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Un concorrente a una selezione, nell’ambito di un Dipartimento universitario, ricorre al TAR Lazio (3379/2021) rilevando che un altro concorrente risultava avere collaborato con un componente della commissione nella predisposizione delle pubblicazioni che sono state valutate e il cui punteggio risulta particolarmente prevalente ai fini della definizione della graduatoria.

L’Università si oppone al ricorso contestando “la tardività del ricorso atteso che, ai sensi dell’art. 4 del Decreto Rettorale, i candidati avrebbero potuto e dovuto presentare le eventuali istanze di ricusazione dei commissari nel termine di trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto rettorale di nomina della commissione sul sito web dell’università, ritenendo preclusa la  possibilità di contestare la circostanza in sede giudiziale ove non abbia presentato istanza di ricusazione nel rispetto del termine previsto.

Insiste, inoltre, nella difesa l’Università, ritenendo inammissibile il ricorso per la mancanza di interesse all’impugnazione da parte del ricorrente che non avrebbe, “chances” di vittoria concorsuale stante il suo “curriculum” solo parzialmente pertinente rispetto all’oggetto del bando e che, in ogni caso, non avrebbe fornito la “prova di resistenza”.

Il Tar, invece, accoglie il ricorso, affermando che i rapporti personali scaturiti dalla cura di pubblicazioni scientifiche in comune fra i membri della commissione d’esame e i candidati, non costituiscono, di per sé, vizi della procedura concorsuale né alterano la par condicio tra i candidati, tuttavia, tale regola trova un deciso temperamento in ragione della quantità e della qualità della collaborazione accademica e di ricerca tra commissario e candidato, in quanto essa rappresenta un unicum, costituendo eccezione alla generale regola dell’astensione in caso di conflitto di interessi. Ed infatti costante giurisprudenza afferma, condivisibilmente, che in un concorso pubblico universitario basato sulla valutazione comparativa dei titoli scientifici, la circostanza per cui uno dei commissari sia coautore della quasi totalità delle pubblicazioni di uno dei candidati rappresenta ex se un indice difficilmente superabile della concreta compromissione dell’imparzialità della procedura, con conseguente efficacia viziante sull’intera sequenza degli atti posti in essere dalla Commissione, sino alla finale individuazione del candidato vincitore, venendo in rilievo un collegio perfetto per il quale non può farsi ricorso al principio della c.d. prova di resistenza

Pertanto, si ha conflitto di interessi quando la collaborazione professionale comporta comunanza di interessi tale da ingenerare il sospetto che il candidato venga giudicato, non in base ad un’oggettiva valutazione, ma attraverso la lente del rapporto personale con il commissario; il che si verifica ove la collaborazione assuma caratteri di sistematicità, stabilità, continuatività e intensità, tali da dar luogo ad un vero e proprio sodalizio professionale, come ad esempio nel caso in cui uno dei commissari sia coautore, insieme ad uno dei candidati, di numerosissimi lavori scientifici proposti per la valutazione.

E i giudici afferma, soprattutto, che la decadenza dal diritto di azione, non può dedursi, in via interpretativa, da una disposizione della “lex specialis” che si limita a prevedere, con finalità ordinatorie, un termine entro il quale i candidati interessati hanno la facoltà di segnalare alla Commissione eventuali cause di incompatibilità e/o conflitto di interessi rispetto a singoli commissari, la cui rilevanza, peraltro, non è automatica ma rimessa alla valutazione dell’Amministrazione. In effetti non sembra che, in assenza di una disposizione di legge che lo preveda, una conseguenza così grave come la decadenza dall’azione giurisdizionale possa derivare da una clausola del bando nella quale, peraltro, siffatta conseguenza non è espressamente contemplata (né potrebbe esserlo).

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