16/02/2021 – La d.i.a. non è idonea per trasformare un tetto a falde inclinate di un edificio condominale.

Consiglio di Stato, Sez. II, 12 febbraio 2021, n. 1294

Qui la sentenza 

La controversia oggetto della prefata sentenza concerne la richiesta da parte del ricorrente di annullare la dichiarazione di inizio attività (d.i.a.) presentata al Comune – non costituitosi in giudizio – dalla parte resistente al fine di demolire una parte della falda inclinata del tetto di un edificio condominiale per ottenere sul sottostante solaio un terrazzo a livello prospiciente la propria abitazione.

Tale decisione risulta interessante per i diversi argomenti trattati, quali: la natura condominale o meno del tetto a falde inclinate; se per realizzare tale intervento edilizio fosse sufficiente l’autorizzazione dell’amministratore del condominio e la d.i.a.; se il Comune avesse dovuto verificare la legittimità del titolo sottostante la d.i.a.; se il giudice di primo grado avesse dovuto verificare, incidenter tantum, la titolarità del diritto di proprietà o di altro titolo valido in capo all’autore della d.i.a. sì da legittimarlo a presentare la stessa dichiarazione e, quindi, a realizzare l’intervento.

Il giudice di appello, non condividendo le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado a sostegno delle statuizioni reiettive dell’originario ricorso e ritenendo, invece, valide le eccezioni addotte dal ricorrente, riforma l’impugnata sentenza del TAR per le Marche n. 464 del 22 giugno 2012 e annulla l’impugnata d.i.a..

A fondamento della sentenza in esame, il Consiglio di Stato afferma che :

− Il tetto a falde inclinate, non essendo un lastrico solare, svolge una funzione di copertura e di protezione dell’intero fabbricato condominiale senza essere praticabile e rientra, per espressa previsione normativa, nel novero delle parti comuni dello stesso “se non risulta il contrario dal titolo” (cfr. art. 1117, comma 1, n. 1 c.civile);

− per realizzare l’intervento in questione – consistente nella demolizione della falda inclinata del tetto esistente con la seguente emersione del solaio sottostante, che pertanto non può essere qualificato come lastrico solare palesandosi quale elemento interno alla struttura del fabbricato – la d.i.a. non costituiva un titolo idoneo, ma sarebbe occorso un permesso di costruzione, data la gravosità dell’intervento;

− per richiedere il predetto titolo autorizzatorio sarebbe stato necessario, peraltro, conseguire l’unanimità dei consensi di tutti i condomini espressi nell’assemblea condominiale, unica legittimata a disporre delle parti comuni del fabbricato (art. 1108, comma 3, c.c.), non potendo ritenersi valida, al pari del TAR, l’autorizzazione dell’amministratore condominiale il quale non ha il potere di autorizzare la trasformazione dei beni comuni, qual é il tetto;

− il giudice di primo grado, così come richiesto dal ricorrente, avrebbe dovuto accertare, seppure incidentalmente, se l’autore dell’intervento edilizio fosse stato portatore di un titolo idoneo per presentare la d.i.a.;

a sostegno di quanto sopra e contraddicendo l’asserzione del TAR – secondo cui al giudice amministrativo non è mai dato occuparsi di questioni proprietarie – viene richiamato  quanto sostenuto dallo stesso Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che “ai sensi dell’art. 8 c.p.a. il giudice amministrativo può accertare, in via incidentale, la sussistenza o non di un diritto soggettivo, ai limitati fini della soluzione della vertenza ad esso demandata in via principale, senza sconfinare nella tutela dei diritti riservata all’Autorità giudiziaria ordinaria, limitandosi a svolgere accertamenti ed eventuali valutazioni critiche sulle situazioni giuridiche quali appaiono dai fatti e dagli atti potendo, per quanto riguarda le proprietà immobiliari, soltanto una sentenza civile accertare l’avvenuta usucapione ventennale o decennale” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2014, n. 1883).

− non possono essere condivise, contraddicendo il TAR, l’affermazione secondo cui il Comune, nell’assentire una d.i.a., non avrebbe alcun onere di verificare se il richiedente sia titolato (e, in particolare, se sia proprietario del bene sul quale si intende intervenire); e la tesi secondo cui la p.a., a tal fine, dovrebbe arrestarsi di fronte alla sola prospettazione di chi si qualifichi proprietario con apposita autodichiarazione (che appunto si rinviene nella denuncia edilizia presentata dall’appellato);

a sostegno di quanto sopra si fa rilevare che se è vero infatti che la pubblica Amministrazione non è tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente un titolo edilizio è vero anche che “il Comune ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2020, n.865);

e, inoltre, che ancorché la d.i.a., quale atto del privato piuttosto che titolo edilizio rilasciato dall’Amministrazione, presenti caratteristiche del tutto peculiari, questo non deve indurre a trascurare la necessità che anche in questo caso la documentazione presentata dall’interessato sia tale da corroborare la propria legittimazione alla realizzazione del progettato intervento edilizio, tant’è che l’art. 23, comma 1 d.p.r. n. 380/2001, discorre quale soggetto legittimato alla presentazione della d.i.a., alla stessa stregua dell’art. 11 per il permesso di costruire, di “proprietario dell’immobile o chi abbia titolo”.

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