09/06/2021 – Pubblico impiego, la condanna penale può legittimare il licenziamento

Il giudicato penale non preclude una rinnovata valutazione in sede disciplinare dei fatti accertati dal giudice penale, data la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, appunto quella penale e quella disciplinare. Rimane però fermo il limite dell’accertamento dei fatti nella loro materialità, ovvero della ricostruzione dell’episodio posto a fondamento dell’imputazione. A sottolinearlo è la Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 15464, depositata ieri.

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La decisione 

La massima sanzione disciplinare veniva così impugnata dinanzi ai giudici del lavoro che, a distanza di circa 10 anni dai fatti di reato, concludevano con la bontà del licenziamento irrogato. Alla stessa conclusione è pervenuta la Cassazione, che ha respinto i diversi motivi di ricorso dell’ormai ex dipendente pubblico. La Suprema corte ha sottolineato la correttezza della valutazione dei giudici di merito che hanno ritenuto i fatti oggetto del giudizio penale «di gravità e disvalore tali da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, poiché una condotta siffatta aveva senz’altro compromesso il rapporto fiduciario» tra datore di lavoro e dipendente, rapporto che deve essere improntato al rispetto della «lealtà e affidabilità reciproca». 

In sostanza, affermano i giudici di legittimità, l’amministrazione, in sede disciplinare, ha rispettato l’articolo 55-ter comma 4 – nella versione risultante dalla riforma Madia – in base al quale il giudicato penale fa stato in ordine ai fatti storici e alla commissione degli stessi da parte dell’imputato. Ciò posto, la stessa amministrazione ha apprezzato in termini di gravità e disvalore la condotta tenuta dal dipendente, ritenendo definitivamente pregiudicato il rapporto di fiducia che deve sussistere tra l’amministrazione pubblica e il lavoratore. Tanto basta per ritenere legittimo il licenziamento.

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