08/02/2021 – L’assenza del piano della performance e l’indennità di risultato: tra danno erariale e risarcimento della chance. Un nuovo ruolo per il segretario comunale?

Due recenti pronunce del giudice contabile hanno acceso nuovamente i riflettori sulla questione della corresponsione dell’indennità di risultato ai dirigenti o agli incaricati di posizione organizzativa nei comuni privi di dirigenti[1]nell’ipotesi in cui l’ente non abbia dato completa attuazione al ciclo della performance.

Un primo caso[2] riguarda un comune nel quale, pur non essendo stato adottato negli anni dal 2014 al 2016 un vero e proprio piano della performance, il sindaco ha riconosciuto al personale che aveva ricoperto l’incarico di posizione organizzativa la retribuzione di risultato nella misura minima del 10% della retribuzione di posizione annua attribuita[3], dando atto che “pur in assenza di Peg e di piano dettagliato degli obiettivi, gli uffici comunali hanno comunque raggiunto e perseguito le finalità gestionali richieste dall’amministrazione comunale”.

L’altro caso[4] riguarda, invece, una azienda sanitaria i cui vertici -direttore generale, direttore amministrativo e dirigente delle risorse umane- hanno erogato a tutti i dirigenti dell’area sanitaria e veterinaria, dell’area sanitaria non medica e dell’area professionale tecnica amministrativa l’indennità di risultato “in assenza di previa assegnazione degli specifici obiettivi da raggiungere” e in misura “indifferenziata sulla base della mera appartenenza all’area di competenza e alla presenza in servizio”.

Prendendo l’abbrivio da tale ultima vicenda, si evidenzia che in sede d’appello la condanna a risarcire il danno erariale causato all’Azienda sanitaria dal comportamento dei vertici dirigenziali è stata confermata sulla base del principio, divenuto ius receptum nella giurisprudenza contabile, del “divieto di erogazione di compensi incentivanti non collegati a una prestazione sinallagmatica, avente a contenuto obiettivi specifici e verificati.[5] Prescindendo dalle questioni afferenti la normativa, anche settoriale, applicabile nel caso di specie[6], il principale vulnus che è dato cogliere dalla vicenda, è costituito – stando alle parole della Corte- “proprio dall’assenza della fase propedeutica dell’affidamento degli obiettivi, così facendo venir meno uno dei presupposti essenziali ai fini dell’attribuzione delle risorse, posto che un risultato può dirsi verificabile e misurabile in quanto siano stati prestabiliti quali fossero l’azione o l’attività da compiere e l’esito da conseguire”. E’, infatti, noto fin dai correttivi apportati nel 1998 alla riforma della dirigenza pubblica di cui al d.lgs. 29/1993, che di fronte all’assetto normativo (art. 24 del d.lgs. 165 del 2001 e smi) che correla una parte del trattamento economico della dirigenza al risultato dell’attività gestionale “non può prescindersi per la sua attribuzione da un compiuto processo valutativo, che prende l’avvio dall’assegnazione dei programmi e degli obiettivi specifici e predeterminati da parte della struttura e si conclude con la verifica del grado di realizzazione degli stessi. Ogni deviazione dal sistema, incentrato sulla produttività e introdotto in coincidenza con la stessa riforma della dirigenza pubblica, vanifica le finalità premianti e di miglioramento della performance, che ne costituiscono la ratio, senza attuare la necessaria corrispondenza tra la retribuzione accessoria e l’effettivo raggiungimento degli standard prefissati, cui deve essere parametrata.

Il primo caso, relativo invece a vicende maturate in un comune nella piena vigenza del d.lgs. 150 del 2009, presenta delle peculiarità che è opportuno segnalare in quanto consentono di esaminare anche da un punto di vista civilistico la fattispecie oggetto di censura sotto il profilo della responsabilità erariale. Il sindaco, citato in giudizio dalla procura contabile per aver autorizzato il pagamento dell’indennità di risultato nonostante la mancata adozione negli anni di un piano degli obiettivi, ha infatti eccepito l’assenza della condotta causativa del danno in quanto il diritto dei titolari di posizione organizzativa a percepire l’indennità di risultato nella misura minima prevista dal contratto “non era sorto per effetto del provvedimento sindacale, bensì dall’interpretazione che la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva dato dell’art. 10 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n.150”, la quale afferma che in presenza di una illegittima valutazione negativa, se è vero che il giudice del lavoro non può sostituirsi all’organo deputato ad effettuare la verifica dei risultati che condiziona la corresponsione dell’indennità di risultato, tuttavia egli non può escludere in radice la sussistenza del diritto del dirigente al risarcimento dei danni per perdita di chance[7]. Il giudice contabile respinge le eccezioni del convenuto e accoglie la domanda dell’attore pubblico, effettuando una interessante ricostruzione del quadro normativo applicabile alla fattispecie, partendo dalla riforma del pubblico impiego del 1993 la quale ha avviato il “progressivo abbandono del concetto ortodosso di locatio operarum, intesa come rapporto di lavoro subordinato articolato su un orario settimanale predeterminato, a fronte di una retribuzione fissa totalmente sganciata da risultati ed obiettivi, tipico di una concezione strettamente burocratica e con la progressiva introduzione dei concetti di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione  della pubblica amministrazione e, quindi, della prestazione lavorativa del pubblico dipendente”. Sulla base di tale ricostruzione, la Corte ritiene che la riforma del ciclo della performance introdotta dal d.lgs. 150 del 2009 sia un logico corollario della riforma basata sulla legge n. 421 del 1992 e costituisca “più che una riforma, una vera e propria rivoluzione culturale”, basata sull’introduzione “di nuovi concetti, prima sconosciuti nell’ambito della pubblica amministrazione e considerati tipici del settore privato, quali la fissazione di obiettivi, la valutazione dell’azione dei dipendenti pubblici in relazione ai risultati ottenuti, l’introduzione di forme sempre più significative di premialità, al fine di valorizzare la meritocrazia, l’aggancio di una parte della retribuzione dei vertici burocratici alla rilevanza delle funzioni svolte ed al raggiungimento degli obiettivi prefissati”.[8] Nel caso concreto, l’analisi della documentazione versata in atti dimostra che per gli anni in contestazione il ciclo della performance, sebbene oggetto di compiuta regolamentazione all’interno del comune, non risultava rispettato, essendosi provveduto solo in parte ad assegnare ai responsabili obiettivi provvisori e, comunque, non risultando acquisiti né i monitoraggio, né le relazioni dei singoli responsabili e le valutazioni dell’Oiv; tanto che il giudice afferma che “risulta non discrezionale ma del tutto arbitraria e irragionevole la decisione del convenuto di conferire alle predette posizioni organizzative la retribuzione di risultato per le annualità in contestazione, sia pure i misura minima”. Quanto alla eccezione di merito formulata dal convenuto circa il fatto di aver conformato la propria condotta alla giurisprudenza del giudice del lavoro che, comunque, riconosce ai dirigenti il risarcimento della chance perduta nelle ipotesi di mancata attuazione del processo di valutazione della performance, il giudice contabile si limita ad affermate che il riconoscimento del risarcimento per perdita di chance è avvenuto nel caso concreto “in assenza di una valutazione della sussistenza dei presupposti, non avendo affatto considerato quanto emerso in ordine alle singole condotte delle posizioni organizzative istanti dalla relazione dell’OIV.[9]” In effetti, la questione merita maggiore approfondimento, perché in effetti la giurisprudenza di merito, conformandosi ad un indirizzo oramai costante della Suprema Corte, afferma il diritto del dirigente ad ottenere comunque il risarcimento del danno da perdita di chance in tutti i casi in cui il datore di lavoro pubblico non provvede a gestire correttamente il ciclo della performance, negandogli il diritto a percepire l’indennità di risultato. Tale orientamento, si è affermato non solo nelle ipotesi in cui manchi a valle la valutazione della performance (ad esempio per assenza dell’organismo di valutazione) ma anche per le ipotesi, più diffuse e maggiormente problematiche, in cui a monte non risultano stabiliti e assegnati specifici obiettivi. In un  recente precedente[10] relativo alla pretesa di due dirigenti della Provincia di Trapani di ottenere il risarcimento della chance perduta di ottenere l’indennità di risultato a causa della mancata assegnazione da parte dell’organo di indirizzo politico degli obiettivi, il tribunale ha accolto la domanda dei dirigenti rigettando le argomentazioni della pubblica amministrazione secondo cui il diritto all’indennità di risultato non sarebbe sorto in quanto gli obiettivi non risultavano fissati  “non avendo i ricorrenti collaborato col datore di lavoro pubblico per la loro fissazione”; osserva il tribunale: ”le osservazioni del Libero Consorzio ( recte: la Provincia) non sono condivisibili. In primo luogo, gli obiettivi vengono fissati dal datore di lavoro, quindi, nessuna negligenza ascrivibile ai ricorrenti può essere ravvisata. In secondo luogo, il fatto che il diritto di percepire l’emolumento non sia sorto non è rilevante, dal momento che i ricorrenti non hanno chiesto il ristoro del lucro cessante (per lesione del diritto a percepire l’indennità), ma il risarcimento della perdita di chance (per lesione del diritto ad ottenere una valutazione che, se positiva, avrebbe consentito di percepire l’emolumento retributivo).” Approfondendo l’analisi secondo il paradigma avviato, il giudice del lavoro, ricostruito l’ordito del sistema normativo che si ricava dagli artt. 3, 4, 7 e 9 del d.lgs. 150/2009, afferma che “è certo che il datore di lavoro pubblico era tenuto a fissare gli obiettivi programmatici”, più in particolare “era tenuto a procedere annualmente alla valutazione della performance dei propri dirigenti, quindi, doveva fissare gli obiettivi e poi verificarne il raggiungimento”. E, quindi, richiamando il noto precedente della Suprema Corte n. 9392 del 2017, ha affermato che “sia pure con le decurtazioni proprie del ristoro della chance, l’omessa indicazione degli obiettivi per addivenire ad una valutazione della performance rappresenta una condotta illecita suscettibile di uno sbocco risarcitorio”. Secondo la giurisprudenza fin qui richiamata, dunque, laddove il datore di lavoro pubblico ometta di fissare gli obiettivi ciò comporta comunque un danno per il dirigente inteso come compromissione della possibilità di conseguire una valutazione positiva ai fini del pagamento dell’indennità di risultato; quanto al nesso di causalità tra condotta e danno evento, esso è escluso solo nel caso in cui tali probabilità fossero meramente simboliche[11]. Ad analoghe conclusioni è pervenuto lo stesso giudice del lavoro in un’altra controversia[12] relativa al mancato pagamento dell’indennità di risultato ad un segretario comunale per la mancata assegnazione preventiva di obiettivi; tuttavia in questo caso, accogliendo una specifica eccezione del comune, il tribunale ha ritenuto sussistente il paritario concorso causale del segretario comunale che aveva l’obbligo in base all’assetto interno di competenze di presentare alla giunta il piano della performance, riducendo del 50% la misura del risarcimento della chance compromessa.

Sul punto giova osservare che, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 74/2017, l’art. 10, comma 5 del d.lgs. 150 del 2019  prevede, da un lato, che “in caso di mancata adozione del Piano della performance è fatto divieto di erogazione della retribuzione di  risultato  ai  dirigenti che risultano avere concorso alla mancata  adozione  del  Piano,  per omissione  o  inerzia  nell’adempimento   dei   propri   compiti”  e, dall’altro, che  “nei casi in cui la mancata adozione del Piano o della Relazione sulla performance dipenda da omissione o inerzia dell’organo di indirizzo politico di ciascuna amministrazione, l’erogazione dei trattamenti e delle premialità di cui al titolo III è fonte di responsabilità amministrativa del titolare dell’organo che ne ha dato disposizione e che ha concorso alla mancata adozione del Piano”. La norma pone un divieto di erogazione dell’indennità di risultato in capo ai dirigenti che abbiano concorso alla mancata adozione del piano della performance o per omissione o per inerzia, e impone agli enti convenuti in giudizi condannatori per danno da perdita di chance uno specifico onere di allegazione che se assolto non può condurre alle conclusioni cui sono giunti i precedenti sopra esaminati; se è vero, infatti, che l’adozione del Piano è di competenza dell’organo di indirizzo politico, il quale in base agli artt. 4, comma 1, lett. b) e 14, comma 1, lett. a) del d.lgs. n.165 del 2001 (e art. 107 del d.lgs 267/2000)  “definisce gli obiettivi”, non c’è dubbio che la formulazione della proposta di Piano spetta ai dirigenti. Sotto tale profilo, è bene però segnalare che in base all’art. 101 del CCNL 17 dicembre 2020 risulta attribuita al segretario comunale “la responsabilità della proposta del piano esecutivo di gestione nonché, nel suo ambito, del piano dettagliato degli obiettivi e del piano della performance”, come esplicazione del potere di sovrintendenza dei dirigenti. Emerge, dunque, da tale assetto normativo la positivizzazione dei principi pacificamente espressi dalla giurisprudenza contabile circa la responsabilità amministrativo-contabile nelle ipotesi di erogazione dell’indennità di risultato e delle altre premialità nel caso di mancata adozione del piano della performance, nel quale confluiscono gli obiettivi da cui prende avvio il ciclo che si conclude con la valutazione dei risultati; tale responsabilità il legislatore la pone in capo a chi dispone l’erogazione dei trattamenti economici e in capo a chi con lui concorre non avendo adottato il piano della performance. Tuttavia, la richiamata disposizione del CCNL della dirigenza locale[13] ha l’effetto ricondurre nel campo dei soggetti responsabili per l’erogazione di trattamenti premiali in assenza del piano della performance anche il segretario comunale al quale è attribuita la responsabilità della proposta del piano che, in base all’art. 169, comma 3.bis del tuel è unificato nel piano esecutivo di gestione insieme al piano dettagliato degli obiettivi. In effetti, la norma del contratto -al di fuori di una base normativa- si pone in contrasto con la previsione dell’art. 10, comma 5, del d.lgs. 150 del 2009 che, invece, individua nei dirigenti i soggetti che debbono collaborare con l’organo di indirizzo politico per l’adozione del Piano della performance, introducendo un divieto di erogazione dell’indennità di risultato proprio in capo a coloro che hanno concorso con omissione o inerzia alla mancata adozione del piano: l’individuazione di un potere di proposta in capo al segretario comunale implica che il segretario non può più limitarsi a collaborare coi dirigenti in modo informale nella stesura della proposta di Piano della performance ma ne deve assumere formalmente la responsabilità, anche ai fini della specifica normativa qui richiamata. E’ noto che in base alla specifica normativa vigente per gli enti locali, il Piano della performance deve essere approvato entro 20 giorni dall’approvazione del bilancio di previsione finanziario. Tuttavia, dispone il comma 1-ter dell’art. 5 del d.lgs. n. 150 del 2009 che “nel  caso  di  differimento  del  termine  di  adozione  del bilancio  di  previsione  degli  enti  territoriali,  devono   essere comunque definiti obiettivi specifici per consentire  la  continuità dell’azione amministrativa”. La norma, introdotta dal d.lgs. n. 74 del 2017 ha positivizzato l’obbligo cui pacificamente ha fatto riferimento la sezione delle autonomie della Corte dei conti[14]di adottare un piano della performance provvisorio, al fine di recuperare -nonostante l’assenza del bilancio di previsione- i fondamentali indirizzi cui deve essere improntata l’attività dei dirigenti che si pone a valle dell’esercizio delle funzioni di programmazione proprie dell’organo di indirizzo politico, la cui assenza non consente di attribuire indennità accessorie ed istituti premianti correlati all’attuazione di obiettivi. Spetta, dunque, al segretario comunale, in base alla richiamata norma del contratto collettivo, proporre tali obiettivi specifici per consentire la continuità dell’azione amministrativa.

[1] Nei comuni privi di dirigenza, ai sensi dell’art. 109, comma 2, del tuel, le funzioni dirigenziali di cui all’art. 107 vengono affidate ai responsabili di servizio, inquadrati in posizione apicale, i quali in applicazione della disciplina del CCNL 21 maggio 2018 (art. 17) sono anche titolari dell’incarico di posizione organizzativa e, pertanto, beneficiano ai sensi dell’art. 15 del CCNL anche dell’indennità di risultato, determinata in concreto secondo criteri oggetto di contrattazione decentrata (art. 7, comma lett. b) in base ai quali viene ripartito il fondo.

[2] Cfr. Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, 3 febbraio 2021, n. 134.

[3] A seguito dell’entrata in vigore del CCNL 21 maggio 2018 non esiste più una misura minima dell’indennità di risultato fissata rigidamente dal contratto, in quanto sia la determinazione delle risorse complessivamente destinate all’indennità di risultato di tutti i soggetti incaricati di posizione organizzativa che i criteri di riparto dell’indennità sono demandati alla contrattazione decentrata; l’unico vincolo è quello stabilito dall’art. 15, comma 4 del CCNL secondo cui la quota minima di risorse da destinare all’indennità di risultato per l’intero ente non può essere inferiore al 15% delle complesso delle risorse destinate a remunerare la retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative.

[4] Cfr. Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Molise 11 luglio 2019, n.22; la sentenza è stata confermata dalla Corte dei conti, I sezione centrale d’appello, 25 gennaio 2021, n. 20.

[5] La sentenza richiama, ex multis, Sez. I Appello, sent. n. 241 del 2018. E’ pacifico, inoltre, nella giurisprudenza contabile il principio secondo il quale “la fissazione di obiettivi generici, non adeguati allo scopo, equivale alla loro mancata fissazione”: cfr. ex multis. Corte dei conti, Appello Sicilia, n. 64 del 2019.

[6] La vicenda riguarda l’anno 2009 e, pertanto, precede l’entrata in vigore del d.lgs. 150 del 2009 che ha disciplinato il ciclo della performance; ma la Corte, sia in primo grado che in appello, ha sottolineato che -a prescindere da alcune innovazioni procedurali- i principi del d.lgs 150/2009 erano vigenti fin dalla riforma del 1993, il quale ha introdotto la nuova struttura della retribuzione della dirigenza, in parte legata al raggiungimento di specifici obiettivi di budget; si legge nella sentenza d’appello: ”non può che ribadirsi che l’emolumento in questione ha natura accessoria – non obbligatoria – e che tale carattere non risulta innovato rispetto al pregresso quadro normativo, nel quale la figura dirigenziale, sin dalla riforma intervenuta con il D.L.vo 29 del 1993, è stata proiettata in un’ottica manageriale, anche in termini retributivi, soprattutto per la parte di corrispettivi legati al concetto di risultato”.

[7] Si fa riferimento alla sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, 12.4.2017, n.9392.

[8] La sentenza, richiamando il noto parere della sezione regionale di controllo n. 4/2014/PAR, chiarisce inoltre che ai sensi del comma 2 dell’art. 74 del dlgs. 150 del 2009 non c’è dubbio sulla applicabilità in Sicilia degli art. 3, 4, 5, e 7 in quanto recano norme di diretta attuazione dell’art. 97 della Costituzione e costituiscono principi generali dell’ordinamento, con l’obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni dell’isola di recepire tale sistema.

[9] Dalla lettura della sentenze emerge che l’Oiv aveva formulato parere negativo sulla proposta di attribuire comunque il valore minimo dell’indennità spettante, auspicando “una maggiore partecipazione della componente dirigenziale nella fase della definizione degli obiettivi al fine di attenuare le dinamiche top-down e strutturare gli obiettivi, gli indicatori, i target ai fini di un progressivo e costante miglioramento della gestione”; e aveva segnalato che per il 2014 non erano state trasmesse le relazioni dei capi settore, per il 2015 non tutti i capi settore hanno avuto un approccio positivo con il nuovo sistema di valutazione né hanno assegnato gli obiettivi ai dipendenti, e solo alcuni hanno trasmesso una relazione in linea con le attese, mentre per il 2016 non sono stati assegnati obiettivi performanti validi ai fini della valutazione.

[10] Tribunale di Trapani, sez. lavoro, 8 settembre 2020, n.354, inedita.

[11] Sul punto, mentre la dottrina esclude il nesso di causalità nelle ipotesi in cui la probabilità non raggiunga una soglia del 30-40%, la giurisprudenza di merito esclude l’an del danno laddove le chances compromesse dal danneggiante siano inferiori al 10%, così aprendo le porte ad un risarcimento quasi automatico.

[12] Tribunale di Trapani, giudice del lavoro, 17.11.2020, n. 473.

[13] La disposizione che appare fuori dal perimetro di competenze attribuito dalla legge al contratto collettivo nazionale di lavoro (art. 40, comma 1 del d.lgs. 165/2001) e, quindi, nulla ai sensi dell’art. 2, comma 3-bis del d. lgs. 165/2001.

[14] Cfr. deliberazioni n. 23/2013 e 18/2014

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