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Nota a Consiglio di Stato  – sez.V , Sentenza 31 maggio 2021, n. 4182

Sulla domanda principale di esecuzione in forma specifica.

Sulla domanda subordinata di risarcimento del danno per equivalente.

Sulla condotta del soggetto danneggiato.

Abstract

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato è tornato nuovamente a pronunciarsi sulla tematica della tutela risarcitoria per equivalente nell’ipotesi in cui l’ottemperanza in forma specifica di una sentenza passata in giudicato non sia possibile; nel fare ciò il supremo consesso della giustizia amministrativa si è distaccato parzialmente dalla nota sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 12 maggio 2017 con cui, all’atto di comporre un contrasto giurisprudenziale in merito ai presupposti dell’azione di cui all’art. 112 comma 3 c.p.a., quest’ultima aveva affermato che tale norma doveva essere interpretata come una deroga alla disciplina della responsabilità civile, in forza della quale l’Amministrazione poteva essere chiamata a rispondere dell’inadempimento derivante dall’impossibilità di eseguire un giudicato a prescindere dall’imputabilità ad essa dell’inadempimento  stesso e senza possibilità alcuna di prova liberatoria.

Il Collegio, in particolare, pur partendo dalle premesse logiche poste dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria, riconnettendosi alla pregressa giurisprudenza del Consiglio di Stato chiarisce come, pur essendo pacifica la natura oggettiva della responsabilità prevista dall’art. 112 comma 3 c.p.a., essa debba necessariamente essere riconnessa ad una condotta antigiuridica che, contrariamente a quanto lasciato intendere nella sentenza n. 2 del 12 maggio 2017, non può consistere nella mera impossibilità di dare esecuzione in forma specifica ad una sentenza passata in giudicato.

In altri termini, affinché si possa configurare una responsabilità in capo all’Amministrazione, nel caso di specie stazione appaltante, è necessaria sia l’esistenza di un nesso causale tra la condotta dell’Amministrazione e l’impossibilità di dare esecuzione in forma specifica, sia soprattutto che tale impossibilità sia frutto di una condotta antigiuridica, da valutare in ossequio al principio “tempus regit actum”, ovverosia tenendo conto del contesto esistente al momento in cui la stessa è stata posta in essere.

 

Fatto

 

 

La sentenza in esame è stata adottata dal Consiglio di Stato in veste di giudice di ottemperanza e trae origine dall’indizione di una gara per la sottoscrizione di un accordo quadro avente ad oggetto l’affidamento del servizio di manutenzione di fabbricati e di conduzione e manutenzione degli impianti di riscaldamento e trasloelevatori.

La società Alfa veniva dichiarata aggiudicataria della commessa e la società Beta, non risultata vincitrice in ragione di un suo errore nella compilazione dell’offerta tecnica (nello specifico aveva indicato un Punteggio Sintetico Finale – PSF errato), impugnava l’aggiudicazione dinanzi al TAR Lazio, sostenendo che il rifiuto opposto dall’Amministrazione all’istanza di rettifica formulata prima dell’aggiudicazione doveva essere ritenuto illegittimo in quanto l’invocato soccorso istruttorio, contrariamente a quanto sostenuto dalla Stazione Appaltante, non avrebbe comportato una modifica dell’offerta tecnica.

In pendenza del giudizio, stante la mancata presentazione di una cauzione valida, l’Amministrazione disponeva la revoca dell’aggiudicazione in favore della società Alfa., e contestualmente aggiudicava il contratto di appalto alla seconda classificata, la Gamma, cui veniva esteso il contraddittorio

Con sentenza n. 6477 del 12 giugno 2018, il TAR Lazio accoglieva il ricorso dalla società Beta, sul presupposto che il rifiuto opposto dall’Amministrazione all’istanza di rettifica doveva essere ritenuto illegittimo giacché “Nel caso di specie è agevole osservare come l’irregolarità (o meglio l’errore) nella quale è incorsa [la società Beta] non rientra nel novero delle irregolarità insanabili, avendo la stessa dimostrato l’entità del PSF raggiunto sulla base dei dati predeterminati dalla stazione appaltante, per cui sarebbe stato possibile nel caso in esame tener conto della richiesta di rettifica inviata dalla ricorrente, consentendo nei predetti termini la legittima rettifica della offerta”.

A seguito del pronunciamento del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, l’Amministrazione provvedeva quindi a conformarsi alla sentenza, adottando i provvedimenti consequenziali e stipulando con la società Beta sia l’accordo quadro oggetto della commessa sia i successivi contratti attuativi.

Dopo la stipulazione dell’accordo, la società Gamma proponeva nell’ultimo giorno utile appello avverso la sentenza n. 6477/2018, presentando contestualmente istanza di sospensione dell’esecutività, che veniva accolta dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 6045 del 14 dicembre 2018.

In adempimento a tale ordinanza, la Stazione Appaltante bloccava immediatamente la stipula di ulteriori atti applicativi dall’accordo quadro, nonché l’esecuzione di quelli già stipulati, ad eccezione dei contratti già ultimati da chiudere solo formalmente e di alcuni contratti aventi ad oggetto lavori già avviati e non ulteriormente procrastinabili.

Successivamente, con sentenza n. 4198 del 20 giugno 2019 l’appello proposto dalla società Gamma veniva integralmente accolto, in quanto, come già correttamente osservato all’epoca dei fatti dall’Amministrazione, “l’assegnazione, mediante soccorso istruttorio di un diverso PSF, avrebbe comportato una modificazione dell’offerta che sarebbe stata altra rispetto a quella originariamente sottoposta alla stazione appaltante in contrasto con il principio di immodificabilità dell’offerta, a sua volta espressione della par condicio tra tutti i partecipanti alle procedura di gara (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea 10 maggio 2017, nella causa C-131/16)” e, per l’effetto veniva perciò disposta “la caducazione automatica ex art. 336, comma 2, Cod. proc. civ., di tutti gli atti (amministrativi e negoziali) che la stazione appaltante, soccombente in primo grado, ha adottato nel corso di durata del giudizio per dare attuazione alla sentenza impugnata; in particolare è caducato il provvedimento di riformulazione della graduatoria e l’aggiudicazione adottata a favore della società Beta. con ogni ulteriore conseguenza, ivi compreso il venir meno del contratto stipulato”.

A seguito della pubblicazione della sentenza la Stazione appaltante provvedeva a dare esecuzione alla stessa o, per meglio dire, al suo originale provvedimento di aggiudicazione di cui era stata definitivamente accertata la legittimità, comunicando alla società Gamma l’efficacia dell’aggiudicazione disposta in suo favore, salvo rettificare l’importo oggetto dell’affidamento, diminuito in considerazione dei lavori già svolti dalla società Beta in esecuzione della sentenza del 12 giugno 2018 n. 6477 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

La società Gamma decideva quindi di adire nuovamente il supremo consesso amministrativo in sede di ottemperanza per richiedere il ripristino dell’importo originale della commessa, mediante la proroga della durata dell’Accordo Quadro che, a suo dire, aveva ad oggetto prestazioni continuative; in via subordinata la società chiedeva invece che, qualora fosse stata acclarata l’oggettiva impossibilità di esecuzione in forma specifica, l’Amministrazione venisse condannata, ai sensi dell’art. 112 comma 3 c.p.a., al risarcimento del danno, consistente nel mancato utile.

 

Sulla domanda principale di esecuzione in forma specifica

 

La sentenza in commento in primo luogo analizza la domanda di ottemperanza in forma specifica formulata dalla ricorrente, rilevando che, contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima, “la gara e il conseguente accordo quadro non avevano ad oggetto la manutenzione continua di fabbricati e di annessi all’infrastruttura, bensì l’attività di manutenzione straordinaria e adeguamento ciclico degli stessi fabbricati e annessi, ovvero una serie di interventi ed attività che si rendono periodicamente necessari solo dopo un certo numero di anni di servizio”.

In altri termini, “il ripristino del valore originario dell’appalto non potrebbe affatto essere conseguito mediante la mera proroga della durata dell’accordo quadro, durante il quale mai potrà esservi la necessità di eseguire le lavorazioni già effettuate dall’altra impresa, ma potrebbe essere ottenuto solo con una vera e propria modifica dell’ oggetto del contratto come originariamente individuato dal bando di gara, e dunque della struttura e del contenuto della lex specialis della procedura, ovvero tramite l’aggiunta e l’inserimento nell’accordo quadro di interventi ulteriori rispetto a quelli oggetto della presente procedura e riferibili a beni e luoghi differenti, da sottrarre ad altre procedure di affidamento, ciò peraltro configurando un affidamento diretto al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 36 D.Lgs. 50/2016, contro i principi generali stabiliti dalla legge in materia di contratti pubblici”.

Correttamente perciò il Consiglio di Stato ha rilevato che la domanda principale di esecuzione in forma specifica non poteva trovare accoglimento, in quanto essa avrebbe comportato una vera e propria alterazione della struttura e del contenuto dell’originale bando di gara, mediante l’inserimento nell’accordo quadro di interventi ulteriori rispetto a quelli oggetto della procedura e riferibili a beni e luoghi differenti; interventi che avrebbero dovuto essere sottratti ad altre procedure di affidamento, incorrendo così in una palese violazione dei principi generali stabiliti dal D.Lgs. 50/2016 causata da quello che a tutti gli effetti sarebbe stato un vero e proprio affidamento diretto al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 36 D.Lgs. 50/2016.

Sulla domanda subordinata di risarcimento del danno per equivalente

Quanto alla domanda subordinata di risarcimento del danno per equivalente, il Consiglio di Stato premette innanzitutto che “È la stessa sentenza n. 2/2017 dell’Adunanza Plenaria, richiamata diffusamente dalla ricorrente, ad aver infatti chiarito che “elementi essenziali, significativamente necessari anche nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, sono il rapporto di causalità e l’antigiuridicità della condotta”, ma, distaccandosene ancorché implicitamente, chiarisce altresì che “tali elementi qui non ricorrono”.

Richiamata la vicenda di fatto sopra illustrata, infatti, il supremo consesso amministrativo osserva che la Stazione Appaltante “non ha violato nella specie alcuna norma di legge né ha posto in essere condotte antigiuridiche, ma si è conformata, ai sensi dell’art. 112 Cod. proc. amm, alla sentenza di primo grado immediatamente esecutiva che aveva ritenuto illegittimo il rifiuto di rettifica e la revisione del punteggio opposto [alla società Beta] e la conseguente aggiudicazione [alla società Gamma], con conseguente venir meno di ogni ipotesi di responsabilità”, e ciò anche perché “In seguito all’ordinanza cautelare n. 6045/2018 di questo Consiglio di Stato, [la Stazione Appaltante] ha immediatamente bloccato la sottoscrizione di nuovi contratti applicativi con [la società Beta] ed ha altresì sospeso immediatamente l’esecuzione di quelli in essere, per i quali ha solo consentito il completamento dei lavori già avviati che non potevano essere interrotti, o perché già sostanzialmente ultimati al momento della pubblicazione dell’ordinanza o per evitare rischi per l’incolumità pubblica e per il regolare funzionamento del servizio”.

L’operato complessivo dell’Amministrazione era stato quindi sempre del tutto conforme alla legge, né esso poteva essere giudicato illegittimo ex post, dato che “in base al principio del “tempus regit actum” lo scrutinio di legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere effettuato avuto riguardo alle circostanze di fatto e diritto presenti al momento della sua emanazione (Cons. Stato Sez. IV, 15-07- 2020, n. 4569; Cons. Stato Sez. II, 30-04-2020, n. 2781), sicché l’aggiudicazione [alla società Beta], assunta nella costanza della esecutività della sentenza di primo grado, non può essere considerata illegittima, e non può, quindi, essere ritenuto antigiuridico il comportamento della stazione appaltante la quale si è limitata ad adottare gli atti necessari “per dare attuazione alla sentenza impugnata”, provvisoriamente esecutiva per legge, ai sensi dell’art. 112 Cod. proc. amm.: insussistente l’antigiuridicità della condotta, va esclusa dunque qualsiasi responsabilità della Stazione appaltante, compresa quella oggettiva, non rivestendo il comportamento [dell’Amministrazione] e i provvedimenti da questa adottati alcun ruolo nelle conseguenze pregiudizievoli asseritamente subite dalla società ricorrente, neppure quale mera concausa del danno lamentato rilevante ai fini della ricostruzione del nesso causale”.

Orbene se, come esposto nella premessa, la sentenza almeno formalmente pare porsi in continuità con la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 12 maggio 2017, ad un esame più attento non sfugge come essa invero si distacchi parzialmente da quest’ultima, giungendo ad una soluzione diametralmente opposta a quella adottata dall’Adunanza Plenaria nel caso allora esaminato – del tutto sovrapponibile a quello oggetto della sentenza in commento – ove l’esistenza dell’antigiuridicità della condotta dell’Amministrazione era stata giustificata in considerazione del fatto che “La peculiarità della vicenda, legata e influenzata dall’andamento processuale della controversia che ne è insorta, non è idonea a far venir meno l’obbligazione ex lege scaturente dal fatto oggettivo dell’impossibilità di eseguire il giudicato proprio per la chiarita irrilevanza di una colpa e per la insussistenza di ogni ipotesi di scusabilità del comportamento dell’obbligato”.

Come osservato all’epoca da autorevole dottrina, la sentenza n. 2 del 12 maggio 2017 dell’Adunanza Plenaria – così come nella successiva sentenza Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 14/05/2020) 26-05-2020, n. 3342  che ad essa si è conformata – ancorché implicitamente aveva infatti collegato l’antigiuridicità della condotta della Stazione Appaltante alla mera impossibilità di dare esecuzione alla sentenza passata in giudicato, con ciò cadendo però in un’evidente contraddizione, poiché “se la legittimità dei provvedimenti amministrativi deve essere valutata con riferimento al momento in cui essi vengono posti in essere (questo è l’insegnamento indiscusso e condiviso dalla giurisprudenza), l’aggiudicazione alla prima classificata, assunta nella costanza della efficacia della sentenza di primo grado, non può essere considerata illegittima, e non può, quindi, essere considerato antigiuridico il comportamento dell’amministrazione” (F. G. Scoca – note alla sentenza n. 2/2017 del Consiglio di Stato – Corriere Giur., 2017, 10, 1252).

Un concetto, quest’ultimo, che proprio il Consiglio di Stato, ha ribadito a più riprese, in modo univoco, osservando che “In ossequio al principio del “tempus regit actum” lo scrutinio di legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere effettuato avuto riguardo alle circostanze di fatto e diritto presenti al momento della sua emanazione” (Cons. Stato Sez. IV, 15-07-2020, n. 4569, A.S. c. Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e altri), “con la conseguenza che non possono sorreggere l’invocato scrutinio quei mutamenti intervenuti successivamente alla piattaforma giuridica e fattuale su cui si fonda l’atto oggetto di impugnativa” (Cons. Stato Sez. II, 30-04-2020, n. 2781).

La sentenza in commento ha pertanto chiarito che, anche a fronte della natura oggettiva della responsabilità sancita dall’art. 112, comma 3, c.p.a., è comunque sempre necessario valutare l’antigiuridicità della condotta tenuta dall’Amministrazione, che deve essere categoricamente esclusa laddove l’aggiudicazione iniziale sia stata pienamente legittima e non vi siano stati atti successivi che, al momento della loro emanazione, si siano posti in contrasto con la normativa interna e sovrannazionale, a maggior ragione ove gli stessi siano stati adottati per conformarsi ad uno specifico obbligo di legge e siano quindi riconducibili al principio per cui “La condotta amministrativa di conformazione alla decisione giurisdizionale costituisce un tipico caso di adempimento di un dovere ai sensi dell’art. 51 c.p., norma applicabile analogicamente anche all’illecito civile, con conseguente venir meno di ogni ipotesi di responsabilità civile” (Cons. Stato Sez. V Sent., 17/03/2015, n. 1381).

Né siffatta conclusione si pone in contrasto con la normativa comunitaria, poiché, come osservato nella sentenza in commento, “In sostanza, la Direttiva 89/665/CEE prevede sì un diritto al risarcimento in favore dei soggetti che hanno subito un danno nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinate dalle direttive 71/305/CEE e 77/62/CEE, ma fa anche conseguire una siffatta responsabilità risarcitoria alle decisioni assunte dalle autorità aggiudicatrici in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici e delle norme nazionali che recepiscono tale diritto: e dette ipotesi sono certamente assenti nel caso di specie, ove non solo gli atti originari della Stazione appaltante erano esenti da vizi e da profili di illegittimità, ma anche i provvedimenti successivamente adottati dalla stessa sono stati posti in essere senza alcuna violazione della normativa sugli appalti pubblici ed anzi nel rispetto dell’obbligo di conformazione alla sentenza esecutiva previsto dall’art. 112, comma 1, Cod. proc. amm., a sua volta derivante dal principio contenuto nell’art. 2, comma 7, della citata Direttiva, secondo cui “Gli Stati membri fanno sì che le decisioni prese dagli organi responsabili delle procedure di ricorso possano essere attuate in maniera efficace”.

Sulla condotta del soggetto danneggiato

Ulteriore aspetto degno di approfondimento è poi quella legato all’analisi della condotta del soggetto danneggiato, giacché non solo il Consiglio di Stato è tornato nuovamente ad analizzare il contenuto dell’onere probatorio gravante su tale soggetto, ma, cosa particolarmente interessante, non ha mancato di chiarire come la spettanza del risarcimento sia comunque influenzata anche dalla condotta processuale tenuta dallo stesso nel giudizio principale.

Quanto al primo aspetto, nella sentenza viene evidenziato come sia onere del ricorrente fornire prova “di aver immobilizzato e destinato esclusivamente le proprie risorse in attesa dell’esito del ricorso giurisdizionale volto ad ottenere l’aggiudicazione della gara per cui è causa”, in quanto “Spetta, in ogni caso, all’impresa danneggiata offrire, senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova rigorosa dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.), e la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno” (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 maggio 2017, n. 2).

In relazione al secondo aspetto, invece, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il comportamento tenuto dalla società Gamma nel giudizio di merito dovesse essere comunque preso in considerazioni ai fini dell’art. 1227, comma 2, c.c., in quanto “è appena il caso di rilevare che la sentenza n. 6477/2018 di primo grado è stata pubblicata in data 12 giugno 2018, che [l’Amministrazione] ha provveduto a sottoscrivere con [la società Beta] l’accordo quadro relativo al lotto n. 1 solo in data 4 ottobre 2018 e che [la società Gamma] ha proposto il suo appello avverso la detta sentenza in data 12 ottobre 2018, ovvero nell’ultimo giorno utile ai sensi dell’art. 92 Cod. proc. amm.”.

Il soggetto che agisce in ottemperanza chiedendo il riconoscimento di risarcimento per equivalente in conseguenza dell’impossibilità di ottemperanza in forma specifica è dunque tenuto non a fornire prova puntuale del danno subito, ma anche a dimostrare la sua diligenza nel corso dell’intera vicenda, inclusa la parentesi processuale.

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