14/11/2018 – orario di lavoro flessibile, gli eventuali crediti residui risultanti a fine mese possono essere utilizzati per compensare debiti orari del mese successivo?

ARAN – Newsletter del 13/11/2018

CFL16

Alla luce delle previsioni dell’art. 27 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, concernente l’orario di lavoro flessibile, gli eventuali crediti residui risultanti a fine mese possono essere utilizzati per compensare debiti orari del mese successivo? Se a fine mese il dipendente ha un saldo negativo tra crediti e debiti orari, derivanti dall’utilizzo delle fasce di flessibilità, si deve procedere alla decurtazione della retribuzione?

L’art.27, comma 3, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, nell’ambito della disciplina dell’orario di lavoro flessibile, espressamente dispone “3. L’eventuale debito orario derivante dall’applicazione del comma 1, deve essere recuperato nell’ambito del mese di maturazione dello stesso, secondo le modalità e i tempi concordati con il dirigente.”.

Innanzitutto, giova precisare che il mese considerato dalla clausola contrattuale è il mese di calendario.

In ordine, poi, al vincolo per cui l’eventuale debito orario derivante dalla fruizione da parte del lavoratore di spazi di flessibilità oraria, in entrata o in uscita, deve essere recuperato nel mese di maturazione, l’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che esso non abbia una portata assoluta, ma, possa, entro certi limiti, essere derogato.

A tal fine, viene, innanzitutto, in considerazione la fattispecie dell’eventuale sopraggiungere di un impedimento, oggettivo ed imprevisto,  che non consenta al lavoratore il recupero orario entro il mese di maturazione del debito orario.

Ad esempio, una malattia insorta che si protragga per una durata tale nel mese da non consentire la prestazione dovuta entro il termine prestabilito.

Oppure, anche l’ipotesi, ugualmente avente carattere di eccezionalità, della fruizione della flessibilità oraria proprio nell’ultimo giorno del mese.

In questi casi, si ritiene possibile lo slittamento del termine al mese successivo a quello di maturazione.

Sarà cura del dirigente concordare con il dipendente le modalità temporali per garantire il recupero della prestazione dovuta ed evitare ulteriori dilazioni del termine stesso.

Una altra fattispecie di possibile deroga può essere rappresentata dalla necessità di soddisfare specifiche ed oggettive esigenze organizzative dell’ente stesso.

Infatti, la scelta contrattuale, per cui il recupero del debito orario deve avvenire entro il mese di maturazione del debito stesso, è finalizzata a salvaguardare le esigenze organizzative e gestionali degli enti a fronte della fruizione da parte del lavoratore di forme di flessibilità oraria, che si sono comunque tradotte in una ridotta prestazione lavorativa nel corso del mese.

Proprio per tale specifica finalizzazione, si ritiene che l’ente possa decidere di concordare con il dipendente modalità di recupero del debito orario anche nel mese successivo a quello di maturazione, ove una tale opzione corrisponda ad una effettiva necessità di soddisfare future, specifiche e precise esigenze organizzative ed operative dell’ente.

Occorre, tuttavia, sempre una certa prudenza nei comportamenti derogatori del datore di lavoro pubblico.

Infatti, l’art.27, comma 3, del CCNL del 21.5.2018, disciplinando un particolare aspetto del rapporto di lavoro, ha inteso anche dettare una regola unica e uniforme, a garanzia della trasparenza ed imparzialità dei comportamenti datoriali nei confronti di tutti i lavoratori.

Pertanto, eventuali deroghe alla regola generale potrebbero, ove non effettivamente giustificate, rappresentare il presupposto per la formulazione di richieste emulative da parte di tutti i dipendenti, comunque, potenzialmente interessati.

In tal modo, gli spazi ritenuti consentiti per una possibile deroga al vincolo contrattuale, ai fini della soddisfazione di specifici interessi dell’ente, finirebbero per ampliarsi per assumere così il carattere di regola generale.

In ordine al secondo problema posto, si esprimono perplessità sulla stessa ammissibilità di spazi di flessibilità positiva non collegati al recupero di quelli negativi.

Infatti, al di fuori di tale fattispecie, la flessibilità positiva finisce con l’identificarsi con eventuale tempo di lavoro prestato, comunque, dal lavoratore, oltre i limiti di durata ordinaria della giornata lavorativa.

Tale aspetto assume un particolare rilievo, in quanto trattandosi di prestazioni ulteriori, rispetto all’orario ordinario, potrebbe configurarsi come orario di lavoro straordinario.

Pertanto, lo stesso non solo dovrebbe corrispondere a precise esigenze organizzative dell’ufficio ma dovrebbe essere, sempre, preventivamente autorizzato dal dirigente, secondo le regole generali.

Prestazioni lavorative che il personale potrebbe rendere in più, rispetto all’orario ordinario dovuto nell’arco temporale di riferimento, nell’ambito della cosiddetta flessibilità positiva ipotizzata, sostanzialmente secondo esigenze personali, potrebbero determinare una forma patologica di applicazione dell’istituto, con il rischio anche di ricadute negative ed impreviste sull’entità delle risorse destinate al pagamento del lavoro straordinario.

Infatti, proprio per questo aspetto, il lavoro straordinario deve essere sempre preventivamente autorizzato, come detto, dal dirigente o comunque dal responsabile del servizio.

Occorre, poi, ricordare anche che l’art.  38, comma 7, del CCNL del 14.9.2000, prevede espressamente che, solo su specifica richiesta in tale senso del dipendente, le prestazioni di lavoro straordinario effettivamente rese, in luogo del pagamento del relativo compenso, possono dare luogo a riposo compensativo, da fruire compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio.

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