07/06/2021 – Meno regole e stipendi più alti nella Pa. Così si batte la corruzione

Un bel taglio alla macchina anti-corruzione, che genera costi maggiori rispetto ai benefici. E stipendi più alti ai dipendenti della Pubblica amministrazione, per rendere le “mazzette” meno appetibili. Facile a dirsi e un po’ meno a farsi, la ricetta che Oriana Bandiera, docente alla London School of Economics (dove è titolare della cattedra “Sir Anthony Atkinson”), presenterà oggi pomeriggio al Festival dell’Economia, la cui sedicesima edizione si apre stamane a Trento. Quanto mai d’attualità il tema su cui per quattro giorni si confronteranno i relatori, tra cui cinque premi Nobel e numerosi ministri del governo Draghi: “Il ritorno dello Stato”.

Professoressa Bandiera, esistono dati che indicano che il problema della corruzione è comune e generale oppure, al contrario, che in Italia la situazione è peggiore che altrove?

È difficile rispondere, perché dove la corruzione è davvero forte si nasconde meglio, quindi sembra debole. È come per la criminalità organizzata; dove è forte non la si vede. Misurare esattamente quanto la corruzione sia rilevante è complicato. I dati principali vengono tratti da surveys con uomini d’affari che cercano di aprire aziende in un Paese: viene chiesto loro quanto devono pagare in tangenti per aprire queste attività. Ma sono campioni non rappresentativi.

Quindi quando diciamo, o leggiamo, che l’Italia è il Paese più corrotto dell’Occidente, tale asserzione non è basata su dati empiricamente osservabili?

Non lo è. Assolutamente no.

Però quest’idea ha portato in Italia a una serie di normative anti-corruzione, a leggi sugli appalti particolarmente stringenti, all’istituzione di un’Autorità in materia. Tutto questo esiste in Gran Bretagna?

Sì, certamente. Ma non è questo il punto. Vede, due ricercatori hanno svolto anni fa un celebre studio sulle abitudini dei diplomatici presso l’Onu in riferimento alle multe stradali. Per tanti anni, per loro, esisteva l’immunità: parcheggiavano dove volevano, venivano multati ma potevano non pagare la sanzione. Ogni nuovo diplomatico che arrivava a New York si comportava dunque come al proprio Paese, quindi gli italiani peggio degli svedesi: in un contesto comune, insomma, i comportamenti erano in linea con quelli dei propri Paesi. Però il risultato più interessante dello studio era un altro. Dopo un mese o due, il diplomatico norvegese si comportava nello stesso modo del diplomatico nigeriano, cioè parcheggiava dove voleva, tanto non pagava la multa. Poi l’amministrazione comunale di New York decise di cambiare l’incentivo, iniziando a far pagare le multe anche ai diplomatici.

E a quel punto sono diventati tutti scandinavi.

Proprio così. Il che dimostra che la corruzione non è questione di nazionalità: con gli incentivi giusti tutti si comportano bene, il contrario invece se gli incentivi sono sbagliati. Dire che in Italia c’è “naturalmente” più corruzione è quindi fuorviante. E poi la corruzione è più una conseguenza che una causa del sottosviluppo. Una burocrazia che non funziona induce a comportamenti corrotti, ma la corruzione non è intrinseca alla cultura di un Paese o di una regione.

Se genetica e antropologia non spiegano la corruzione, rimane il problema dello Stato che non funziona e di come lo si cerca di aggirare con forme corruttive.

L’inefficienza della burocrazia e delle regole create per combattere la corruzione è un’idea relativamente nuova in economia: nella letteratura sulla Pubblica amministrazione vi sono ancora pochi studi. L’idea di fondo, comunque, è che le regole create per combattere la corruzione sono più costose della corruzione stessa. Montagne di scartoffie creano costi maggiori di quelli che si vorrebbero risparmiare.

Montagne di carta e tempo tolto al lavoro che servirebbe ad affrancare la Pubblica amministrazione dalla propria inefficienza.

Parlerò proprio di questo. In particolare di un esperimento che abbiamo svolto in uno dei pochi Paesi ritenuto più corrotto dell’Italia, il Pakistan, dove abbiamo alleggerito di molto le pratiche necessarie per gli approvvigionamenti statali. L’esperimento ha riguardato le persone incaricate di acquistare computer, carta e beni generici per uffici pubblici di una regione: su 600 persone, 150 sono state assegnate a questo esperimento, dove avevano molta meno burocrazia a cui sottostare, meno moduli da riempire. Allo stesso tempo questa situazione dava loro più opportunità di rubare, se volevano, poiché avevano meno supervisione, avendo eliminato tutti i moduli che dovevano mandare al supervisore in chiave anti-corruzione. Ebbene, i costi si sono comunque ridotti del 10%.

Quindi alla fine, in questo schema, il saldo sarebbe comunque positivo.

Esattamente. Perché anche le persone che si occupano di controllare i moduli sono persone corruttibili. Il fatto è che si vuole risolvere un problema mettendovi a capo qualcuno che ha esattamente gli stessi incentivi alla corruzione: per questo il sistema non funziona.

Allora un po’ di corruzione va sempre messa in conto, ma va limitata aprendo spazi all’efficienza?

Sì. Anche perché le persone che vengono attratte a lavorare per lo Stato sanno che la Pubblica amministrazione consiste in questi sistemi messi lì per combattere la corruzione. Un lavoro invece maggiormente autonomo, in cui l’iniziativa personale venisse premiata e non punita, attrarrebbe una tipologia diversa di lavoratori.

Questo sistema può essere portato anche in una Pubblica amministrazione di un Paese occidentale, più complessa e farraginosa? Sarebbe una rivoluzione.

Io penso proprio di sì. Abbiamo svolto uno studio anni fa proprio sull’Italia, pubblicato sull’American Economic Review, a proposito dell’introduzione della Consip, che snelliva di molto il processo di approvvigionamento: acquistando centralmente, non serviva più riempire parecchie carte. Cercammo di vedere quali istituzioni si rivolgevano alla Consip. Se i prezzi maggiorati erano sintomo di corruzione, avremmo dovuto notare che chi li utilizzava avrebbe dovuto restare il più lontano possibile dalla Consip, per non perdere le tangenti. Invece abbiamo osservato il contrario: le istituzioni che pagavano i prezzi più alti sono state le prime a correre dalla Consip.

A tutti i livelli? Dal Comune più piccolo alle grandi amministrazioni statali?

Sì. Fino fino al ministero della Difesa, il più inefficiente di tutti: se ad esempio pagava 5 euro per un bene, con l’agreeement Consip lo avrebbe pagato 50 centesimi. Infatti è passato subito alla Consip.

Ma se le si riduce questo spazio di manovra, la corruzione troverà presto altre strade. O no?

Dipende da qual è l’alternativa: se lavorare onestamente dà maggiore ricompensa rispetto all’essere corrotti, la gente preferirà lavorare onestamente.

La parola chiave è insomma “incentivi”. Cioè stipendi maggiori.

Esatto. Se pago poco impiegati e funzionari, creo di fatto l’incentivo a integrare il salario con la corruzione. Pagandoli di più genero meno domanda di corruzione, ma anche un lavoro più desiderabile, per cui la paura di perderlo rende l’essere corrotti una scelta più costosa e pericolosa.

Sembra tutto molto semplice. Ma lo Stato avrebbe le risorse per incentivare i propri dipendenti a non essere corrotti?

Sì, perché così facendo ne risparmierebbe. Il tempo dedicato a riempire scartoffie sarebbe invece usato per produrre e generare le risorse per pagare di più gli impiegati.

In Italia negli ultimi anni la parola “onestà” è stata il refrain di tante campagne elettorali. Forse però si è ottenuto il risultato opposto rispetto a quello desiderato.

Secondo me sì. La corruzione è una conseguenza del fallimento del sistema, non la sua causa. Dobbiamo capire da dove viene la corruzione e le alternative sono solo due: o le persone sono geneticamente portate alla corruzione, oppure è il sistema che le porta alla corruzione.

Quindi andrebbero educati anche gli elettori: spiegando cioè loro che al posto di norme e laccioli sarebbe utile dare più soldi a chi lavora nella Pubblica amministrazione. La risposta però potrebbe essere: ma come, già sono corrotti e ora volete addirittura pagarli di più?

È la sfida più difficile. Però noi accettiamo salari molto più alti nel settore privato. E non c’è motivo per il quale lo Stato non possa essere organizzato come un’azienda privata. È un’organizzazione come un’altra.

Ma secondo lei al governo la pensano così? Il ministro Brunetta, ad esempio, potrebbe applicare questi schemi?

Non saprei. Sa però qual è il problema vero? Che solo gli atti di corruzione fanno notizia: se qualcuno compra a 10 mila euro da un cugino un computer che ne vale mille, finisce subito sul giornale. Mentre il costo della burocrazia non fa notizia. I piccoli costi che si sommano, come quello dei moduli anti-corruzione che tutti gli impiegati devono riempire, alla fine creano un costo enorme, che sui giornali non finisce mai e a cui ormai siamo tutti assuefatti. Ed è un costo che pesa molto di più della corruzione.

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