14/11/2018 – Cassazione. L’operatore risponde in caso di omesso controllo della S.C.I.A.

Cassazione. L’operatore risponde in caso di omesso controllo della S.C.I.A.

Il processo di semplificazione, introdotto nel nostro sistema negli anni 90 è stato inteso, non come razionalizzazione delle fasi del procedimento, ma come abrogazione di alcune di esse, a discapito di quelle che riguardano i controlli.

Certamente è stato un grave errore supporre che la soppressione dei controlli avrebbe generato snellezza, senza che ciò avesse comportato conseguenze sul fronte della regolarità. E ciò conferma che, in verità, non si è trattato di una “soppressione”, ma del trasferimento dell’onere del controllo, in capo all’Amministrazione pubblica, senza che ciò potesse pregiudicare il libero esercizio delle attività commerciali.

In un sistema perfetto, questo principio può trovare una giusta applicazione. Ma in un contesto caratterizzato da continue emergenze, la pretesa che una istanza produca effetti, indipendentemente dalla verifica dei presupposti di legge o delle condizioni di sicurezza, rimandando al Comune l’onere della verifica, ha prodotto, inevitabilmente, la proliferazione di attività commerciali in difetto di conformità.

Ciò è avvenuto nella convinzione di dovere favorire il libero esercizio dell’attività di impresa che, giustamente, non può essere appesantito dalle lentezze burocratiche. Ma in qualche contesto, questo principio è stato interpretato in senso assoluto, soprattutto nella impossibilità oggettiva di effettuare i controlli sulle attività di cui si da la notizia di avvio.

Questo atteggiamento ha fatto prevalere la convinzione che l’esercizio di un’attività commerciale non abbia vincoli e che il possesso dei requisiti o la conformità alle norme di sicurezza siano prescrizioni di cui risponda esclusivamente il titolare dell’attività, lasciando alle pubbliche amministrazioni, esclusivamente il compito di registrare le richieste e semmai, effettuare controlli a campione.

La Corte di Cassazione non è di questo avviso e giustamente ribadisce la piena responsabilità delle pubbliche amministrazioni in ordine alla verifica delle segnalazioni certificate di inizio attività.

La decisione prende le mosse da un incidente avvenuto in occasione di una sagra, nel corso del quale, a seguito dell’esplosione di una bombola di GPL, posizionata nei pressi della zona di cottura degli alimenti da somministrare trovarono la morte cinque persone e altre sei rimasero ferite.

La ragione dell’esplosione sarebbe stata da ricercarsi nella vetustà della bombola, oltre che delle  cattive condizioni d’uso, essendo stata più volte riempita in modo abusivo, eccessivo e comunque non controllato e presentando un difetto di laminazione (o “cricca”). L’innesco dell’esplosione, che produsse uno squarcio sulla bombola, infatti, fu dovuto a un aumento di pressione del GPL, dovuto all’esposizione a una fonte di calore di cui però non è stata accertata la natura.

A seguito di un’attività istruttoria è stato individuato il responsabile dell’abusivo riempimento delle bombole (fra cui quella esplosa) nel titolare di un distributore di benzina che effettuava la ricarica delle bombole senza la prevista autorizzazione e con modalità che finivano per danneggiare le bombole stesse. La Corte di merito ha argomentato che, a prescindere dalla fonte di calore cui la bombola esplosa sarebbe stata esposta, l’esplosione doveva ritenersi necessariamente collegata, sul piano causale, alle cattive condizioni della bombola e, quindi, alle modalità irregolari – oltre che non “a norma” – di riempimento.

Oltre al soggetto che aveva approvvigionato materialmente le bombole, viene, inoltre, individuata la responsabilità in un agente di polizia municipale, per avere cooperato colposamente con gli altri imputati in quanto, nella sua qualità di soggetto titolare di funzioni istruttorie nelle pratiche di polizia amministrativa, avrebbe dovuto segnalare le anomalie al soggetto titolare del potere deliberativo (relativo al rilascio della prevista licenza temporanea). Il fatto che, per la somministrazione temporanea di alimenti, fosse prevista una D.I.A. (oggi S.C.I.A.) differita, consentiva tuttavia al personale dell’ASL di effettuare un sopralluogo di verifica, di comunicare le eventuali difformità al Comune ed eventualmente di adottare un provvedimento motivato di diniego inizio attività.

A tale soggetto, nella sentenza, vengono attribuite altre gravi responsabilità riguardanti la falsificazione della licenza temporanea di pubblico esercizio. Tuttavia, limitando l’analisi alle sue responsabilità riguardo alla DIA, nella sentenza si afferma che secondo recente giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’operatività della così detta “clausola di equivalenza” di cui all’art. 40, secondo comma, cod. pen., (per il quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”) non è necessario che il titolare della posizione di garanzia sia direttamente dotato dei poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, essendo sufficiente che egli disponga dei mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire l’evento dannoso. Naturalmente, perché sussista l’obbligo giuridico di impedire l’evento è necessario che esso gravi su una o più persone specificamente individuate.

In tal senso quell’operatore della polizia locale è stato indicato come soggetto titolare di un potere di vigilanza e di eventuale segnalazione al titolare di poteri deliberativi delle eventuali violazioni di norme, prescrizioni e autorizzazioni (fra l’altro) in materia igienico – sanitaria e in materia di prevenzione incendi, essendo stato investito dal sindaco di funzioni istruttorie relativamente a pratiche di polizia amministrativa.

E aggiunge la sentenza che non è neppure fondato quanto sostenuto dal ricorrente in ordine al fatto che la pratica accesa come denuncia d’inizio attività sarebbe stata in realtà già disciplinata come S.C.I.A. (segnalazione certificata d’inizio attività) in base all’art. 19, legge 241/1990 come modificato dal D.L. n. 78/2010 (e quindi non sarebbe stata necessaria alcuna autorizzazione, né conseguentemente alcun intervento dell’autorità comunale). Invero, va innanzitutto chiarito che – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, e come invece correttamente osservato dalla Corte di merito – la trasformazione dal D.I.A. in S.C.I.A. della pratica in esame entra in vigore solo con l’art. 49, comma 4-bis della legge n. 122 del 30 luglio 2010 (legge di conversione del D.L. n. 78/2010), ossia dopo i fatti di causa. Ma anche a prescindere da ciò, la procedura di denuncia (o di segnalazione certificata) d’inizio attività ha in tutti i casi una finalità semplificatoria, ma non esime dall’esercizio di controlli da parte dell’autorità amministrativa competente in ordine al contenuto.

Santo Fabiano

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