22/02/2021 – All’Adunanza plenaria Il Tar compete a conoscere il ricorso proposto contro la declaratoria di inammissibilità della concessione della cittadinanza

 Processo amministrativo – Competenza – Cittadinanza italiana – Istanza – Declaratoria di inammissibilità – Tar competente – Rimessione all’Adunanza plenaria. 

          E’ rimessa all’Adunanza plenaria la questione se la ratio sottesa al c.d. criterio dell’efficacia, previsto dall’art. 13, comma 1, secondo periodo, c.p.a., sia solo quella di temperare il c.d. criterio della sede e, cioè, finalizzata a radicare, secondo un più generale principio di prossimità, che presiede ad entrambi i criteri, e secondo una logica di decentramento, la competenza territoriale del Tribunale “periferico” in ordine ad atti emanati da amministrazioni aventi sede in una circoscrizione di un Tribunale, ma esplicanti effetti diretti limitati alla circoscrizione territoriale di un altro Tribunale, o se interpretato e contrario esso, secondo una logica di accentramento, per converso determini anche un ampliamento, rispetto a quanto prevede l’art. 13, comma 3, c.p.a., della competenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, quando l’atto sia adottato da un organo periferico dello Stato o da un amministrazione non statale, ma esplichi effetti diretti lesivi ultraregionali, non limitati o comunque non agevolmente circoscrivibili all’ambito territoriale esclusivo di una sola Regione (1). 

         E’ rimessa all’Adunanza plenaria la questione  se il decreto di inammissibilità dell’istanza finalizzata ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana, adottato dalla Prefettura, abbia effetti diretti limitati al solo ambito territoriale in cui ha sede la Prefettura o se esso invece, in quanto idoneo a interrompere il procedimento per la concessione della cittadinanza nonché ad incidere sullo status dell’interessato, esplichi gli stessi o analoghi effetti erga omnes e territorialmente illimitati che ha un decreto di rigetto della medesima istanza emesso in via centrale dal Ministero dell’Interno, e tanto al fine di determinare definitivamente, come prescrive l’art. 16, comma 3, c.p.a., se, ai sensi dell’art. 13 c.p.a., sia competente a conoscere del ricorso il Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede la Prefettura, che ha emesso il decreto di inammissibilità, o invece il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (2). 

(1)  Ha ricordato la Sezione che l’art. 13, comma 1, c.p.a. definisce quale criterio di competenza territoriale primario, inderogabile, quello della sede la pubblica amministrazione emanante (c.d. criterio della sede), con la conseguenza che gli atti da questa adottati devono essere giudicati dal Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede la stessa pubblica amministrazione, aggiungendo, altresì, che è inderogabilmente competente a conoscere delle controversie riguardanti atti o comportamenti «i cui effetti diretti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede» (c.d. criterio dell’efficacia) il Tribunale nella cui circoscrizione territoriale si sono esclusivamente prodotti detti effetti, anche se l’autorità emanante abbia sede in altra Regione. 

Il criterio dell’efficacia ha carattere meramente correttivo o, se si preferisce, suppletivo rispetto a quello ordinario e principale della sede e radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione l’atto esplica i propri effetti diretti lesivi solo quando l’autorità emanante abbia sede nella circoscrizione territoriale di un Tribunale amministrativo regionale diverso. 

Il criterio principale di riparto della competenza per territorio, fondato sulla sede dell’autorità che ha emesso l’atto impugnato, è infatti suscettibile di essere sostituito da quello inerente agli effetti diretti dell’atto, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, solo qualora gli stessi si esplichino esclusivamente nel luogo compreso in una diversa circoscrizione di Tribunale amministrativo regionale (Cons. St., Ad. plen., 24 settembre 2012, n. 33; id., sez. III, 24 marzo 2014, n. 1383). Ne segue che, anche qualora un atto di un’autorità statale centrale, che ha sede in Roma, esplichi i propri effetti solo nell’ambito di una circoscrizione territoriale ben delimitata e diversa dalla circoscrizione territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, il criterio dell’efficacia opererà, con la devoluzione della controversia al Tribunale “periferico”. Diversamente, laddove, cioè, gli effetti dell’atto esulassero da un circoscritto ambito territoriale e fossero ultraregionali (si pensi ad un atto a contenuto generale), opererebbe infatti il criterio residuale dell’art. 13, comma 3, c.p.a., secondo cui «negli altri casi», per gli atti statali, è competente il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, al di là, ovviamente, delle ulteriori ipotesi di competenza inderogabile di detto Tribunale previste dall’art. 14 c.p.a. 

La ratio sottesa al c.d. criterio dell’efficacia è stata tradizionalmente, già nel vigore dell’abrogata l. n. 1034 del 1971, quella di radicare la competenza del Tribunale amministrativo regionale più vicino al ricorrente, quando gli effetti lesivi dell’atto siano limitati ad un ristretto ambito territoriale nel quale egli si trova, anche se l’autorità emanante, centrale o periferica, abbia sede altrove, decentrando la competenza territoriale secondo una logica di prossimità, e non già quella, in senso inverso, di riconoscere ipotesi ulteriori di competenza in capo al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, accentrando la competenza territoriale in capo a questo Tribunale al di là delle ipotesi, già numerose, previste dalla legge (art. 13, comma 3, e art. 14 c.p.a.), in contrasto con l’esigenza, avvertita già dalla relazione di accompagnamento al codice del processo amministrativo, di evitare un eccessivo aggravio per il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma. 

Va ricordato sul punto che, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio ribadita, come si dirà, anche dalla stessa Adunanza plenaria nel vigore del nuovo codice, l’art. 2, lettera b), l. n. 1034 del 1971 assegnava la cognizione al Tribunale amministrativo regionale, nel cui ambito territoriale di giurisdizione abbia sede l’organo periferico, dei ricorsi contro gli atti da questo adottati, anche indipendentemente dall’efficacia infraregionale o ultraregionale dell’atto stesso (Cons. St., sez. VI, 18 agosto 2009, n. 4965). 

Si tratta qui anzitutto di comprendere se anche nel vigore della nuova legge processuale l’art. 13, comma 1, c.p.a. radichi, e contrario, la competenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, quando l’atto sia adottato da un organo periferico dello Stato, ma esplichi in ipotesi effetti diretti anche ultraregionali o addirittura generali, perché l’applicazione di questo criterio secondo la logica inversa dell’accentramento, ampliativa, dunque, della competenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, al di là dell’incertezza che comporta l’esatta perimetrazione degli effetti diretti ultraregionali di un atto adottato da un’amministrazione periferica o locale, potrebbe condurre ad una eccessiva concentrazione del contenzioso in capo a detto Tribunale anche quando non sia certo o agevole ricondurre la lesività di detti effetti entro un ambito territoriale circoscritto. 

E ciò, peraltro, non senza considerare che opera in materia un fondamentale principio di scindibilità degli effetti, alla stregua del quale, di fronte all’impugnazione di un atto potenzialmente idoneo ad operare in più Regioni, devono essere apprezzati, ai fini della statuizione sulla competenza territoriale, i soli effetti interessati dall’azione giudiziale e, quindi, la portata effettuale dell’ipotetica pronuncia di annullamento (Cons. St., sez. III, 23 giugno 2014, n. 3156, in tema di informative antimafia). 

(2) La sezione ha affrontato il problema della natura e degli effetti dei  provvedimenti emessi dall’autorità centrale e recanti il rigetto dell’istanza volta ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza; se il principio per cui il diniego ha effetto sull’intero territorio nazionale in quanto afferenti allo status civitatis, si estende anche ai provvedimenti di inammissibilità adottati dall’autorità prefettizia perché essi determinano comunque un arresto procedimentale tale da incidere sulla pretesa, sostanzialmente inscindibile sul piano degli effetti perché riferentesi ad uno status, ad ottenere la cittadinanza. 

E’ stato anche affermato che il decreto che dichiara inammissibile la domanda non è un atto di diniego della cittadinanza, ma un atto di un organo periferico che si inserisce nell’iter amministrativo, determinandone l’arresto; b) non è un atto idoneo ad incidere sullo status del soggetto interessato con efficacia erga omnes perché l’interessato può riproporre la domanda anche il giorno dopo la pronuncia di inammissibilità; c) non è produttivo, quindi, di effetti su tutto il territorio nazionale come, invece, i provvedimenti adottati dall’amministrazione centrale. 

Il secondo quesito che dunque la Sezione, a fronte dell’incertezza interpretativa sul punto e sulla stessa portata degli «effetti diretti», di cui all’art. 13, comma 1, c.p.a., del decreto di inammissibilità da parte della Prefettura, ritiene di porre all’Adunanza plenaria è se il decreto di inammissibilità della domanda di cittadinanza, pronunciato dalla Prefettura, abbia effetti diretti limitati al solo ambito territoriale in cui ha sede la Prefettura o se esso invece, in quanto idoneo a interrompere il procedimento per la concessione della cittadinanza nonché ad incidere sullo status dell’interessato, esplichi gli stessi o analoghi effetti erga omnes e territorialmente illimitati che ha un decreto di rigetto della medesima istanza emesso in via centrale dal Ministero dell’Interno.

Cons. St., sez. III, ord., 15 febbraio 2021, n. 1407 – Pres. Lipari, Est. Noccelli

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