17/2/2021 – La trasparenza del procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato: rapporti tra il diritto di accesso (da parte del dipendente o di terzi) e la tutela del whistleblowing (art. 54-bis D.lgs. n. 165)

Abstract: Lo studio affronta il delicato rapporto tra diritto di accesso e tutela della privacy nell’ambito del procedimento disciplinare nel pubblico impiego, sia in caso di richieste di accesso difensive formulate dal lavoratore, sia in caso di richieste di accesso formulate da terzi (es. autori di esposti). Il tema viene analizzato anche alla luce della normativa sul whistleblowing (art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001), che pone delicati problemi di limiti alla tutela del segnalatore a fronte di richieste di acceso difensivo da parte del lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare sulla base di esposti. Lo studio dà contezza di tutta la giurisprudenza, la dottrina e la normativa intervenute in materia, offrendo equilibrate soluzioni fondate sul bilanciamento dei diritti costituzionali che si contrappongono in materia.

Sommario: 1. Evoluzione del sistema verso la trasparenza dell’azione amministrativa. – 2. Accesso del lavoratore incolpato al fascicolo disciplinare. – 3. Rapporto tra diritto d’accesso del lavoratore al fascicolo e tutela del whistleblower. – 4. Accesso di terzi al fascicolo disciplinare.

1. Evoluzione del sistema verso la trasparenza dell’azione amministrativa

 Il sistema disciplinare in generale, e quello del pubblico impiego in particolare, si regge su alcuni principi portanti, quali il contraddittorio, la proporzionalità punitiva, la parità di trattamento, la gradualità sanzionatoria, la tassatività delle sanzioni, la tendenziale tipizzazione (debole) degli illeciti, l’autonomia tra l’illecito disciplinare e quello penale, la tempestività del procedimento, il nemo tenetur contra se edere, oltre che su altri canoni fondamentali operanti in tutti i sistemi punitivi dei vari micro-ordinamenti (pubblico, privato, civile, militare, magistratuale, ecclesiastico, delle libere professioni, ecc.) (1). In linea con il principio del contraddittorio (a sua volta espressivo del basilare diritto alla difesa) e in perfetta sintonia con l’evoluzione del sistema legislativo verso la trasparenza della pubblica amministrazione (v. l. 7 agosto 1990, n. 241; l. 6 novembre 2012, n. 190; d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33) si pone anche un ulteriore principio fondante, ovvero quello della piena accessibilità agli atti del procedimento disciplinare da parte del lavoratore incolpato, al pari di qualsiasi atto che riguardi la propria posizione lavorativa (2). Tale acquisizione rappresenta l’indefettibile base per impostare una solida linea difensiva da parte del dipendente destinatario di una sanzione disciplinare, in quanto, molto spesso, è proprio dalla conoscenza degli atti infraprocedimentali (o predisciplinari) (3) che si evidenziano carenze istruttorie o violazioni di legge o della disciplina normativa, da far valere nelle competenti sedi giudiziarie. Nel contempo, l’accesso agli atti ha talvolta una importante finalità deflattiva del contenzioso, poiché il lavoratore destinatario della sanzione può rendersi conto, visionando gli atti procedimentali, della piena correttezza del procedimento seguito dal datore e, dunque, della inutilità di un eventuale ricorso, destinato a un fatale rigetto.

Circa l’esercizio di tale diritto, giova in primo luogo ricordare che nel nostro ordinamento l’antinomia tra le esigenze di trasparenza e quelle di segretezza dell’azione amministrativa si è decisamente evoluta verso la valorizzazione della prima. Del principio costituisce massima espressione, accanto a previgenti norme settoriali, la l. 7 agosto 1990, n. 241 (art. 10 e artt. 22 ss., più volte novellati) (4) e, da ultimo, il “diritto di accesso civico ai dati e ai documenti”, sia chiuso (o semplice: art. 5, c. 1, d.lgs. n. 33/2013, novellato dal d.lgs. n. 97/2016) riconosciuto a chiunque per i documenti e le informazioni soggette a pubblicazione, ma anche aperto (o generalizzato: art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013) parimenti riconosciuto a chiunque per i dati e documenti detenuti dalla p.a., indipendentemente dall’obbligo di pubblicazione degli stessi (5).

La legge n. 241, in particolare, ha riconosciuto un generale diritto di accesso ai documenti amministrativi, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato, di quelli la cui divulgazione è vietata dall’ordinamento (cioè da norme specifiche diverse dalla l. n. 241/1990), di quelli preparatori di atti normativi generali, di pianificazione e di programmazione, di quelli afferenti procedimenti tributari (art. 24, c. 1, l. cit.), di quelli esclusi dall’accesso da appositi regolamenti governativi (art. 24, c. 6, l. n. 241/1990: sulla cui base risulta adottato il solo d.p.r. 27 giugno 1992, n. 352) e da provvedimenti delle singole amministrazioni (art. 24, c. 2, l. n. 241/1990) per motivi di sicurezza e difesa nazionale, di politica monetaria e valutaria, di ordine pubblico e prevenzione di reati, di tutela della riservatezza di terzi (art. 24, c. 6, l. cit.). Se dunque oggi, a fronte del generale diritto di accesso, ribadito in sede disciplinare nel lavoro pubblico, la segretazione degli atti posseduti dalla pubblica amministrazione è puntualmente circoscritta dalla richiamata normativa del 1990 (e dai relativi decreti attuativi) per gli accessi ex artt. 22 ss. l. n. 241/1990 e dall’art. 5-bis d.lgs. n. 33/2013 per l’accesso civico generalizzato, occorre chiedersi: a) se il lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare possa incondizionatamente visionare e ottenere copia dei relativi atti; b) se un terzo (collega, cittadino autore di un esposto, ecc.) possa accedere agli atti del procedimento disciplinare nei confronti di un pubblico dipendente.

2. Accesso del lavoratore incolpato al fascicolo disciplinare  Il primo quesito è normativamente risolto, a prescindere dall’art. 10 della l. n. 241/1990: difatti, in base all’art. 55- bis, c. 4, d.lgs. n. 165/2001, recepito dalla contrattazione collettiva (v. art. 61, c. 3, c.c.n.l. Funzioni centrali 2016-2018, presente nei restanti c.c.n.l. di comparto) “salvo quanto previsto dall’articolo 54-bis, comma 4 [inaccessibilità dell’atto di segnalazione dell’illecito ex artt. 22 ss. l. n. 241, n.d.a.], il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento”.

Tale espressa previsione trancia alla base ogni discussione circa l’applicabilità o meno delle norme sul diritto di accesso (art. 22 ss. l. n. 241 cit.) ad atti di natura privatistica, quali quelli del procedimento disciplinare “depubblicizzato”, problema comunque già risolto in senso positivo dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (6) e, successivamente, dal novellato (ad opera della l. n. 15/2005) art. 22, c. 1, lett. d), l. n. 241, che offre una definizione di documento amministrativo accessibile “indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. In ogni caso, anche nel lavoro privato la Cassazione ha più volte chiarito che sebbene l’art. 7 della l. n. 300/1970 non preveda un obbligo per il datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore la documentazione posta a base d’una contestazione disciplinare, nondimeno il sanzionatore deve offrirgliela in visione, nei limiti dei documenti strettamente necessari alla difesa (con onere del lavoratore di evidenziare tale attinenza) in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, ove l’incolpato ne faccia richiesta e l’esame dei documenti sia necessario per un’adeguata difesa (7).  Tale diritto di accesso prevarrà sulla riservatezza di terzi (ad es., di testi che abbiano reso dichiarazioni in sede ispettiva o disciplinare), come chiarito da una costante giurisprudenza e dalla stessa novellata l. n. 241 (art. 24, c. 7) nonché dal t.u. sulla privacy (art. 59 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196). Ovviamente, se tra gli atti richiesti dal lavoratore incolpato ve ne fossero taluni coinvolgenti dati personali o sensibili di terzi ultronei rispetto al soddisfacimento della richiesta, i titolari di azione disciplinare ben potrebbero, con la c.d. “tecnica degli omissis”, schermare tali dati senza precludere il diritto di accesso del richiedente (8), purché tale tecnica non si traduca, per suo distorto utilizzo, in un sostanziale diniego del diritto (9).  Tale approdo ci sembra ben coordinabile con l’indirizzo espresso dalla Cassazione nel lavoro privato (10), ove si è chiarito che il datore di lavoro è tenuto ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali solo in quanto e nei limiti in cui l’esame degli stessi sia necessario al fine di una contestazione dell’addebito idonea a permettere alla controparte un’adeguata difesa; ne consegue che, in tale ultima ipotesi, il lavoratore che lamenti la violazione di tale obbligo ha l’onere di specificare i documenti la cui messa a disposizione sarebbe stata necessaria al predetto fine, ferma restando comunque la possibilità per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento irrogato all’esito del procedimento suddetto, l’ordine di esibizione della documentazione stessa.

Va poi segnalato che il lavoratore potrebbe avere un interesse (da indicare espressamente nella domanda) giuridicamente rilevante ad accedere ad atti posseduti dal datore non ancora confluiti in un procedimento disciplinare nei propri confronti, ma originante una ispezione (o altra attività predisciplinare) e, a maggior ragione, alla segnalazione esposto di un terzo su asseriti comportamenti illegittimi del dipendente che abbia comportato l’apertura del procedimento disciplinare, ben potendo voler tutelare il proprio onore in sede civile e penale nei confronti dell’autore del calunnioso esposto agli atti. In tale ultima ipotesi, la giurisprudenza, sulla scorta dei principi generali sopra richiamati, aveva avallato la prevalenza del diritto alla difesa sulla privacy dell’autore dell’esposto (11).

3. Rapporto tra diritto d’accesso del lavoratore al fascicolo e tutela del whistleblower

In tempi più recenti, tali esposti, quale pungolo all’integrità della p.a. e a una più corretta gestione della cosa pubblica, sono stati incoraggiati e tutelati dalla legge anticorruzione n. 190/2012, la quale ha introdotto l’art. 54-bis nel d.lgs. n. 165/2001 sul c.d. whistleblowing (più correttamente definibile “segnalazione etica”, con più pertinente terminologia italica), più volte modificato (12).

La norma, se da un lato (c. 4) sottrae l’esposto al generale regime sull’accesso ex artt. 22 ss. l. n. 241 (purché, secondo Cons. Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 28 (13), in testuale applicazione dell’art. 54-bis, c. 1, “indirizzata ai soggetti ivi indicati” – ossia al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, all’Autorità nazionale anticorruzione, all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile – e purché motivata “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione”, che deve ritenersi non sussistente se vi confluiscano scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro e purché, aggiungiamo noi, si tratti di fatti di cui si sia venuto a conoscenza “in ragione del proprio rapporto di lavoro”), non preclude in modo assoluto la conoscenza dell’autore dell’esposto da parte del denunciato. La norma, infatti, stabilisce che (c. 3) “

Nell’ambito del procedimento disciplinare l’identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità”.

La previsione sembrerebbe aver creato un “sottoregime” speciale in materia di accesso (come tale prevalente su quello generale della l. n. 241, ove ricorrano gli specifici presupposti e ambiti applicativi scolpiti dall’art. 54-bis, c. 1), dando prevalenza, nel bilanciamento tra accesso difensivo e riservatezza dell’autore dell’esposto, a quest’ultimo interesse al fine di incoraggiare le segnalazioni di condotte illecite, nell’ambito di un’articolata disciplina volta alla prevenzione e alla repressione della corruzione (l. n. 190/2012) (14).

 

Di regola, infatti, l’identità del segnalante non può essere rivelata ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa, in quanto l’incolpato eserciterà le sue piene difese confutando tali accertamenti distinti e ulteriori confluiti nella contestazione degli addebiti che cristallizza l’ipotesi accusatoria. Ma tale diritto alla difesa viene ulteriormente limitato anche qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e anche se la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato: infatti, in deroga agli approdi generali sopra riferiti sul rapporto accesso-privacy nella l. n. 241/1990 (vittoria dell’accesso difensivo sulla riservatezza del terzo anche se espressa in un esposto “ordinario”), in base al c. 3 dell’art. 54-bis, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare e, quindi, anche visionabile e accessibile in tale sede, solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità. Tale limitazione ci sembra irragionevole e lesiva sia delle esigenze sanzionatorie della p.a., la quale, senza il consenso dell’autore, non potrà utilizzare l’esposto per sorreggere l’azione disciplinare e dovrà quindi archiviare, sia degli interessi dell’incolpato, il quale potrà vedere l’esposto solo in caso di consenso dell’autore, mentre se questo non vi fosse, nulla potrà vedere. Parrebbe invece evidente, a nostro avviso, la sussistenza di un interesse dell’incolpato anche in quest’ultimo caso, qualora all’esposto avesse fatto seguito l’archiviazione disciplinare, ben potendosi ipotizzare un interesse ad una tutela civile (risarcitoria) e penale (ad es. per calunnia) in capo al funzionario pubblico ingiustamente accusato dall’autore della segnalazione (15).

Nell’ipotesi di esposti invece fondati, che, adeguatamente riscontrati dall’u.p.d. (ufficio procedimenti disciplinari), abbiano portato a una condanna del lavoratore, è ben più difficile ipotizzare un interesse giuridicamente rilevante del lavoratore condannato ad accedere all’esposto, la cui conoscenza (soprattutto in ordine alla paternità della segnalazione) avrebbe un mero (e giuridicamente irrilevante) fine “vendicativo” o di “mera curiosità”. Tuttavia, anche in tale caso, si può ipotizzare una posizione giuridicamente meritevole da far valere in giudizio in capo al richiedente, ove voglia smentire in sede contenziosa i contenuti dell’esposto. Ecco perché, a fronte di tali incertezze interpretative, optando per una miglior lettura delle norme generali (artt. 22 ss. l. n. 241, doppiate in materia disciplinare privatizzata dall’art. 55-bis, c. 4, d.lgs. n. 165) e speciali (art. 54-bis d.lgs. n. 165) appare assai convincente la tesi propugnata dalla ricordata sentenza Cons. Stato, Sez. VI, n. 28/2020 (16), che ha riconosciuto applicabili le previsioni generali degli artt. 22 ss. l. n. 241 alle istanze di accesso per esigenze di difesa rispetto a esposti disciplinari non riconducibili all’art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001, ossia a segnalazioni non indirizzate ai soggetti ivi indicati (responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza; Autorità nazionale anticorruzione; autorità giudiziaria ordinaria o contabile) e non motivate “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” (come avviene quando vi confluiscano anche scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro, quale una violazione disciplinare) o non acquisite “in ragione del proprio rapporto di lavoro”: la segnalazione “ordinaria” non qualificabile whistleblowing, pertanto, non è sottratta al prevalente accesso previsto dagli artt. 22 ss. della l. 7 agosto 1990, n. 241, ove il richiedente la richieda, quale incolpato, per esigenze di difesa. La giurisprudenza è inoltre tendenzialmente favorevole, come si vedrà nel successivo paragrafo, a consentire lo speculare accesso agli atti del procedimento da parte dell’autore di un esposto alla base di un procedimento disciplinare, di regola teso ad acquisire elementi per parallele azioni civili o penali nei confronti del segnalato (17). Pacifico è invece l’accesso ad atti ispettivi utilizzati in sede disciplinare, ancorché coinvolgano posizioni e dichiarazioni di terzi, la cui privacy è recessiva rispetto al diritto alla difesa dell’incolpato (18).

Va però chiarito che ove i peculiari diritti defensionali del richiedente l’accesso ad atti non immediatamente impugnabili (atti interni, relazioni ispettive, esposti, dichiarazioni di terzi) non venissero chiaramente prospettati dall’istante, deve ritenersi che una istanza di accesso ad atti preparatori e meramente prodromici ad una possibile azione disciplinare (ad es., esposti, atti ispettivi) potrebbe essere oggetto di differimento (ex art. 24, c. 4, l. n. 241) qualora l’attività istruttoria servente fosse ancora in corso (ad es., acquisizioni ispettive di una verifica in atto) o potrebbe addirittura essere rigettata per carenza di un interesse concreto e attuale, giuridicamente rilevante (art. 22, c. 1, lett. b, l. n. 241; art. 2, c. 1, d.p.r. n. 184/2006) in capo al richiedente, non ancora destinatario di sanzioni disciplinari e, dunque, non leso in alcuna propria prerogativa. Per chiudere su questo primo punto relativo all’accesso da parte di un lavoratore ad atti del proprio procedimento disciplinare e ad atti prodromici, va rimarcato che l’interesse all’accesso ai documenti relativi al procedimento disciplinare permane anche dopo lo spirare dei termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso la sanzione inflitta (ad es., 60 giorni per il licenziamento ex l. n. 604/1966, richiamata dall’art. 2 del d.lgs. n. 165), in quanto l’interesse all’accesso non coincide con l’interesse a impugnare il provvedimento, ma è un interesse conoscitivo, potendo l’istante richiedere l’atto per finalità (giuridicamente rilevanti) diverse, in particolare ai fini del promovimento di una azione risarcitoria civile o una denuncia penale, non sottoposte a termini decadenziali (19).

Si segnala inoltre che, in un precedente giurisprudenziale, la magistratura ha escluso che possa essere affetto da illegittimità il provvedimento disciplinare assunto all’esito di un procedimento nel cui corso sia stato negato al lavoratore l’accesso agli atti, in quanto il dipendente è stato in ogni caso messo in condizioni di formulare una idonea difesa (20), e la tesi trova oggi testuale conforto nell’art. 55-bis, c. 9-ter, d.lgs. n. 165, introdotto dal d.lgs. n. 75/2017. In sintonia con tale conclusione, altra decisione ha ritenuto invece illegittima la sanzione comminata dall’amministrazione che abbia immotivatamente precluso il cennato diritto di accesso, impedendo una idonea difesa (21).

4. Accesso di terzi al fascicolo disciplinare

L’ipotesi in cui invece potrebbero entrare in gioco le sole regole generali della l. n. 241/1990, in assenza di espressa previsione sul punto nei c.c.n.l. e nel d.lgs. n. 165 (che regola specificamente l’accesso agli atti del soggetto sottoposto a procedimento: art. 54-bis, cc. 3 e 4, e art. 55-bis, c. 4, d.lgs. n. 165), è quella della richiesta di accesso agli atti di un procedimento disciplinare da parte di un soggetto terzo estraneo allo stesso: si pensi al caso di un lavoratore che faccia istanza di accesso agli atti di un procedimento relativo ad un collega per trarre spunti utili a propria difesa in altro similare procedimento disciplinare o giurisdizionale; si pensi ancora all’autore di un esposto (cittadino o collega) al capo-struttura o all’u.p.d. nei confronti di un pubblico dipendente, che voglia copia degli atti posti in essere in sede disciplinare nei confronti del funzionario denunciato o dell’eventuale archiviazione; si pensi a un rappresentante sindacale locale o nazionale che ravvisi in una azione disciplinare datoriale nei confronti di un collega iscritto i presupposti per una condotta antisindacale.

Più difficilmente ipotizzabile appare invece un accesso civico “chiuso” ex art. 5, c. 1, d.p.r. n. 33/2013 a fronte di atti (quelli del procedimento disciplinare) di non doverosa pubblicazione, mentre decisamente problematica (e tendenzialmente da escludere) è l’ipotizzabilità di un accesso “diffuso” ex art. 5, c. 2, d.p.r. n. 33 nel richiedere da parte di un generico “chiunque” i documenti di un procedimento disciplinare di un terzo, contenenti dati personali segretati ex art. 5-bis, c. 2, lett. a), d.lgs. n. 33 (la tesi è condivisa dal parere 3 marzo 2016 del Garante della privacy reso sulle modifiche apportate dal d.lgs. n. 97/2016 al d.lgs. n. 33).

Dunque, a fronte di una più pertinente richiesta di accesso ex artt. 22 ss. l. n. 241 da parte di un “terzo”, premesso che l’iter procedimentale da seguire è oggi scolpito per tutte le amministrazioni pubbliche dal d.p.r. 12 aprile 2006, n. 184, attuativo degli artt. 22 ss. l. n. 241, si pongono due basilari problemi:

 a) la sussistenza o meno di un interesse giuridicamente rilevante in capo al richiedente l’accesso;

b) la eventuale segretazione degli atti del procedimento disciplinare a soggetti estranei allo stesso, in quanto non sottoposti al procedimento e, dunque, qualificabili come soggetti “terzi”.

a) In ordine al primo problema, va evidenziato che il diritto all’accesso (ovvero a vedere documenti della p.a. e ottenerne copia) non è una “azione popolare” spettante a chiunque, ma solo e soltanto a chi abbia un interesse “diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata o collegata al documento al quale è chiesto accesso” (art. 22, c. 1, lett. b, l. n. 241).

 

Tale interesse va dimostrato dal soggetto istante nella domanda di accesso e, di solito, consiste nella prospettata necessità di difendersi in giudizio o di promuovere azioni (civili, penali, amministrativo-contabili) di tutela.

A fronte della prospettazione di tale interesse giuridicamente rilevante, l’amministrazione (ad es., u.p.d., ufficio procedimenti disciplinari) non ha alcun sindacato sulla veridicità o meno di quanto affermato, ma il titolare deve esternare le ragioni per cui intende accedere e, soprattutto, la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il diritto d’accesso è preordinato.

 Nei primi due casi concreti sopra prospettati, non riterremmo esclusa l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante all’accesso (che andrà esternato nella domanda), in quanto, nel primo caso (afferente all’accesso agli atti di un collega del funzionario incolpato), il richiedente potrebbe utilizzare le acquisizioni concernenti atti (ad es., dichiarazioni di testi, risultanze ispettive) per difendersi in analogo procedimento disciplinare o per prospettare, in un contenzioso pendente o imminente, che in un caso similare il trattamento sanzionatorio dell’u.p.d. per la medesima fattispecie è stato più benevolo (22).

Parimenti, nel secondo caso, l’autore di un esposto disciplinare (ad es., un cittadino o un collega) nei confronti di un funzionario pubblico potrebbe avere interesse non già a sapere, per mera curiosità (non avente giuridica rilevanza) (23), che esito abbia avuto la propria segnalazione (anche qualora abbia portato all’archiviazione), ma ad acquisire elementi istruttori rilevanti per una parallela azione civile-risarcitoria (o per un esposto penale) intrapresa o da intraprendere nei confronti del lavoratore per i medesimi fatti sottoposti al vaglio disciplinare (o archiviati previamente dall’u.p.d.), come più volte ribadito dalla giurisprudenza sia del Consiglio di Stato sia delle Sezioni unite della Cassazione (24).

Non è da escludere, dunque, anche un possibile accesso alla determina del dirigente-capo struttura o dell’u.p.d. che, ritenendo non rilevante l’esposto (25), lo abbia archiviato, non intraprendendo l’azione disciplinare. b) Venendo al secondo problema posto, relativo alla eventuale segretazione, ad opera della p.a., degli atti del procedimento disciplinare nei confronti di soggetti terzi rispetto al procedimento medesimo (cittadini autori di un esposto o colleghi che dimostrino un interesse giuridicamente rilevante: v. sopra), occorre preliminarmente auspicare che tutte le amministrazioni abbiano adottato il regolamento attuativo dell’art. 24, cc. 2 e 6, l. n. 241, che fa obbligo, dal 1990, per tutte le p.a., di individuare i propri atti sottratti all’accesso per salvaguardare i cinque macro-valori codificati nel c. 6 della legge: tutela della sicurezza e difesa nazionale, della politica monetaria e valutaria, dell’ordine pubblico e prevenzione e repressione di reati, della riservatezza di terzi, delle procedure contrattuali collettive in corso. La mancata adozione di tale regolamento comporta, infatti, la fatale applicazione della regola generale della l. n. 241, rappresentata dal “tutto è accessibile salvo ciò che è segretato da legge” e, poiché nessuna legge segreta gli atti del procedimento disciplinare nel lavoro pubblico, gli stessi sono accessibili al terzo, ovviamente a condizione che il richiedente abbia un “interesse giuridicamente rilevante, diretto, concreto e attuale” da tutelare o difendere. Ove invece l’adottato regolamento attuativo dell’art. 24, cc. 2 e 6, l. n. 241/1990 elaborato dalle amministrazioni datrici di lavoro avesse annoverato tra gli atti sottratti all’accesso proprio i documenti dell’istruttoria disciplinare, la previsione risulterebbe comunque recessiva rispetto al prevalente diritto di accesso del terzo teso alla propria tutela giurisdizionale, come ha ormai chiarito la giurisprudenza amministrativa, che ha sistematicamente disapplicato tali norme secondarie (regolamentari), ritenute subordinate al preminente diritto di accesso finalizzato alla propria difesa (26).

Tali conclusioni, favorevoli alla prevalenza dell’accesso sulla segretazione, sono state confermate dalla magistratura proprio in casi di dinieghi di accesso ad atti (ispettivi) interni al procedimento disciplinare (27) ed hanno oggi ricevuto il definitivo avallo del legislatore, ad opera sia del novellato art. 24, c. 7, l. n. 241 sia degli artt. 59 e 60 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che, nel bilanciare i contrapposti interessi all’accesso (difensivo) e alla tutela della riservatezza del terzo (privacy), hanno concordemente dato prevalenza al primo, se necessario “per curare o difendere i propri interessi giuridici”, nei limiti della pertinenza e non eccedenza.

Le conclusioni favorevoli, sul piano sia testuale che sistematico, alla piena accessibilità, a fronte di un interesse difensivo di un terzo, agli atti istruttori del procedimento disciplinare seguendo le regole procedimentali fissate dal d.p.r 12 aprile 2006, n. 184, attuativo degli artt. 22 ss. l. n. 241, valgono sicuramente anche per gli atti istruttori alla base della sospensione cautelare del dipendente pubblico.

 Ne consegue che è da escludere invece una prevalenza del generico e immotivato accesso civico “generalizzato” dell’art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013 sulla visione dei dati personali di terzi (art. 5-bis, c. 2, lett. a, d.lgs. n. 33), quali quelli di un procedimento disciplinare.

A nostro avviso, uno dei rari limiti ipotizzabili all’accesso del terzo ex artt. 22 ss. l. n. 241 agli atti del procedimento disciplinare potrebbe forse rinvenirsi non già nella mera trasmissione di documenti utilizzati o utilizzandi in sede disciplinare alla Procura della Repubblica, ma nell’eventuale sussistenza del segreto istruttorio penale (art. 329 c.p.p.), qualora sui medesimi fatti posti in essere dal lavoratore pendano indagini della magistratura penale. In tale evenienza la possibilità di accedere a tali atti (ad es., dichiarazioni rese da terzi, documenti, ecc.) è subordinata al rilascio di un nulla-osta da parte della magistratura inquirente (28).

Un possibile ulteriore limite dell’accesso difensivo del terzo (purché legittimato: vedi supra, sub a) potrebbe poi rinvenirsi nella tutela della riservatezza del lavoratore qualora si impinga in dati “super sensibili” (ad es., dati sanitari o sessuali: si pensi a dichiarazioni o certificazioni sanitarie prodotte dal lavoratore incolpato in sede disciplinare a propria discolpa per dimostrare la assenza di colpevolezza in una erronea e dannosa condotta lavorativa): in tali casi l’amministrazione (ad es., u.p.d.) destinataria della richiesta dovrà bilanciare i contrapposti interessi (alla difesa per il richiedente, alla riservatezza per il lavoratore incolpato), valutando in concreto quale sia il valore costituzionale prevalente, come stabilito dall’art. 60 del t.u. n. 196/2003. Personalmente riterremmo che il diritto alla difesa del terzo (artt. 24, 103, 113 Cost.) alla base dell’accesso debba qualificarsi come diritto di rango almeno pari a qualsiasi diritto costituzionale del soggetto sotto procedimento disciplinare e, come tale, prevalente sulla riservatezza del lavoratore, purché l’acquisizione avvenga nei limiti della pertinenza e non eccedenza (ergo, l’uso della documentazione acquisita deve avvenire per fini contenziosi e non “divulgativi” o per discreditare il pubblico dipendente).

 

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(1) Su tali principi portanti del sistema disciplinare, ci sia consentito il richiamo all’ampia trattazione contenuta nel nostro V. Tenore, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, cap. II, Milano, Giuffrè, 2021, 2a ed.

(2) In materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il dipendente è portatore di un interesse qualificato alla conoscenza degli atti e documenti che riguardano la sua posizione lavorativa, atteso che gli stessi esulano dal diritto alla riservatezza; al riguardo, l’art. 22 della l. n. 241/1990 garantisce l’accesso ai documenti amministrativi relativi al rapporto di pubblico impiego “privatizzato”, anche se le eventuali controversie attinenti al detto rapporto sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario: cosi Tar Abruzzo, Pescara, Sez. I, 26 aprile 2016, n. 155; Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 645, e Cons. Stato, Sez. III, 27 maggio 2013, n. 2894, tutte in e in .

(3) Sul pieno accesso anche agli atti preliminari al procedimento disciplinare, oltre allo studio citato in nt. 1, v. Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 6 aprile 2009, n. 3160, in Foro amm.-Tar, 2009, 968. Sull’accesso agli atti ispettivi, V. Tenore, Studio sull’ispezione amministrativa ed il suo procedimento, Milano, Giuffrè, 2020, 241 ss.

 (4) Sul diritto di accesso e sul rapporto tra accesso e segretazione la produzione dottrinale è imponente. Limitando le citazioni ai principali contributi, V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2020, 574; F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Dike, 2018, 1063; M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, il Mulino, 2017, 269; A. Simonati, P. Alberti, M. Calabrò, Commento agli artt. 22-25 della l. n. 241, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2011, 1004 ss..; L. Laperuta, Procedimento amministrativo e diritto di accesso agli atti, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2009; F. Merloni et al. (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, Giuffrè, 2008; R. Giovagnoli, M. Fratini, Il diritto di accesso: percorsi giurisprudenziali, Milano, Giuffrè, 2008; R. Senigaglia, Accesso alle informazioni e trasparenza, Padova, Cedam, 2007; S. Cogliani (a cura di), Commentario alla legge sul procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 2007; A. Bohuny, L’accesso ai documenti amministrativi nella l. n. 241/90 riformata, in R. Tomei (a cura di), La nuova disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi, Padova, Cedam, 2007; F. Caringella, R. Garofoli, M.T. Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, Giuffrè, 2007; G. Clemente di San Luca, Diritto di accesso e interesse pubblico, Napoli, Jovene, 2006; V. Tenore, L’incidenza della nuova legge n. 241 del 1990 sulle pubbliche amministrazioni, Padova, Cedam, 2006, 221 ss.; S. Rodriquez, Il diritto di accesso, in R. Caranta, L. Ferraris, S. Rodriquez, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 2005, 200; F. Cuocolo, G. Busia, F. Garri, P. Alberti, Commento agli art. 22-25, in M.A. Sandulli et al., L’azione amministrativa. Commento alla l. 7 agosto 1990 n. 241 modificata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, Milano, Giuffrè, 2005, 948 ss.

(5) Sull’accesso civico ex art. 5 d.lgs. n. 33/2013, tra i tanti contributi, oltre alla poderosa giurisprudenza e, da ultimo, alla rilevante sentenza Cons. Stato, Ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10, v. P. Canaparo et al. (a cura di), La trasparenza della pubblica amministrazione dopo la Riforma Madia, Roma, Dike, 2016; D.-U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del d.lgs. n. 33/2013, in , 2 marzo 2016; S. Toschei, Accesso civico ed accesso ai documenti amministrativi, due volti del nuovo sistema amministrativo Italia, in , 30 aprile 2013; M. Lucca, Trasparenza informativa, diritto di accesso e diritto di cronaca (nota a Cons. Stato, sez. IV, sentenza 12 agosto 2016, n. 3631), in , 20 agosto 2016. Basilare è poi lo Schema linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e i limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 del d.lgs. 33/2013, redatto dall’Anac e inviato in consultazione on line l’11 novembre 2016 (con possibile invio contributi entro il 28 novembre 2016), reperibile in . In precedenza, v. B. Ponti, Il regime dei dati oggetto di pubblicazione obbligatoria: i tempi, le modalità ed i limiti della diffusione; l’accesso civico; il diritto di riutilizzo, in B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013; M. Savino, Le norme in materia di trasparenza amministrativa e la loro codificazione, in B.G. Mattarella, M. Pellissero (a cura di), La legge anticorruzione, Torino, Giappichelli, 2013; F. Patroni Griffi, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in , 16 aprile 2013; C. Colapietro, C. Santarelli, L’istituto dell’accesso civico, in Libro dell’anno del diritto 2014, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2014, R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Neldiritto, 2015, 876 ss.; Cumin, Il nuovo diritto civico di accesso, con particolare riguardo alla giurisdizione del g.a., in , 24 aprile 2013.

 (6) A fronte della già segnalata inapplicabilità degli istituti della l. n. 241/1990 ad atti di natura privatistica della p.a., quali sono quelli micro gestionali del datore di lavoro pubblico privatizzato (v. cap. 1, par. 8 e 12), si è espresso invece sulla applicabilità del diritto di accesso ex artt. 22 ss. l. n. 241 anche ad atti di natura privatistica da Cons. Stato, Ad. plen., 22 aprile 1999, n. 5, in Foro it., 1999, III, 305, chiarendo che il diritto di accesso della l. n. 241 riguarda non solo atti amministrativi, ma l’attività amministrativa, che si traduce anche in moduli privatistici che affiancano quelli pubblicistici. La tesi è recepita da una giurisprudenza univoca: tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 17 marzo 2017, n. 1213; Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 326; 12 marzo 2010, n. 1274, in Guida dir., 2010, fasc. 16, 102; Sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 189; Tar Lazio, Roma, Sez. I, 14 gennaio 2014, n. 441. Sul diritto di accesso agli atti disciplinare e sul rapporto con la tutela della privacy, v. i rilievi sviluppati nel prosieguo.

 (7) Cfr. Cass., Sez. lav., 6 gennaio 2017, n. 855; 3 gennaio 2017, n. 50; n. 6337/2013. Sulla buona fede datoriale e sul pieno diritto alla difesa del lavoratore, v. Cass., Sez. lav., 17 dicembre 2003, n. 19350; 30 dicembre 2009, n. 27888; 12 ottobre 2010, n. 21088; 28 novembre 2011, n. 25045.

 (8) Per un precedente specifico nel similare regime disciplinare dei liberi professionisti, v. Tar Veneto, Venezia, Sez. I, 6 dicembre 2005, n. 4157 (in Foro amm.-Tar, 2005, 3837), secondo cui il notaio, in quanto iscritto al consiglio notarile di appartenenza, ha diritto a conoscere tutto quanto concerne l’attività di tale organo, quindi sia le determinazioni influenti sulla totalità degli iscritti sia la concreta applicazione delle stesse; a tutela del diritto alla riservatezza dei terzi, l’ordine può esibire la documentazione opportunamente depurata dai nominativi degli interessati, ovvero in forma statistica, o comunque in modo tale da rendere i soggetti controinteressati non riconoscibili (nella fattispecie, nel corso di un procedimento disciplinare nei confronti di un notaio l’ordine richiedeva a costui di esibire vari documenti contabili, in esercizio del potere di c.d. “monitoraggio deontologico”, ed il notaio formulava istanza di accesso volta, in sostanza, a conoscere le regole generali in tema di monitoraggio deontologico, i casi in cui tale monitoraggio è stato effettuato, i risultati cui l’Ordine è pervenuto e i provvedimenti eventualmente adottati; rigettata l’istanza dal consiglio notarile, il tribunale ha dichiarato l’obbligo di consentire l’accesso rendendo anonimi gli atti richiesti).

 (9) È illegittimo il provvedimento con il quale si evada una istanza d’accesso ex art. 25 l. 7 agosto 1990, n. 241, mediante una mera estrazione parziale del documento richiesto, il cui contenuto risulti connotato da omissis non supportati da alcuna motivazione (nella specie, l’istanza d’accesso era stata presentata nei confronti del competente consiglio dell’Ordine dei dottori commercialisti da alcuni iscritti sottoposti a procedimento disciplinare): Tar Lazio, Latina, 3 ottobre 2005, n. 914, ibidem, 3238.

(10) Cass., Sez. lav., 13 giugno 2016, n. 12108 (accesso a Cd-rom e a tabulato con trascrizione di alcune mail); 18 novembre 2010, n. 23304; 27 ottobre 2000, n. 14225, in Lav. giur., 2001, 139, con nota di S. Mainardi, Contestazione e diritto di accesso ai documenti connessi agli addebiti disciplinari, annotata da S. Borelli, Specificità della contestazione e obbligo di documentazione, in Riv. it. dir. lav., 2001, 538. N.

 (11) La nozione di interesse giuridicamente rilevante, ex art. 22 l. n. 241/1990 è più ampia rispetto a quella d’interesse all’impugnazione, caratterizzata dall’attualità e concretezza, e consente la legittimazione all’accesso a chiunque possa dimostrare che il documento amministrativo sia astrattamente idoneo a dispiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti indipendentemente da una lesione giuridica (nella fattispecie, è stato ritenuto sussistere il diritto di accesso del medico ricorrente a una lettera contenente forti contestazioni sulla sua condotta professionale; è stato, infatti, riconosciuto che tale documento per un verso potrebbe determinare l’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, per altro verso potrebbe indurre lo stesso ad agire giudizialmente per la salvaguardia della propria dignità professionale, anche in via penale, qualora ne ricorrano gli estremi): così Tar Marche, Ancona, Sez. I, 19 settembre 2006, n. 570, in Foro amm.-Tar, 2006, 2898.

La circostanza che l’art. 39 d.p.r. n. 221/1950 apra la procedura dell’accesso dell’interessato soltanto dopo l’avvenuta incolpazione non significa affatto che la fase possa ritenersi ancor oggi impermeabile rispetto a qualunque istanza informativa dell’interessato. Ciò in quanto vige il principio che chiunque subisca un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa – quali le domande e le richieste da cui scaturisca un obbligo di provvedere – e di preiniziativa – come gli esposti o le denunce che attivino procedimenti officiosi dell’amministrazione: Cons. Stato, Sez. V, 2 settembre 2005, n. 4467, in Foro amm.-CdS, 2005, 2597. Sull’accesso ad esposti disciplinari, prima dell’art. 54-bis del d.lgs. n. 165, v. Tar Calabria, Sez. I, 22 ottobre 2014, n. 584; Tar Veneto, Sez. I, 3 luglio 2002, n. 3259; Tar Lombardia, Sez. IV, 8 novembre 2004, n. 5716, in Foro amm.-Tar, 2004, 3269. Sul possibile accesso ex l. n. 241/1990 ad esposti anonimi, v. Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 4 febbraio 2016, n. 653.

(12) Sul whistleblower e la sua tutela, v. l. 30 novembre 2017, n. 179, Anac, det. 28 aprile 2015, n. 6, “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”, in . V. anche la pertinente pagina generale sul whistlebower sul sito Anac, estremamente completo:

.www.anticorruzione.it/portalpublic/classic/Attivitadocumentazione/anticorruzione/segnaillecitoWhistleblower.

 Interessante è anche il parere 4 marzo 2020, n. 615 (n. affare 00111/2020) reso dal Consiglio di Stato sulle “Linee Guida sul whistleblower” elaborate dall’Anac il 30 ottobre 2019 e riapprovate il 13 gennaio 2020.

Tra i tanti scritti in materia, v. i contributi sul whistleblower: R. Cantone, La tutela del whistleblower, in B.G. Mattarella, M. Pelissero (a cura di), op. cit.; A. Conz, L. Levita, La legge anticorruzione, Roma, Dike, 2012; F. Ferraro, S. Gambacurta, Anticorruzione. Commento alla riforma, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013; G. Fraschini, N. Parisi, D. Rinoldi, Protezione delle “vedette civiche: il ruolo del whistleblowing in Italia, Milano, Transparency International Italia, 2009; R. Patumi, Il whistleblowing come introdotto dalla legge anticorruzione, in Azienditalia-Il personale, 2013, 8; A. Frignani, Il whistleblowing in Italia: la nuova legge dimentica la concorrenza (e non solo), in Giur. comm., 2019, I, 393; A. Tortora, La prevenzione della corruzione, Torino, Giappichelli, 2019.

 (13) Cons. Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 28 (in riforma di Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 20 marzo 2019, n. 1553), in Giornale dir. amm., 2020, 357, con nota di A. Renzi, Quando la trasparenza non previene la corruzione: whistleblowing e riservatezza.

(14) La tesi della specialità del regime di accesso ex art. 54-bis d.lgs. n. 165 rispetto a quello ex artt. 22 ss. l. n. 241 è propugnata da Cons. Stato, Sez. VI, n. 28/2020, cit.; Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 580, e da Tar Sicilia, Palermo, 27 luglio 2020, n. 1611. Le sentenze campane ben evidenziano come la normativa in materia di whistleblowing a tutela dell’integrità della p.a., quale normativa speciale rispetto al generale diritto d’accesso ex l. n. 241/1990 (ad esempio per motivi lavoristici, quali quelli disciplinari), ponga non pochi problemi all’interprete chiamato a definire, ai fini del diritto di accesso (e senza conoscere il contenuto delle segnalazioni), il predetto confine stabilendo quando si ha a che fare con una segnalazione effettuata “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” quando nell’interesse personale o per rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro (per i quali sarebbe del tutto irragionevole sottrarre la relativa documentazione all’accesso). Sul punto deve, infatti, rammentarsi come l’istituto del whistleblowing si iscriva in un contesto normativo volto a prevenire fenomeni di corruzione in senso lato che includono tutte le ipotesi di cattiva amministrazione ivi compresa, evidentemente, la non adeguata gestione delle risorse umane. D’altra parte, la sussistenza di una motivazione e di un interesse personale non esclude affatto che la denuncia riguardi fenomeni di cattiva amministrazione ai sensi della l. n. 190/2012; stessa cosa può verosimilmente accadere quando il rapporto di lavoro si dispiega in modo tale da avere dei riflessi non solo sul singolo ma sull’intera organizzazione amministrativa.

Il Consiglio di Stato, invece, con la citata sent. n. 28/2020 qualifica l’accesso ad esposti disciplinari come materia non rientrante nella portata disciplinato dall’art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001, essendosi in presenza di una segnalazione non indirizzata ai soggetti ivi indicati (responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza; Autorità nazionale anticorruzione; autorità giudiziaria ordinaria o contabile) e non motivata “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” (come avviene quando vi confluiscano anche scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro): pertanto la segnalazione stessa non è sottratta al generale accesso previsto dagli artt. 22 ss. l. n. 241/1990, ove il richiedente lo richieda, quale incolpato, per esigenze di difesa. Sulla stessa lunghezza d’onda, tesa a delimitare l’ambito applicativo dell’art. 54-bis d.lgs. n. 165, Tar Liguria, Sez. I, 30 luglio 2019, n. 683.

 (15) In terminis, in passato (prima dell’introduzione dell’art. 54-bis d.lgs. n. 165), Tar Veneto, Venezia, Sez. III, 1 settembre 2005, n. 3277 (in Foro amm.-Tar, 2005, 2762), secondo cui il soggetto accusato di fatti che hanno dato origine ad un procedimento disciplinare a suo carico poi archiviato ha un interesse qualificato a prendere visione del documento contenente le affermazioni accusatorie, al fine di tutelare nelle opportune sedi il proprio prestigio leso dalle stesse; egli è infatti titolare di un interesse diretto (e cioè personale, appartenente alla sfera dell’interessato), concreto (e cioè collegato con il bene della vita coinvolto dal documento) ed attuale (e cioè non meramente potenziale: l’avvenuta archiviazione del procedimento disciplinare, invero, non può far venir meno l’attualità dell’interesse all’accesso, attenendo l’esercizio di questo ad eventuali profili risarcitori) alla tutela della propria reputazione; né l’amministrazione potrebbe arrogarsi la potestà di apprezzare la concreta utilità che il documento di cui trattasi potrà apportare alla tutela dell’interesse che il ricorrente intende far valere. Poiché la reputazione di un professionista (nella specie, architetto) può essere lesa anche dalla semplice apertura di un procedimento disciplinare a suo carico, deve riconoscersi che egli abbia interesse ad accedere ad un esposto presentato, nei suoi confronti, presso il relativo ordine professionale, anche se questo non abbia ancora avviato detta azione: Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 5716/2004, cit. Tuttavia, altra parte della magistratura distingue, dopo l’archiviazione di un esposto, tra esposti formali ed esposti informali all’autorità giudiziaria (ivi comprese le forze di polizia), traendone come conseguenza in punto di interesse ad accedere l’affermazione che non è possibile ravvisare alcuna ulteriore iniziativa, giudiziaria o di altro tipo, contro l’autore della segnalazione, qualora la qualificazione di quest’ultima sia in termini di “mero esposto informale” da parte di privato cittadino, implicante in quanto tale l’assenza di qualsivoglia assunzione di responsabilità a carico dello stesso, ravvisabile invece nei confronti del denunciante, imputabile per il reato di calunnia ricorrendone i presupposti: solo in quest’ultimo caso è dunque possibile un accesso del denunciato all’esposto formale (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4769; Tar Umbria 16 settembre 2020, n. 413.

 (16) V. nt. 13. Da segnalare, perché resa nel lavoro pubblico e in sintonia con la enunciata lettura restrittiva della normativa dell’art. 54-bis, la recente Cass., Sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1752, che, in materia di scritti calunniosi verso il datore, ribadisce la necessaria valutazione, alla stregua dei principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., del canone di fedeltà ex art. 2105 c.c., che rende recessiva la normativa sulla tutela del whistleblowing (art. 54-bis d.lgs. n. 165) a fronte di critiche al datore (comune) espresse in esposti denunce infondati inviati a vari organi amministrativi.

 (17) V. la giurisprudenza citata in nt. 23.

(18) Sull’accesso agli atti ispettivi, anche prodromici a procedimenti disciplinari, cfr. V. Tenore, Studio sull’ispezione amministrativa ed il suo procedimento, cit., 241 ss., con vasti richiami giurisprudenziali.

(19) Sulla differenza tra interesse ad accedere e interesse ad impugnare, V. Tenore, L’incidenza della nuova l. n. 241, cit., 238 ss., con ampi richiami giurisprudenziali e dottrinali. In giurisprudenza, v. Cons. Stato, Sez. IV, 30 marzo 2000, n. 1823 (in Foro amm., 2000, 859), secondo cui l’interesse all’accesso ai documenti relativi al procedimento disciplinare permane anche dopo lo spirare dei termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale.

 (20) Cons. Stato, Sez. IV, 3 maggio 2000, n. 2619.

 (21) Tar Veneto, Sez. I, 16 maggio 2000, n. 1020, in www.lavoropubblico.formez.it

 (22) Ad esempio, nel proprio procedimento è stata inflitta la destituzione, mentre in un precedente analogo è stata comminata la sospensione. Sul principio di parità di trattamento in sede disciplinare, v. i rilievi sviluppati da V. Tenore, Studio sul procedimento disciplinare, cit., cap. II, par. 7, lett. c). Per un caso concreto, nel pubblico impiego, v. Tar Lazio, Roma, Sez. I, 1 giugno 2004, n. 5163, in Foro amm.-Tar, 2004, 1693, secondo cui il dipendente pubblico sottoposto a procedimento disciplinare in corso che abbia interesse, per esigenze difensive, ad accedere ai documenti inerenti al distinto procedimento disciplinare celebratosi a carico di un terzo ha titolo all’ostensione documentale richiesta, senza che l’amministrazione possa opporgli generiche esigenze di riservatezza.

 (23) Per l’accesso riconosciuto all’autore di un esposto, v. Tar Campania, Salerno, Sez. I, 9 dicembre 2019, n. 2175; Cons. Stato, Sez. III, 30 ottobre 2017, n. 5004 (che lo qualifica accesso ex l. n. 241 e non come accesso civico); Tar Liguria, Sez. II, 5 ottobre 2016, n. 976; Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 1299; Tar Toscana, Sez. II, 16 ottobre 2014, n. 1569. Per l’interesse all’accesso da parte di un autore di un esposto anche se conclusosi con archiviazione del procedimento disciplinare, v. Tar Lombardia, Milano, Sez. III, n. 3160/2009, cit. È correttamente motivato il diniego di accesso che dia conto della carenza di un interesse concreto e attuale alla conoscenza degli atti di cui viene chiesta l’ostensione, evidenziata dall’amministrazione nel provvedimento impugnato, laddove si evidenzia che gli atti richiesti non sono minimamente influenti sul procedimento disciplinare a carico dell’istante e che l’intera istanza non risulta motivata a garantirle il diritto alla difesa ma piuttosto a soddisfare una mera curiosità: Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 21 marzo 2006, n. 657, in Foro amm.- Tar, 2006, 893. L’autore di un esposto, in seguito al quale è stato dato avvio ad un procedimento disciplinare a carico di un libero professionista, non è titolare di un interesse personale e concreto all’accesso ai relativi atti, poiché non è parte di detto procedimento, il quale riguarda l’amministrazione, l’incolpato e chi svolge l’attività accusatoria: Tar Marche, Ancona, 30 marzo 2005, n. 274, ivi, 2005, 698. Tuttavia, secondo Tar Veneto, Venezia, Sez. I, 18 novembre 2010, n. 6080, in Foro amm.-Tar, 2010, 3467, il cliente di un avvocato, il quale ha presentato un esposto al consiglio dell’ordine rappresentando alcune irregolarità e violazione di obblighi professionali che sarebbero stati commessi dal legale nella cura di una pratica, ha diritto ad accedere agli atti del procedimento disciplinare (e agli atti preliminari al procedimento stesso quali l’inchiesta preliminare) avviato a seguito dell’esposto, ovvero agli atti che hanno dato luogo all’archiviazione dell’esposto medesimo, non sussistendo ragioni di riservatezza del professionista, in quanto si tratta di accedere non a dati sensibili ma ad atti aventi stretto riferimento ai rapporti contrattuali intercorrenti con il cliente: da ciò si ricava che il silenzio che sia stato serbato sull’istanza presentata dal privato è comunque illegittimo in quanto l’ordine medesimo avrebbe dovuto far uso del potere di differimento contemplato dall’art. 24, c. 4, l. 241/1990 e s.m.i., mentre dopo che sia sopravvenuto il provvedimento di archiviazione dell’esposto il rilascio di quanto chiesto dall’istante costituisce di per sé atto dovuto. In terminis, Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7111, in Foro amm.-CdS, 2006, 12, 3290, con nota di S. Rodriquez, La qualità di autore di un esposto quale fattore di legittimazione all’accesso.

 (24) In terminis, in materia disciplinare nelle libere professioni (ingegneri), Cons. Stato, Ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7 (in Corriere merito, 2006, 815, con nota di richiami di M.L. Maddalena, annotato da O. Forlenza in Guida dir., 2006, fasc. 20, 106), secondo cui la qualità di autore di un esposto al quale abbia fatto seguito un procedimento disciplinare a carico di un professionista è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi (l’aver proposto parallela azione civile nei confronti del professionista), a radicare nell’autore medesimo la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’art. 22 l. n. 241/1990, legittima all’accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare (coinvolgente terzi) che da quell’esposto ha tratto origine, né varrebbe affermare in senso contrario la circostanza che l’autore dell’esposto è rimasto estraneo al procedimento disciplinare che ne è seguito (tale avversa tesi era stata in passato propugnata da Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2003 n. 4049); sulla possibilità di accesso da parte dell’autore di un esposto, Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1299/2015, cit.; Tar Puglia, Bari, Sez. II, 10 luglio 2015, n. 2367; Tar Toscana, Sez. II, n. 1569/2014, cit.; Tar Piemonte, Sez. I, 6 febbraio 2013, n. 166 (accesso a fascicolo chiuso con archiviazione); Tar Lazio, Sez. III, 3 aprile 2002, n. 2720, secondo cui in linea generale, nei riguardi dei documenti del procedimento disciplinare a carico di altri soggetti il terzo che richieda di accedervi è privo di quella “situazione giuridicamente rilevante” prescritta ai fini dell’esercizio del relativo diritto dall’art. 22, c. 1, l. n. 241/1990, poiché egli, ancorché autore di esposto, non è parte del predetto procedimento che si svolge tra l’amministrazione, l’incolpato ed il p.m. o altra figura similare. In altra sentenza è stato affermato che il cliente di un avvocato, che ha presentato un esposto al consiglio dell’ordine rappresentando alcune irregolarità e violazione di obblighi professionali che sarebbero stati commessi dal legale nella cura di una pratica, ha diritto ad accedere agli atti del procedimento disciplinare avviato a seguito dell’esposto, non sussistendo ragioni di riservatezza del professionista, in quanto si tratta di accedere non a dati sensibili ma ad atti aventi stretto riferimento ai rapporti contrattuali intercorrenti con il cliente: Cons. Stato, Sez. IV, n. 7111/2006, cit. Sulla necessità di comprovare un interesse giuridicamente rilevante per un accesso anche per l’autore di un esposto nei confronti di un avvocato, v. Tar Lazio, Roma, Sez. III, 26 agosto 2009, n. 8280, in Foro amm.-Tar, 2009, 2159; Tar Veneto, Venezia, Sez. I, n. 6080/2010, cit.

La tesi del Consiglio di Stato era stata anticipata dalle Sezioni unite della Cassazione, che avevano statuito che in materia di procedimento disciplinare a carico di avvocati e procuratori non sussiste violazione del dovere di riservatezza qualora sia consentito l’accesso a documenti del procedimento disciplinare; infatti, il diritto di accesso ai documenti di procedimenti amministrativi, anche se disciplinari, previsto dagli artt. 21 ss. l. n. 241/1990 compete a chiunque abbia un concreto e apprezzabile interesse personale a prenderne visione (nella specie, la S.C. ha ritenuto che tale interesse era stato correttamente riconosciuto al denunziante, un avvocato nei cui confronti la collega incolpata aveva adoperato espressioni oltraggiose ed espresso giudizi negativi): Cass., S.U., 25 maggio 2001, n. 218, in Mass. giust. civ., 2001, 907.

 (25) Occorre ribadire che il capo-struttura e l’u.p.d. (ufficio procedimenti disciplinari) hanno facoltà di archiviare motivatamente un esposto ove palesemente infondato o assolutamente generico. Sul possibile accesso ex l. n. 241/1990 ad esposti anonimi, v. Tar Campania, Napoli, Sez. VI, n. 653/2016, cit.

 (26) In particolare l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, prima della novella del 2005 che ha introdotto l’art. 24, c. 7, della l. n. 241, con la nota sent. 4 febbraio 1997, n. 5 (in Foro it., 1997, III, 199, con ampia nota redazionale, annotata da A. Sandulli, La riduzione dei limiti all’accesso ai documenti amministrativi, in Giornale dir. amm., 1997, 1022), aveva risolto il contrasto dando espressamente prevalenza al diritto di accesso sulla riservatezza, ove il primo sia “necessario per la cura o difesa di interessi giuridici”. Le conclusioni si fondano sia su argomenti sistematici, sia sul contenuto testuale del previdente art. 24, c. 2, lett. d), l. n. 241/1990, dell’art. 8, lett. d), d.p.r. n. 352/1992 e delle identiche previsioni contenute nei regolamenti adottati ex vecchio art. 24, c. 4, l. n. 241. L’orientamento è stato successivamente seguito da Cons. Stato, Sez. V, 22 giugno 1998, n. 923, in Sett. giur., 1998, I, 461 (fattispecie in materia di accesso da parte dell’ispezionato ai documenti utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, ivi compresi gli atti di iniziativa e gli esposti che abbiano attivato l’ispezione); Sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82, in Dir. proc. amm., 1998, 374, con nota di M. Occhiena, Diritto di accesso, atti di diritto privato e tutela della riservatezza dopo la legge sulla privacy (il diritto di accesso e la riforma dell’organizzazione della p.a.); 6 agosto 1997, n. 772, in Guida dir., 1997, fasc. 38, 81; 26 gennaio 1998, n. 82, in Foro amm., 1998, 34; 29 gennaio 1998, n. 115, ibidem, 36; 24 marzo 1998, n. 498, ibidem, 698. Quest’ultima sentenza ha formalmente disapplicato il regolamento ministeriale che precludeva, segretandoli, l’accesso ad alcuni atti (schede valutative per il giudizio di promozione nelle carriere militari) la cui conoscenza era necessaria per difendere le ragioni dell’interessato. In terminis anche Cons. giust. sic. 18 marzo 1998, n. 171, in Cons. Stato, 1998, I, 491; Cons. Stato, Sez. IV, 11 febbraio 1998, n. 266, ibidem, 194; 30 aprile 1998, n. 716, ibidem, 583; Sez. VI, 27 maggio 1998, n. 802, in Gazz. giur., 1998, fasc. 30, 60; 11 febbraio 1997, n. 260, in Guida dir., 1997, fasc. 10, 65; Tar Lombardia, Milano, 15 gennaio 1997, n. 45, in Trib. amm. reg., 1997, I, 957; e la giurisprudenza citata da M. Occhiena, op. cit., 398, nt. 52.

In particolare sulla disapplicabilità d’ufficio da parte del giudice di un regolamento interno che non consenta l’accesso riconosciuto da norma primaria, cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 27 settembre 1996, n. 1448, in Giust. civ., 1997, I, 556. Tra le numerose decisioni che hanno vagliato, dopo il t.u. n. 196/2003, il rapporto accesso-privacy, si segnalano: Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2004, n. 5873, in Cons. Stato, 2004, I, 1837, con nota di M. Cecchini, Accesso ai documenti concernenti sfera sessuale e salute; 3 luglio 2003, n. 4002; Tar Lazio, Roma, Sez. I, 17 gennaio 2005, n. 308; Tar Lazio, Roma, Sez. III-bis, 25 maggio 2004, n. 4874; Tar Veneto, Sez. III, 7 marzo 2003, n. 1674. Utile è anche la lettura dei pronunciamenti del Garante per la protezione dei dati personali raccolti nei massimari cartacei redatti dallo stesso Garante o reperibili nel sito www.garanteprivacy.it

(27) Cons. Stato, Sez. IV, n. 772/1997, cit. Sul generale tema dell’accesso agli atti ispettivi, preliminari all’attivazione di un procedimento disciplinare, V. Tenore, Studio sull’ispezione amministrativa ed il suo procedimento, cit., 241 ss. Per la piena accessibilità all’atto in base al quale è stata attivata la procedura disciplinare, v. anche Tar Veneto 6 dicembre 1997, n. 1739, in Trib. amm. reg., 1998, I, 529; Tar Friuli-Venezia Giulia 15 gennaio 1998, n. 80, ibidem, 949. Per l’accessibilità agli atti del procedimento disciplinare, v. Cons. Stato, Sez. IV, 23 settembre 1998, n. 1182, in Foro amm., 1998, 2337.

(28) Sulle indagini penali e sul segreto istruttorio come limite per l’accesso agli atti della p.a. si riscontrano diverse decisioni. Sul punto, V. Tenore, L’incidenza della nuova l. n. 241, cit., 268, nt. 61. Per il prevalente indirizzo la mera inerenza del documento a indagini penali (e, dunque, la trasmissione dell’atto al giudice penale) non preclude accesso, a meno che sull’atto non sia intervenuto il sequestro penale: così Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1170, in Guida dir., 1996, fasc. 48, 82; 27 novembre 1996, n. 1253, in Foro amm., 1996, 3218; Cons. giust. sic. 30 marzo 1998, n. 190, in Giur. amm. sic., 1998, 89; Cons. Stato, Ad. plen., 28 aprile 1999, n. 6, in Cons. Stato, 1999, I, 565; Sez. IV, 13 ottobre 1999, n. 1577, ibidem, 1559; Tar Sicilia, Catania, Sez. III, 24 novembre 2011, n. 2783, in ; Tar Lazio, Roma, Sez. I, 5 marzo 2012, n. 2181; Tar Sardegna, Sez. II, 20 giugno 2011, n. 638; Tar Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 18 febbraio 2011, n. 144, e Tar Lazio, Roma, Sez. II, 4 gennaio 2016, n. 7. Sul tema, G. Rubino, Diritto di accesso e segreto istruttorio: un difficile equilibrio tra due esigenze contrapposte, in , 8 agosto 2016. Sulla possibilità, in base all’art. 258, c. 2, c.p.p., di accesso anche se gli atti sono sequestrati dal giudice penale perché, dopo la restituzione alla p.a. da parte dell’autorità giudiziaria in originale o in copia, i documenti sono presso l’amministrazione, che può rilasciarli purché menzioni sull’atto che è sequestrato, v. Tar Campania, Napoli, 23 febbraio 1995, n. 38, in Trib. amm. reg., 1995, I, 1847. Per l’accesso alla documentazione amministrativa (o privata ma detenuta da p.a., v. sopra) che ha dato origine ad atti di polizia giudiziaria, salvo che l’autorità giudiziaria penale ne abbia inibito la visione (Tar Lazio, Roma, Sez. II, 26 settembre 1996, n. 1746, ivi, 1996, I, 3644). Ad esempio, per Cons. Stato, Sez. IV, n. 4769/2011, cit. (in terminis, Sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3601) “non costituisce atto di indagine la notizia criminis (in specie un esposto) proveniente da un privato ovvero da un soggetto pubblico (costituendo essa delle indagini il presupposto) e, in particolare, la denuncia inoltrata alla Procura della Repubblica”. Anche Cass. pen., Sez. I, 9 marzo 2011, n. 13494, esclude dalla categoria del segreto istruttorio i documenti di origine extraprocessuale acquisiti ad un procedimento, non compiuti dal p.m. o dalla polizia giudiziaria. Parimenti non possono essere considerati atti di indagine della p.a. sottratti ad accesso le denunce presentate da comuni cittadini o da funzionari pubblici che non svolgono funzioni di p.g.: Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 21 novembre 2011, n. 2810.

La più recente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 547; Tar Lazio, Latina, Sez. I, 16 gennaio 2014, n. 17) ha distinto tre ipotesi: a) quella in cui gli atti siano stati delegati dall’a.g., nel qual caso l’ostensione non sarà possibile; b) quella in cui gli atti coincidano con le notitiae criminis poste in essere dagli organi comunali nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria ad essi specificamente attribuite dall’ordinamento, nel qual caso parimenti l’ostensione non è possibile; c) quella in cui, infine, ci si trovi dinanzi ad atti di indagine e accertamento, se del caso tradottisi in denunce all’a.g., non compiuti dagli organi comunali nell’esercizio di funzioni di p.g., bensì nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, nel qual caso non sussistono, per la giurisprudenza in esame, impedimenti ad ammettere l’accesso su tali atti.

Per l’accessibilità ad atti posti in essere nell’ambito di indagini di polizia, Cons. Stato, Sez. IV, 20 maggio 1996, n. 665, in Cons. Stato, 1996, I, 784.

La mera inerenza a indagini di polizia di relazioni di servizio interne di Carabinieri non sottrae gli atti ad accesso: Cons. Stato, Sez. IV, 4 aprile 1998, n. 548, ivi, 1998, I, 543 (non si tratta, secondo il giudicante, di atti annoverati tra gli atti segretati, e il procedimento penale aveva superato fase delle indagini preliminari).

È stato negato l’accesso al parere del Comando dei carabinieri negativo sull’istanza di semilibertà presentata da detenuto, trattandosi di atto idoneo a svelare tecniche investigative e identità, fonti informative e rientrante nel divieto ex art. 3, lett. b), d.m. interno n. 415/1994, attuativo dell’art. 24, c. 4, l. n. 241, e come tale non necessaria di ampia motivazione, ma di una mera indicazione della previsione del d.m. citato: Cons. Stato, Sez. IV, n. 82/1998, cit. È importante segnalare la corretta affermazione giurisprudenziale secondo cui, se la p.a. destinataria di una istanza di accesso dubiti della visionabilità dell’atto richiesto in quanto trasmesso alla Procura della Repubblica, graverà sulla stessa p.a. e non sul cittadino istante l’onere di acquisire il nulla-osta dal competente magistrato (Tar Toscana, Sez. III, 30 giugno 1998, n. 187, in Foro amm., 1999, 836). In dottrina, v. F. Caringella, R. Garofoli, M.T. Sempreviva, op. cit., 471 ss.

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