14/06/2021 – L’attuazione del PNRR e il futuro dell’anticorruzione in Italia. Quale semplificazione?

Il decreto-legge n. 80 del 9 giugno 2021, con il quale il Governo ha introdotto ulteriori misure per garantire il rafforzamento della capacità funzionale della pubblica amministrazione e assicurare il necessario supporto alle amministrazioni titolari di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, introduce un nuovo strumento di pianificazione finalizzato ad assicurare la qualità e la trasparenza dell’attività amministrativa e a migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese nonché per procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi, anche in materia di diritto d’accesso.

L’art. 6 del decreto legge dispone, infatti, che le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001 con più di 50 dipendenti, con esclusione delle istituzioni scolastiche, “entro il 31 dicembre, adottano il Piano integrato di attività e organizzazione” che ha durata triennale con aggiornamento annuale (comma 2), sulla base di un Piano tipo che dovrà essere approvato dal Dipartimento della Funzione pubblica, previa intesa in Conferenza unificata, con valore di strumento di supporto alle amministrazioni. La lettura del comma 6, nella parte in cui prevede che nel Piano tipo sono definite modalità semplificate per l’adozione del Piano da parte delle amministrazioni con meno di 50 dipendenti, non scioglie il dubbio sulla facoltatività dell’adempimento per le amministrazioni con meno di 50 dipendenti le quali sembrerebbero escluse dall’obbligo stando alla lettura del comma 1 della norma (che si riferisce espressamente alle amministrazioni con più di 50 dipendenti), mentre il richiamato comma 6 introduce modalità semplificate per la sua redazione senza chiarire, però, se l’adozione del Piano semplificato è facoltativa o obbligatoria per gli enti con meno di 50 dipendenti.

Il comma 2 detta il contenuto di tale nuovo strumento, il quale definisce:

  1. gli obiettivi programmatici e strategici della performance;
  2. la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile, e gli obiettivi formativi annuali e pluriennali;
  3. gli strumenti e gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione delle risorse interne, compatibilmente con le risorse finanziarie riconducibili al Piano triennale dei fabbisogni di personale;
  4. gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza dell’attività e dell’organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione;
  5. l’elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare ogni anno, nonché la pianificazione delle attività inclusa la graduale misurazione attraverso strumenti automatizzati dei tempi effettivi di completamento delle procedure;
  6. le modalità e le azioni finalizzate a realizzare la piena accessibilità, sia fisica che digitale, alle amministrazioni da parte dei cittadini ultrasessantacinquenni e di quelli con disabilità;
  7. le modalità e le azioni finalizzate al pieno rispetto della parità di genere.

Si tratta di un Piano assai complesso e articolato che, in base al comma 3, deve definire anche le modalità del monitoraggio dei suoi esiti, con cadenza periodica, inclusi anche gli impatti sugli utenti, da effettuare avvalendosi di strumenti di customer satisfaction  nonché del monitoraggio sui procedimenti attivato ai fini di prevenire la class action. Dispone, tuttavia, il comma 5 che con Dpr da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, “sono individuati e abrogati gli adempimenti relativi ai piano assorbiti da quello” in esame. Dalla norma traspare un chiaro intento semplificatorio quantomeno nell’ottica di unificare in un unico Piano una serie di strumenti di programmazione settoriale, con agevolazione in capo al cittadino nella fase di accesso alle informazioni sull’organizzazione e l’attività delle amministrazioni pubbliche, ma con dubbia efficacia sul piano dello snellimento procedurale e degli adempimenti a carico delle amministrazioni,  le quali dovranno gestire uno strumento assai complesso, la cui redazione e attuazione chiama in causa molteplici e diverse professionalità e, chiaramente, negli enti locali,  mette al centro del processo istruttorio del Piano il segretario comunale, alla luce dell’interpretazione che Aran ha fornito dell’art. 101 del CCNL 17 dicembre 2020 sulle funzioni di sovrintendenza, coordinamento e potere di iniziativa. Se appare facile pronosticare che in tale Piano saranno assorbiti il Piano della performance (lett. a), il Pola (lett. b), il piano della formazione (lett. b) il Piano delle azioni positive (lett. g), qualche dubbio si pone per altri strumenti, come il Piano triennale del fabbisogno di personale (lett. c) e, soprattutto, il Piano triennale di prevenzione della corruzione (lett. d).

Con particolare riguardo a quest’ultimo, va evidenziato che nel definire il contenuto del Piano, la norma fa riferimento agli “strumenti e le fasi…per giungere alla piena trasparenza dell’attività e dell’organizzazione nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione”. Tali strumenti attualmente sono concentrati nel Piano triennale di prevenzione della corruzione il quale, alla luce dell’approccio decentrato nella lotta alla corruzione amministrativa deciso dal nostro Paese, contiene sia le misure organizzative e l’individuazione delle responsabilità e dei flussi informatici per adempiere agli obblighi di trasparenza proattiva presidiati dall’accesso civico semplice sia le misure di trattamento dei rischi corruttivi, stabilite in coerenza con l’analisi del rischio che ciascuna pubblica amministrazione è chiamata  ad effettuare dando corpo alla metodologia di gestione del rischio proposta dal PNA 2019 in coerenza con gli standards internazionali. L’Anac assolve funzioni di regolazione, di vigilanza, di ordine e sanzionatorie. Adesso gli strumenti e le fasi per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione dovranno essere declinati all’interno del nuovo Piano, il quale deve prevedere anche le modalità e i tempi per il monitoraggio delle varie azioni. E’, dunque, lecito attendersi che il Piano di prevenzione della corruzione possa essere ricompreso tra quelli che saranno abrogati ed assorbiti nel nuovo Piano, consistendo il suo contenuto proprio nell’individuazione di misure (strumenti) per il trattamento del rischio residuo di corruzione e nella loro programmazione (fasi) anche in termini di tempi di attuazione e di relative responsabilità. Del resto, il comma 1 dell’art. 6 nell’introdurre nell’ordinamento questo nuovo strumento, precisa che la sua adozione da parte delle pubbliche amministrazioni avviene “nel rispetto delle vigenti discipline di settore e, in particolare, del decreto legislativo 27 ottobre 20009, n.150 e della legge 6 novembre 2012, n.190”: in buona sostanza il PIAO dovrà farsi carico anche degli strumenti di prevenzione della corruzione previsti dalla legge 190. Sotto tale profilo, va segnalato che il PNRR, in coerenza con il Dispositivo di ripresa e resilienza di cui al Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, prevede che le misure economiche siano accompagnate da interventi di riforma che, per ciascuna delle 16 componenti che danno sostanza alle 6 missioni, creino le condizioni affinchè le politiche di spesa possano essere attivate e realizzate con tempestività ed efficienza. Nell’ambito delle cd. riforme abilitanti previste dal PNRR, conseguenti alle raccomandazioni (CSR) della Commissione all’Italia del 2019 e 2020, è prevista l’abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione; all’interno di tale più articolato obiettivo è previsto che:

  1. occorre semplificare le norme della legge n. 190/2012 sulla prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione e le disposizioni del decreto legislativo n. 39/2013, sull’inconferibilità e l’incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti privati in controllo pubblico;
  2. occorre evitare che alcune norme nate per contrastare la corruzione impongano alle amministrazioni pubbliche e a soggetti privati di rilevanza pubblica oneri e adempimenti troppo pesanti. È il caso delle disposizioni sulla trasparenza che prevedono – tra l’altro – obblighi di pubblicazione di numerosi atti, obblighi non sempre giustificati da effettive esigenze di conoscibilità dei cittadini e assai onerosi per gli uffici, soprattutto degli enti minori. È il caso, inoltre, delle norme che contemplano ben tre tipi di accesso ai documenti e alle informazioni amministrative. Un’unica piattaforma per la trasparenza amministrativa alleggerirà gli obblighi di pubblicazione delle varie amministrazioni su proprie piattaforme; un unico accesso alle informazioni pubbliche è idoneo ad avere evidenti effetti di semplificazione.

Il PNRR ha previsto per dare attuazione a tale percorso che “un disegno di legge delega sarà presentato in Parlamento entro giugno 2021, con un termine di nove mesi dall’approvazione per l’adozione dei decreti delegati”. In effetti, le direttici della riforma del sistema di prevenzione della corruzione, nella parte in cui si risolve in un appesantimento di oneri ed adempimenti, erano state già individuate da una Commissione ministeriale operante presso il Dipartimento della Funzione pubblica, presieduta dal prof. Mattarella.

Questo primo intervento normativo, attuato con lo strumento della decretazione d’urgenza, non pare, tuttavia, affrontare tutte le questioni di semplificazione oggetto dell’obiettivo del PNRR, risolvendosi esclusivamente (come pare ad una prima lettura) nel travaso del Piano anticorruzione nel nuovo Piano integrato di attività e organizzazione. La norma prevede che il nuovo Piano, una volta adottato, deve essere pubblicato sul sito istituzionale dell’amministrazione e deve essere trasmesso al Dipartimento della Funzione pubblica. Ciò implica la necessità di mettere a fuoco il ruolo di Anac in questa materia, anche alla luce della previsione del comma 7 che nel prevedere l’applicazione della sanzione di cui all’art. 10, comma 5, del d.lgs 150/2009 nel caso di mancata adozione del Piano, fa comunque salve le sanzioni di cui all’art. 19, comma 5, lett. b) del d.l. 90/2014 e smi, cioè la sanzione pecuniaria che Anac irroga nel caso di mancata adozione del piano triennale di prevenzione della corruzione. Ad una prima lettura, potrebbe ritenersi che nella materia della trasparenza ed anticorruzione il potere regolatorio sia stato trasferito al Dipartimento della funzione pubblica (competente ad adottare il Piano tipo e a vigilare sull’adozione del Piano da parte delle amministrazioni), mentre rimangono in capo ad Anac il potere di vigilanza e quello sanzionatorio; il potere d’ordine potrebbe intendersi ancora di competenza di Anac ove ricondotto al genus della vigilanza. D’altra parte, valorizzando il dato testuale del comma 1 che fa salvo “il rispetto della legge 190/2012”, potrebbe ritenersi che in materia di anticorruzione e trasparenza, nonostante il Piano anticorruzione sia destinato a confluire nel PIAO, siano rimasti invariati i poteri e il rulo di Anac, spettando alla Funzione pubblica solo il potere di sanzionare la mancata approvazione del Piano, e potendo invece Anac applicare le sanzioni di cui all’art. 19 del d.l. 90/2014 nelle altre ipotesi in cui il Ptpc pur formalmente adottato non si ritenga sostanzialmente coerente con le direttive dell’Autorità.

A prescindere dalla legittimità di un assetto normativo che, a legislazione vigente e prima di una riforma radicale della legge 190/2012, sembra sottrarre ad Anac il potere di regolazione in materia anticorruzione, non sfuggirà come il risultato complessivo è lontano dalla finalità di semplificazione che ci chiede la Commissione europea.

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