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Edilizia – Abusi – Accertamento di conformità – Ingiunzione a demolire – Condono – Procedimento sanzionatorio. 

Edilizia – Sanatoria – Silenzio rifiuto – Successivo provvedimento – Possibilità. 

          L’avvenuta presentazione di un’istanza di accertamento di conformità, quando sia già stato instaurato un procedimento sanzionatorio, concretizzatosi nell’adozione di un’ingiunzione a demolire, fa sì che questa perda efficacia solo temporaneamente, ossia per il tempo strettamente necessario alla definizione, anche solo tacita, del procedimento di sanatoria ordinaria, con la conseguenza che, ove questa non venga accolta, il procedimento sanzionatorio riacquista efficacia senza la necessità, per l’amministrazione, di riadottare il provvedimento; tale mancato accoglimento non impone, peraltro, la successiva riadozione dell’atto demolitorio, con ciò attribuendo al privato, destinatario dello stesso, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, intrinseco nella mera presentazione di una domanda, finanche pretestuosa, quel medesimo provvedimento (1) 

          Il regime di silenzio rifiuto previsto in materia di sanatoria ordinaria di abusi edilizi non preclude un provvedimento tardivo di diniego espresso, che può essere impugnato anche con atto di motivi aggiunti (2). 

(1) La Sezione ha affrontato il problema degli effetti dell’avvenuta presentazione di una domanda di sanatoria sul procedimento sanzionatorio; sul punto rileva l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in punto di diritto, seppure con differenti sfumature argomentative: a fronte di un indirizzo per cui la presentazione della domanda implica ex se l’inefficacia tout court dell’ordine di demolizione (e degli atti che ne conseguono), con obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi nuovamente sull’illecito edilizio sottostante (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1540; id. sez. II, 10 agosto 2020, n. 4982; id. 20 dicembre 2019, n. 8637; C.g.a. 15 maggio 2018, n. 271), vi è infatti un’altra corrente giurisprudenziale favorevole al riconoscimento della inefficacia solo temporanea dell’atto, con sua conseguente “riespansione” all’esito della definizione del procedimento di sanatoria, ovvero di maturazione del termine legalmente stabilito per la sua definizione (in tal senso, fra le molte, Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2020, n. 1260; id. 13 giugno 2019, n. 3954; id., sez. VI, 1 marzo 2019, n. 1435; id. 11 ottobre 2018, n. 1171). Sul piano processuale, la prima opzione si risolve nella necessaria declaratoria di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnativa dell’ordinanza a demolire, a seconda che la richiesta di sanatoria sia intervenuta prima o dopo la proposizione della stessa, laddove la seconda implica la possibilità di scrutinare l’atto nel merito.  

La Sezione pone a base della propria soluzione conciliativa la ricostruzione delle differenze, di regime giuridico e sostanziali, tra tipi di sanatoria. L’accertamento di conformità “determina soltanto un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, che opera in termini di mera sospensione dello stesso. In caso di rigetto dell’istanza, che peraltro sopravviene in caso di inerzia del Comune dopo soli 60 giorni, l’ordine di demolizione riacquista la sua piena efficacia” (Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669). La soluzione opposta opera invece in caso di condono, sia perché le leggi di riferimento sono chiare in tal senso, sia perché all’Amministrazione è richiesto un controllo più penetrante attinente, appunto, la “condonabilità” di un abuso “sostanziale”, ovvero contrastante con la disciplina urbanistica. 

(2) L’art. 36, comma 3, del T.U.E. fissa in 60 giorni il termine entro il quale il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi con adeguata motivazione su un’istanza di accertamento di conformità, decorsi il quale la richiesta si intende rifiutata. Secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire, tale silenzio ha un valore legale tipico di rigetto e cioè costituisce una ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego (Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 410; id. 6 giugno 2008, n. 2691). La norma, al pari della sua omologa del 1985, non prevede il rilascio del permesso di costruire in sanatoria oltre tale termine di 60 giorni, “ma non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere” (Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4574). In mancanza, tuttavia, di un’esplicita prescrizione di decadenza, la decorrenza del termine di sessanta giorni non consuma il potere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza. In subiecta materia l’ipotesi di silenzio significativo è stata dettata infatti nell’interesse precipuo del privato, cui è stata in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale. Il successivo, eventuale atto espresso di diniego, impugnabile con motivi aggiunti, non è inutiliter datum, posto che il relativo (e doveroso) corredo motivazionale individua le ragioni della decisione amministrativa e consente di meglio calibrare le difese dell’istante che ritenga frustrato il proprio interesse alla regolarizzazione ex post di quanto ex ante realizzato sì sine titulo, ma comunque, come più volte ricordato, nel rispetto della disciplina urbanistica. Di converso, il terzo (a qualunque titolo) controinteressato non è leso dal fatto che, dopo un iniziale contegno inerte, l’Amministrazione in seguito provveda all’accoglimento dell’istanza con atto espresso: a prescindere dal fatto che, maturato il silenzio-rigetto, il terzo che ne abbia interesse può compulsare il Comune affinché adotti i conseguenti provvedimenti sanzionatori, contro l’eventuale accoglimento espresso sopravvenuto il terzo può insorgere in via giustiziale o giurisdizionale e lamentare non un inesistente vizio di tardività, ma eventuali illegittimità sostanziali ostative al positivo riscontro dell’istanza, il cui accoglimento, in presenza dei presupposti di legge, ha natura vincolata. 

Cons. St., sez. II, 6 maggio 2021, n.3545 – Pres. Cirillo, Est. Manzione

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