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Fiscalizzazione abusi edilizi: il calcolo della sanzione.

Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla corretta applicazione da parte della PA delle sanzioni previste dall’art. 34 del Testo Unico Edilizia.

La sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria prevista dall’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) è una norma di carattere generale e la sua quantificazione è possibile anche quando sia necessario commutare il volume in superficie.

Sulla base di questi presupposti, il Consiglio di Stato ha pronunciato la sentenza n. 8170/2022, inerente il ricorso presentato da un’Amministrazione, che aveva riscontrato la violazione delle altezze di un edificio e, nell’impossibilità di demolire la parte abusiva senza pregiudicare quella assentita, aveva irrogato una sanzione pecuniaria, applicando il criterio della commutazione del volume in superficie con divisione del valore per cinque e moltiplicazione dell’importo per tre, al pari di quanto previsto dalla nota contenuta nella tabella allegata alla L. n. 47/1985 (Primo Condono Edilizio).

Secondo il giudice di prime cure, l’applicazione estensiva o mediante interpretazione analogica di previsioni non espressamente richiamate dalla disposizione di cui all’art. 34, co. 2 del Testo Unico Edilizia era impossibile, soprattutto trattandosi di violazione di altezze, per cui era impossibile, consistendo in un incremento della cubatura non necessariamente implicante la realizzazione di nuova superficie abitativa con ulteriore carico urbanistico.

 “Con riguardo alla quantificazione della sanzione relativa alla violazione dei limiti di altezza, il Collegio rileva che il criterio applicato dall’Amministrazione nel caso di specie non può essere accolto. E infatti, la Tabella A della legge n. 47/1985 nel quale esso è contenuto riguarda le ipotesi di determinazione dell’importo dell’oblazione da corrispondere da parte degli autori degli abusi ed ha quindi natura diversa da quella della sanzione contemplata dall’art. 34 del d.P.R. che ha carattere sostitutivo rispetto alla demolizione. Quest’ultima, oltre a condividere con l’oblazione un contenuto afflittivo nei confronti dei responsabili dell’abuso, presenta anche indubitabilmente una funzione ulteriore e prevalente che consiste nel “risarcire” la collettività del carico urbanistico ulteriore imposto e non previsto dalla pianificazione dell’area, per effetto della realizzazione di uno spazio abitabile abusivo, fornendo all’Amministrazione le risorse necessarie a realizzare quelle opere necessarie ad assorbire, anche urbanisticamente, le conseguenze dell’abuso. Tale diversa finalità e natura della sanzione prevista dall’art. 34, co. 2, del d.P.R. n. 380/2001 rende inapplicabile il criterio di determinazione della superficie convenzionale dettato esclusivamente per determinare la misura dell’oblazione. Nel caso di specie, come rilevato anche nella relazione di verificazione, non risulta nessun indice positivo che consenta di tradurre la cubatura abusiva in superficie piana convenzionale, segnatamente con riguardo alla violazione dei limiti di altezza che vengono in rilievo nel presente giudizio i quali sono di entità limitata (0,38 metri), al punto da non dare luogo alla creazione di autonomi spazi abitabili, potendo al più comportare un incremento della cubatura destinata all’abitabilità, aumentandone le possibilità e comodità di fruizione, senza tuttavia incrementare il carico urbanistico”.

Inoltre il TAR aveva ritenuto che “Una tale tipologia di abuso non è specificamente disciplinata ai fini sanzionatori, mentre l’estensione in via interpretativa di criteri solo apparentemente similari, ma dettati in tutt’altro contesto e con finalità differenti, rappresenterebbe un’indebita interpretazione in malam partem, non compatibile con i principi del diritto punitivo applicabili nell’ordinamento. Ne consegue che, in assenza di una specifica previsione normativa, deve ritenersi che la scelta del legislatore sia stata quella di non sanzionare ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 abusi che, come nella fattispecie, consistono in un incremento della cubatura non necessariamente implicante la realizzazione di nuova superficie abitativa con ulteriore carico urbanistico”.

Da qui l’appello del Comune, che ha osservato che:

  • l’art. 34, co. 2, del D.P.R. 380/2001 determina la sanzione pecuniaria sostitutiva in misura pari – per gli immobili ad uso residenziale – al doppio del costo di produzione, richiamando – secondo un meccanismo di rinvio materiale – le previsioni di cui alla legge n. 392/1978 che, riferendosi ad abusi edilizi relativi alla superficie, assume ad unità di misura il metro quadrato, con conseguente necessità di individuare un meccanismo di commutazione in caso di incrementi meramente volumetrici;
  • il legislatore, nel determinare la sanzione edilizia, non intenderebbe parametrarla al carico urbanistico dell’opera eseguita in difformità, ma a dati inerenti il valore oggettivo delle opere medesime, ovvero il costo di produzione;
  • la legge sanziona ogni parziale difformità e non solo quelle relative ad incrementi di superficie e pertanto una difformità volumetrica non può ritenersi non sanzionata;
  • l’aumento abusivo di volume determina senz’altro un aumento di valore dell’opera edilizia eseguita in parziale difformità; di conseguenza, escluderne la sanzionabilità si tradurrebbe nel consentire l’esecuzione di opere edilizie con maggiori altezze che incidano, di fatto, sul valore dell’immobile, pur non comportando alcun aumento di superficie.

Il Consiglio di Stato ha sposato la tesi dell’appellante. Come spiegano i giudici di Palazzo Spada, la disposizione di cui all’art. 34, co. 1, del D.P.R. n. 380/2001, prevede che gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire siano rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. La misura reale della rimozione o della demolizione costituisce la conseguenza tipica e primaria rispetto alle altre sanzioni che sono deroghe alla previsione generale.

Questo vale anche per la c.d. fiscalizzazione prevista dalla regola, racchiusa nel secondo comma dell’art. 34 t.u.e. e destinata ad operare solo laddove la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità“la scelta legislativa non consiste, quindi, nell’abdicare dal sanzionare la difformità ma, al contrario, nel sostituire la misura reale con una sanzione pecuniaria variamente calibrata a seconda dell’uso dell’immobile. L’ordinamento esige, quindi, una risposta “sanzionatoria” non consentendo di deflettere da tale proposito se non in casi espressamente previsti dallo stesso legislatore cui solo compete stabilire, modulare o escludere la pretesa punitiva”.

La natura e tipologia dell’abuso non può, quindi, determinare l’inoperatività della disposizione di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001. Né tale soluzione può sostenersi in ragione delle ritenute difficoltà di adeguamento di un sistema calibrato sugli incrementi di superficie ai casi in cui si accerti esclusivamente una maggior cubatura illegittima.  Va considerato che quanto previsto dall’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 consente, comunque, di determinare il trattamento sanzionatorio per ipotesi come del caso in esame, con necessari adeguamenti imposti dalla peculiarità della fattispecie, facendo riferimento alle regole racchiuse nella L. n. 392/1978

In particolare, la legge n. 392/1978 determina il costo di produzione in base alla data di edificazione, distinguendo tra:

  • gli immobili ultimati entro il 31 dicembre 1975, ai quali si applicano i valori fissi indicati all’art. 14;
  • gli immobili completati dopo tale data, ai quali soltanto si applicano gli aggiornamenti valoriali individuati con decreti ministeriali (art. 22).

Pertanto la quantificazione è per legge affidata ai parametri di calcolo posti negli artt. 14 e 22 l. 392/1978 e in base alla data di completamento dell’edificazione. Tali parametri sono calibrati su incrementi di superfici con la conseguente necessità, per non operare un’indebita disapplicazione della regola di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 – di individuare un meccanismo tecnico di “conversione” della volumetria illegittima in superficie al fine di determinare il quantum debeatur.

In questo caso il Comune ha:

  • i) definito il costo unitario di produzione;
  • ii) determinato la superficie abusiva;
  • iii) moltiplicato il costo unitario di produzione per l’intera superficie illegittima.

La conversione del volume in superficie è stata effettuata dall’Amministrazione moltiplicando la maggiore altezza del fabbricato per la superficie totale del piano sottotetto e determinando la superficie in misura pari a 3/5 del volume, come indicato dalla nota n. 1 della tabella allegata alla L. n. 47/1985.

Il meccanismo attuato costituisce propriamente l’applicazione diretta di un mero parametro tecnico, utilizzato al fine di dare applicazione al disposto primario di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 individuando la sanzione dovuta per l’opera in difformità. Si tratta di un criterio che tempera le conseguenze sanzionatorie che deriverebbero ove si operasse una mera moltiplicazione del costo di produzione per i metri cubi in eccesso; in secondo luogo, si tratta di criterio che consente di “agganciare” le ipotesi di abusi consistenti in incrementi volumetrici alle regole dettate dalla L. n. 392/1978 alla quale la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 rinvia.

L’appello è stato quindi accolto: il percorso seguito dall’Amministrazione risulta maggiormente aderente sia alle previsioni legali contenute nella Legge n. 392/1978 che alle necessità di tener conto della differenza tra superficie e volume modulando ed attenuando la pretesa punitiva senza, tuttavia, elidere la possibilità di sanzionare l’incremento volumetrico illegittimo che, per le ragioni spiegate supra, deve ritenersi non consentita dall’ordinamento.

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