Print Friendly, PDF & Email

Un Tribunale che configura l’esenzione dal servizio dei dipendenti pubblici, a stipendio pieno, come misura doverosa e addirittura prioritaria rispetto al consumo delle ferie pro rata maturate nel 2020 è qualcosa di paradossale. Ma, i troppi cortocircuiti giuridici cagionati dalla convulsa normativa anti Covid hanno portato anche a questo paradosso, merchè anche le poco ponderate iniziative della Funzione Pubblica.

Che la circolare 2/2020 di Palazzo Vidoni, in merito alle “ferie pregresse” e all’esenzione dal servizio  fosse inopportuna, lo sostenemmo con convinzione a suo tempo qui.  

Lo era nel merito, perché oggettivamente sbagliata. Lo era nel metodo, perché poteva dare il destro a qualche giudice del lavoro per emanare qualche sentenza di puro stampo sofistico come quella del Tribunale di Milano, 17 marzo, n. 20217831/2020. Una pronuncia che può ascriversi alle tante, troppe, estemporanee connesse alla situazione di emergenza, come quella recente del Gip di Milano, secondo il quale la falsa dichiarazione in un’autocertificazione non costituisce reato di falso o l’ancor più erronea del Gip di Reggio Emilia, che scambia le disposizioni dei Dpcm per provvedimenti limitativi della libertà personale di tipo processuale. 

L’argomentazione del Tribunale di Milano è semplicemente speciosa, oltre che palesemente infondata. Le ferie “pregresse” nemmeno dovrebbero esistere, perché è obbligazione del dipendente esaurirle tutte entro l’anno solare. 

E’ evidente che in una situazione d’emergenza sarebbe stato prioritario correggere la stortura della presenza di ferie “pregresse”, che nemmeno dovevano esservi: l’esaurimento di tali ferie era uno strumento utile per regolarizzare una situazione anomala ed inefficienza, assicurando che il dipendente non andasse al lavoro e contribuisse al contenimento della diffusione del virus. 

Ma, “pregresse” sono sempre e comunque le ferie che man mano si maturano pro-rata. Ed è pacifico nella giurisprudenza del lavoro della Cassazione che il datore di lavoro disponga del potere di organizzare i turni di ferie, tenendo “anche” degli interessi del prestatore di lavoro. Gli interessi del lavoratore sono da considerare, ma debbono collimare con quelli datoriali. In una fase emergenziale, nella quale occorreva garantire il distanziamento sociale, la programmazione di ferie anche dell’anno 2020 era doverosa e normale ed efficiente disposizione organizzativa. Volta anche ad evitare un’applicazione leggera e non ponderata della più insulsa ed inaccettabile delle disposizioni del d.l. 18/2020: quella che permetteva di esentare il dipendente pubblico dal servizio a stipendio pieno. Una previsione, anche alla luce delle tantissime attività private bloccate ed indennizzate con percentuali ridottissime del fatturato, e della riduzione reddituale subita da tanti dipendenti privati in cassa integrazione, semplicemente inaccettabile. E bene hanno fatto tutte le amministrazioni pubbliche che hanno provato ad utilizzare tutti gli strumenti possibili per giustificare l’assenza dal servizio dei dipendenti, prima di consentire un’esenzione a stipendio pieno. 

Non pare vi sia minimamente da dubitare che, come indicato dalla Cassazione Sezione lavoro 13980/2000, il datore pubblico, alla stregua dell’imprenditore, disponga del potere di organizzare il periodo delle ferie in modo utile per le esigenze dell’impresa, in modo non ingiustificatamente vessatorio nei confronti del lavoratore. Non pare per nulla possibile affermare che un datore pubblico, nell’organizzare le ferie anche del 2020 allo scopo di garantire un’assenza giustificata dal servizio dovuta ad una pandemia abbia adottato un comportamento vessatorio nei confronti del dipendente. Ha fatto il possibile per minimizzare la presenza in servizio proprio per garantire “esigenze di impresa” tali da assicurare che i lavoratori restassero a casa per rispettare il distanziamento sociale. 

Il Tribunale di Milano si arrampica sugli specchi di motivazioni apodittiche, considerando le esigenze organizzative come subordinate ad un’inerzia del lavoratore nel chiedere le ferie o recessive rispetto ad una sorta di “dovere” primario di esentare dal lavoro, prima di adottare ogni altra misura utile ad evitare il danno, etico, prima che erariale, di pagare uno stipendio senza che a fronte di ciò vi fosse alcuna prestazione. 

La condanna al comune a considerare il dipendente esentato dal servizio a stipendio pieno e al ripristino delle ferie 2020 appare davvero una beffa oltre che un errore. E sottende un danno erariale, a cui ha certamente dato causa la sciagurata circolare 2/2020. Staremo a vedere se la Corte dei conti avrà qualche iniziativa da assumere. 

Torna in alto