22/11/2018 – ARAN – Newsletter del 21/11/2018

ARAN – Newsletter del 21/11/2018

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Attività istituzionale dell’Agenzia

 

Orientamenti applicativi

Comparto Funzioni Locali

L’art.35, commi da 1 a 10, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018 ha introdotto la nuova tipologia di permessi orari retribuiti per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici. Poiché il contratto è entrato in vigore il 22.5.2018, è corretto ritenere che, per il 2018, le 18 ore annue di tale tipologia di permessi devono essere riproporzionate in modo da tenere conto della data di decorrenza degli effetti del nuovo CCNL? 

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Orientamenti applicativi

Comparto Funzioni Locali

In relazione alle previsioni dell’art.35, commi da 1 a 10, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, concernenti le 18 ore annuali di permesso per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, ai fini del computo del periodo di comporto, in caso di fruizione di un giorno di permesso, deve essere computato un giorno di comporto o il conteggio del comporto deve avvenire in base al numero effettivo di ore di lavoro che il dipendente avrebbe dovuto osservare nella giornata di assenza?

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Orientamenti applicativi

Comparto Funzioni Locali

Come deve essere computato il termine massimo di 7 giorni lavorativi dal decesso per la fruizione dei permessi per lutto?

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Orientamenti applicativi

Comparto Funzioni Locali

Come deve essere correttamente applicato l’art.67, comma 1, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, secondo il quale nell’unico importo consolidato delle risorse stabili ivi previsto, confluisce anche l’importo annuale delle risorse di cui all’art.32, comma 7, del CCNL del 22.1.2004 (pari allo 0, 20% del monte salari dell’anno 2001, esclusa la quota relativa alla dirigenza) nel caso in cui tali risorse non siano state utilizzate nel 2017 per il finanziamento delle posizioni organizzative di alta professionalità?

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Sezione Giuridica

 

Corte di Giustizia U.E.

Sentenza C-684/16 del 6/11/2018

Ferie – obbligo di informazione del datore di lavoro – mancato godimento – fine del rapporto di lavoro – richiesta indennità finanziaria

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

Con la presente sentenza (e con la successiva sentenza C-619/16 emanata nello stesso giorno sul medesimo argomento) la Corte di giustizia dichiara che il diritto dell’Unione osta a che un lavoratore perda automaticamente i giorni di ferie annuali retribuiti cui aveva diritto ai sensi del diritto dell’Unione nonché, il proprio diritto ad una indennità finanziaria per tali ferie non godute, per il solo fatto di non aver chiesto le ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. Infatti, tali diritti possono estinguersi solo se il lavoratore è stato effettivamente posto in grado, con una informazione adeguata da parte del datore di lavoro, di poter effettivamente usufruire delle ferie in tempo utile, circostanza che il datore deve provare. Il datore di lavoro ha quindi l’onere della prova riguardo al fatto di avere adeguatamente informato il lavoratore ma, a fronte di ciò, il lavoratore non ha il diritto di astenersi deliberatamente dall’usufruire delle proprie ferie annuali al fine di incrementare la propria retribuzione al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Pertanto, in tali casi, il diritto dell’Unione non osta alla perdita del diritto di usufruire delle ferie né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla perdita della indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite e non godute. Tali principi sono validi sia per il lavoro pubblico che per quello privato. 

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Corte Costituzionale

Sentenza n. 158 del 23/5/2018

Lavoro pubblico – norme a tutela e sostegno della maternità e paternità – illegittimità costituzionale dell’art. 24 comma 3 d.lgs. n. 151/2001

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24 comma 3 del D.lgs. n. 151/2001 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). Il problema riguarda la corresponsione dell’indennità giornaliera di maternità alle lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate», purché «tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni» (art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001). Il comma 3 del citato art. 24 elenca alcune situazioni che vengono escluse dal computo dei 60 giorni, ma tra queste non è previsto il congedo straordinario di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o ad un figlio, portatore di handicap grave (art. 42 comma 5 d.lgs. n. 151/2001). Dicono i giudici: “Nel negare l’indennità di maternità alla madre che, all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, benefici da più di sessanta giorni di un congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o al figlio in condizioni di grave disabilità, la disposizione censurata sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata protezione che l’art. 37, primo comma, Cost. accorda alla madre lavoratrice e al bambino. Quest’ultima previsione specifica e rafforza la tutela della maternità e dell’infanzia già sancita in termini generali dall’art. 31, secondo comma, Cost. L’esclusione del congedo straordinario si rivela irragionevole anche alla luce delle speciali previsioni dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, che non comprendono nel computo dei sessanta giorni tra l’inizio dell’assenza e l’inizio dell’astensione obbligatoria il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità». La deroga prevista per tali congedi si ispira a un’esigenza preminente di tutela, cosicché l’indennità di maternità è dovuta anche quando la discontinuità del rapporto di lavoro superi i sessanta giorni. Nelle due ipotesi di congedo straordinario per assistere il coniuge o un figlio in condizioni di grave disabilità emergono esigenze di tutela egualmente rilevanti.” Sulla base di tale sentenza l’INPS ha emanato, il 2 novembre, il messaggio n. 4074 avente ad oggetto: “Esclusione del periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5 D.lgs. n. 151/2001 – fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio con disabilità in situazione di gravità – dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, di cui all’art. 24 comma 2, del medesimo D. lgs n. 151/2001. Sentenza della Corte costituzionale n.158 del 23 maggio 2018”

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Corte Costituzionale

Sentenza n. 196 del 9/11/2018

Lavoro pubblico – regione Liguria – istituzione della vice-dirigenza – illegittimità costituzionale

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

Con la presente sentenza i giudici delle leggi dichiarano la illegittimità costituzionale dell’art. 10 L. regione Liguria n. 10/2008 e dell’art. 2 comma 2 – limitatamente alle parole: prioritariamente per il finanziamento della retribuzione di posizione e risultato della vice-dirigenza – e dei commi 3 e 4 L. regione Liguria n. 42/2008. La regione Liguria, con l’art. 10 della legge n. 10/2008 ha istituito la vice-dirigenza regionale, regolando così una materia che l’art. 117 comma 2 lett. l) della Costituzione riserva invece alla competenza esclusiva dello Stato; inoltre la Regione, con l’art. 2 L. n. 42/2008 ha disposto l’incremento del fondo per il trattamento accessorio del personale, e lo ha destinato al finanziamento della retribuzione di posizione e risultato della vice-dirigenza, in contrasto con quanto stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale di comparto, alla quale invece rinvia la legislazione statale. La Corte ricorda che secondo una costante giurisprudenza costituzionale: «a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici – tra i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sono ricompresi anche i dipendenti delle Regioni – compete unicamente al legislatore statale, rientrando nella materia “ordinamento civile” (ex multis, sentenze n. 72 del 2017; n. 257 del 2016; n. 180 del 2015; n. 269, n.211 e n. 17 del 2014)» (sentenza n. 175 del 2017). Essa, pertanto, «è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva» (sentenza n. 160 del 2017), cui la legge dello Stato rinvia.” In evidente contrasto con quanto sopra riportato la Regione ha invece istituito il ruolo della vice-dirigenza ed individuato le risorse necessarie per incrementare il fondo, in contrasto con quanto disposto dal legislatore statale, cui spetta la competenza esclusiva in tali materie. Proseguono i giudici: “Questa Corte, che si è pronunciata sulle richiamate disposizioni nella sentenza n. 214 del 2016, ha precisato che «secondo la norma di attuazione dettata dall’art. 10, comma 3, della legge n. 145 del 2002, la disciplina dell’istituzione dell’area della vice-dirigenza restava “affidata” alla contrattazione collettiva, da svolgersi sulla base di atti di indirizzo del Ministro per la funzione pubblica all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) anche per la parte relativa all’importo massimo delle risorse finanziarie da destinarvi». Considerato che il citato art. 17-bis non ha mai ricevuto applicazione e che non sono mai stati adottati né gli atti ministeriali di indirizzo, né i contratti collettivi nazionali di comparto, richiesti dal legislatore statale, deve concludersi che non è mai stata istituita l’area della vice-dirigenza e che, di conseguenza, le Regioni non avrebbero potuto istituirla. Appare, pertanto, evidente l’illegittimità dell’iniziativa del legislatore ligure che ha disposto una spesa priva di copertura normativa, e quindi lesiva dell’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto relativa a una voce, quella che concerne l’indennità dei vice-dirigenti regionali, connessa all’istituzione di un ruolo del personale regionale, avvenuta senza il necessario fondamento nella contrattazione collettiva e in violazione della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile». Non è superfluo ricordare che la contrattazione collettiva decentrata (cui può essere demandata la definizione del trattamento economico accessorio destinato all’attuazione delle progressioni economiche orizzontali e a sostenere le iniziative volte a migliorare la produttività, l’efficienza e l’efficacia dei servizi, ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, del CCNL 1998/2001) non può disciplinare materie che non siano a essa rimesse dalla contrattazione nazionale, nè può dettare discipline contrastanti con quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale. I due livelli della contrattazione sono, infatti, gerarchicamente ordinati, in specie nel settore del lavoro pubblico, poiché solo a seguito degli atti di indirizzo emanati dal Ministero e diretti all’ARAN per l’erogazione dei fondi, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, può aprirsi la sede decentrata e sotto-ordinata di contrattazione.”.

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Corte di Cassazione

Sezione Lavoro

Sentenza n. 25083 del 10/10/2018

Pubblico impiego – posizioni organizzative – individuazione degli aventi diritto – conferimento – revoca- discrezionalità dell’amministrazione

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

La Corte rigetta il ricorso di una dipendente del Consiglio regionale della Toscana che chiedeva le fosse attribuita una posizione organizzativa che l’Amministrazione aveva invece attribuito ad altri dipendenti. Nella sentenza la Corte chiarisce la natura delle posizioni organizzative ed i compiti delle P.A. per quanto riguarda la loro attribuzione: “Si tratta, in definitiva, di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione — nell’ambito della classificazione del personale di ciascun comparto — è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva. L’attività dell’Amministrazione — nell’applicazione della disposizione contrattuale — non costituisce esercizio di un potere di organizzazione ma adempimento di un obbligo di ricognizione e di individuazione degli aventi diritto che, trovando fondamento nella disciplina pattizia, non può che avere natura paritetica. Come si è recentemente affermato (Cass., n. 2141 del 2017, cfr. anche Cass., n. 18248 del 2011) ai fini del conferimento delle posizioni organizzative, la P.A. è tenuta al rispetto dei criteri di massima indicati dalle fonti contrattuali ed all’osservanza delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dell’art. 97 Cost., senza tuttavia che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, la quale resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, che non è comunque chiamato a svolgere una valutazione comparativa.”

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Corte di Cassazione

Sezione Lavoro

Sentenza n. 26016 del 17/10/2018

Pubblico impiego – docente di discipline giuridiche ed economiche – esercizio della professione di avvocato – autorizzazione da parte della amministrazione scolastica – valutazione dei casi di conflitto di interesse – indicazione delle attività che interferiscono con i compiti del docente – principio di diritto

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

Il MIUR ricorre contro la sentenza della Corte territoriale d’Appello che aveva accolto la domanda di una docente di discipline giuridiche ed economiche presso un istituto superiore di istruzione, di sentir dichiarare il suo pieno diritto ad esercitare la professione di avvocato, in forza della normativa speciale sulla scuola che ha lasciato inalterata la possibilità, per il docente di scuola superiore, di svolere la professione forense, senza altri limiti e condizioni se non quelli espressamente previsti dall’art. 508 comma 15 del d.lgs. n,297/1994 (c.d. Testo unico in materia di istruzione). La docente contestava il diritto della Amministrazione a negare l’autorizzazione al patrocinio nei giudizi in cui fosse parte l’amministrazione scolastica presso cui la docente insegnava. Accogliendo il ricorso del MIUR la Suprema Corte, dopo aver ricostruito il complesso quadro normativo riguardante la materia, detta il seguente principio di diritto: “Per effetto della disapplicazione del comma 58 bis dell’art. 1 del d.lgs. n. 662/1997 (introdotto dalla l. n. 140/1997) da parte dell’art. 1 comma 1 della legge n. 330/20013, all’amministrazione scolastica compete la valutazione in concreto della legittimità dell’assunzione del patrocinio legale, da parte dell’insegnate che ivi presti servizio, nonché l’individuazione delle attività che, in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali, non sono consentite ai dipendenti, con particolare riferimento all’assunzione di controversie di cui la stessa amministrazione scolastica è parte”.

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Consiglio di Stato

Sezione III sentenza n. 5538/2018

ASL – Avvocati – Legittima rilevazione automatica presenza

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

Il Collegio conferma la decisione del Tar e respinge l’appello, affermando la compatibilità del meccanismo di rilevazione automatica delle presenze dei dipendenti delle AA.SS.LL. campane, attuato mediante l’uso del cd. badge, con le caratteristiche di indipendenza ed autonomia professionali qualificanti la posizione dei Dirigenti-Avvocati dei medesimi Enti. Poi, con specifico riguardo alla posizione dei cd. avvocati pubblici, ovvero quelli che sono incardinati organizzativamente presso un determinato ente pubblico ed ai quali è affidato lo ”ius postulandi” nell’interesse dell’ente di appartenenza, i giudici osservano <>.

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Corte dei Conti

Sezione Regionale controllo Piemonte n. 114/2018

Enti Locali – Utilizzo graduatoria concorsuale altro Comune – Condizioni

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

I giudici contabili intervengono in ordine alla possibilità di utilizzare la graduatoria di concorso già in essere presso altro ente pubblico, affermando che è possibile attingere alle graduatorie concorsuali di altro comune, ma tale possibilità va mantenuta all’interno di un determinato perimetro. In primo luogo è necessario che il posto vacante sia preesistente l’indizione del concorso, “la ratio è agevolmente individuabile: evitare che vi possano essere assunzioni “nominative” creando posti ad hoc per soggetti già presenti in graduatoria.” In secondo luogo, l’articolo 3, comma 61, legge n. 350/2003 richiede il previo accordo delle Amministrazioni interessate tale accordo, secondo i giudici, per le medesime ragioni di trasparenza e correttezza sopra evidenziate, dovrebbe precedere l’indizione del concorso del diverso ente o l’approvazione della graduatoria (cfr. pareri del Ministero dell’Interno espressi con nota n. 15700 5A3 0014127 e con nota n. 15700 5A3 0004435), “tuttavia, tale rigida interpretazione non trova riscontro nel dato letterale della legge e, pertanto, non può che considerarsi quale scelta preferibile, orientata alla massima trasparenza, ma non imposta, che <>, in tal senso Corte Conti Umbria, deliberazione n. 124/2013.

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