14/11/2018 – Non è legittima la richiesta del Comune del pagamento a forfait per il servizio idrico integrato

Non è legittima la richiesta del Comune del pagamento a forfait per il servizio idrico integrato

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25794, del 16 ottobre 2018, ha respinto il ricorso di un Comune siciliano nei confronti di un contribuente; secondi i giudici di legittimità il Comune non può richiedere , per il servizio idrico integrato, un prezzo forfetario per l’erogazione dell’acqua.

Il contenzioso

Un contribuente ha chiamato in giudizio, davanti al Giudice di Pace un Comune siciliano al fine di ottenere il rimborso di euro 2.065,93, corrisposti all’ente negli anni 2004-2013, in quanto titolare di un contratto di fornitura di acqua potabile.

Il contribuente eccepiva che, in quanto il contratto stipulato fosse riconducibile allo schema della somministrazione, i canoni non andassero corrisposti in misura forfettaria, ma sulla scorta degli effettivi consumi.

Nel ricorso davanti al Giudice di Pace, inoltre , il contribuente censurava il pagamento di parte del canone da imputare alla depurazione, in quanto l’ente non disponeva di un efficiente sistema che garantisse il servizio.

Il Comune si costituiva in giudizio contestando tutte le censure avanzate dal contribuente.

Il Giudice di Pace, respingeva le domande del ricorrente, ritenendo legittima la previsione dell’obbligo del pagamento del canone annuo, nonché provata l’esistenza dell’impianto di depurazione.

Avverso la sentenza sfavorevole il contribuente si appellava al Tribunale ordinario.

I giudici del merito di primo grado con sentenza del 21 dicembre 2016, accoglievano integralmente l’impugnazione, condannando il Comune alla restituzione del versamento , nella misura di 1.765, 48 euro. In particolare, il Giudice del merito evidenziava che, sebbene il servizio di fornitura di acqua abbia natura pubblicistica, il rapporto di utenza ha comunque fonte privatistica, con la conseguenza che il corrispettivo non poteva essere calcolato forfettariamente, ma sulla base dell’effettivo consumo dell’utente. Quanto alla contestazione del canone corrisposto a fronte del servizio di depurazione delle acque, il Tribunale non riteneva raggiunta la prova dell’effettiva esistenza di un impianto depurativo funzionante.

Avverso la sentenza sfavorevole il Comune ha proposto ricorso per Cassazione.

Un precedente orientamento

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8391, del 31 marzo 2017, nel respingere un ricorso su un problema relativo ad un contenzioso analogo a quello oggetto del presente quesito ed avente per parte in causa lo stesso Comune ha affermato che il Tribunale ordinario ha confermato la decisione con la quale il giudice di pace della stessa città, sulla domanda proposta da un contribuente aveva annullato il provvedimento con il quale il Comune aveva determinato, a forfait, il regime tariffario relativo all’approvvigionamento idrico dell’utenza, condannando l’amministrazione comunale alla restituzione delle somme del contribuente corrisposte sulla base del regime tariffario illegittimo.

Il Comune nel ricorso in Cassazione aveva censurato la sentenza dei giudici del merito per violazione dell’art. 1339 c.c., nonché degli artt. 33, 34 e 36 del regolamento per la concessione dell’acqua potabile del Comune, per avere il tribunale erroneamente attestato l’impossibilità di far luogo, nella fattispecie in esame, all’applicazione dell’art. 1339 c.c., con la conseguente applicazione del regime tariffario individuato dall’amministrazione ricorrente.

Per la Cassazione il motivo era manifestamente infondato.

La questione posta con il motivo in esame ha trovato soluzione nella sentenza n. 5209 del 17 marzo 2015 della Terza Sezione della Cassazione , secondo cui, in tema di somministrazione di acqua potabile da parte del Comune, l’addebito all’utente, non già in base al consumo effettivo, ma secondo il criterio del “minimo garantito”, non può basarsi su di una previsione programmatica contenuta nel regolamento comunale con cui venga ammessa l’etero-determinazione delle tariffe di utenza da parte dell’ente comunale, ma, al contrario, richiede una specifica delibera comunale che ne fissi i parametri dell’an e del quantum, imprescindibili al fine di consentirne l’inserimento automatico ex art. 1339 c.c., nel contratto di fornitura.

Con il secondo motivo, il Comune ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2033 c.c., per avere il tribunale erroneamente ritenuto privo di giustificazione il pagamento delle somme oggetto di lite, da parte del contribuente , non avendo quest’ultimo mai contestato, nè l’esistenza del contratto, né la sua validità o efficacia, limitandosi unicamente a denunciare l’erroneità della fatturazione operata dall’amministrazione ricorrente. Anche in questo caso il motivo, per i giudici di legittimità era manifestamente infondato.

Al riguardo, ha osservato la Cassazione o come la ragione individuata dal giudice a quo a fondamento del ritenuto carattere indebito del pagamento del contribuente , “sia stata correttamente identificata nella mancata prova della prestazione, da parte del Comune, della somministrazione di acqua cui il pagamento dell’odierno intimato avrebbe dovuto far fronte; la motivazione del giudice a quo deve ritenersi corretta sul piano giuridico e integralmente fedele alle risultanze di causa sì da evidenziare con immediatezza l’integrale infondatezza delle ragioni di critica argomentate con il motivo in esame dall’amministrazione ricorrente”.

La sentenza della Cassazione

Con riferimento alla sentenza oggetto del presente commento secondo il Comune ricorrente il Tribunale avrebbe errato nel considerare i contratti esibiti dallo stesso ente locale , in cui era contemplato l’obbligo del pagamento del canone annuo , non regolanti il rapporto contrattuale con il contribuente opponente perché cessati a causa della scadenza del termine novennale. Avrebbe, inoltre, errato nel non considerare sussistente l’impianto di depurazione dell’acqua.

Per la Corte di Cassazione il ricorso è inammissibile; i giudici di legittimità ricordano che con una precedente ordinanza del 2017 (la n. 8391 del 2017) la Cassazione ha confermato la sentenza del Tribunale identica a quella oggetto dell’odierno procedimento, ponendosi in linea di continuità con la consolidata giurisprudenza nella stessa materia.

Sempre riguardo al servizio di fornitura idrico, e aventi come parte ricorrente ancora il Comune, sono intervenute altre due ordinanze.

Da tali orientamenti si evince con facilità come le questioni sollevate da parte del Comune ricorrente sono state decise più volte in modo conforme dalla Cassazione e l’esame dei motivi dell’odierno ricorso non offrono elementi per confermare o mutare questo orientamento.

Per la Cassazione il ricorso è, come sostenuto anche della precedente sentenze, manifestamente infondato, in quanto il pagamento richiesto dal Comune non corrisponde al c.d. “minimo garantito” ma è calcolato a forfait, in maniera uguale per tutte le utenze e prescinde, quindi, dal consumo della singola utenza.

In questa determinazione forfettaria del prezzo non si rinviene nessuna configurazione bipartita della tariffa idrica, tipica della somministrazione del “minimo garantito”, che presuppone una parte fissa (comprendente i costi per la produzione e per la erogazione del servizio) e una parte variabile (commisurata alla effettiva quantità di acqua consumata dall’utente).

Non avendo effettuato, il Comune, alcuna misurazione del consumo dei singoli utenti e non risultando nemmeno installato nell’abitazione del ricorrente il contatore, appare evidente che esso proceda ad una liquidazione forfettaria di tali importi.

Tra l’altro , osservano i giudici di Piazza Cavour, come anche evidenziato nella sentenza impugnata del Tribunale ordinario , i cui ragionamenti meritano di essere condivisi, i contratti di utenza stipulati nel 1973 e nel 2001, devono ritenersi a tempo determinato e quindi scaduti.

Detto ciò, la vincolatività per l’utente finale degli importi richiesti dal Comune non può discendere dal solo art. 36 del Regolamento idrico comunale. Tale norma subordina l’applicazione del regime tariffario del “consumo minimo alla espressa pattuizione delle parti. Essendo i contratti di cui trattasi scaduti è chiaro che nessun contratto vigeva tra le parti e nessuna pattuizione sul punto risultava effettuata”.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione nel dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento all’importo dovuto dal contribuente per la parte riguardante il servizio di disinquinamento idrico, ritiene non raggiunta la prova sul funzionamento dell’impianto di depurazione ; i giudici di legittimità condannano il Comune ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge.

Cass. civ., Sez. VI – 3, 16 ottobre 2018, n. 25794

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