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Prove preselettive nei pubblici concorsi

Concorso – Prove preselettive – Princìpi di imparzialità dell’azione amministrativa e anonimato dei concorrenti – Applicabilità.
     La circostanza che la preselezione non rientri tra le prove concorsuali stricto sensu intese – i cui esiti sono funzionali alla formazione della graduatoria definitiva – non implica quale diretta conseguenza la non estensibilità alla stessa dei princìpi di imparzialità dell’azione amministrativa e anonimato dei concorrenti (1).
(1) Ha chiarito il Tar che la somministrazione di quiz a risposta multipla è un tratto procedimentale della complessiva selezione pubblica, preordinata, in un’ottica di efficacia e celerità dell’agere amministrativo, alla riduzione del numero di concorrenti che dovranno cimentarsi nella successiva redazione degli elaborati.
La preselezione pertanto, al pari delle prove concorsuali intese in un’accezione stretta, costituisce diretta attuazione e puntuale espressione del canone di imparzialità di cui all’art. 97, comma 2, del principio di accesso al pubblico impiego mediante selezione pubblica, previsto dal comma 4 dell’art. 97 Cost., ed è altresì espressione dell’art. 51, comma 1, Cost. a mente del quale “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, nonché del principio di uguaglianza contenuto nell’art. 3 della Carta Fondamentale.
In coerenza con quanto appena evidenziato, lo stesso regolamento sui pubblici concorsi, approvato con d.P.R. n. 487 del 1994 – che al comma 2-bis dell’art. 7 regolamenta in modo puntuale la prova in questione- prevede all’art. 1, comma 2, che “il concorso pubblico deve svolgersi con modalità che ne garantiscano la imparzialità, l’economicità e la celerità di espletamento, ricorrendo, ove necessario, all’ausilio di sistemi automatizzati diretti anche a realizzare forme di preselezione ed a selezioni decentrate per circoscrizioni territoriali”, qualificando pertanto la preselezione con fase procedimentale, seppur eventuale, di una selezione pubblica.
Tanto chiarito, giova a tal punto rammentare che, secondo un fondamentale assunto ermeneutico espresso dal Consiglio di Stato, “l’imparzialità amministrativa è bensì vulnerata dalla potenzialità astratta della lesione della parità di trattamento e, quindi, dal solo sospetto di una disparità. Non è dunque necessario allegare e comprovare che il rischio di parzialità si sia effettivamente concretato in un risultato illegittimo, bastando invece che il prodursi del vulnus del bene giuridico tutelato e, con esso, la correlata diminuzione del prestigio della amministrazione, si prospetti quale mera eventualità. Ed invero, concorrono a moltiplicare e a enfatizzare gli effetti patologici del vizio i connessi principi di pubblicità e di trasparenza, convergendo il loro sinergico operare nell’immagine di un’amministrazione che, oltre ad essere realmente imparziale, appaia anche tale. L’imparzialità è difatti un primario valore giuridico, posto a presidio della stessa credibilità degli uffici pubblici, posto che in assenza della fiducia dei cittadini, gli apparati burocratici non sarebbero in grado di conseguire in maniera adeguata, come loro dovere, gli obiettivi prefissati dal Legislatore… Riguardo la rilevanza “esterna” del principio in disamina è a dirsi che il vizio di parzialità può riconnettersi a situazioni estranee all’atto in sé considerato e piuttosto riferibili al contesto organizzativo in cui ne è maturata l’adozione” (Cons. St., sez. V, 1 aprile 2009, n. 2070). 
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