17/06/2021 – Ancora sulla mobilità senza nulla osta

In tanti anni su questo mio blog ci sono stati due argomenti che hanno attirato l’attenzione più di tutti: la permanenza dei cinque anni nell’amministrazione di prima assunzione e la recente abolizione del nulla osta in caso di mobilità. Evidentemente, le due questioni sono molto sentite.

In questa settimana, sulla revisione dell’art. 30 del d.lgs. 165/2001 che permetterà più facilmente gli spostamenti tra i vari enti, ho avuto diversi confronti e anche da quanto avete scritto in risposta al mio post, si capisce che c’è grande fervore.

La mia impressione è che “il mondo” si sia diviso in due parti: i dipendenti, che benedicono la novità; e i responsabili/datori di lavoro che vedono un rischio alla programmazione e organizzazione delle attività. Credo che entrambi i punti di vista meritino la giusta attenzione.

Vorrei provare a non schierarmi (proprio perché le ragioni sono da una parte e dall’altra) e a dire comunque qualcosa in più.

Uno dei motivi per cui si ringrazia la novità è il fatto che finalmente può essere premiato il merito di un dipendente, il quale, se non si vede riconosciuto nella propria amministrazione, può andarsene in un’altra. Bene. Quello che manca, da questo punto di vista, è però il fatto che tutto “gira” se funziona la valutazione, appunto, del merito. Cioè, non si può fare una riforma a metà. Il risultato finale è la mobilità senza il nulla osta, ma forse sarebbe stato meglio partire da altro: competenze, possibilità di valutare seriamente il merito (e sappiamo quanto invece le “pagelle” sono vincolate a far “passare questo o quello”), avere a disposizione strumenti per premiare e non blocchi di trattamento accessorio. Si fa presto a dire: nel privato è diverso e anche la p.a. deve diventare così, ma se prima non si costruisce una visione coordinata tra strumenti e risultati, a mio parere si fanno riforme monche che creano più problemi che vantaggi.

Altri commenti hanno sottolineato che l’eliminazione del nulla osta permette, finalmente, a chi lavora lontano da casa di avvicinarsi alla propria famiglia. Ci sta. Evidenziando, quindi, che non si tratta solo di merito (come alcuni cercano di farmi capire), ma anche di esigenze personali. E ripeto: giusto. D’altra parte, però, la scelta di questa o quella sede per sostenere un concorso è del candidato, ed è possibile che accada, poi, di essere assunti a tanti chilometri dalla propria abitazione. Una scelta che ora può portare ad automatismi (quanto meno dopo tre anni) di ridistribuzione delle risorse umane forse non basati su aspetti organizzativi ma sulla propensione di un cittadino di lavorare o meno nella pubblica amministrazione.

Da ultimo: mi si è detto che non conosco la realtà dei piccoli comuni e non capisco che questa è una ventata di ossigeno per tutti. Nei piccoli comuni, invece, ci ho lavorato; e posso, pertanto, serenamente ritenere che la possibilità di mobilità senza nulla osta possa creare non pochi problemi proprio alle amministrazioni di minore dimensione. Da una parte viene chiesto di programmare, dall’altro di saper gestire fuoriuscite improvvise. Certo ci sono due strade: rimandare la mobilità di 60 giorni e nel frattempo trovare alternative (fidatevi: il potere “contrattuale” dei piccoli comuni di essere appetibili a nuovi ingressi non è forte per nulla), oppure dichiarare che quel dipendente occupa posizioni infungibili (già immagino un aumento dei contenziosi, peraltro non facilmente gestibili proprio dai piccoli comuni).

Bene. Questo è quanto mi sento di dire. C’è una scelta del legislatore che di per sé e in sé può essere anche interessante e dall’altra parte ci sono, a mio parere, parecchie cose da sistemare perché davvero abbia senso. Avrei fatto il contrario: avrei abolito il nulla osta sulla mobilità solo dopo aver ragionato su un contesto complessivo di riforma di altri aspetti. Ma è andata così. Il tempo farà il suo corso

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