una programmazione produrranno i loro effetti solo nel lungo periodo e ciò non coincide con la durata dei cicli politici che durano soltanto 4 o 5 anni: questo incentiva gli amministratori a ricercare consensi nel breve termine attraverso politiche poco lungimiranti[56]. Amministratori che, così, finiscono per rimanere complici di una vera e propria banalizzazione dei siti spalancando le porte ad un turismo disordinato e distratto con luoghi sempre più incapaci di raccontare le loro storie a coloro che li raggiungono.

In Italia ormai è un problema diffuso trasversalmente in tutto il paese: le città d’arte sono state letteralmente prese d’assalto. Milano, Roma, ma soprattutto Firenze e Venezia hanno conosciuto negli anni una vera e propria invasione. Invasione che ha riguardato anche la zona delle Cinque Terre lunga soltanto 18 chilometri che ha fatto registrare picchi di circa mezzo milione di visitatori l’anno, perlopiù escursionisti[57]. In Salento la situazione è aggravata dalla stagionalità. La capacità attrattiva estiva non riesce a essere compensata negli altri periodi dell’anno spingendo così i residenti a cercare occupazione spesso lontano da casa con città letteralmente svuotate durante il periodo invernale. Si tratta di un tipico esempio di appiattimento sul turismo dove negli anni la politica non è stata in grado di elaborare strategie adeguate per una differenziazione delle attività che garantisse occupazione anche nei periodi di bassa stagione.

Ma il fenomeno overtourism non riguarda solo l’Italia, ormai è conosciuto su scala mondiale e riguarda sia grandi città come Barcellona, Amsterdam, Londra, sia centri di dimensioni più ridotte come Bruges e Dubrovnick, palcoscenico di Games of Thrones, o siti naturalistici come Maya Bay, divenuta famosa grazie film The Beach, o il parco dei draghi di Komodo in Giappone.

Infine, occorre considerare un ultimo effetto negativo dell’overtourism: quello generato sugli stessi turisti che quindi, nei confronti del fenomeno, si pongono inconsapevolmente come “artefici” e al contempo “vittime”. La sensazione di crowding che essi percepiscono genera stress e riduce la qualità dell’esperienza. Le code per visitare le attrazioni, l’affollamento all’interno di esse, la sensazione di disneyfication di cui abbiamo parlato in precedenza, da un lato provocano irrimediabilmente stress e perdita di tempo, dall’altro finiscono per smarrire la sensazione di autenticità dell’esperienza.

 

 

4.3. Uno sguardo oltre l’overtourism: le possibili soluzioni.

 

Non è affatto semplice individuare delle strategie capaci porre rimedio all’invasione dei turisti. Principalmente esistono due strade tra loro non alternative, ma anzi integrabili, che è possibile percorrere. Si tratta delle strategie di demarketing[58] e targettizzione, che ormai la dottrina economica conosce in modo assai approfondito, e che hanno già trovato applicazione in numerose altre situazioni. Rientrano tra le prime tutti quei tentativi di agire in modo antitetico alle tradizionali leve utilizzate nel marketing mixproduct, price, place, promotion. Nel turismo, tuttavia, non è affatto semplice giocare su alcuni di questi fattori: pensiamo ad esempio ad una misura che giochi sulla variabile place in cui si preveda una limitazione degli accessi. Sarà senz’altro possibile limitare gli accessi a Maya Bay o impedire l’accesso alla spiaggia Rosa di Budelli, ma risulterà assai più difficile limitare gli accessi di una città d’arte. In un mondo intasato dai social media sarà complicato manovrare anche sulla leva del promotion, i post di ciascun visitatore possono potenzialmente diventare virali e sfuggono al controllo di qualsiasi tentativo di gestione in senso opposto. Anche l’aumento delle tariffe (price) potrebbe sortire l’effetto opposto andando a incentivare forme di escursionismo pur di visitare il sito.

Molto più interessanti sono, invece, le strategie di targetizzazione che mirano a costruire una sorta di identikit di turista ideale per cucirli addosso un’offerta su misura che abbia un impatto sostenibile sulla località. Per questo è necessario, innanzitutto, individuare quei parametri che permettono di capire il volto da disegnare sul nostro identikit. Tra le variabili possiamo ricordare la capacità di spesa, la durata, la stagionalità, lo status familiare. Ecco in base alle scelte compiute su queste variabili è già possibile costruire un’offerta turistica coerente che sia rivolta a un target preciso di visitatori.

Al di là delle strategie economiche esistono poi delle scelte politiche a cui il decisore pubblico è chiamato a rispondere con chiarezza. Intanto a livello urbanistico se l’obiettivo è quello di decongestionare il centro storico è logico aspettarsi delle politiche che tentino di creare un’identità unica fra la città e i suoi dintorni. Incentivare l’utilizzo dei mezzi pubblici, dedicare aree riservate ai bus turistici, creare zone pedonali, rappresentano tutte scelte urbanistiche che la politica può assumere per favorire uno sviluppo sostenibile. È importante che la comunità locale sia continuamente coinvolta nelle scelte di fondo per condividere una gestione consapevole dei flussi turistici che non può limitarsi ai soli benefici in termini occupazionali. Occorre un confronto reale per condividere punti di vista, preoccupazioni e problemi. È importante tenere alto l’attenzione sulle necessità dei cittadini. Il turismo, ed i suoi proventi, talvolta potrebbero essere l’occasione per investimenti mirati: prendiamo, ad esempio, una revisione del sistema infrastrutturale con benefici di cui usufruirebbero sì i turisti, ma anche gli abitanti stessi. Laddove poi queste due categorie si riescono a mettere in contatto nello sviluppo dell’esperienza allora è lì che il legame si consolida e si rafforza.

La mobilità diventa un elemento cruciale di successo nella strategia di gestione perché potenzialmente in grado di permettere al residente di non doversi imbattere nei flussi dei turisti in giro per la città finendo solo per aumentare il livello di stress di chi quotidianamente è costretto a muoversi per portare i bambini a scuola piuttosto che per raggiungere l’ufficio. Laddove gli investimenti in mobilità si indirizzino verso la sostenibilità ambientale allora l’intera comunità ne trarrebbe giovamento evitando che a situazioni di stress si aggiungano anche pericolose situazioni di inquinamento con ulteriore diminuzione della qualità della vita da parte di chi poi deve rimanere (residenti). La mobilità leggera è sicuramente un’occasione da cogliere, al di là delle polemiche sull’utilizzo del monopattino elettrico e sui relativi bonus concessi in piena pandemia, lo sharing sia esso di biciclette o monopattini, rappresenta un’occasione per svuotare le città da un traffico veicolare fuori controllo. È importante sottolineare, tuttavia, come tutto questo sia vero a condizione che tali mezzi siano utilizzati e riposti in modo ordinato senza essere dispersi e abbandonati in ogni angolo e marciapiede, altrimenti tutto ciò potrebbe suscitare una sensazione di disordine di cui né il turista né il residente ne gioverebbero. Infatti, una località che accoglie il turista con ordine e pulizia induce anche il visitatore ad un maggiore rispetto dell’ambiente che sta vivendo e lo rende consapevole del proprio impatto sulla comunità.

Oltre alle politiche di decongestione rimane poi la possibilità di porre in essere anche politiche di destagionalizzazione cercando di disperdere i turisti nel tempo e nello spazio. Tuttavia queste ultime risultano più complicate perché non sempre ci sono le condizioni adatte a poter garantire un appeal importante anche nei periodi di bassa stagione. Pensiamo ai siti balneari: sarà difficile risolvere il problema dell’affollamento ponendo in essere politiche di destagionalizzazione. Possono risultare, invece, interessanti per le città d’arte, ma si tratta comunque di fattori che non sempre possono essere governati, ma che rispondono a logiche che, talvolta, sfuggono alla decisione umana.

In tempi di Coronavirus abbiamo poi compreso quanto possono essere nocivi gli assembramenti, in questo caso per motivi di salute, mentre per il turismo per garantire un’adeguata fruibilità dell’esperienza. La via maestra rimane quella di chiedere aiuto alla tecnologia che rappresenta, anche stavolta, un’interessante opportunità. La volontà di incentivare i sistemi di prenotazione, oggi disponibili comodamente tramite le app, rappresentano una svolta nel valorizzare il tempo sia esso di una giornata o di una vacanza. Collegare la prenotazione a forme di incentivazione rimane senz’altro una ghiotta occasione per il visitatore. Disincentivare l’accesso senza prenotazione non è affatto difficile e rappresenta un metodo efficace per una corretta politica di visita. Prevedere un biglietto maggiorato del 30%, ad esempio, per coloro che fanno accesso senza prenotazione, è una misura in grado di indirizzare in senso positivo l’organizzazione della vacanza evitando inutili code all’ingresso e assembramenti all’interno delle strutture. La possibilità tramite app di monitorare istantaneamente il tempo di attesa e la concentrazione di turisti nella struttura può indurre il turista stesso a dirottarsi altrove. La creazione di un portale che guidi il turista nella creazione della propria vacanza permetterà loro di prenotare direttamente l’attrazione gestendo così a priori i flussi ed evitando fastidiosi congestionamenti.

Altro strumento assai utile per perseguire tali obiettivi è senz’altro rappresentato dalla tourist card. Queste ultime, proposte in Europa sin dagli anni novanta, in Italia da circa un decennio, consentono al turista di avere accesso alle informazioni inerenti le varie attrattive del territorio contribuendo al contempo a veicolare un’identità territoriale unitaria e fornendo un incentivo alla diffusione del turismo stesso. Gli obiettivi perseguiti attraverso l’adozione della tourist card consistono generalmente nel supportare la promozione del territorio, diffondendone l’immagine ed incentivando i visitatori a svolgere alcune attività, o comunque a fruire di determinate attrattive, agevolando l’avvicinamento e la fruizione a servizi ed offerte propri del territorio, al fine di migliorare l’esperienza di visita. Per quanto riguarda i loro possessori, potendo essa offrire in un’unica soluzione l’accesso alle principali attrazioni, la fruizione del trasporto pubblico locale e sconti presso esercizi convenzionati, facilita e rende più agevole il soggiorno, permettendo al visitatore di ottenere un risparmio consistente in termini sia economici che temporali (ad esempio attraverso la possibilità di un accesso preferenziale ai luoghi d’interesse più congestionati).

Per gli amministratori rappresenta, invece, un valido strumento di integrazione, promozione e commercializzazione di componenti di offerte turistiche tra loro diversificate. Essa può essere utilizzata per creare e promuovere itinerari che favoriscano la scoperta dei siti minori e contribuire alla distribuzione dei flussi turistici attraverso un orientamento sia spaziale che temporale, limitando in tal modo il sovraccarico di un determinato sito. Le tourist card si configurano, inoltre, come un utile strumento di raccolta di informazioni sul comportamento del turista: soprattutto qualora si implementasse una tessera tecnologicamente avanzata, ci sarebbe la possibilità di raccogliere dati ed informazioni funzionali all’adeguamento dell’offerta turistica dal cui studio risulterebbe possibile ottimizzare la gestione complessiva del territorio e migliorare la profilazione per eventuali strategie di targetizzazione. L’adozione di una Tourist Card consentirebbe, infatti, di effettuare analisi funzionali alla comprensione di esigenze e tendenze dei fruitori e all’ottimizzazione delle scelte di gestione territoriale in funzione anche delle dinamiche turistiche, consentendo di mantenere le proposte aggiornate e migliorando costantemente la progettazione e la gestione delle mete turistiche e dei flussi correlati.

Tale strumento, attraverso la promozione di un patrimonio territoriale diffuso, consentirebbe, altresì, di contrastare la tendenza al “turismo mordi e fuggi” con visitatori senz’altro più soddisfatti e incentivati ad approfondirne la conoscenza. L’obiettivo non sarebbe, dunque, limitato all’aumento del numero di visitatori, ma punterebbe ad un’estensione temporale della loro permanenza, incentivando contemporaneamente la fruizione delle attrattive e dei servizi che necessitano di essere valorizzati. La fruibilità potrebbe esser oggi facilmente innalzata grazie all’utilizzo di semplici app per smartphone tablet, ormai molto diffusi tra i turisti, attraverso la quale poter visualizzare itinerari, offerte e promozioni presenti sul territorio. L’Applicazione, anziché essere liberamente scaricabile, potrebbe essere fornita gratuitamente ai possessori della card, ad esempio tramite un QRCode riportato sulla stessa, in modo da fornire un ulteriore servizio ed incentivo all’acquisto. Il supporto di un’apposita app, complementare alla card, potrebbe agevolare notevolmente sia la fruizione delle attrattive che gli spostamenti, attraverso l’indicazione di percorsi differenziati a seconda del mezzo di trasporto scelto e/o delle categorie d’interesse (e.g. percorso naturalistico, percorso enogastonomico, percorso archeologico, etc.) e la segnalazione dei punti d’interesse tematici presenti sul percorso o nelle vicinanze [59].

In tutto questo i comuni e gli altri enti istituzionali sono chiamati, ciascuno nell’esercizio delle proprie funzioni, a svolgere il ruolo di interlocutori autorevoli affinché riescano a fornire una strategia di sintesi coerente per tutte le categorie coinvolte, possibile solo integrando le politiche per il turismo con le altre politiche attraverso una pianificazione che, purtroppo, invece, la politica non ha tempo di aspettare preferendo benefici immediati, capaci, però, di provocare gravi disequilibri nel lungo periodo.

 

 

4.4. Civita di Bagnoregio: la città che risorge.

 

Esperienza virtuosa di rigenerazione urbana riguarda il piccolo borgo di Civita di Bagnoregio, perla della valle dei Calanchi. In circa quindici anni il sito ha conosciuto un aumento vertiginoso di visitatori ed oggi fa da traino per l’intera Teverina: area caratterizzata da notevoli pregi paesaggistici, naturalistici, archeologici, geologici, paleontologici, culturali ed eno-gastronomici[60], per la verità ancora poco conosciuti e quasi per niente connessi al circuito turistico locale.

Una vera e propria speranza di crescita e benessere economico per tutto il territorio, considerando anche la sua bassa densità demografica (circa 65 abitanti per chilometro quadrato, con un totale di circa 12.500 abitanti): un adeguato sviluppo delle attività sarebbe in grado di offrire, infatti, ai residenti nuove opportunità di lavoro sul territorio, con notevoli benefici per tutto il tessuto economico e sociale teverino. Il territorio della Teverina si presenta, dunque, come un potenziale contenitore di numerose opportunità di interesse in cui i flussi turistici, attratti principalmente da Civita, potrebbero essere guidati verso una fruizione più attenta e consapevole dell’intero territorio.

Per ottenere il massimo del rendimento da questi flussi si rivela necessario fare in modo che Civita non sia percepita più come punto di attrazione a sé stante, ma piuttosto come punta di diamante e fulcro dell’intero contesto territoriale. Anche la vicinanza rispetto ai centri maggiori risulta essere potenzialmente vantaggiosa, in quanto fornirebbe la possibilità di intercettare i flussi turistici diretti verso queste località, rappresentando anche un’alternativa di soggiorno incentivata dai costi inferiori delle strutture ricettive[61]. È stata, infatti, intrapresa un’iniziativa di collaborazione, con l’obiettivo di offrire un’offerta diversificata, anche con la vicina Bolsena, in modo da abbinare la visita a Civita con il turismo lacustre, proponendo anche percorsi naturalistici nella Valle dei Calanchi e mettendo in cantiere, addirittura, un parco avventura nel bosco di Carbonara[62]. L’obiettivo primario è quello di ampliare la visita dei turisti facendo in modo che essi trascorrano un tempo maggiore non solo all’interno del piccolissimo borgo di Civita, ma apprezzando l’intero contesto in cui esso è inserito.

La creazione di questi percorsi, adeguatamente segnalati da pannelli illustrativi posizionati nei siti di interesse, raggiungibili attraverso una mappa turistica distribuita ai visitatori, sta avendo, chiaramente, ricadute positive sull’economia e sull’occupazione dell’intera area, con l’apertura di diversi esercizi proprio grazie all’aumento del passaggio dei flussi turistici. Il turismo rappresenta un settore capace di incidere profondamente nei processi di sviluppo locali nella misura in cui esso sia in grado di coinvolgere anche i diversi attori presenti sul territorio. Sta nella capacità di trasformare la presenza di singoli attrattori turistici in un sistema integrato di offerta territoriale, in grado di attivare processi virtuosi di sviluppo, il fattore di successo determinante di tali politiche di gestione.

Il primo passo da compiere da parte dei comuni interessati, per raggiungere questo risultato, è la costruzione di un’identità territoriale forte e condivisa: essenziale per rendere sia il turismo che il suo indotto economico strumenti di crescita e benessere per l’intero territorio. In altre parole, le possibilità di sviluppo derivanti dall’affluenza turistica determinerebbero per i comuni della Teverina risultati analoghi a quelli attualmente raggiunti dal Comune di Bagnoregio, ovvero uno sviluppo di attività che possa offrire ai residenti anche occupazione e benessere, contrastando la tendenza allo spopolamento, in particolare giovanile, tipica delle aree rurali appenniniche italiane, con notevoli benefici socio-economici. Per riuscire ad intercettare i flussi turistici risulta, però, necessaria una visione d’insieme del territorio e di ciò che esso può offrire: in questa direzione, senza dubbio, uno strumento come la tourist card potrebbe facilitare la promozione di un’offerta integrata[63].

I flussi turistici e l’organizzazione degli eventi sono gestiti da Casa Civita, una società in house completamente partecipata dal comune di Bagnoregio che ha l’obiettivo di agevolare le pratiche amministrative attraverso accordi promozionali con privati o referenti di altri comuni. Tra le operazioni più ambiziose di Casa Civita si annovera la creazione del “Modello Civita” che trova la sua naturale evoluzione nel “Modello Tuscia” che, coinvolgendo la provincia di Viterbo, prevede un potenziamento delle infrastrutture tra Orvieto, Bolsena o Montefiascone, Civita e Viterbo e l’istituzione di un servizio di navette da gestire tramite app da ciascun turista in base alle proprie preferenze.

L’introduzione del ticket nel 2013, assieme ad una serie di iniziative di promozione e comunicazione mirate, hanno permesso al piccolo borgo di Civita di essere conosciuto e apprezzato nel mondo. Oggi è una realtà di successo, tra le mete turistiche d’Europa con il maggiore incremento dei flussi di visitatori e una candidatura al vaglio dell’Unesco per vedersi riconosciuta come patrimonio dell’Umanità. Il brand UNESCO ha dimostrato di possedere una particolare incisività principalmente in riferimento a due aspetti: quello del turismo culturale, in cui il marchio funziona da attrattore e fornisce la percezione di una garanzia di qualità, e quello riferito ai siti sottoposti a fenomeni di pressione, in cui il marchio agisce in qualità di catalizzatore dell’attenzione (ad esempio per i siti inclusi nella Lista del Patrimonio Mondiale in Pericolo). Tali osservazioni risultano avvalorate sulla base di analisi comparative con siti che non beneficino dello status di Patrimonio Mondiale, i quali risultano spesso una “seconda scelta” sia per i tour operator che per i visitatori e nei quali i fenomeni di rischio sfuggono spesso alla pubblica attenzione[64].

L’amministrazione comunale ha introdotto anche la biglietteria elettronica: uno strumento che consente di conoscere in tempo reale l’andamento dei flussi e altre informazioni importanti, come il Paese di provenienza. Ciò permette di attivare una vera e propria rivoluzione nella gestione del turismo con il comune che ha a disposizione tutti gli strumenti necessari per poter governare i flussi turistici, intervenendo anche con strategie tariffarie mirate per garantire una migliore distribuzione degli stessi in determinati giorni e periodi dell’anno. Vanno in questa direzione i Civita Bond: biglietti acquistabili a prezzi scontati che permettono di gestire a monte i flussi di turisti. Grazie alla biglietteria elettronica, infatti, è possibile sviluppare strategie e verificarne l’andamento in tempo reale in modo da poter costruire nuove situazioni, verificare i frutti ed eventualmente correggere il tiro. Governare i flussi, diluirli su tutto l’anno, e il più possibile durante la settimana, è essenziale per evitare le calche, che squalificano l’esperienza turistica e rischiano di diventare un boomerang[65].

L’intenzione è quella di potenziare e promuovere una fruibilità sostenibile diffusa sul territorio teverino, anche e soprattutto attraverso la creazione di una solida e funzionale rete tra i servizi culturali e le realtà produttive, incentivando al tempo stesso i giovani a studiare e salvaguardare il proprio territorio e ad investire su di esso, con eventi culturali, scientifici, divulgativi e didattici come convegni, seminari, mostre, laboratori ed escursioni sul territorio, condotti dal “Museo Geologico e delle Frane”[66] di Civita in collaborazione con diversi enti, istituzioni ed associazioni, a cui si è appena affiancato il nuovo centro turistico-culturale della “Casa del Vento” a Bagnoregio ed il “Centro di documentazione territoriale”, dotato di una sala conferenze, un archivio-biblioteca, un laboratorio multimediale – sala di consultazione e una sala espositiva per le mostre temporanee [67].

Anche Casa d’Artista ha avuto una ridondanza internazionale: si tratta di un progetto tra comune ed il portale Airbnb in cui gli artisti internazionali, soggiornando in questa dimora, potranno contare su un canone agevolato e saranno invitati a lasciare un’opera come traccia della loro permanenza. Sarà l’amministrazione locale a gestire direttamente l’immobile, il cui ricavato potrà essere destinato, secondo una logica di auto-sostenibilità, al mantenimento dello stesso nonché al finanziamento di altre iniziative culturali.

Un vero e proprio impegno a trasformare il turismo di massa in un turismo più consapevole e attento al territorio, portandolo a capire i suoi molteplici aspetti interessanti e a comprenderne la vera essenza tramite una visita più approfondita e più lunga. Questo diventa essenziale per evitare che un turismo non sostenibile aggravi l’instabilità del sito che sconta una condizione già di per sé precaria a causa dell’aggravarsi e dell’estendersi dei fenomeni franosi in atto. Infatti, parallelamente agli interventi di stabilizzazione[68], è stata potenziata una strategia di prevenzione per il salvataggio del borgo contro l’aggravarsi e l’estendersi dei predetti fenomeni franosi, che preveda, innanzitutto, la messa in opera di una rete di monitoraggio estesa a tutti i versanti: solo monitorando tutta l’area con metodi e strumenti idonei si potranno, infatti, raccogliere i dati strumentali necessari per aggiornare costantemente la priorità e le caratteristiche degli interventi da effettuare sui versanti[69]. In altre parole, Civita di Bagnoregio rappresenta, senza dubbio, un luogo caratterizzato da un’elevata fragilità congenita sottoposto a notevoli fenomeni di pressione dovuti alla presenza continua di flussi turistici considerevoli. In tale contesto i flussi continui di visitatori potrebbero concorrere all’accelerazione dei processi di degrado già in atto ed una corretta gestione della componente turistica risulta, quindi, fondamentale per garantire il mantenimento del territorio e la sua salvaguardia[70]. Due attività che, perciò, devono esser portate avanti di pari passo e calibrate al millimetro per evitare pericolosi scompensi[71].

Va in questo senso il progetto di ricerca intrapreso dal comune con il Dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale della Università di Roma Sapienza dal titolo emblematico “Civita di Bagnoregio: ideare un futuro sostenibile”, che si basa su un approccio interdisciplinare alle varie criticità del borgo, dall’instabilità dei versanti, alla preservazione del tessuto socio-culturale, alla razionalizzazione della fruizione turistica, prevedendo anche l’installazione di strumenti di monitoraggio.

 

Una bella rivincita, insomma, per quella che ormai era etichettata come la “Città che muore”, per rimarcare un destino ormai scritto data la gravita degli eventi franosi ed erosivi a cui è soggetta la rupe tufacea su cui sorge il borgo che negli anni si era lentamente svuotato dai propri residenti. Ne erano rimasti solo 8 con un ponte come unica via di accesso: l’unico appiglio alla vita. Anche dal punto di vista abitativo parte dei proventi incamerati con le entrate a pagamento per l’accesso al borgo (tre euro nei giorni feriali, cinque in quelli festivi)[72] sono stati utilizzati per dar vita ad una vera e propria politica per il ripopolamento: tasse basse o cancellate, mensa scolastica, scuolabus e parcheggio gratis e altri aiuti economici per ogni famiglia residente sotto una certa soglia di reddito[73]..

Gli amministratori, nonostante in un primo momento non abbiano usufruito dell’Art Bonus, non chiudono le porte ad una sinergia con i privati con uno sguardo rivolto soprattutto ai piccoli e medi imprenditori della zona: la prospettiva di inserire il loro nome accanto ad un monumento ristrutturato potrebbe senz’altro fungere da buona pubblicità per questi ultimi.

Chissà se, tra non molto tempo, inizieremo a sentir parlare di Civita come “La città che è risorta!”.

 

  1. Le nuove frontiere del turismo: il turismo esperienziale.

 

I fenomeni sinora analizzati rappresentano oggi i principali ostacoli al consolidarsi di modalità di fruizione del turismo a forte valenza esperienziale ed emozionale, così come ricercato dall’economia delle esperienze in cui si assiste ad una vera e propria teatralizzazione delle attività economiche. Purtroppo, nel turismo la componente esperienziale rimane ancora casuale, spontanea ed inconsapevole e senza una vera finalizzazione di marketing rischia di smarrire quel valore aggiunto che l’heritage di un territorio è in grado di suscitare.

Per molti anni il turismo culturale è stato considerato come il più sostenibile tra le varie forme di turismo, questa convinzione pian piano è stata smentita nei fatti proprio da quelle esperienze analizzate nei paragrafi precedenti. L’heritage, inteso come l’insieme delle risorse materiali e immateriali del patrimonio culturale, impone di superare una visione ristretta sia del patrimonio culturale che del turismo culturale e si propone come vero e proprio educatore verso il raggiungimento di obiettivi sociali di primaria importanza per rinsaldare i legami di solidarietà tra i membri di una comunità e rafforzarne e legittimarne le differenze culturali. Questo passaggio diventa imprescindibile per un turismo fatto sempre di più da una pluralità di sguardi in cui l’industria turistica, secondo la nuova logica dell’economia delle esperienze, deve essere in grado di creare quel palcoscenico adatto non più a produrre vacanze, ma bensì ricordi che trasferiscono autenticità all’esperienza. Ciò è possibile solo se si riesce a separare l’esperienza turistica dalla vita quotidiana ed il turista sia sollecitato durante la visita a stimolare continuamente tutti e 5 i sensi. Le manifestazioni “commodificate” delle culture tradizionali che stanno alla base di offerte turistiche, come danze tradizionali ed espressioni tipiche delle culture indigene, semmai assumono un loro valore solo laddove non risultino svilite o mortificate dall’attività turistica, ma anzi offrono uno slancio per il rinvigorimento, la promozione e il mantenimento di forme culturali altrimenti destinate all’oblio[74]. Solo così la cultura può rappresentare una leva su cui costruire politiche di sviluppo che sappiano mettere in risalto le peculiarità produttive, culturali e creative di un territorio e rappresentino un valore aggiunto nella competizione con altri contesti. La cultura, infatti, è in grado di “innescare meccanismi virtuosi e benefici sul piano economico” a condizione che vengano adottate politiche che “estendano l’effetto moltiplicatore delle spese culturali e ne riducono le esternalità negative[75]. Creatività e stock di conoscenza diventano così gli ingredienti fondamentali di ogni processo innovativo e devono essere alimentati attraverso i tipici strumenti dell’istruzione e dal reciproco scambio di conoscenze.

La strada, dunque, porta dritti verso nuove esperienze a forte contenuto emozionale e sensoriale che rendono il consumatore protagonista assoluto di una narrazione costruita appositamente per lui dove si vada oltre l’immersione passiva e ci si spinga verso l’evasione e la partecipazione attiva ottenendo così uno sviluppo personale, oltre che il tradizionale fattore ricreativo, entrando in contatto con coloro che partecipano alla stessa attività: condividere, comunicare, mettere in relazione, far parte di un gruppo, anche se le esperienze vissute sono strettamente personali e individualmente autentiche, costituiscono le parole chiave di un turismo in cui il valore individuale lasci spazio, di volta in volta, al valore del gruppo, della tribù, della community[76].

Il turismo creativo funziona quindi come vero e proprio generatore di esperienze che trasportano il visitatore nella cultura del quotidiano attraverso un vero e proprio copione in cui i membri della comunità locale sono dei veri e propri teatranti, consapevoli del loro ruolo e la meta ne diventa così la naturale sceneggiatura. Ne è un esempio la Escuela de Arroces Y Paella Valenciana che ogni giorno della settimana imbastisce gustosi corsi rivolti proprio ai turisti per condurli nei meandri del piatto gastronomico della città. La paella diventa così l’esperienza per eccellenza, tanto a livello culinario che a livello sociale ed inizia con la spesa al centralissimo e coloratissimo mercato centrale cittadino per finire nella cucina della propria abitazione una volta rientrati, passando per il confronto con il paellaro, con i trucchi per far soffriggere bene la carne, per l’assaggio del vino e della birra valenciana e, infine, per il pranzo assieme agli altri aspiranti cuochi. Oltre che ad un tipico esempio di prodotto potenziato, la scuola offre al turista la possibilità di tornare a casa con qualcosa in più, che vada oltre la calamita da attaccare al frigorifero, e che si trasformi in nuovi momenti di condivisione nella quotidianità e nelle esperienze di ognuno di noi.

Anche i tour enogastronomici hanno conosciuto una notevole diffusione negli ultimi anni risultando particolarmente adatti ad una modalità di fruizione attraverso short breaks, spesso non lontanissimi da dove viviamo, soprattutto in un paese come l’Italia cosparso di angoli dotati ognuno di una tradizione vinicola tipica e caratteristica. Il vino si presenta così come un prodotto esperienziale complesso dove la componente semantica ha un ruolo molto importante. L’oggetto della vendita non è tanto la semplice bottiglia e il suo contenuto, ancorché pregiato: “il vino è soltanto un attore che recita la sua parte su di un palcoscenico che è il territorio, di cui fa parte integrante la cantina, ma anche la semplice pianta di salvia o il rosmarino, il cipresso o l’ulivo. Io vendo tutto e questa è la leva della nostra competitività perché i nostri concorrenti australiani o anche californiani non hanno il territorio che abbiamo noi in Toscana[77]. Ma non solo percorsi gastronomici, sono molteplici le esperienze alla ricerca di gusti, odori e percezioni visive (vedi ad esempio il birdwatching) che possono contribuire a rivitalizzare il tessuto produttivo locale.

L’ampliamento dell’ampiezza del portafoglio attrattivo, oltre a decongestionare i flussi valorizzando siti al di fuori dei circuiti convenzionali talvolta è capace di valorizzare l’esperienza trasferendole unicità. È il caso del Cammino delle fortificazioni maddalenino, nato per soddisfare proprio una domanda di turismo attivo ed emozionale. Il turista che si reca alla Maddalena sarà avvolto tra le meraviglie del suo mare, ma l’Arcipelago è ricco anche di altre storie da raccontare che devono necessariamente trovare una giusta collocazione presso il pubblico di visitatori. Nasce così l’idea di inserire all’interno dei tradizionali circuiti di tuor marattimi alcune tappe appositamente dedicate alla scoperta delle fortificazioni che, da sempre, ne contraddistinguono il territorio. La posizione dell’arcipelago, al centro del mediterraneo, infatti, ha fatto sì che le necessarie strategie di difesa si concretizzassero attraverso la costruzione di svariate strutture lungo tutto il territorio, tanto da parlare dell’architettura militare quale l’espressione architettonica più significativa del territorio stesso. Il patrimonio architettonico militare dell’isola, perfettamente mimetizzato con il territorio circostante, è molto variegato e ricomprende forti, torri, dormitori, depositi munizioni, postazione cannoni, alloggi, lavatoi, cisterne ecc. e attende solo di essere scoperto e valorizzato. L’inserimento all’interno dei tour rappresenta il presupposto per rendere tali attrazioni appetibili: il turista, infatti, mai sceglierebbe di rinunciare ad una giornata di mare per avventurarsi in camminate, spesso faticosissime, alla scoperta delle fortificazioni, ma sarà ben lieto di conoscerle se accompagnato sul posto da personale esperto all’interno di gradevoli imbarcazioni (non ci dimentichiamo che si tratta di siti perlopiù difficoltosi da raggiungere via terra, ma agevoli da scoprire via mare), se atteso sul posto da guide che sapranno raccontarne le memorie e, infine, se, prima della visita e una volta terminata, potranno continuare la loro rotta alla scoperta delle spiagge maddalenine. Anzi, se questo accade la fortificazione è in grado di donare quel valore aggiunto all’escursione e quindi, nell’ottica esperienziale, di trasferirle unicità facendola rimanere ancor più impressa nelle menti e nei cuori dei visitatori[78].

In sintesi, le nuove frontiere del turismo esperienziale impongono l’adozione senza indugio nuovi mezzi come portali web, workshop, ma anche tour operator specializzati nell’offrire prodotti di turismo creativo: tutti strumenti in grado di intercettare la domanda di tale forma di esperienza turistica. Dal lato dell’offerta occorre mettere in relazione i diversi attori che compongono la rete su cui si poggia l’intero funzionamento del sistema accettando la sfida di sperimentare nuove metodologie, strategie e strumenti adatti a esplicitare le risorse del patrimonio culturale valorizzandone anche gli elementi inespressi o latenti, ma ricchi di potenziale e favorendo un più naturale processo di comunicazione ed integrazione sistemica tra tutti gli elementi coinvolti nei meccanismi di valorizzazione e composizione dell’offerta turistica e culturale del territorio. Lo sviluppo di prodotti integrati può diventare, in questa logica, un ulteriore elemento di successo: passe par tout per visitare più tappe o siti inseriti nello stesso itinerario, nuovi strumenti offerti dalla tecnologica ICT e la capacità di individuare e valorizzare più percorsi all’interno di uno stesso itinerario rappresentano tutte ottime idee per la realizzazione di un’accurata strategia di marketing territoriale[79].

 

 

  1. Il principio di sussidiarietà orizzontale “preso sul serio”: l’importanza della valorizzazione delle istanze più vicine al cittadino come chiave di volta di una nuova politica di valorizzazione dei beni culturali.

 

Le considerazioni sin qui svolte ci permettono di intuire l’importanza di un’adeguata tutela, ma ancor più di una strategia di valorizzazione lungimirante e sostenibile e di politiche turistiche coerenti, soprattutto in un momento, qual è quello attuale, dove le situazioni di debolezza si moltiplicano e le risorse si riducono. Da subito è possibile scorgere nel principio di sussidiarietà orizzontale un valido alleato nel perseguire quell’eguaglianza sostanziale prevista dall’art. 3 Cost. In un Paese come l’Italia, depositario di un patrimonio artistico smisurato, le risicate risorse a disposizione impongono l’individuazione di strategie di governo capaci di valorizzare il ruolo attivo dei cittadini verso nuove esperienze virtuose di sperimentazione democratica in grado di innalzare il livello di soddisfazione del bisogno e di rinsaldare l’intimo legame tra territorio, comunità e patrimonio culturale. Per questo occorre superare quell’impostazione statocentrica che, negli anni, non ha prodotto altro se non un progressivo scollamento tra politica e comunità di riferimento, queste ultime ormai consapevoli, rispetto al passato, della ricchezza del patrimonio di cui dispongono, la cui tutela e valorizzazione ne rappresenta una delle opportunità più rilevanti in termini di sviluppo territoriale. Si rende, pertanto, necessario individuare forme innovative di partnership che riguardano l’intero patrimonio culturale e non solo quei beni più rilevanti. È il momento, ormai, di ripensare al fumoso quadro di allocazione delle competenze delineato dal Titolo V, è il momento di sbrogliare quella selva di rapporti tra legislazione statale, regionale e attività amministrativa, rivalutando il ruolo dei comuni intesi come i primi interlocutori capaci di fornire un’adeguata strategia di sintesi tra le esigenze delle varie categorie coinvolte. Questi ultimi, a loro volta, sono chiamati ad un salto di qualità nella propria azione che passa dalla capacità e dalla possibilità di dotarsi di figure adeguatamente qualificate e dalla volontà di sganciarsi da una spasmodica ricerca del consenso nel breve periodo abbracciando, invece, nuove logiche di pianificazione accettandone i tempi che spesso, invece, la politica non sa aspettare provocando, così, gravi disequilibri nel lungo periodo.

L’elaborazione di una strategia di marketing territoriale consapevole, capace di valorizzare i vantaggi competitivi della comunità locale per metterli a sistema all’interno di veri e propri piani di sviluppo, rappresenta, senza dubbio, la chiave del successo. Solo così, infatti, sarà possibile arginare le derive di un turismo sempre meno sostenibile e garantire un’adeguata gestione di centri storici sempre più compromessi nella propria vivibilità.

Se la capacità di fare sistema diventa, quindi, un passaggio imprescindibile per sfruttare appieno le enormi potenzialità di un Paese depositario di un patrimonio artistico smisurato, la creazione di un’offerta turistica consapevole ne rappresenta il primo passo verso una nuova modalità di fruizione del turismo dettata dalle nuove logiche del turismo creativo che pretende l’individuazione di nuovi percorsi capaci di enfatizzare le percezioni sensoriali attraverso degustazioni e altre esperienze ludico-ricreative e di varia natura. Le soluzioni ICT rappresentano, per i decisori pubblici, il presupposto per garantire una corretta gestione dei siti e, per il turista, un valido strumento di riflessione nella pianificazione della vacanza in modo da valorizzare il tempo di visita evitando code e inutili affollamenti, incrementandone così la qualità. App, portali, prenotazioni onlineworkshop, rappresentano tutti validi strumenti organizzativi per costruire offerte integrate e salvaguardare il valore del tempo aumentando il livello di soddisfazione del turista nella fruizione dell’esperienza. La capacità, poi, di allargare l’ottica territoriale e amministrativa attraverso nuovi partenariati multilivello, in grado di rappresentare la complessità e l’eterogeneità del sistema, permetterà di riequilibrarne gli effetti distorsivi attenuando i fattori di disturbo e garantendo una ripartizione più equa dei benefici.

 

 

[1] Contenuti che vanno oltre le tradizionali prerogative di riconoscimento, tutela e protezione.

[2] F. Donà, Partecipazione e sussidiarietà nella valorizzazione dei beni culturali: strumenti disponibili e prospettive future, in Federalismi, 23 Settembre 2020, pp. 1-5 che sul punto fa riferimento alle considerazioni di G. Arena, Introduzione all’amministrazione condivisa, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, n. 3-4/1997.

[3] Rimangono, infatti, una serie di atti che per loro natura non possono essere condivisi con il destinatario e, pertanto, continuano a seguire il tradizionale modello autoritativo, v. art. 1 comma i bis legge n. 241/1990.

[4] M. D’Angelosante, La ‘cura’ dei beni culturali come beni di interesse pubblico: opacità, tendenze e potenzialità del sistema, in Federalismi, 28 Febbraio 2018, p. 41.

[5] G. Clemente di San Luca, Volontariato, non-profit e beni culturali, in Federalismi, 17 Maggio 2017, p. 57.

[6]Secondo la scuola statunitense non esisterebbe neanche una distinzione tra sussidiarietà orizzontale e verticale, infatti il principio avrebbe un’identità unitaria in chiave di allocazione delle competenze fra soggetti pubblici da un lato, e fra soggetti pubblici e l’autonomia dei privati dall’altro, ma resterebbe comunque un principio ordinatore delle competenze e delle risorse in modo che la soddisfazione del bisogno possa avvenire il più possibile vicino al cittadino.

[7] Addirittura, secondo la teoria delle capacitazioni, partendo da una dotazione fissa imprescindibile di beni, politiche di sussidiarietà avrebbero un senso solo se aumentassero il range di alternative disponibili.

[8] G. Clemente di San Luca, Volontariato, non-profit e beni culturali, cit., p. 53.

[9] A. D’Atena, Costituzione e principio di solidarietà, in Quaderni Costituzionali, n. 1/2001.

[10] Pio XI, Lettera Enciclica Quadrigesimo Anno.

[11] Si pensi che addirittura San Tommaso fa riferimento ad una concezione di bene comune come risultato di una pluralità di apporti in un contesto comunitario, solidaristico e non conflittuale all’interno del quale alla personalità umana è offerta l’opportunità di svilupparsi. L’onorevole Moro ribadirà questo aspetto ricordando come “parlare dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, metta ben in chiaro come la tutela accordata a tali formazioni altro non è che un’ulteriore esplicazione della personalità del singolo”. Emerge così un binomio indissolubile tra solidarietà e dignità in cui, quest’ultima, si afferma all’interno di un sistema solido di relazioni in cui ciascuno è riconosciuto nel suo insopprimibile valore anche se spesso confligge con la libertà perché questa, per essere tale, può risolversi anche nella scelta del male producendo così disagio, miseria ed egoismo. La dottrina sociale della Chiesa fonda la sussidiarietà sul primato etico della persona rispetto allo Stato, sia come singolo sia all’interno delle formazioni sociali in cui si esplica la sua personalità. Lo Stato, infatti, deve lasciar sviluppare spontaneamente le articolazioni della società senza pretendere di assorbirle: “La persona precede lo Stato ed è ingiusto o illecito togliere agli individui ciò che possono svolgere utilmente con le proprie forze” (Quadrigesimo anno). Ne abbiamo un riconoscimento embrionale anche nell’enciclica “Rerum Novarum”, nel periodo della Rivoluzione industriale, per evitare una deriva culturale del concetto di persona, ridotta a pura e semplice forza lavoro. Il principio è stato ripreso sia dallo stesso Giovanni XXIII sia da Giovanni Paolo II: entrambi lo hanno coniugato con il principio di solidarietà. Quest’ultimo impone il sostegno della persona (sia come singolo che in forma associata)  in una società organizzata per livelli; l’altro si fonda su un concetto di persona pienamente responsabile del proprio sviluppo. Addirittura Don Milani parlerà della sussidiarietà come il principio regolatore di una società a responsabilità diffusa.

[12]G. Clemente di San Luca, Volontariato, non-profit e beni culturali, cit., p. 48.

[13] B. Accettura,  Politiche di valorizzazione e funzione sociale dei beni culturali. Pratiche di cittadinanza attiva, in Federalismi, 4 Settembre 2019, che sul punto fa riferimento alle considerazioni di F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, 1994, p. 23. V. anche G. Arena, Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., n. 1/2017, p. 42, S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in L’amministrazione dello Stato, Milano, 1976, pp. 177 ss.; M. S. Giannini, I Beni Culturali, in Riv. trim. dir. pubbl. n. 1/1976, pp. 3 ss.; M. Cammelli,  Introduzione, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2006; M. Ainis, Cultura e politica, Padova, 1991; G. Severini, Commento agli artt. 1 e 2, in M. A. Sandulli (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, pp. 6 ss; G. Sciullo, I beni culturali quale risorsa collettiva da tutelare –una spesa, un investimento, in Aedon.it, n. 3/2017. 

[14] B. Accettura, OP. CIT., che sul punto fa riferimento alla Relazione finale della Commissione per il rilancio dei beni culturali e del turismo e per la riforma del ministero, istituita con decreto del Ministro Bray il 9 agosto 2013, in Aedon.it n. 3/2013, il cui lavoro muove dalla considerazione per la quale la titolarità dei beni riconducibili al patrimonio culturale “è in capo non allo Stato-apparato o all’amministrazione stessa, ma ad ogni singolo cittadino in quanto membro della comunità nazionale” e M. Roversi Monaco, Tutela e utilità collettiva del patrimonio pubblico e del patrimonio culturale: alcune considerazioni critiche, in Riv. Giur. Urb., n. 2/2016, p. 80. 

[15] G. Clemente di San Luca, Volontariato, non-profit e beni culturali, cit., pp. 48,49.

[16] Tipicamente il privato ha due strade percorribili per muoversi nel mondo dei beni culturali, quella delle erogazioni liberali, a cui si rifà un sistema di esenzioni, agevolazioni e deduzioni fiscali, che però nel tempo non ha riscosso molto successo, e quello delle sponsorizzazioni con le quali il privato acquisisce il vantaggio di associare la propria immagine a quella del bene mediante la pubblicità e con l’ amplificazione dei relativi messaggi consentita dalla sponsorizzazione stessa.

[17] F. Donà, Partecipazione e sussidiarietà nella valorizzazione dei beni culturali: strumenti disponibili e prospettive future, cit., che sul punto fa riferimento alle considerazioni sull’autonomia degli enti locali e, in particolare, sul fatto che i Comuni siano in grado di ovviare alle rigidità e ai formalismi del diritto statuale, sul punto si veda: F. Giglioni, I regolamenti comunali per la gestione dei beni comuni urbani come laboratorio per un nuovo diritto della città, in Munus, 2016, pp. 271 e ss. Circa il concetto di “sperimentazione democratica” l’autore rinvia al volume di C. F. Sabel, Esperimenti di nuova democrazia, in R. Prandini (a cura di), Armando Editore, Roma, 2013 e, nello specifico, al contributo di R. Prandini, Esperimenti di (nuova) democrazia: come salvare l’esperienza democratica nell’epoca della sua crisi. L’autore ricorda anche come “Il luogo della democrazia è quello, in cui si raccoglie una piccola-grande moltitudine di uomini della strada: di uomini qualunque”: M. Bertolissi, L’habitat della democrazia, in F. Pizzolato, A. Scalone, F. Corvaja (a cura di), La città e la partecipazione tra diritto e politica, Giappichelli, Torino, p. 22. 

[18] G. Greco, L’avvento della Sussidiarietà orizzontale comporta la previsione del contratto sociale, in Diritto.it, p. 3.

[19] B. Accettura,  Politiche di valorizzazione e funzione sociale dei beni culturali. Pratiche di cittadinanza attiva, cit., pp. 15,16 che ricorda alcune iniziative in tal senso tra cui un’iniziativa del Comune di Lecce finalizzata ad aprire un’ampia consultazione pubblica sulla valorizzazione e gestione di un complesso storico-artistico della città al fine di ottenere, attraverso forme di co-working, proposte progettuali “gradite” dalla cittadinanza e la consultazione pubblica avviata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Polo museale del Veneto, d’intesa con il Comune di Chioggia al fine di coinvolgere tutti i soggetti interessati nell’individuazione delle attività di valorizzazione delle aree ad utilizzo culturale del complesso monumentale di Forte San Felicedi proprietà dello Stato, “finalizzata ad avviare un confronto qualificato e costruttivo con tutti i Soggetti interessati ad intervenire o contribuire, direttamente o indirettamente, allo sviluppo delle aree ad utilizzo culturale del complesso monumentale” in polomusealeveneto.beniculturali.it. Si v. anche la consultazione pubblica promossa dalla Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale, con l’obiettivo, “attraverso un processo democratico volto all’ascolto diretto dei cittadini” di “finanziare un luogo della cultura del patrimonio statale individuato tra le eccellenze italiane, per la realizzazione di un percorso di accessibilità fisica e/o sensoriale, al fine di consentirne la piena fruizione da parte di tutti i visitatori”, in valorizzazione.beniculturali.it

[20] B. Accettura,  OP. CIT., p. 16.

[21] M. Bray, Il turismo e l’incontro tra beni culturali e territorio.

[22] M. Bray, OP.CIT.

[23] Per una ricostruzione completa della normativa riguardante il contratto di sponsorship ante D.Lgs 50/2016 si veda P. Rossi, Partenariato pubblico-privato e valorizzazione economica dei beni culturali nella riforma del codice degli appalti, in Federalismi, 17 Gennaio 2018, pp. 4-15. L’autore dopo aver identificato i tratti distintivi del contratto di sponsorizzazione, sottolineando che si tratta di un contratto atipico da cui scaturisce un un’obbligazione di mezzi (dal momento che lo sponsee non è chiamato a garantire allo sponsor la certezza della proiezione positiva di ritorno ed il conseguente beneficio di immagine) di natura patrimoniale, consensuale, a prestazione corrispettive, introduce un excursus normativo a riguardo. In questa sede si vuol solo ricordare come, per primo, fu il Codice Urbani, D. Lgs. 42/04, art. 120, a dedicare un’apposita disciplina alla sponsorizzazione culturale con lo scopo di promuoverne l’utilizzo. La ristrettezza dell’ambito applicativo soggettivo ed oggettivo della fattispecie prevista spinse, poi, il legislatore ad un primo intervento correttivo con il D. Lgs 62/2008 aprendo le porte, sotto il profilo soggettivo, non solo ai soggetti privati ma anche a tutte quelle persone giuridiche costituite o partecipate dallo Stato, dalle Regioni o dagli Enti Locali, mentre sotto il profilo oggettivo anche alle sponsorizzazioni pure. L’autore ricorda che, pertanto, la versione novellata del 2008 è tale da ricomprendere oltre all’ammissibilità delle c.d. sponsorizzazioni tecniche, nelle quali il contributo dello sponsor può consistere in una prestazione di facere (e più precisamente in servizi) o in una prestazione di dare (anche diversa dal denaro), il novellato art. 120 ha legittimato le anche c.d. sponsorizzazioni pure, nelle quali lo sponsor si impegna unicamente a finanziare, anche mediante accollo, le obbligazioni di pagamento che fanno carico all’amministrazione verso i terzi, purché finalizzate alla tutela o valorizzazione del patrimonio culturale. Con la conseguenza che la portata applicativa della definizione desumibile dal novellato art. 120 appare tale da ricomprendere ogni rapporto di sponsorship  in cui, in relazione ad iniziative connesse alla tutela o valorizzazione di beni culturali, lo sponsee si obbliga, in cambio di un corrispettivo in denaro, ma anche della fornitura di una specifico servizio o di un bene, ad associare all’attività relativa ai beni stessi il nome, l’attività, il marchio od altro segno distintivo dello sponsor, che desidera, in tal modo, realizzare una maggiore valorizzazione della sua immagine nella considerazione pubblica  in tal senso. Possono essere oggetto di sponsorizzazione iniziative e progetti sul patrimonio culturale del Ministero, delle Regioni e degli enti territoriali, nonché, appunto, di altri soggetti pubblici, ma anche di persone giuridiche private senza scopo di lucro, ovvero iniziative di soggetti privati su beni di loro proprietà. Sulla scorta della novellata nozione di sponsorship culturale, è stata altresì sancita l’ammissibilità sia delle c.d. sponsorizzazioni passive, nelle quali le pubbliche amministrazioni assumono il ruolo di soggetti sponsorizzati, utilizzandole come strumento indiretto di finanziamento, sia quella delle c.d. sponsorizzazioni attive, in cui le amministrazioni finanziano l’attività di un soggetto terzo. Da sottolineare inoltre come, dapprima, con il D. Lgs 30/2004 per i lavori pubblici attinenti ai beni culturali eseguiti tramite sponsorizzazioni, era stata esclusa l’applicazione della normativa sugli appalti pubblici, sennonché il D. Lgs. 163/2006, c.d. Codice degli Applati, non aveva recepito tale deroga dando vita così a nuove incertezze in quanto il Codice Urbani nulla prevedeva, all’art. 120, in relazione alle modalità di selezione del contraente ritenendo, in ultima istanza, la necessità di rispettare un minimum di regole pro concorrenziali nel rispetto degli obblighi di trasparenza, pubblicità e non discriminazione. Pertanto i bandi dovevano essere pubblicati per almeno 30 giorni sul sito istituzionale, contenere la sommaria descrizione di ciascun intervento, l’indicazione del valore di massima e dei tempi di realizzazione, la modalità di sponsorizzazione (pura o tecnica) e nel caso fosse scelta quest’ultima anche i criteri valutazione delle offerte. Nel caso di sponsorizzazione pura, invece, l’amministrazione doveva procedere alla stipula del contratto con lo sponsor che avesse offerto il finanziamento maggiore, mentre nel caso di sponsorizzazione tecnica con il soggetto che avesse presentato l’offerta realizzativa migliore, valutata secondo i suddetti criteri.

[24] P. Rossi, OP.CIT., pp. 18-19 che ricorda quanto desumibile dalla Sent. Cass., 19 febbraio 1992, n. 2067, in Mass. giur. it., 1992,  per cui “L’avviso non integra gli estremi di una vera e propria offerta contrattuale, qual è l “offerta al pubblico” ex art. 1336 c.c. destinata a divenire vincolante per l’offerente non appena interviene l’accettazione di uno dei destinatari, né tantomeno costituisce “promessa al pubblico” ex art. 1989 c.c. destinata a vincolare il promittente non appena resa pubblica. Trattasi di un semplice “invito ad offrire” con il quale l’amministrazione si riserva il potere di decidere se stipulare o meno il contratto con l’offerente. E precisa anche che secondo la direttiva del Mibact 9 Giugno 2016 come prima della pubblicazione la Pa sia tenuta a verificare se la proposta sia compatibile con l’interesse primario alla tutela e se l’offerta economica sia congrua chiedendo eventualmente all’aspirante sponsor, attraverso il c.d. soccorso istruttorio, ogni sforzo ragionevole e proporzionato per migliorare in tal senso la proposta.

[25] F. Carinci, Il principio di sussidiarietà verticale nel sistema delle fonti, in Forumcostituzionale, 20.11.2006.

[26] Per cui allo Stato spetta la normativa generale art. 117 c. 2 lett n), i principi di generali sempre in tema di istruzione e alle Regioni la legislazione di dettaglio e comunque fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

[27] S. Cassese, La nostra anarchia di Stato, in Il Corriere della Sera, 01 Dicembre 2020 che, in merito all’emergenza sanitaria in atto, sottolinea come invece che in Parlamento, che dovrebbe essere il luogo di dialogo-conflitto tra governo e opposizioni, in una situazione come l’attuale, in cui le regioni per tre quarti sono nella mani dell’opposizione, il governo preferisca dialogare e configgere direttamente con loro sia perché sono a loro volta diverse, sia per mettere su un binario morto il leader dell’opposizione svuotando così il Parlamento e mescolando la dialettica istituzionale Stato-Regioni con quella politica maggioranza-opposizione.

[28] Concetto di principio anch’esso piuttosto ampio tanto che la C.C. è dovuta intervenire definendone la latitudine a quei “valori non frazionabili” in più discipline regionali.

[29] Per comprendere meglio quanto, talvolta, sia delicata la questione si prenda come riferimento il ricorso notificato dalla Regione Toscana in data 27 Febbraio 2018 in cui viene impugnato l’art.1, comma 454 della legge 205/2017 per una questione meramente “lessicale”: la norma riguarda un vincolo in merito alle spese del personale sanitario che, con tale disposizione, incontrerebbero un tetto pari alla spesa per l’anno 2004 diminuita di 1,4 punti percentuale. Se nel testo, l’utilizzo della congiunzione “ovvero” assumesse un significato disgiuntivo – spiega la Regione nella nota – allora le Regioni avrebbero facoltà di scegliere il metodo attraverso cui raggiungere il tetto di spesa stabilito dal legislatore statale; e non vi sarebbero dunque vizi di costituzionalità. Ma se quell’ “ovvero avesse un significato esplicativo ed indicasse un modo obbligato – come peraltro parrebbe dalla relazione che in Parlamento illustrava l’emendamento – allora la norma non potrebbe essere considerata di principio e diventerebbe illegittima” in quanto il legislatore si sarebbe spinto troppo in là rispetto ai limiti previsti dall’art.117, comma 3 Cost. in merito al riparto delle materie a legislazione concorrente.

[30] F. Donà, cit.., pp. 5,6 che rimanda alle considerazioni di G. Manfredi, Il riparto delle competenze in tema di beni culturali e leale collaborazione, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 3/2017.

[31] M. D’Angelosante, La ‘cura’ dei beni culturali come beni di interesse pubblico: opacità, tendenze e potenzialità del sistema, in Federalismi, 28 Febbraio 2018, p. 21, che sul punto fa a tesi secondo le quali da tale norma discenderebbe che la Costituzione abbia inteso escludere i livelli di governo subregionali dalla titolarità delle funzioni amministrative proprio in materia di tutela dei beni culturali, cfr. G. Clemente Di San Luca – R. Savoia, Elementi di diritto dei beni culturali, op.ult.cit., pp. 63 ss.

[32] R. Savoia, Ipotesi di applicazione della sussidiarietà in un settore di amministrazione pubblica: il complesso caso dei beni culturaliin Federalismi, 09 Agosto 2006, pp. 7-12Tuttavia, l’autore ricorda come il legislatore del 2004 con il codice dei beni culturali, in tema di valorizzazione suggerisca che la relativa attività amministrativa debba compiersi preferenzialmente attraverso meccanismi di amministrazione congiunta e concordata tra i diversi livelli territoriali di governo, che consentano di ottimizzare l’offerta e di migliorarne la qualità. Ad una più attenta analisi, l’autore considera che il legislatore si sia spinto oltre, disponendo anche in ordine alla titolarità della potestà amministrativa. Basti guardare al contenuto dell’art. 112, co. 2, non a caso collocato ad esordio della Sezione dedicata alla enunciazione dei «principi fondamentali» della valorizzazione: «la legislazione regionale disciplina le funzioni e le attività di valorizzazione [non già della generalità] dei beni [culturali, ma solo di quelli] presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità». In sintesi, l’autore ritiene che l’applicazione del principio di sussidiarietà si ‘stemperi’ nell’adozione di un modello basato sulla consensualità, sulla concertazione istituzionale e sugli strumenti di natura pattizia. È un modello in cui l’amministrazione statale occupa comunque un ruolo preminente e nel quale, corrispettivamente, i confini di titolarità ed esercizio della potestà amministrativa delle autonomie territoriali, ed in specie degli enti locali, si fanno via via sempre più labili ed incerti. La formula utilizzata dal legislatore è quella consueta: anche per la valorizzazione si opera un generico rinvio al principio di «leale collaborazione», al coinvolgimento del comparto autonomistico e alla necessità che lo Stato, le Regioni e gli altri enti territoriali perseguano «il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività di valorizzazione» del patrimonio culturale in appartenenza pubblica (art. 7, co. 2).

[33] Sul punto A. Poggi, La difficile attuazione del titolo v: il caso dei beni culturali, in Federalismi, 11 Settembre 2003, pp. 2-4, che ricorda come tale impostazione affondi le proprie radici nell’esigenza di assicurare la salvaguardia del patrimonio culturale di un Paese agricolo e povero con una diffusione culturale assai limitata in cui il rischio principale era rappresentato dall’incuria e dall’abbandono o comunque dalla mancata consapevolezza, da parte dei privati proprietari e degli amministratori locali, del patrimonio in loro possesso per cui era ragionevole che un nucleo ristretto di persone riconoscessero, individuassero e proteggessero un patrimonio che rischiava altrimenti la dispersione.

[34] A. Poggi, OP. CIT., pp. 2-4.

[35] A. Poggi, OP. CIT., pp. 2-4.

[36] A. Papa, Il turismo culturale in italia: multilevel governance e promozione dell’identità culturale locale, in Federalismi, 21 Febbraio 2007, pp. 9,10.

[37] Purtroppo la tradizione meramente conservativa e la scarsa chiarezza nella ripartizione delle competenze hanno fatto sì che l’enorme potenziale non venisse mai sfruttato al pieno delle proprie possibilità.

[38] A. Papa, Il turismo culturale in italia: multilevel governance e promozione dell’identità culturale locale, cit., pp. 11,12.

[39] A. Papa, OP. CIT., pp. 1-3.

[40] Si veda M. Indovino, Overtourism: cause, effetti e soluzioni, Roma, che riporta un episodio avvenuto nell’estate del 2017. Un video postato su Facebook che mostrava le bellezze di un fiume in Val Verzasca (in Canton Ticino) le cui acque cristalline e incontaminate ricordavano quelle delle spiagge tropicali, motivo per il quale la località è stata soprannominata “Le Maldive a un’ora da Milano”, ha raggiunto milioni di visualizzazioni in pochissimo tempo ed il sito è stato letteralmente preso d’assalto da decine di migliaia di persone che hanno trascorso la giornata cercando refrigerio proprio nel fiume. Per i residenti della valle, non abituati ad un turismo di massa, sono emerse tutte le problematiche tipiche legate all’overtourism come l’aumento del traffico, la comparsa di rifiuti e soprattutto la perdita di autenticità del luogo dal momento che, il paradiso incontaminato tanto ricercato, non lo era più,  p. 28.

[41] Per una trattazione più approfondita della teoria del ciclo di vita della località turistica si veda M. Indovino, Overtourism: cause, effetti e soluzioni, cit., pp. 15-18 che sul punto riporta anche le osservazioni mosse alla suddetta teoria da parte di altri accademici. Johnston, ad esempio, ha apportato due sostanziali modifiche al ciclo di vita. Con la prima ha incorporato le sei fasi del precedente modello in tre nuove fasi inclusive delle precedenti, nell’ordine: l’era pre-turistica (scoperta e coinvolgimento), l’era turistica (sviluppo, consolidamento e stagnazione) ed infine era postturistica (declino). La seconda modifica riguarda, invece, una considerazione legata al post fase stagnazione che non sempre è seguita dal declino, e quindi, nel caso, dall’inizio dell’era post-turistica. Attraverso il rinnovamento, infatti, secondo Johnston, è possibile attivare una fase di post-stagnazione prolungando dunque l’era turistica. Un limite del modello di Butler, e delle successive revisioni, è quello di non tener però conto dell’impatto sulla popolazione locale. A questo problema ovvia un altro modello, il modello di Doxey, che introduce il concetto di Irritation Index. Esso si basa sul rapporto hosts-guests, ossia quello fra turisti e comunità locale, e cresce man mano che la convivenza fra i due gruppi diventa insostenibile. Questo modello, infatti , analizza il ciclo di vita della località turistica dal punto di vista dei suoi residenti. A differenza del modello di Butler quello di Doxey si articola in sole quattro fasi: la prima di queste è l’euforia, nella quale la popolazione è orientata positivamente all’apertura della località verso il turismo visto come potenziale opportunità di sviluppo e benessere per la propria località. Durante questa fase i residenti notano i benefici associati alla trasformazione del proprio territorio in una meta turistica quali la rivitalizzazione dei centri storici, la presenza di eventi e l’apertura di nuovi negozi (Wang e Pfister, 2008). Per fare un parallelo col modello di Butler questa fase coincide con quella della scoperta e del coinvolgimento. La seconda fase, quella dell’apatia, è invece caratterizzata dalla perdita di interesse da parte della popolazione per le questioni che riguardano la crescita del turismo: la maggior parte della popolazione è infatti convinta che tutto ciò riguardi soltanto gli operatori economici direttamente interessati e non il resto della popolazione. Questa fase, coincide nel modello di Butler alla fase dello sviluppo. Nella fase della saturazione (consolidamento nel modello di Butler) iniziano, invece, a emergere i primi attriti fra i residenti e i turisti e le attività a loro dedicate: problematiche legate al sovraffollamento, all’aumento generale dei prezzi ed altri fenomeni direttamente imputabili all’overtourism cominciano a interessare l’opinione pubblica. Ma è nella quarta ed ultima fase, quella dell’antagonismo (corrispondente alla stagnazione e al declino), che nasce un vero e proprio scontro fra residenti e il mondo del turismo. La cosiddetta curva di carico, ossia la soglia di turisti che una destinazione è in grado di sostenere è stata superata. A questo punto infatti i disagi legati al turismo non vengono adeguatamente compensati dai benefici e non è raro che ciò, come vedremo in seguito, porti alla nascita di veri e propri movimenti antiturismo.

[42] A. Simonati, La disciplina regionale dei centri storici: caratteri e tendenzeche sul punto sottolinea come la mancanza di riferimenti legislativi precisi abbia indotto una parte della dottrina ad elaborare, per così dire in via autonoma, un paradigma “sperimentale” di riferimento che considera il centro storico come un bene culturale complesso atipico. Approccio che, seppur rappresenti un significativo passo avanti, appare ancora assai riduttivo poiché di fatto punta all’estensione della tutela di matrice prettamente vincolistica, che essenzialmente si basa su una serie di divieti, pp. 296- 299.

[43] A. Simonati, OP. CIT., che sul punto fa riferimento agli interventi previsti nella L.R. Umbria n. 12 del 2008, pp. 307,308.

[44] A. Simonati, La disciplina regionale dei centri storici: convergenze e divergenze alla luce degli sviluppi recenti, pp. 193-196.

[45] A. Simonati, OP. CIT, p.188-189.

[46] Si tratta dell’ultima evoluzione di un fenomeno che nel corso del ‘900 ne ha conosciute molteplici. Brevemente possiamo ricordare che dalle prime forme di villeggiatura, intesa come esperienza embrionali di fuga dalla città, in non molti anni siamo passati alla diffusione di un vero e proprio turismo balneare. Lo sviluppo dei mezzi di trasporto, il riconoscimento del diritto alle ferie, fa sì che il turismo diventi un fenomeno sempre meno elitario e durante gli anni del boom economico le tradizionali mete di montagna, balneari e le città d’arte iniziano per la prima volta a riempirsi. La diffusione delle compagnie low cost, la specializzazione del lavoro anche in ambito turistico, la standardizzazione delle vacanze, i tour operator, ed oggi i social media aprono definitivamente le porte al turismo di massa che sfocia, nelle sue esperienze più negative, in veri e propri casi di overtourism.

[47] M. Indovino, ricorda come i social media siano in grado di generare un vero e proprio effetto bucket list , vedi nota n. 40.

[48] Perfino sul monte Fuji e sul leggendario monte Everest sono stati ritrovati depositi di spazzatura portati da folle di turisti.

[49] Per una trattazione articolato si veda M. indovino, Overtourism: cause, effetti e soluzioni, cit., p. 40.

[50] Il riferimento a Venezia non è affatto casuale, strutturalmente il capoluogo veneto presenta peculiarità importanti con ben 118 isole separate da canali e collegate da oltre 400 ponti.

[51] Da salutare con favore l’annuncio del Ministro Franceschini della realizzazione di un approccio per le grandi navi fuori dalla zona lagunare.

[52] Nei casi più estremi, infatti, il turista mordi e fuggi sostiene il solo costo di trasporto.

[53] M. Indovino, OP.CIT., riporta l’esempio di Berlino dove il prezzo degli alloggi al m2 è aumentato del 115 % dal 2004 al 2016, così come il costo dell’affitto di circa il 66%raggiungendo città come Monaco di Baviera e Francoforte dove, però, il reddito pro-capite è molto più elevato.

[54] Si è cercato di misurare l’aspetto quantitativo principalmente utilizzando due indici: il primo, il TPR, misura il numero di turisti per 100 abitanti, mentre il secondo (TDR) misura il numero di turisti per km2. Ma la soglia per poter parlare di troppo turismo non è affatto facile da definire anche perché vi è una percezione psicologica, variabile da individuo a individuo, che il bravo amministratore deve essere in grado di cogliere prima che si traduca in insofferenza e tensioni.

[55] M. Indovino, ricorda, a tal proposito, il Comitato No Grandi Navi e “L’associazione degli abitanti di Barceloneta”, quest’ultima nata per raccogliere le voci dell’omonimo quartiere diventato ormai un parco giochi per turisti in seguito al processo di riqualificazione di interi quartieri della città avvenuta dopo i Giochi olimpici del 92.

[56] M. Indovino, OP. CIT., ricorda come la stessa teoria della tragedia dei beni comuni evidenzi, a fronte della disponibilità di una gran quantità di beni, apparentemente illimitata, l’individualismo e la mancanza di incentivi adeguati portino chi di dovere a non regolare le risorse tendendo a dare la priorità all’utilità ottenuta nel breve periodo.

[57] Si è dimostrata senz’altro utile l’introduzione della Cinqueterre Card, strumento creato e gestito dall’Ente Parco Nazionale delle Cinque Terre che ha consentito di “mettere a sistema” turismo, agricoltura e mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio delle Cinque Terre. Lo sviluppo del comparto turistico ha rappresentato un’importante opportunità per tutto il territorio delle Cinque Terre e l’Ente Parco si è mobilitato per gestirlo correttamente, operandosi per mitigarne gli effetti e per evitare che potesse trasformarsi da opportunità di sviluppo ad elemento di degrado per il territorio e per la cultura locale (Cinque Terre Parco Dell’uomo. Le Sfide Della Conservazione E Della Gestione, n.d.). I visitatori rappresentano sicuramente un volano per l’economia locale ma anche un elemento di forte criticità, in quanto la presenza turistica tende ad indebolire non solo le tradizioni culturali ma la stessa struttura del territorio. Le misure di protezione poste in essere dall’Ente Parco mirano principalmente a tutelare e sostenere le attività tradizionali che hanno condotto nei secoli alla creazione del paesaggio locale (Parco Nazionale Delle Cinque Terre, Relazione MIBACT, n.d.). Con l’adozione delle Cinque Terre Card si è cercato quindi di bilanciare lo squilibrio sempre maggiore fra il comparto agricolo – ambientale ed il comparto turistico (Cinque Terre Parco Dell’uomo. Le Sfide Della Conservazione E Della Gestione, n.d.) e, attraverso l’utilizzo di questo strumento, è stato possibile impiegare i fondi provenienti dal turismo in ambito agricolo, consentendo di fornire un supporto alle attività fondamentali per la manutenzione del tradizionale territorio terrazzato e permettendo alle amministrazioni di intervenire sia sulla sentieristica che sulla mitigazione del rischio idrogeologico (Ente Parco Nazionale delle Cinque Terre, 2015). Per portare un esempio dalle diverse formule previste dalla Carta, dei 12 € del prezzo della Carta Cinque Terre Treno MS adulti, 7 € entrano a far parte del bilancio del Parco e vengono impiegati per la gestione della cooperativa ed il finanziamento degli interventi di protezione del territorio e del mare. Dei due milioni di visitatori del 2015 ca. un quinto ha acquistato la card, concorrendo in tal modo alle finalità di sostenibilità turistica e partecipando alle spese necessarie per la cura dei luoghi visitati (Parco Nazionale Delle Cinque Terre, Relazione MIBACT, n.d.). La Cinqueterre Card rappresenta dunque sia un mezzo di promozione del territorio che uno strumento di gestione ed autofinanziamento attraverso cui l’Ente può contribuire al mantenimento delle attività tradizionali e della cultura locale, che viene in tal modo salvaguardata (Ente Parco Nazionale delle Cinque Terre, 2015). Così sul punto V. Di Veroli, G.M. Di Buduo, C. Margottini, F. Bigiotti, G. Pojana,  Il turismo come strumento per la salvaguardia e lo sviluppo del territorio: il caso di Civita di Bagnoregio (Viterbo, Italia),  Cultural Management and Governance for European Pilgrimage Routes, Religious Tourism and Thermal Tourism, p. 170.

[58] M. Indovino, OP.CIT., individua 4 strategie di demarketing, secondo Kolter e Levy è possibile porre in essere: una strategia di demarketing generale con lo scopo di ridurre l’intera domanda, una strategia di demarketing selettivo per limitare la domanda da parte di uno o più consumatori, un demarketing apparente laddove si voglia dare l’impressione di voler ridurre la domanda ma in realtà l’obiettivo è quella di aumentarla, e infine un demerketing non intenzionale laddove si voglia perseguire la crescita ottenendo in realtà l’effetto opposto.

[59] Per l’illustrazione dei benefici in merito all’utilizzo dello strumento della tourist card si fa riferimento alle considerazioni di V. Di Veroli, G.M. Di Buduo, C. Margottini, F. Bigiotti, G. Pojana, Il turismo come strumento per la salvaguardia e lo sviluppo del territorio: il caso di Civita di Bagnoregio (Viterbo, Italia), cit. p. 168,169, che sul punto riporta le considerazioni di L. Bauleo, S Poeta, S. Poto (2016). Indagine sulle tourist card. Buone prassi in Italia ed in Europa, Rome, IT: Edizioni ISTA, pp. 6-8, 13, 329; R. Garibaldi, (2012). Le card turistiche: strumento di destination management. In V. Della Corte, M. Ruisi, Imprese e reti per lo sviluppo imprenditoriale del territorio. Teoria e casi di Destination Management (p. 2). Rome, IT: Aracne editrice che ricorda anche come sulla base dell’estensione dell’area le tourist card possono essere suddivise in city card destination card. Queste ultime estendono i vantaggi dalla city card ad un’area più vasta consentendo al turista di usufruire di servizi ed attrazioni di un intero Consorzio di Comuni, Provincia o Regione.

[60] Vale la pena ricordare che la zona in esame è caratterizzata da numerose produzioni tipiche di qualità, tra cui figurano in primis la produzione vitivinicola e quella olearia, le quali ben si presterebbero ad essere utilizzate come veicolo di promozione territoriale. In particolare ricadono in quest’area le produzioni DOC delle due zone di Orvieto e dei Colli Etruschi Viterbesi e le due produzioni IGT di Civitella d’Agliano Lazio. La variegata composizione dei prodotti e la loro qualità ha determinato il riconoscimento, da parte della Regione Lazio, della Teverina come Itinerario del Vino, dell’Olio e dei sapori tipici, secondo quanto previsto dalla legge regionale n. 21/2001, provvedimento con cui questo territorio è divenuto il primo comprensorio regionale ad avere un percorso del vino e dei sapori tipici riconosciuto (“Strada del Vino della Teverina”, n.d.). Oltre ai sei Comuni parte dell’Unione, il territorio della zona di produzione su cui insiste la Strada del Vino della Teverina comprende anche il Comune di Bomarzo, celebre per la presenza e la capacità attrattiva del Sacro Bosco, meglio noto come Parco dei Mostri, parco naturale e complesso monumentale in cui sculture cinquecentesche ritraenti animali mitologici e divinità fanno da contrappunto ad un bosco di conifere e latifoglie. V. Di Veroli, G.M. Di Buduo, C. Margottini, F. Bigiotti, G. Pojana, Il turismo come strumento per la salvaguardia e lo sviluppo del territorio: il caso di Civita di Bagnoregio (Viterbo, Italia), cit.p. 167 che sul punto fa riferimento alle considerazioni di SFranco, et alii, (2011). La costruzione di un ambiente sociale per un turismo di qualità, in Turismo e Psicologia, Padova, IT: Padova University Press, 4.

[61]V. Di Veroli et al., OP.CIT, pp. 167,168.

[62] V. Di Veroli et al., OP.CIT, pp. 166, 167, ricordano come il territorio Teverino si presenti contornato da quattro zone dall’elevato interesse turistico: la provincia di Orvieto a Nord, Roma e Viterbo a Sud, la Regione Umbria ad Est, Montefiascone ed il Lago di Bolsena ad Ovest. La prossimità a località turisticamente affermate fa sì che i comuni di questo territorio ne patiscano la relativa vicinanza, in quanto i flussi turistici che interessano l’area dell’Alta Tuscia Viterbese tendono a muoversi lungo le direttrici Orvieto-Bolsena e Viterbo-Orvieto, escludendo o limitandosi ad attraversare il territorio teverino, ma al contempo possono rappresentare anche occasioni potenzialmente vantaggiose laddove si riescano ad individuare le giuste leve per convogliare i flussi. L’area in esame, infatti, presenta comunque una buona capacità attrattiva, dovuta principalmente alla particolarità ed alla bellezza del paesaggio ed anzi si propone, non solo di far parte integrante di un nuovo “Modello Tuscia”, ma di rappresentarne il nuovo perno. Sul punto fanno riferimento alle considerazioni di S. Franco, (n.d.). Piano di riqualificazione turistica del sistema Bagnoregio-Civita in un’ottica di sviluppo territoriale della Teverina, Relazione preliminare, (s.n.), pp. 4-5 e SFranco, et alii, (2011). La costruzione di un ambiente sociale per un turismo di qualità, cit., 4.

[63] V. Di Veroli et al OP.CIT, pp. 168 che a tal proposito ricorda come l’introduzione di una ipotetica “Teverina Card” consentirebbe, dunque, di decentralizzare il turismo rispetto a Civita facilitando il contatto con una realtà territoriale più estesa e stimolando i visitatori alla fruizione dei siti minori e/o meno noti, garantendo una diffusione del turismo e del suo indotto su tutta l’area. Inoltre, come ulteriore strumento di supporto all’utilizzo della Teverina Card potrebbe essere sviluppata anche un’applicazione per smartphone tablet, ormai molto diffusi tra i turisti, attraverso la quale poter visualizzare itinerari, offerte e promozioni presenti sul territorio. L’Applicazione, anziché essere liberamente scaricabile, potrebbe essere fornita gratuitamente ai possessori della card, ad esempio tramite un QRCode riportato sulla stessa, in modo da fornire un ulteriore servizio ed incentivo all’acquisto. Il supporto di una “TeverinApp”, complementare alla card, potrebbe agevolare notevolmente sia la fruizione delle attrattive che gli spostamenti, attraverso l’indicazione di percorsi differenziati a seconda del mezzo di trasporto scelto e/o delle categorie d’interesse (e.g. percorso naturalistico, percorso enogastonomico, percorso archeologico, etc.) e la segnalazione dei punti d’interesse tematici presenti sul percorso o nelle vicinanze. Per quanto riguarda la vendita della Teverina Card, oltre che attraverso i canali web, questa potrebbe essere promossa e venduta presso le strutture ricettive convenzionate ed i punti di attrazione del territorio che presentano un maggior richiamo e sviluppo dal punto di vista della ricettività turistica, come la stessa biglietteria di Civita, rendendo possibile un utilizzo della capacità attrattiva di tali luoghi per la promozione di un’offerta territoriale condivisa. Inoltre, in maniera analoga a quanto avvenuto con la card del Parco Nazionale delle Cinque Terre, sarebbe possibile destinare una parte delle entrate derivanti dalle vendite in attività di mantenimento e recupero del territorio. Sul punto considerazioni in merito di L. Bauleo, S. Poeta, S. Poto, (2016). Indagine sulle tourist card. Buone prassi in Italia ed in Europa, Rome, IT: Edizioni ISTA, pp. 6-8, 13, 329, C. Cicatiello, G. Avolio, S. Franco, M. Valente, (2014), Dal prodotto turistico allo sviluppo locale delle aree rurali: il caso di Civita di Bagnoregio, in Mercati e Competitività, 4, 40-42, R. Garibaldi, (2012), Le card turistiche: strumento di destination management. In V. Della Corte, M. Ruisi, Imprese e reti per lo sviluppo imprenditoriale del territorio. Teoria e casi di Destination Management (p. 2). Rome, IT: Aracne editrice.

[64] Inoltre le ricerche dimostrano come l’impatto del riconoscimento UNESCO sia riscontrabile soprattutto durante la fase di candidatura, nella quale esistono condizioni e presupposti per la messa in campo di politiche, interventi, risorse e normative capaci di incidere sullo sviluppo territoriale. Ad esempio in V. Di Veroli et al OP.CIT, pp. 164-167 si ricorda come la città tedesca di Bamberg sia stata interessata da una crescita annua del numero di visitatori: dai 255.000 registrati nel 1993 (anno di iscrizione nella Lista) alle oltre 400.000 presenze nel 2008, ed abbia visto un incremento dell’attenzione mediatica con ben 32 interviste/recensioni svolte nel 2008, la maggior parte delle quali aventi come oggetto l’iscrizione della città nella Lista. L’esistenza di un effettivo rapporto causale tra il riconoscimento di un sito come Patrimonio dell’Umanità e lo sviluppo turistico è ancora tema di dibattito: il turismo risulta, infatti, uno dei settori più difficili da analizzare in termini quantitativi per diverse motivazioni, tra cui le difficoltà di individuazione della clientela ed il fatto che la maggioranza delle attività economiche coinvolte nella produzione di beni e servizi turistici non opera esclusivamente in questo settore. In uno studio condotto dall’ISNART nel 2013 è stato rilevato un notevole scarto dal punto di vista turistico tra le destinazioni Patrimonio dell’Umanità e quelle non associate al brand. Ad esempio, a gennaio 2013 l’occupazione delle stanze nei siti UNESCO è stata del 35,9% a fronte del 29,1% dei siti non-UNESCO ed il divario a favore dei siti Patrimonio dell’Umanità è stato confermato anche nei mesi successivi, con un distacco di + 21,4 % camere occupate nelle località UNESCO nel solo mese di maggio. È stata inoltre rivelata dall’Istituto di ricerca una maggiore capacità di destagionalizzazione della domanda turistica propria delle destinazioni inserite nella Lista. In riferimento allo stesso anno in Italia le località Patrimonio dell’Umanità contavano un totale di 23.000 strutture ricettive per 710.000 posti letto, pari al 15% dell’offerta nazionale italiana, di cui il 71% presentava la possibilità di booking online, a fronte del 64% delle strutture collocate in aree non UNESCO. Le percentuali evidenziano, in sostanza, come le località Patrimonio dell’Umanità siano caratterizzate da una maggiore diffusione e da una gestione avanzata delle relazioni con i clienti, dimostrando come il riconoscimento UNESCO sia in grado di rafforzare l’offerta turistica locale (UNESCO Batte Non-UNESCO: Scarto A Due Cifre Nel Ricettivo, 2013). Alla luce di queste considerazioni è dunque possibile affermare che, pur essendo stato istituito con l’obiettivo di contribuire alla conservazione del Patrimonio culturale e naturale, il brand UNESCO si è rivelato nel corso degli ultimi anni anche un utile strumento di promozione territoriale. Ciò è riscontrabile dal fatto che i siti parte della Lista del Patrimonio Mondiale sono divenuti delle vere e proprie destinazioni turistiche di riferimento, alle quali è associata la percezione diffusa di un valore di qualità, con effetti diretti sui territori di appartenenza. che Si veda anche di M. Friel, (2016). Certificazioni, marchi e territori. In L. Moreschini, G. B. Ramello, W. Santagata, Un marchio per la valorizzazione dei territori di eccellenza: dai siti UNESCO ai luoghi italiani della cultura, dell’arte e del paesaggio, Quaderni della Valorizzazione – NS 3 (p. 90). Soveria Mannelli, IT: Rubettino Editore.

[65] Turismo a Civita di Bagnoregio, il Comune elabora una nuova strategia, in tusciatimes.eu, 28 Luglio 2017.

[66] Il Museo Geologico e delle Frane di Civita di Bagnoregio risulta un esempio di presidio territoriale operante per rallentare i processi di degrado in atto sul borgo ed attivo nella promozione della “cultura della prevenzione”. Il Museo si pone come luogo di direzione, analisi, sintesi e divulgazione scientifica del piano di salvaguardia del borgo ed è stato evidenziato in più occasioni dal suo personale di gestione, prevalentemente composto da geologi professionisti, come sia indispensabile ed urgente implementare una strategia di intervento innovativa tramite una progettazione costantemente adattata alla complessa dinamica territoriale. Tale strategia dovrebbe prevedere interventi caratterizzati da una cadenza regolare le cui priorità e caratteristiche dovrebbero essere aggiornate costantemente sulla base di un monitoraggio continuo che prenda in esame l’area nella sua interezza. Solo l’analisi e l’interpretazione dei dati strumentali può consentire la realizzazione di una progettazione adeguata alle rapide e complesse dinamiche del territorio in esame, risulta dunque fondamentale che nella realizzazione degli interventi vengano valutati correttamente tutti i fenomeni in atto. Così sul punto V. Di Veroli et al OP.CIT, p. 160, che fa riferimento alle considerazioni contenute in L. Costantini, T. Ponziani, G. M. Di Buduo, (2015), L’impegno del “Museo Geologico e delle Frane” per salvare Civita di Bagnoregio, in Professione Geologo, 44, 22-27; G. M. Di Buduo, (2015), Una progettazione dinamica per un territorio dinamico, in Bollettino Geologico della Teverina, 5 bis, 6, recuperato da http://www.museogeologicoedellefrane.it/bollettino/2012-2015/index.html. Gli autori evidenziano inoltre come, dall’esperienza condotta in prima persona dai geologi del Museo, è risultata evidente l’urgenza di porre in essere adeguati sistemi di monitoraggio, in modo da agevolare una pronta individuazione e delimitazione esatta delle aree che presentano un maggiore grado di rischio, per ottenere dati sulle aree che presentano le maggiori criticità ed elaborare un sistema di allerta basato su soglie critiche dei parametri monitorati, integrando e migliorando il piano comunale di Protezione Civile (Bollettino Delle Frane. Cosa Succede Sul Territorio, 2013). Solo attraverso un monitoraggio dell’area, considerata nel suo complesso, portato avanti con strumenti idonei, risulterebbe quindi possibile raccogliere i dati di cui si necessita per una corretta programmazione delle priorità. In questo modo si potrebbero identificare le caratteristiche degli interventi da porre in essere con funzione preventiva, consentendo di ottenere benefici di lungo termine ottimizzando l’impegno economico. Agire in tal senso significherebbe operare una corretta prevenzione, funzionale ad una gestione del territorio che persegua criteri di efficacia nella pianificazione e nell’implementazione degli interventi ed efficienza dei costi ad essi associati.

[67] F. Bigiotti, G.M. Di Buduo, Un caso di studio di sostenibilità del turismo: Civita di Bagnoregio, atti del convegno Sostenere la sostenibilità del Turismo. Lo sviluppo turistico sostenibile dei piccoli centri della collina e della montagna: opportunità, vincoli e strategie, Associazione Italiana di Geologia Ambientale, SIGEA, 2016, Rome, IT.

[68] Si tratta di interventi molto costosi: lo studio condotto da V. Di Veroli et al OP.CIT, pp. 158-161 evidenzia come nel periodo esaminato (1985-2016) siano stati svolti complessivamente venti gli interventi posti in essere per un costo totale di 7.720.098,09 €. Gli interventi risultano ripartiti come segue: – Alla categoria Manutenzione del borgo afferiscono cinque interventi, per una spesa di 621.578,06 €, confluita per la maggior parte in lavori di riqualificazione dell’abitato.  Agli interventi afferenti alla categoria Consolidamento/Messa in sicurezza è corrisposta una spesa totale di 7.098.520,03 €, ripartita in percentuali diverse tra lavori che hanno avuto come oggetto l’area di Civita ed interventi che hanno interessato il solo ponte

[69] Sempre il suddetto studio V. Di Veroli et al OP.CIT,fornisce un dato indicativo inerente la spesa che si dovrebbe sostenere per l’installazione e il mantenimento del sistema di monitoraggio necessario. Secondo quanto indicato dal personale di gestione del Museo Geologico e delle Frane la cifra per l’installazione degli strumenti (tra cui una stazione meteo, inclinometri, celle piezometriche, fibre ottiche ed estensimetri – oltre all’eventuale monitoraggio a distanza mediante droni e tecnologie laser scanner, non compresi nella stima), sarebbe compresa tra i 300.000 ed i 350.000 €, a cui si dovrebbero aggiungere tra i 60.000 e gli 80.000 €/anno per la copertura dei costi di gestione e manutenzione. Considerando queste necessità, gli autori suggeriscono l’istituzione di uno specifico “Fondo per il monitoraggio e la prevenzione dei fenomeni di dissesto”, funzionale al finanziamento della struttura di monitoraggio di cui si necessita: destinando al Fondo 0,5 € dei ricavi di ogni biglietto d’ingresso venduto sarebbe, infatti, possibile finanziare completamente la struttura, coprendone i costi di installazione e sostenendone successivamente anche quelli di mantenimento. Ipotizzando che l’andamento delle presenze turistiche si mantenga analogo a quello che ha interessato il borgo nel corso dell’ultima annualità presa in esame, proseguono gli autori, con un aumento del costo unitario del biglietto di 0,5 € da destinare al Fondo si determinerebbe un incasso aggiuntivo di ca. 179.725 €/anno ed in due anni sarebbe possibile coprire i 350.000 € necessari all’installazione della struttura, consentendone successivamente la copertura dei costi di gestione e manutenzione. Attraverso queste entrate aggiuntive a disposizione del Comune sarebbe inoltre possibile remunerare il lavoro di monitoraggio che, attualmente, viene portato avanti a titolo volontario. In tal modo si renderebbe possibile un sostanziale miglioramento delle azioni necessarie alla salvaguardia del borgo rispondendo pienamente alle motivazioni che, in origine, hanno determinato la scelta di introdurre il pagamento di un contributo per la sua visita (Regolamento per l’individuazione di forme di sostegno del Complesso Monumentale di Civita Di Bagnoregio, art. 1).

[70]V. Di Veroli et al, OP.CIT., pp.170,171.

[71] V. Di Veroli et al, OP.CIT, vedi tab. n. 2 pag. 161, 162, che sul punto si fa riferimento alle considerazioni di F. Bigiotti, G.M. Di Buduo, Un caso di studio di sostenibilità del turismo: Civita di Bagnoregio, cit. ricorda che nel 2009 le presenze turistiche complessive dei sei comuni della Teverina erano circa 42.000, mentre nel 2015 solo a Civita sono state registrate oltre 600.000 presenze, comprensive di visitatori paganti ed esenti. Il numero delle presenze, risultato quasi costante negli anni 2013 e 2014, ha visto un incremento significativo nel terzo anno: solo ad agosto 2015 sono stati registrati 53.156 visitatori, mentre nello stesso periodo del 2016 Civita ha ospitato 61.687 turisti. Questo dato, pur mantenendo la sua estraneità nell’ambito della presente analisi per motivi di coerenza temporale, merita di essere reso noto in quanto indicativo di un flusso turistico triplicato rispetto all’anno di entrata in vigore del biglietto. Analizzando comparativamente i dati mensili emerge uno spostamento del periodo di massima affluenza parallelo all’incremento del numero di visitatori, il quale ha manifestato una tendenza sia a spostarsi verso la stagione estiva che a concentrarsi nel mese di agosto (dato confermato se si tiene in considerazione il numero di visitatori di agosto 2016). Il calcolo delle presenze ha rilevato un numero degli ingressi annui in continua crescita: 189.895 visitatori nell’anno 2013/2014, 247.547 nell’anno 2014/2015 e 359.449 nell’anno 2015/2016, con una differenza positiva di 57.652 visitatori nel secondo anno rispetto al primo e di ben 111.902 nel terzo rispetto al secondo. La tendenza alla concentrazione delle presenze nel mese di agosto, considerata congiuntamente all’aumento progressivo del numero di visitatori verificatosi nel corso del triennio ed al noto orientamento dei flussi turistici che caratterizza i principali poli di attrazione a condensare le presenze in questo periodo dell’anno, può essere interpretata come una risposta da parte dei fruitori all’aumento di visibilità che ha interessato il borgo a seguito delle politiche di valorizzazione e promozione territoriale portate avanti dall’amministrazione comunale.

[72] I ricavi che hanno caratterizzato il primo anno di attività della biglietteria hanno portato ad un incasso totale di 284.842 €, pari ad una media giornaliera di 780 €. All’aumento del numero di visitatori verificatosi nel corso dell’annualità successiva è corrisposto un incasso di 371.320 €, determinando un’entrata aggiuntiva di 86.478 € rispetto all’anno precedente, con un incasso medio giornaliero di 1.017 €. Infine, nell’anno 2015/2016 l’incremento ulteriore del numero di visitatori ha portato ad una differenza positiva di 167.853 € rispetto all’annualità precedentemente considerata. Le presenze turistiche dell’ultima annualità hanno comportato un entrata complessiva di 539.173 €, con un incasso medio giornaliero di 1.477 €. Dati tratta da V. Di Veroli et al, OP.CIT, cit., p. 163.

[73] Diverse ormai le esperienze di questo tipo, non solo Civita di Bagnoregio, la Regione Molise ha deciso di destinare 700 euro mensili per coloro che scelgono di prendere la residenza in un comune con meno di 2mila abitanti e, allo stesso tempo, aprire un’attività economica per almeno cinque anni. Si chiama, forse con troppa enfasi, “reddito di residenza attiva”: in realtà è un bonus, molto generoso, per non sprecare luoghi, identità, bellezza. Anche a Bormida, nelle Alpi marittime in Liguria, sono stati inaugurate politiche che prevedono affitti low cost e bonus acquisti con l’obiettivo di incentivare la ripopolazione di un borgo che conta solo 394 abitanti. A Gerafalco e Cerreto, rispettivamente in Emilia e Toscana, l’incipit per il ripopolamento è partito dalle cooperative della zona che si occupano di turismo e agricoltura. A Cabella Ligure l’amministrazione comunale ha scelto la strada degli incentivi fiscali per spingere le persone a trasferirsi nel piccolo borgo in provincia di Alessandria: qui sono stati previsti sconti fiscali, dall’Imu all’Irpef, per chi ristruttura vecchi edifici abbandonati e sceglie una nuova residenza nel borgo situato sul versante piemontese dell’Appennino Ligure. A Grottole, in Basilicata, due piccoli palazzi sono stati protagonisti del progetto “Wonder Grottole”: una raccolta di fondi, attraverso il crowdfunding, grazie ai quali saranno trasformati in contenitori di eventi culturali e in residenze per artisti. Nel 2020 è stata inaugurata la prima WonderCasa per accogliere artisti, artigiani, professionisti che vogliono trascorrere due mesi a Grottole e lasciare un progetto di sviluppo per la comunità locale su specifiche tematiche. I primi ospiti hanno lavorato su apicoltura e autocostruzione. A Locana, nel Parco nazionale del Gran Paradiso, è stato previsto bonus triennale di tremila euro, per un totale di novemila euro, alle famiglie che scelgono di vivere in questo luogo magico. Requisito indispensabile: iscrivere almeno un figlio nella scuola del borgo, un segnale concreto per rivitalizzare un borgo che dai 6.000 abitanti di inizio Novecento, oggi ne conta soltanto 1.700. Ad Amandola, comune marchigiano, è nata la comunità del trekking. Il centro storico di Amandola è composto da case nobiliari del Settecento, strade tutte lastricate e da un meraviglioso Teatro La Fenice. Per la sua rinascita il borgo marchigiano ha puntato su tre leve: la produzione di miele e zafferano,  un turismo legato al trekking sui Monti Sibillini, con un gruppo di 170 soci iscritti all’associazione locale del Cai (Club alpino italiano), e piccoli B&B nati nella zona. A Biccari, sui Monti Dauni, cinquanta chilometri da Foggia, giovani e anziani insieme, in una cooperativa di comunità, per sviluppare attività agricole (dagli asparagi ai tartufi) e turistiche. Così un antico convento di frati minori è stato trasformato in un ostello diffuso, e prima della pandemia in pochi mesi qui vi sono state oltre duecento presenze. Notizie tratte da I borghi che tornano a vivere in Italia. Con agricoltura, turismo e ottimi incentivi, in  non sprecare.it.

[74] E. Messineo, Le nuove frontiere del turismo culturale. Processi ed esperienze creative in un itinerario culturale. Il caso della Rotta dei Fenici, Palermo, 2011, pp. 32,33, che fa riferimento alle considerazioni di Daniel Y. (1996) Tourism Dance performances. Authenticity and Creativity, in “Annals of Tourism Research”, 23, pp. 780-797; Taylor J. P. (2001) Authenticity And Sincerity In Tourism, in “Annals of Tourism Research”, 28, pp. 7-26

[75] E. Messineo, OP. CIT., pp. 34-36, che fa riferimento alle considerazioni riportate in Unesco (2006), Understanding Creative Industries. Cultural statistics for public-policy making, in http://www.portal.unesco.org/culture/en/files/30297/11942616973cultural_stat_EN.pdf/cultural_stat_EN.pdf] (27/11/2010), Grossi R. (a cura di) (2008) Creativita‟ e produzione culturale. Un paese tra declino e progresso. V Rapporto Annuale Federculture, Allemandi & Co., Torino;

[76] E. Messineo, OP. CIT., pp. 44-46.

[77] Dichiarazione tratta da un episodio riportato in R. Lanzara, La rosa e il sensore: tradizione e innovazione nell’impresa dinamica, Edizioni Franco Angeli, 2011, p. 117, in cui l’autore riporta una conversazione personale con il Marchese Frescobaldi.

[78] Si veda sul punto il volume di B. Calanca, Il Cammino delle Fortificazioni. La piazzaforte di la Maddalena. Carlo Delfino Editore, 2019. Da ricordare anche che la valorizzazione dei siti meno conosciuti, ma altrettanto ricchi di fascino, rappresenta una valida strategia di decongestionamento dei siti più affollati incrementandone la vivibilità  e ampliamendo l’ampiezza del portafoglio che l’area è in grado di offrire.

[79] E. Messineo, OP. CIT, pp. 63-76, che ricorda anche gli errori individuati da Pulido Fernandez da evitare nella costruzione di itinerari. Sinteticamente possiamo ricordare quanto sia importante scongiurare che l’itinerario sia concepito soltanto come disegno intellettuale e non esista, invece, come prodotto turistico. Inoltre, una volta concepito, è necessario garantire l’accessibilità dei siti che lo compongono per evitare che rimanga solo sulla carta e garantire, al contempo, che la segnaletica sia funzionale alla corretta fruizione e canalizzazione dei flussi e che veicoli un’immagine coordinata e unitaria anche se si tratta di realtà coinvolte tra loro differenti.

 

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