19/02/2021 – L’atto di transazione non può determinare la sottrazione della PA agli obblighi di rispetto delle regole pubblicistiche

Tar Campania, Napoli, Sez. III, 16/02/2021, n. 1010.

L’atto di transazione prevede che il concessionario, accettando per parte sua una serie di obblighi e condizioni (trasformazione degli impianti, riduzione della superficie pubblicitaria) ottenga dal Comune di continuare a svolgere l’attività per un ulteriore determinato lasso di tempo.

Le ricorrenti deducono che vengono lesi gli interessi degli operatori del settore che ambiscono a partecipare alla selezione per l’assegnazione degli spazi pubblicitari (ritenendo scaduti i rapporti instaurati con la concessionaria nel 2002).

Affermano quindi che non si sarebbe potuta eludere la procedura di evidenza pubblica, denunciando la violazione delle relative regole e la mancata applicazione del d.lgs. n. 50/2016 e dei principi in materia di libera concorrenza e del mercato ( la concessione si protrae da 20 anni a dispetto dei 9 di durata).

Tar Campania, Napoli, Sez. III, 16/02/2021, n. 1010 accoglie il ricorso:

Come ora si dirà, l’Ente pubblico non ha la disponibilità della funzione pubblica esercitata e, in materia, ha il dovere di rispettare le regole di evidenza pubblica e di non disporre dei beni della collettività se non in favore di soggetti selezionati e legittimati in base alla procedura esperita.

Nella fattispecie all’esame, pur in presenza di situazioni di incertezza sulla decorrenza del contratto, il Comune non poteva accordare il riconoscimento di una posizione di favore al contraente privato, a prescindere dalla convenienza che esso può complessivamente ricevere dalla transazione.

3.2. Quest’ultima, che, a norma dell’art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, concerne le controversie relative a diritti soggettivi, ne presuppone la disponibilità in capo al contraente e l’art. 1966, co. 2, c.c. sancisce con la nullità la transazione attinente a diritti che “per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”.

Allorquando transiga una Pubblica Amministrazione, la stessa non può disporre di supposti diritti facendoli confluire nella regolamentazione negoziale, qualora ciò determini una sottrazione dell’obbligo che essa ha di agire secondo regole pubblicistiche e di operare senza creare posizioni di indebito vantaggio.

La cura dell’interesse pubblico che si esprime attraverso le regole di evidenza pubblica, a garanzia della scelta del miglior contraente, non è negoziabile dalla P.A. (tanto da escludere, se non in eccezionali ipotesi, il ricorso alla trattativa privata) e non è di conseguenza transigibile (accordando ingresso a pretese dell’attuale contraente che sovvertano quelle regole).

Tale modus operandi è espressione di un principio immanente nell’ordinamento pubblicistico, già affermato nella risalente giurisprudenza amministrativa e sempre applicabile.

In fattispecie analoga alla presente (ad oggetto l’impugnazione di una delibera e del connesso accordo-transazione), con sentenza n. 1279 del 2002 della sez. IV di questo Tribunale è stato statuito che:

– “attraverso la concessione di beni pubblici viene attribuita al privato la possibilità di utilizzare a proprio vantaggio un bene che per sua natura è oggetto di godimento collettivo, determinando in suo favore una situazione di privilegio nello sfruttamento delle utilità di quel bene con la contemporanea limitazione del godimento della collettività o di altro singolo aspirante a quella utilità”;

– “l’attribuzione ad un singolo di quella utilità avviene attraverso provvedimenti amministrativi e non attraverso negozi di diritto privato, garantendo così che la scelta di chi acquisisce la posizione di vantaggio avvenga con il rispetto delle regole di un corretto esercizio dell’azione amministrativa sancite dall’art. 97 della Costituzione”;

– “si è affermato che non solo le concessioni devono essere precedute da una scelta del concessionario attraverso procedure di evidenza pubblica ma anche che tali concessioni, una volta venute a scadenza, richiedono per il rinnovo un procedimento autonomo di scelta del concessionario che deve essere basato egualmente su procedure concorsuali le quali non possono essere derogate a favore del precedente concessionario rispetto al quale non possono riconoscersi posizioni giuridiche di privilegio”;

“Ora, pur volendo considerare le ragioni che hanno indotto l’amministrazione comunale a scegliere la soluzione adottata, si deve, comunque, sottolineare che la necessità di far ricorso ad una procedura di evidenza pubblica per l’assegnazione in concessione di aree pubbliche non poteva essere derogata attraverso accordi di natura transattiva non vertendosi in materia di diritti disponibili dell’amministrazione che sono gli unici che possono essere oggetto di transazione. Infatti, ai sensi dell’art. 1966 c.c., per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite, mentre non può considerarsi possibile la transazione se tali diritti, per espressa disposizione di legge o per la loro natura, sono sottratti alla loro disponibilità (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 405 del 5.6.1995, TAR Veneto, n. 2334 del 28.11.1998). E nella fattispecie il Comune non ha disposto di un proprio diritto disponibile ma di un proprio dovere al corretto esercizio di una pubblica funzione”.

La pronuncia è stata confermata da Cons. Stato, sez. VI, con decisione n. 5365 del 2004, ulteriormente precisando che:

– “è ovvio che l’amministrazione , nell’usare del diritto privato, ad es. nel concludere transazioni, non si trova nella stessa posizione del privato che può disporre liberamente del suo patrimonio, me deve rispettare le regole del diritto pubblico;

– “la necessità delle procedure di evidenza pubblica per il rilascio delle concessioni, principio generale direttamente enunciato più volte dalla giurisprudenza in considerazione della nota evoluzione del diritto comunitario (comunicazione dell’aprile 2000 su appalti e concessioni) e del diritto interno (art. 12 della l. n. 241/1990), non può soffrire deroghe, anche in virtù della rilevanza degli interessi pubblici protetti dalla procedura di selezione, in considerazione della semplice esistenza di una lite”.

3.3. Nell’attuale quadro normativo, si è detto che l’art. 168, co. 1, del d.lgs. n. 50/2016 fissa la regola della limitatezza nel tempo delle concessioni, mentre il successivo art. 175 definisce compiutamente i casi in cui è ammessa la modifica dei contratti durante il periodo di efficacia (previsione iniziale di tale possibilità; lavori o servizi supplementari necessari e non inclusi; ricorrenza contestuale di determinate condizioni; sostituzione del concessionario; assunzione da parte della stazione appaltante degli obblighi nei confronti del subappaltatore).

Con norma di chiusura è stabilito al co. 8 in maniera espressa che: “Una nuova procedura di aggiudicazione di una concessione è richiesta per modifiche delle condizioni di una concessione durante il periodo della sua efficacia diverse da quelle previste ai commi 1 e 4”.

Nella fattispecie all’esame, è riscontrabile che si sia adottata una modifica sostanziale dei contratti, protraendone la scadenza ben oltre la loro fisiologica durata (atteso che trattasi di contratti del 2002 con termine di 9 anni).

La circostanza che non si era stabilita e non si potrebbe ora fissare la decorrenza del rapporto (in quanto non erano stati collaudati gli impianti) non giustifica il rimedio attuato.

Siffatto fattore non ha una rilevanza oggettiva ma è piuttosto ascrivibile ad una o a entrambe le parti l’omesso compimento dell’attività materiale di collaudo, che intuitivamente avrebbe dovuto da lungo tempo essere effettuata (a tal riguardo, va rilevato che l’art. 175 cit. ammette la modifica del contratto di concessione se la sua necessità “derivi da circostanze che una stazione appaltante non ha potuto prevedere utilizzando l’ordinaria diligenza”; ipotesi che non ricorre nella specie, trattandosi di omissione che denota al contrario, piuttosto, una scarsa diligenza).

Per le ragioni che procedono, va accolto il primo motivo di ricorso.

Il ricorso viene accolto. E’ annullata la deliberazione della Giunta comunale che regge l’atto di transazione, che viene dichiarato inefficace.

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