21/07/2021 – Nel ricorso straordinario al Capo dello Stato la mancata trasmissione delle controdeduzioni dell’amministrazione non costituisce errore di fatto revocatorio. Pronuncia del Consiglio di Stato.

Nel ricorso straordinario la mancata trasmissione delle controdeduzioni dell’amministrazione o, più in generale, della relazione ministeriale alla parte ricorrente non può essere ricondotta all’errore di fatto revocatorio.

 

Ha ricordato il parere che attesa la peculiarità del ricorso straordinario – il mancato invio della documentazione allegata alla relazione non può integrare errore di fatto revocatorio.

Giova precisare che, per l’opinione prevalente, il ricorso straordinario continua ad avere una connotazione sui generis. In primo luogo, occorre ricordare che per l’art. 49, comma 1, r.d. n. 444 del 1942 “gli affari sui quali è chiesto parere non possono essere discussi con l’intervento degli interessati o dei loro rappresentanti o consulenti”. Il parere, dunque, è espresso in una seduta non pubblica e non è ammessa la discussione orale, né occorre dare avviso alle parti della data della seduta e dei nomi dei componenti dell’adunanza.

In secondo luogo, lo stesso Consiglio di Stato, nel riconoscimento della ‘giurisdizionalizzazione’ del rimedio de quo, afferma la non totale equiparabilità ai rimedi giurisdizionali, evidenziando “la specificità (e la sommarietà) della procedura originata dal ricorso straordinario, a confronto con quella disciplinata dal codice del processo amministrativo secondo i canoni più rigorosi del giusto processo” ed affermando che “il procedimento di giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario conduce a qualificare il rimedio come tendenzialmente giurisdizionale nella sostanza, ma formalmente amministrativo” e dunque “l’equiparazione alla giurisdizione” non “può dirsi piena”. In particolare poi, “il modello di istruttoria previsto dal d.P.R. 1199/1971, basato sull’affidamento dell’indagine e dell’acquisizione degli atti rilevanti alle strutture ministeriali, senza contraddittorio orale con le parti, e con esclusione di strumenti come la consulenza tecnica d’ufficio che invece sono entrati nel processo amministrativo, risulta lontano dal modulo processuale. Il contraddittorio previsto dall’attuale disciplina è di tipo scritto, difettando una disciplina di pubblicità del dibattimento”.

Analogamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “la raggiunta natura di decisione di giustizia non significa anche che ogni aspetto della procedura (in particolare, l’istruttoria) sia pienamente compatibile con il canone costituzionale dell’art. 24 Cost., e con la garanzia del pieno contraddittorio, del diritto alla prova e all’accesso agli atti del procedimento; nonché – dopo il noto nuovo corso della giurisprudenza costituzionale (Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007) – con il parametro interposto del diritto ad un processo equo ex art. 6 CEDU”.

 

Sulla base di quanto sin qui detto, dunque, non vi è coincidenza tout court con gli altri rimedi giurisdizionali sul piano dei principi applicabili; conseguentemente deve pervenirsi alla conclusione che la non perfetta operatività delle garanzie della pubblicità e della oralità non va a collidere con le norme costituzionali e convenzionali in materia (art. 24 Cost e art. 6 CEDU).

Di recente, anche la Corte Costituzionale – che già si era espressa nel senso che “al fine della verifica del rispetto del principio di pubblicità, occorre guardare alla procedura giudiziaria nazionale nel suo complesso: sicché, a condizione che una pubblica udienza sia stata tenuta in prima istanza, l’assenza di analoga udienza in secondo o in terzo grado può bene trovare giustificazione nelle particolari caratteristiche del giudizio di cui si tratta” (Corte cost. 11 marzo 2011 n. 80) – con la sentenza 9 febbraio 2018, n. 24 ha affrontato nuovamente e trasversalmente la questione dell’applicabilità delle regole convenzionali in tema di equo processo. Per la Corte “il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è, come noto, rimedio alternativo al ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo, spettando al ricorrente di scegliere liberamente fra l’una e l’altra via, con l’unica conseguenza che una volta scelta una non è più possibile intraprendere l’altra, e salva restando naturalmente la facoltà dei controinteressati di chiedere la trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario eventualmente prescelto dal ricorrente”. E “del resto, che dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo si traggano conclusioni negative sulla riferibilità alla decisione del ricorso straordinario delle garanzie convenzionali in tema di equo processo è confermato dalle pronunce nelle quali la stessa Corte si è direttamente occupata di questo particolare rimedio. Ciò è avvenuto in tre occasioni, e in due delle quali proprio con specifico riferimento alla previsione dell’art. 6 della CEDU” (Corte cost. 9 febbraio 2018, n. 24).

Va, infatti, ricordato che nella decisione 28 settembre 1999, Nardella contro Italia, la Corte EDU ricostruisce la disciplina dell’istituto del ricorso straordinario come rimedio speciale ed esclude che esso – del ritardo nella cui decisione il ricorrente si doleva nel caso di specie – ricada nell’ambito di applicazione della Convenzione. Per la stessa ragione osserva che il ricorso al Presidente della Repubblica non rientra fra quelli che devono essere esperiti previamente al ricorso ex art. 35 della Convenzione stessa. Ciò premesso, nella pronuncia è sottolineato come, optando per il gravame speciale del ricorso straordinario, il ricorrente (che pure è stato informato della possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale) sceglie esso stesso di esperire un rimedio che si pone fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 6 della Convenzione.

 

Sulla base dei medesimi argomenti e richiamando il caso Nardella, nella decisione 31 marzo 2005, Nasalli Rocca contro Italia, la Corte EDU ha dichiarato irricevibile un ricorso proposto a essa dal ricorrente che aveva preventivamente esposto le sue ragioni in alcune lettere al Presidente della Repubblica. La Corte osserva che tali lettere, anche a volerle considerare equivalenti a un rimedio straordinario, non ricadono comunque nella sfera di applicazione dell’art. 35 della Convenzione.

Particolarmente significativo è che alle stesse conclusioni la Corte di Strasburgo pervenga nella sentenza 2 aprile 2013, Tarantino e altri contro Italia, successiva quindi alla riforma del 2009, dove ribadisce che la parte ricorrente, «presentando un appello speciale al Presidente della Repubblica nel 2007, non ha avviato un procedimento contenzioso del tipo descritto all’articolo 6 della Convenzione (si veda Nardella c. Italia (dec.), n. 45814/99, CEDU 1999-VII, e Nasalli Rocca (dec.), sopra citata), e che, pertanto, la disposizione non è applicabile» (paragrafo 62).

 

In definitiva, il ricorso straordinario non è totalmente equiparabile ai rimedi giurisdizionali e, sulla base della giurisprudenza richiamata, non vi è contrasto né con la Costituzione né con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Consiglio di Stato, Sez. I, sent. del 9 luglio 2021, n. 1213

 

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