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La sicurezza giuridica e le nuove implicazioni della nomofilachia*

 

I
Le due vie della sicurezza giuridica: norme vs. precedenti
Il 18 novembre 1790, all’Assemblée constituante, il deputato Maximilien de Robespierre pronunciò queste parole: «Ce mot de ‘jurisprudence’ doit être effacé de notre langue. Dans un Etat qui a une constitution, une législation, la jurisprudence des tribunaux n’est autre chose que la loi»[1].
Qualche decina d’anni prima, il magistrato Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède et di Montesquieu, presidente à mortier al Parlamento di Bordeaux, teorizzando la separazione dei poteri aveva sottolineato la necessità dell’uniformità della giurisprudenza sulla base del precedente: le decisioni vanno raccolte e conservate, scrisse, perché «elles doivent être apprises pour que l’on y juge aujourd’hui comme l’on jugea hier»[2].
Le due citazioni testimoniano, per l’epoca in cui si forma il concetto contemporaneo di Stato, concezioni opposte sul ruolo della giurisprudenza e del precedente: nulli per la prima, essenziali per la seconda. Tuttavia, per quanto possano apparirci distanti tra loro e paradigmatiche, alla base di entrambe era la consapevolezza di un’esigenza fondamentale: l’affidamento sulle regole, certe, che i giudici debbono applicare nel decidere. È un aspetto centrale di ciò che oggi si usa in Europa chiamare sicurezza giuridica e che da lì a poco sarebbe stata definita come tale dalla prima dottrina tedesca dello Stato liberale per dare ai cittadini rassicurazione e tranquillità; e con essa, come oggi vediamo, la stabilità[3], la prevedibilità, la calcolabilità del diritto[4] elevati a beni generali da perseguire. Oggi il principio della sicurezza giuridica è presente ovunque in Europa, a muovere dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee che lo ha riconosciuto come principio generale sin dal 1962, dapprima con una pronuncia isolata (6 aprile 1962, c. C-13/61, Bosch GmbH) poi con varie ulteriori pronunce (es. 14 luglio 1972, 57/69) e in particolare con la decisione Dürbeck (5 maggio 1981, c. 112/80) che evocava il principio di legittimo affidamento. A sua volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo lo ha applicato nelle decisioni Sunday Times c. UK del 26 aprile 1979 e Hentrich vs. Francia del 22 settembre 1994, richiedendo precisione e prevedibilità della legge.
La dottrina italiana vi vide dapprima un concetto che si immedesimava in quello di certezza del diritto e sulle caratteristiche di questo per lo Stato di diritto concentrò l’attenzione[5]. Oggi però, vista anche l’elaborazione altrui, diciamo che la sicurezza giuridica non si esaurisce nella certezza del diritto, perché non consiste nella sola prevedibilità delle decisioni; piuttosto muove dall’idea di eguaglianza giuridica e vi collega sia la prevedibilità delle conseguenze generali delle condotte, ben difficile senza chiarezza, coerenza e pubblicità del diritto, sia la tendenziale stabilità delle regole e della loro interpretazione a disposizioni invariate: perciò sottrazione dell’applicazione delle norme a oscillazioni inattese, protezione da complessità e contraddizioni delle disposizioni, interventi ex post facto; insomma senza la prevenzione da quanto genera, all’opposto, fragilità, disordine e insicurezza, disagio e timore per le conseguenze o per le aspettative che poggiano sulla prevedibilità delle decisioni giudiziarie: causa seria di debolezza nei rapporti sociali e di mortificazione dell’iniziativa economica che compromettono l’essenza dello Stato di diritto[6].
A guardare alla giurisdizione, in particolare, si teme l’insicurezza ingenerata per mano di giudici che si rendono di fatto liberi dalle norme e capaci di creare nuove regole. In questo, le due concezioni da cui abbiamo mosso riflettevano idee opposte ma, paradossalmente, convergenti nella finalità, essenziale per la società contemporanea e il suo dinamismo. Si intendeva contrastare quell’effetto – molto pesante per la Francia degli incontinenti Parlements – da una parte con la pretesa giacobina di annullare ogni spazio interpretativo[7]; dall’altra con la più moderata raccomandazione della continuità e conformità ai precedenti. Coerenza, probabilità e affidabilità delle prescrizioni sono infatti necessarie per l’affidamento di tutti, come per la tranquillità della vita economica e delle relazioni sociali.
 
 
II
Un repêchage lessicale, un mutamento semantico
Per portare il discorso all’attualità, è qui il caso di muovere dalle recenti, ampie, ritornanti elaborazioni in tema di “nomofilachia”, oggi presentata come buon rimedio al disordine sia normativo che giurisprudenziale che si è andato creando. Senza guardare genericamente al tema, pare da sottolineare che, in rapporto all’esigenza di sicurezza giuridica, a un’analisi realistica s’impongono considerazioni che sono per lo più sottaciute. Il pretermetterle però svantaggia se il valore più autentico di questo concetto va ricercato non solo nella semplice – per quanto essenziale – dominanza uniformatrice della giurisprudenza di ultima istanza, quanto anche nella sua funzionalità alla generale esigenza di affidamento e tranquillità attraverso il diritto. Sul che poggia il rilievo della capacità del precedente e della sua stessa continuità.
Che la realizzazione di questo valore possa esserne un effetto naturale, lo mostra l’origine dello stesso concetto moderno di “nomofilachia”. Nel 1920 la formula fu – ma senza un’esplicazione storica – recuperata nella dottrina processualistica da Piero Calamandrei a sintetizzare la funzione giuridica, interna alla giurisdizione, propria della Corte di cassazione[8]. E oggi l’espressione ritorna, dopo un certo periodo di svalutazione se non di eclissi, per connettervi sotto nuove ragioni l’esigenza sociale generale, consistente nella domanda di certezze e di prevedibilità sulle conseguenze delle condotte.
Quanto all’esplicazione storica, è facile rilevare che nell’antichità greca, in una società composta di città a forte impronta mercantile, la stagione classica della “nomofilachia”, cioè della messa in sicurezza delle norme ormai poste, seguì a quella della “nomotesia” dell’ultima età arcaica, cioè della posizione originaria di norme scritte, finalmente certe e sicure in luogo di quelle consuetudinarie e malcerte. Entrambe le stagioni erano funzionali alla stabilità dei rapporti, insomma alla certezza del diritto, in una società caratterizzata da un particolare dinamismo.
L’idea stessa di “nomofilachia” esprime dunque l’idea di stabilità e certezza ad opera di un elevato e imparziale corpo di tecnici del diritto. Letteralmente significa “custodia delle norme”, cioè salvaguardia dalle loro alterazioni. Nella Grecia classica si riferiva al compito di un’apposita magistratura, in alcune póleis deputata al preventivo vaglio di costituzionalità delle leggi, perché molto ci si preoccupava della saldezza delle norme necessaria ai complessi traffici mercantili[9]. Vale per allora come per sempre la considerazione che si tratta di uno strumento utile a corrispondere all’esigenza di “calcolabilità del diritto” formale, teorizzata da Max Weber, che – offrendo la prevedibilità dell’esito delle controversie – razionalizza e assicura lo sviluppo economico[10].
Ai tempi nostri, fermo quel significato lato e orientato all’effetto di sistema, la nomofilachia è espressione che è stata fatta riemergere sul versante non della normazione ma della giurisprudenza, che si vuole incentrata su sentenze capaci di assicurare l’esatta e uniforme interpretazione del diritto e di affermarla, mediante decisioni di ammaestramento atte a costituire precedenti persuasivi che guidino anche per il futuro come canone di giudizio, dando così continuità e costanza all’orientamento interpretativo[11].
Così, nell’idea di Calamandrei, la nomofilachia della Corte di cassazione, ratio scritpa illuminatrice e didattica, elaborava e orientava in forma essenziale il pensiero giuridico nazionale[12]; rifletteva il primato della legge e generava certezze. Strumento ne era la definizione di precedenti con l’esatta lettura della legge, capaci di assicurarne la stabile e uniforme applicazione e di condizionare le decisioni successive. La “nomofilachia attraverso il precedente”[13], è stato così sottolineato, sta a salvaguardia dell’uniforme rispetto della legge attraverso decisioni “universalizzabili” e proiettate verso il futuro[14].
La nomofilachia[15] era (ed è) insomma un compito che, per come si presenta, assicura sicurezza giuridica perché offre coesione alle decisioni e chiarificazione e univocità al diritto obiettivo. L’ordinamento giudiziario del 1941 non la nomina tale ma la sintetizza all’art. 65 tra le “Attribuzioni della corte suprema di cassazione”: «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale»[16].
La nomofilachia è identificata come capacità preminente della Corte di cassazione. Ma per le materie di giurisdizione amministrativa si attesta – specie per la c.d. nomofilachia “interna”[17] – sul Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (artt. 111, u.c.[18], e 113 [19]Cost.)[20]. Il che diviene di particolare pregnanza nei casi di giurisdizione amministrativa esclusiva, come ad es. per i contratti pubblici (art. 133, comma 1, lett. e) Cod. proc. amm.[21]). Del resto, in un ordinamento a giurisdizione duale, la nomofilachia amministrativa non può che essere del supremo giudice amministrativo, pena un diritto amministrativo senza nomofilachia quando non vagliato ex art. 111, ottavo comma, Cost. dalla Corte di Cassazione[22] o quando non si verta di diritti (per queste tesi si pretende sussistere una nomofilachia esterna della Corte di Cassazione).
Una novità di notevole effetto è costituita dalle riforme del 2006-2009, con cui si è intervenuto sulla capacità propria del precedente di ultima istanza nei sistemi continentali europei, che è di persuasività: affiancandogli – pur in termini contenuti – alcune ipotesi di parziale vincolatività. Queste riforme hanno infatti inserito nel sistema processuale effetti di quasi-stare decisis all’enunciazione del «principio di diritto» delle Sezioni Unite o dell’Adunanza plenaria, che vincola le altre formazioni delle (sole) rispettive giurisdizioni superiori[23][24]. Per il processo civile è avvenuto essenzialmente con l’art. 374, terzo comma[25], Cod. proc. civ., come mod. dall’art. 8 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, in attuazione della delega dell’art. 1, comma 2, lett. a) l. 14 maggio 2005, n. 80; e per il processo amministrativo – quasi con le stesse parole – con l’art. 99, comma 3[26], Cod. proc. amm.[27] approvato dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in attuazione della delega dell’art. 44 l. 18 giugno 2009, n. 69[28]; ovvero con forme riflesse, come ad es. con l’art. 360-bis, n. 1), Cod. proc. civ., introdotto dall’art. 471, lett. a), dell’appena ricordata l. n. 69 del 2009[29].
A parte queste novità, determinanti per quanto si andrà a considerare, la nomofilachia non si contiene ai ristretti casi di precedente tendenzialmente vincolante, di nomofilachia verticale, ma si estende in principio a tutti i casi di precedenti, pur soltanto autorevoli o persuasivi o esemplari, delle giurisdizioni superiori, per i quali – ancora mutuando la terminologia di common law sul precedent – si può parlare di nomofilachia orizzontale[30].
In effetti, se si ha riguardo alla capacità preminente – l’assicurare ai consociati la sicurezza giuridica per coerenza, stabilità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie rispetto alle norme -, perché vi sia nomofilachia non occorre che vi sia il vincolo, o questo semi-vincolo, o vincolo relativo[31], del precedente, vale a dire la “forma attenuata di stare decisis[32] di cui si è detto. È già sufficiente l’effetto ordinario di persuasione, il sistema processuale è nel complesso già costruito o organizzato per produrre l’effetto stabilizzante mediante pronunce che comunque compongano un coerente “giurisprudenza”. E per questi effetti forse sarebbe da tornare a intendere il termine “giurisprudenza” nel senso risalente, riservandolo alle pronunce di ultima istanza[33], senza includervi gli orientamenti dei giudici delle istanze minori, privi per loro natura di una tale capacità e di comunque relativa autorità ideale.
 
III
Insidie del linguaggio giuridico: la nomofilachia di ieri e la nomofilachia di oggi
La nomofilachia non si identifica tout court nella giurisprudenza semi-vincolante di ultima istanza. Corrisponde piuttosto al suo effetto generale di sistema, anche senza quell’effetto di vincolo, ed è coerente con un’organizzazione della giurisdizione verticale e funzionale alla sedimentazione delle decisioni. Nemmeno corrisponde alla sola “giurisprudenza costante” perché racchiude anche i mutamenti di orientamento.
A questo punto, per un’analisi che intenda essere utilmente aperta e responsabilmente costruttiva, vanno messi in evidenza due dati: uno che attiene la fortuna dell’idea nel recente passato, uno che attiene le insidie che oggi essa può recare con sé.
Così, anzitutto va considerato che nel quasi secolo dal 1920, nei penultimi decenni la nomofilachia ha conosciuto una stagione di critica e di minimizzazione. La sua capacità risolutrice è stata addebitata di artificiosità, perché basata sul postulato giuspositivistico, invero inconsistente, della completezza dell’ordinamento giuridico. L’inevitabilità della presenza delle lacune della legge la dipingeva – a dire dei critici – come velo ideologico di un orientamento conservatore della giurisdizione di legittimità. In realtà, si diceva, una realistica visione del rapporto tra il giudice e le ineludibili lacune della legge dà comunque luogo a un’attitudine della sentenza fatalmente creativa di diritto. La nomofilachia dunque, su cui poggia per il giudice di legittimità un potere nomopoietico che prevale su quello del giudice di merito, altro non era vista che come strumento artificioso di restrizione della naturale latitudine dell’interpretazione giudiziale[34].
Così, in quel passato ancora non lontano, alla nomofilachia si imputò di prestarsi a restringere lo spazio interpretativo dei giudici di merito. Restava ineliminabile a causa della struttura piramidale dell’organizzazione giudiziaria e del percorso del processo, ma ci si ingegnava di attenuarne l’effetto. A fronte di una criticabile “nomofilachia forte”, verticistica e unilaterale, si preferiva allora una “nomofilachia tendenziale” o “dal basso”, quando non addirittura “bidirezionale” [35]. Il che, per eco ambientale, supportava i casi di ‘resistenza’ dei giudici di merito a non conformarsi alla giurisprudenza di legittimità. La prevedibilità delle decisioni e l’inerente certezza del diritto ne venivano lese ma l’inconveniente era ridotto al rango di problema episodico o individuale.
Da alcuni lustri, tuttavia, l’espressione è tornata in auge e molto se ne dice e scrive sia per il processo civile che per quello amministrativo: specialmente con riguardo alle ricordate nuove configurazioni processuali introdotte tra il 2006 e il 2010, intese ad attribuire ex lege alle pronunce a Sezioni Unite o ad Adunanza plenaria il particolare effetto giuridico stabilizzante (il quasi-stare decisis).
Ma anche indipendentemente da queste fattispecie rinforzate, quelle riforme hanno conferito un particolare valore alla nomofilachia attraverso il precedente. Mentre al giudice amministrativo francese resta non solo vietato citare la dottrina come al giudice italiano[36] ma anche basarsi sui soli precedenti[37], anche in Italia era regola tradizionale, espressione della soggezione alla sola legge, che il giudice non potesse limitarsi all’enunciazione dei precedenti conformi per giustificare la sentenza. Ora invece è stata introdotta l’opposta regola, che attribuisce al precedente un valore analogo al dato normativo: per il processo civile dall’art. 52, comma 5, l. 18 giugno 2009, n. 69 che ha modificato l’art. 118 disp. att. al Cod. proc. civ. che al primo comma dice: «La motivazione della sentenza di cui all’art. 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi»[38]; per il processo amministrativo dall’art. 88 (Contenuto della sentenza), comma 1, lett. d), Cod. proc. amm. che dice che la sentenza deve contenere «la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi»; e dall’art. 74 Cod. proc. amm. in tema di sentenza in forma semplificata, che dice che «la motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento […], se del caso, ad un precedente conforme».
 
IV
Il parossismo della sicurezza giuridica affidata alla giurisprudenza al tempo della ‘crisi della legge’
In questo quadro, a un’indagine realistica sulla portata attuale delle nomofilachia, occorre domandarsi se il significato odierno davvero corrisponda a quello originario.
Oggi, a ben vedere, ci troviamo di fronte ad un uso che può apparire nuovo e dilatato del termine, che travalica la semplice sua riscoperta. La virtù che ora si ravvisa nella nomofilachia è infatti più ampia e il suo significato tende a subire una tacita espansione, un ampliamento di fatto del campo semantico[39].
Occorre partire dalla giustificazione del rinnovato interesse per la nomofilachia. Questo consiste, si afferma, nella sua capacità di fronteggiare il fenomeno, nuovo rispetto a un secolo fa, della decostruzione e del disordine normativi: il fenomeno che, nella sua dimensione estrema e parossistica, è stato chiamato del «diritto liquido»[40] che caratterizza la società contemporanea e postmoderna ingenerando ovunque insicurezze e imprevedibilità. Forse l’espressione è di colore e iperbolica, ma non v’è dubbio che tendenze crescenti a generare proliferazione e “complessità del diritto” (complexification du droit) e le difficoltà nel contenere o efficacemente ridurre il fenomeno, mettono in serio pericolo le componenti essenziali della prevedibilità e della calcolabilità delle risposte giuridiche.
L’epifenomeno pare dunque voler andar oltre le insufficienze manifestate dalle politiche di semplificazione, che loro malgrado non sempre hanno raggiunto l’obiettivo ordinativo cui erano mosse: si pensi ai fattori di dispersione del potere e dunque di moltiplicazione interna ed esterna delle fonti (che mette in crisi non solo la presunzione generale di conoscenza della legge ma finanche il iura novit curia), alla loro promiscuità e conflittualità, all’abbassamento della qualità della legislazione e la mortificazione dell’apporto dei tecnici nella sua formazione, all’accelerazione del ritmo normativo, all’inflazione della produzione normativa, all’espansione dei domini giuridici e degli interventi giudiziari, alla tendenza alla simbolizzazione del diritto, alla formazione di nuove, malcerte e non sempre chiare sedi e capacità prescrittive in luogo delle tradizionali legate a territorio e sovranità e alle loro investiture: e, sopra di tutto, agli effetti generali di incertezza e disgregazione legati alla globalizzazione e alla deregolazione.
Così, le lacune, le contraddizioni, le genericità[41], le fragilità, la dispersione delle fonti di produzione e di cognizione concorrono a generare spazi aperti che solo la giurisprudenza si immagina possa colmare. È una situazione di dissesto nuova che, senza che ciò sia nelle intenzioni del legislatore, apre all’interpretazione spazi analoghi a quelli un tempo originati dalle clausole generali e dai concetti giuridici indeterminati, vale a dire a ritrazioni intenzionali del legislatore a favore del giudice per la considerazione adeguata del dinamismo sociale, dove già in partenza era la giurisprudenza a dare contenuti effettivi ai precetti generici di legge (si pensi alle infinite declinazioni date dalla giurisprudenza all’invariato art. 2043 Cod. civ. sull’illecito civile extracontrattuale).
In realtà, ecco il nuovo, oggi la crisi della legge cambia intrinsecamente la portata della nomofilachia e, per buona parte, il suo stesso concetto.
Prima della progressiva complexification del diritto, la nomofilachia manteneva, al fondo, un carattere essenzialmente dichiarativo e strumentale al primato della legge. Oggi però l’indebolimento, la complicazione e la dispersione della capacità normativa vanno ad assegnarle un ruolo in parte nuovo, e ciò è potenziato, negli effetti, nei casi di quasi-stare decisis: dove, in ragione dell’uso che se ne fa, ha spazio per assumere un tono orientato verso la normazione. In quest’intreccio si enuclea in termini pregnanti, non solo ricognitivi, una nuova veste del “diritto vivente”: la norma giuridica vive nella concreta applicazione per come si modella sull’interpretazione che, con questi effetti, ne viene data[42].
Su queste basi, al rovescio di quel recente passato oggi[43] la nomofilachia è data non più per ostacolo alla trasformazione dell’ordinamento per via giurisprudenziale, ma come nuova soluzione all’ormai strutturale disordine dei sistemi giuridici[44]. Grazie alle dette modifiche processuali viene ad acquistare una posizione nuova e “forte”, per quanto ci si premuri di evidenziare che debba restare circolare[45]. Conserva sì il carattere tradizionale di rimedio al disordine delle decisioni: ma nel porsi anche come nuovo rimedio al disordine normativo va ad acquistare un ruolo diverso dall’originario[46].
In apparenza, la sua attitudine resta non dissimile da quella tradizionale: ma ora converte in positivo l’oggetto del passato addebito, l’imposizione dei precedenti di ultima istanza. Ciò avviene grazie all’assunto che certezza e prevedibilità – in breve: la sicurezza giuridica – sono beni primari da salvaguardare. Se la sempre più complessa, debole e dequotata produzione normativa non riesce ormai ad assicurarle, deve pur supplirvi il più semplice sistema di produzione giurisprudenziale.
Si può certo dire che questo è un modo “aristocratico”[47], supportato da tecnicismo e autorevolezza, per dare al diritto coerenza, certezza e prevedibilità: il che è molto importante dal punto di vista dell’esame complessivo dei sistemi giuridici. Ma questa considerazione non esclude quella strettamente oggettiva sui riferimenti comunque imprescindibili della democrazia rappresentativa.
La realtà è che lo strumentario nuovo della nomofilachia cela un’insidia che può anche portare a rinnegarne la finalità. Mediante il precedente vincolante quando espressa in apicibus, per raggiungere una nuova e ulteriore coerenza essa viene implicitamente convertita da effetto pratico a vera e propria funzione: dove la stabilizzazione del precedente di ultima istanza va ad assumere un ruolo di sistema forte e nuovo.
Si viene dunque configurando un nuovo ordine per le basi della rassicurazione sociale mediante il diritto, trasmigrante dalle norme al giudice di ultima istanza. Lo si motiva con l’argomento che contro il crescente disordine e l’incertezza sistemica e la compromissione di una delle weberiane ragioni dello Stato di diritto [48], è comunque primario ed essenziale, per i cittadini e le imprese, proteggere la stabilità dei rapporti e le normali condizioni di operatività. E poiché la sicurezza è alla base del contratto sociale, il prezzo dell’alterazione dei ruoli è comunque giustificato. Nella sostanza, il mutamento delle condizioni esterne, aggiunto alle riforme stabilizzanti del 2006-2009, porta il repêchage dell’espressione di Calamandrei a un contenuto diverso, che nei fatti apre a una nuova forma produzione di diritto.
In questa nuova accezione, alla nomofilachia vengono fatti assumere i connotati dell’ultimo, sussidiario rimedio ai rimedi invano cercati sul versante della normazione: semplificazioni normative, codificazioni, riduzioni dello stock normativo mediante “taglia-leggi” calcolate in massa sull’anzianità delle leggi, destoricizzazione di disposizioni rinnovate nella fonte e astratte dal tempo, abrogazioni e immediate reviviscenze, ecc.. Visti i risultati non risolutivi e spesso anzi di nuova complicazione conseguiti su quel lato (perché il disordine normativo è generato da cause strutturali, legate alla mobilità sociale e politica e alla dispersione del potere sovrano), ora si propone la nomofilachia come l’ultimo mezzo per offrire finalmente un risultato ordinativo e fronteggiare le attese sociali: e la giurisdizione d’ultima istanza come specchio riparatore dei difetti irrimediabili della normazione[49].
Il prezzo è però quello detto: l’aggiungere all’attitudine tradizionale l’impropria capacità di introdurre – mediante un “precedente” che talvolta è in realtà innovativo – un ordine razionalizzante suppletivo al campo proprio delle norme, e dalla legittimazione opinabile.
Occorre allora chiarezza. Scrive Albert Camus: «mal nommer un objet, c’est ajouter au malheur de ce monde»[50]. Le parole debbono essere chiare e rifuggire dall’autoinganno. Vale anche per l’espressione “nomofilachia”. La ritrovata formula, che opportunamente ora torniamo a utilizzare, va presa certo in senso positivo perché le critiche de decenni passati sono esse stesse ben più ingannevoli e produttive di incertezze, diseguaglianze e guasti. Ma con la cognizione che l’espressione nella realtà non sempre corrisponde a quella di cent’anni fa: quando il legislatore era uno, consapevole e adeguato alla funzione, non si parlava di crisi della legge e la giustizia era vigile sui propri limiti nel sistema della separazione dei poteri.
Col variare dello scenario, va dunque a mutare della nomofilachia non solo l’oggetto[51] ma anche la funzione. A stare alla nomenclatura dell’antica Grecia, si può dire che oggi si contrassegni per nomofìlachia un’attività che talora arriva a incorporare una qualche nomotesia: non il mero custodire le norme date, ma anche il porne di nuove o comunque l’innovarle[52]. Attività anche questa che si dice essere di stabilizzazione e di sicurezza giuridica, ma per il d’ora in avanti e comunque di tutt’altra investitura, autorità ed effetti.
Insomma, se si procede immutato nomine occorre mettere a fuoco che alla nomofilachia propria della giurisprudenza di ultima istanza si si aprono spazi di compensazione dell’incapacità di ordinata produzione normativa da parte delle giuste fonti e che questi possono facilmente prendere il sopravvento sul conclamato obiettivo di rassicurazione mediante la stabilità. È ben eloquente l’assunto che si arrivi a immaginare di così generare dettagli prescrittivi sulla sola base dei generici e lati “valori emergenti dalla Costituzione, dalla CEDU o dal diritto comunitario”. Sembrerebbe quasi trattarsi di specchi che si riflettono tra loro per lasciare integra la latitudine interpretativa del giudice: ma il costrutto del sistema costituzionale vuole il giudice sottoposto alla legge (art. 101 Cost.), cioè esclude che la sua funzione possa atteggiarsi a fonte del diritto.
Sul versante della produzione di regole, si trascende l’ambito decisorio per guardare al consolidamento del diritto vivente: e per assicurarlo si hanno a disposizione quei frammenti di stare decisis “verticale”[53] che formalmente guardano ad un altro tipo di sistema giuridico, vale a dire alla tradizione del common law e in essa al binding precedent[54]. Questo quasi-stare decisis viene talora detto stare decisis “attenuato”[55], ma vincolante vuol essere comunque. Ma a ben vedere, proprio grazie a questa verticalizzazione, ciò che nei fatti risulta protetto dal semivincolo è assai più l’innovazione interpretativa che la conferma dei semplici precedenti propria di un sistema sistematicamente improntato allo stare decisis. Così si apre la via, per la formazione più elevata dell’ultima istanza, a una giurisprudenza nomopietica protetta, dove l’arrêt de principe (il «principio di diritto enunciato» dalle Sezioni Unite o dall’Adunanza plenaria) può nei fatti andare a rieditare il vietato[56] arrêt de règlement: con efficacia pratica erga omnes malgrado l’art. 2909 Cod.civ. e la relatività del giudicato, o la discussione limitata alle sole parti di un singolo giudizio. Si modella così, e si giustifica, una produzione giurisprudenziale di diritto non preceduta da attribuzione espressa e da confronti autenticamente rappresentativi e si indebolisce l’idea autentica di precedente, che incorpora la stabilità dell’impronta del passato. Una via breve per creare, a di fuori del circuito della rappresentanza, nuovi “precedenti”, che in realtà precedono solo il futuro, e che sono irretrattabili se non con un difficile contrarius actus o mediante improbabili leggi. Il significato stesso di “precedente”, in questi casi, può dunque arrivare a mutare: non più antecedente traccia del passato che guida il presente, ma creazione del presente che precede solo e regola il futuro. Prevedibilità e stabilità – le componenti essenziali della sicurezza giuridica – ne sono evidentemente compromesse.
È allora questa dilatazione verso una sottaciuta nomotesia a porre la vera e realistica questione da razionalizzare: quella dei limiti dei contenuti che possono essere dati alle pronunce innovative; sul riflesso del titolo di investitura, cioè della abilitazione del giudice a introdurre regole sotto l’apparente forma di sentenza di ultima istanza.
Quest’attitudine è, naturalmente, inversamente proporzionale al fenomeno che si sintetizza nella crisi della legge[57]: tanto più questa è grave, tanto più arduo ma anche più giustificabile è il compito di stabilizzazione. E infatti questa gravità sovente è utilizzata proprio per giustificare la nuova capacità ordinatrice, in realtà creatrice di diritto.
Che la crisi della legge generi di fatto supplenze è nelle cose. Ma ammettere per questa via che il diritto, anziché riproporsi nelle sue contraddizioni e lacune al giusto sistema delle fonti, si possa giurisdizionalizzare richiede cautela[58]. La questione è tutt’altro che nuova, il fenomeno del diritto giurisprudenziale è noto dal diritto romano e caratterizza con le sue oscillazioni l’intera storia del diritto. Però lo Stato di diritto continentale è nato per finirla con la giurisprudenza come fonte: e oggi si ritrova al bivio – per conservare la sua ragione – tra recupero della capacità di chiarificazione del diritto scritto e accettazione della nomopoiesi giudiziaria[59].
Il punto è che, così, la nomofilachia rischia di convertirsi in una ragione opposta a quella che la originò come prerogativa della “cassazione”: anziché custodire severamente le leggi, le può anche integrare, assegnando al nuovo “precedente” il ruolo di fonte di diritto. Non è solo un tema costituzionale: ci si domanda quanto sia socialmente accettabile questo veicolo di produzione di diritto ad opera dei giudici superiori che – da tempo ricusanti l’essere mera “bocca della legge”[60]– non si limitano più ad accertare il diritto legislativo ma contribuiscono a porne di altro. La complessità normativa giustifica davvero che le giurisdizioni superiori dilatino il ruolo di interpretazione della legge per passare a porre «principi di diritto» che talvolta veicolano nuove norme[61]?
Ma vi è di più, e si va ai fondamenti degli obiettivi di rassicurazione. Nelle cose, come si è visto quest’attitudine creativa va a contrastare lo stessa ragione di sicurezza giuridica cui si dice ordinata. Per ritorno circolare, la complicazione del diritto può divenire il punto di arrivo della stessa giurisprudenza nomofilattica: non più solo punto di partenza per il rimedio. La nuova individuazione, specie se col ricordato vincolo del precedente, di regole di condotta non poste dalla legge né fondate su precedenti, anziché generare nuovi affidamenti può andare a moltiplicare incertezze e contenziosi, perché si resta comunque esposti al revirement o all’innovazione. Si pensi, per casi paradigmatici, alle innovazioni e oscillazioni in tema di responsabilità medica (per la quale è difficile dire non si tratti di fattispecie di dettaglio di matrice giurisprudenziale, almeno fino alla recente l. 8 marzo 2017, n.64) o riguardo alle molestie sessuali, fonti di nuovi e notevoli volumi di contenzioso.
Insomma questo nuovo ruolo della nomofilachia può produrre, riguardo alla stabilità del sistema, una sorta di ritorno rinnegante. Non sono solo le giuste fonti o il loro accavallarsi e moltiplicarsi a ingenerare insicurezza, perché può esserlo anche la giurisprudenza paludata da custodia delle leggi: non più, alla Montesquieu, perché si decida oggi come si è deciso ieri; ma perché si decida domani come si è deciso di decidere solo oggi.
 
V
La produzione di nuovo diritto nella prospective overruling
Espressione tecnica di questa nuova capacità di espansione e del suo effetto è quella  – presa a prestito dal sistema statunitense, dove però il ruolo del giudice è ben altro – della prospective overruling sostanziale e della modulazione degli effetti dei mutamenti giurisprudenziali, cioè dell’innovazione giurisprudenziale prospettica: differita nel tempo – la prospettiva di un durevole tempo futuro – a opera dello stesso giudice che non applica la regola al caso che decide, ma la pone per i casi futuri.
La consapevolezza aiuta a razionalizzare. Con lo schema della c.d. prospective overruling[62], la sentenza in apparente litote negando afferma una nuova capacità imperativa differita nel tempo. Statuisce due precetti in contraddizione: uno, quello dei precedenti che ribadisce per l’ultima volta, per il caso sub iudice; un altro, fuori del giudizio per cui il giudice è abilitato a parlare, per i casi futuri. Si nega così la naturale retroattività dichiarativa del revirement e si contrasta la caratteristica principale della decisione, che – dichiarativa del diritto – è naturalmente retroattiva. Un ius dare piuttosto che un ius dicere.
Questo tipo di sentenza che modula nel tempo gli effetti del mutamento giurisprudenziale alla maniera di quanto può la CGUE ex art. 274, secondo comma, TFUE[63], – manomettendo al posto del legislatore la propria natura dichiarativa – crea un nuovo diritto in attesa di applicazione: e giustifica il potere creativo con il giusto processo dell’art. 6 CEDU e dell’art. 111 Cost., e con il generale principio di ragionevolezza. Chiave di volta sarebbe il rispetto di diritti fondamentali collegati a un precedente e consolidato diverso orientamento, la cui modifica era imprevedibile e rischia la compressione del diritto di difesa o di azione. La giustificazione è che è un espediente servente alla sicurezza giuridica; fattore unificante teso ad assicurare stabilità e chiarezza delle regole [64] [65] [66].
La pratica è usualmente di diritto processuale ma è spinta nel diritto sostanziale da, ad es., Cons Stato, Ad. plen., 22 dicembre 2017, n. 13. Se la sentenza ha inteso mettere un ordine definitivo a situazioni da lungo precarie in tema di vincoli paesistici, occorre pur registrare che è stata sottoposta a ferma critica per l’impressione che l’Adunanza plenaria abbia «legiferato», in contrasto con l’art. 101, secondo comma, Cost. che vuole il giudice sottoposto alla legge senza poterla creare perché deve limitarsi ad interpretarla in base alla fondamentale separazione dei poteri, che non sopporta che alla giurisprudenza sia attribuita la qualità di fonte del diritto. Tanto più che, nel caso, la disapplicazione dell’innovazione interpretativa non è più limitata a norme processuali e a difesa dell’interesse del privato e del suo affidamento su una interpretazione consolidata, ma sull’interesse dell’Amministrazione. La giurisprudenza non si era ancora spinta sino a un potere generale di modulazione degli effetti temporali delle pronunce, e debole è l’asserito legame di filiazione con i poteri di modulazione delle sentenze di annullamento della CGUE ex art. 274, secondo comma, TFUE: il che esorbita dai confini del potere giurisdizionale[67].
 
Ma a parte l’innovazione prospettica, vi sono frequenti ipotesi di manifesta creazione giurisprudenziale anche a formazione semplice. Alcuni anni fa, sull’indeterminatezza delle clausole generali (dunque, in terreno più usuale), la Corte di cassazione si era spinta a parlare apertamente di “giurisprudenza-normativa” quale “autonoma fonte di diritto”[68].
Insomma, la nomofilachia oggi si mostra non solo un rimedio sostanziale alla crisi della legge, che opportunamente colma i vuoti e risponde ai dubbi che quella lascia o apre, ma anche altro. Essa porta con sé la capacità, rinforzata da qual particolare quasi-stare decisis, di nuovo strumento di giurisdizionalizzazione del diritto. Il paradosso può compromettere quell’esigenza generale di sicurezza giuridica in cui affonda la sua giustificazione. Non basta allora evocare l’elevato senso di responsabilità sociale e istituzionale dei giudici superiori, perché comunque ritorna il tema dell’investitura nell’ufficio e della contraddizione tra l’imparzialità del giudicare e l’inevitabile parzialità del porre norme.
Patente, come si è accennato, è l’influenza del diritto europeo, eurounitario e convenzionale, entrambi però – a differenza del nostro ordinamento – strutturalmente configurati a forte connotazione giurisprudenziale. Queste creazioni di diritto giurisprudenziale ricevono infatti l’esempio della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo: che, per conseguenze dei rispettivi modi d’essere, esprimono un ruolo costruttivistico[69].
È del resto previsto, riguardo agli ordinamenti interni degli stati membri, che le decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rese su rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE siano assistite da un loro particolare effetto nomofilattico rinforzato (inteso a garantire il carattere unitario del diritto UE tramite un’interpretazione e un’applicazione corretta e uniforme da parte dei giudici nazionali): il rinvio è obbligatorio per i giudici di ultima istanza e le decisioni stesse sono obbligatorie. È quella una vincolante e debitamente creativa nomofilachia ante iudicium del diritto eurounitario, essenzialmente centralizzata – analogamente alla Corte di cassazione a Sezioni Unite – nella formazione in Grande Camera della Corte.
 
VI
Una soluzione costituzionalmente necessaria: il self restraint e il dovere di ‘interpretazione prudente’.
Insomma, la realtà mostrata dalla giurisprudenza creativa non permane contenuta ne «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale» dell’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario.
Individuate le nuove giustificazioni di sicurezza giuridica della nomofilachia e al tempo stesso i pericoli della dissimulata nomotesia, diviene indispensabile una considerazione sui limiti di accettabilità in un ordinamento fondato sul principio liberale di separazione dei poteri, dove il judicial activism[70] con l’uso illimitato della judicial discretion[71] pone fuori dell’asse del sistema che il giudiziario possa a sua propria valutazione[72] innovare alla legge[73]. Si riapre l’immanente e perpetua questione anche per la provenienza – si passi l’ossimoro – aristo-burocratica, che si vorrebbe fondata su una competenza “epistocratica”[74] del giudice continentale che lo abiliterebbe a dare diritto in luogo del legislatore ormai dequotato. Rivive, per altre cause ma con analoghi effetti, la preoccupazione di fondo di oltre due secoli fa, da cui qui siamo partiti.
Ma questa non è quella società e l’esposizione sociale può essere ben più seria: la trasformazione della nomofilachia può aprire in ultimo – esperienza da non dimenticare – al rischio grave e illiberale dell’“interpretazione illimitata”, di cui la storia europea del sec. XX ha offerto punte aberranti[75].
I pesi e contrappesi costituzionali dovrebbero soccorrere a riequilibrare lo sbilanciamento che apre alla giurisprudenza il normare de futuro ponendo un nuovo “precedente”. Per molteplici e complesse che ne siano le cause, resta che l’effetto è inaccettabile, perché manifesta un giudice creatore privo di investitura politica, non legittimato e sospettabile di autoinvestitura, o oppositiva o compiacente.
Diviene allora essenziale guardare stabilmente all’equilibrio dei poteri, contenendo nel self restraint la nomofilachia, prima che fattori esterni pongano questioni sul reclutamento dei suoi protagonisti. Resta immanente ed essenziale la distinzione tra i poteri pubblici nel dare (la politica) e nell’accertare (la giustizia) il diritto, con le rispettive, diverse, investiture: lo riportano alla luce le tensioni rinneganti con la sicurezza giuridica.
Occorre dunque che il giudice della nomofilachia nell’enunciare «principi di diritto» si impronti all’idea di doverosità di – a riprendere un’antica espressione – un’“interpretazione prudente”: cauta, contenuta, il meno discosta dalle norme e dalla separazione dei poteri[76]. A fronte dell’opinabile quanto espansiva tendenza a usare, e talvolta in modo dominante, degli spazi aperti di cui per sua natura dispone il giudice di common law, con bilanciamenti, proporzionalità e richiami alla ragionevolezza, si impone ciò che in quell’ambiente viene chiamato judicial restraint. Dunque, un’interpretazione strettamente complementare al testo, che rifugga dalle suggestioni creative del judicial activism; che mantenga saldo il principio di soggezione del giudice alla legge dell’art. 101 Cost. essendo la legge l’autentica fonte del diritto[77]. Un’interpretazione insomma che permanga, nel possibile, solo ordinatrice e che rimandi al legislatore le sue responsabilità, senza ricercare giustificazione nelle sue inerzie; che si sottragga ad essere, pur nell’apparente rispetto di principi o regole fondamentali come l’affidamento, creatrice di diritto; che non faccia deviare un ordinamento continentale verso un’alternata e incoerente ibridazione[78] con un judge-made law: del quale, è il nodo, il nostro giudice-funzionario, per quanto professionalmente selezionato, giustamente non ha il titolo “aristocratico”[79]di investitura[80].
Sullo sfondo sta sempre la questione, alla lunga ineludibile, della legittimazione ad tenere gli spazi della creazione delle norme. A dimenticarlo, i modi del reclutamento e della progressione dei giudici diverranno tema non più solo organizzativo, ma ormai pertinente ai contenuti di questa nuova, manifesta, funzione[81].
 
Giuseppe SEVERINI
Presidente di Sezione del Consiglio di Stato
 
Pubblicato il 5 novembre 2018
 


* Relazione alle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa, “Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica”, Castello di Modanella, Rapolano Terme, 8- 9 giugno 2018. Testo pubblicato in www.federalismi.it, n. 19 del 10 ottobre 2018.

 

 

 

 

 

[1] Pochi giorni dopo, con la legge 7 novembre-1 dicembre 1790, fu istituito il Tribunal de cassation: organo non giudiziario ma di controllo costituzionale, «établi auprès du Corps legislatif» [non “dans le sein” del legislativo, come chiedeva Robespierre che lo voleva tra il legislatore e la “loi rendue”], che vigilava sui giudici – cui era vietata l’interpretazione – perché non violassero la legge; un custode della legge, longa manus del potere legislativo sui giudici: P. CALAMANDREI, La Cassazione Civile. II. Disegno generale dell’istituto, Torino 1920, ora in Opere giuridiche, II, Napoli 1976, 120 ss.. V. recentem. G.F. RICCI, Il giudizio civile di cassazione, II ed., Torino 2016, 5.

In applicazione del principio di separazione dei poteri, il Tribunal de cassation doveva prevenire ogni commistione del potere giudiziario negli affari legislativi cassando le interpretazioni della legge a opera dei giudici. Fu però presto sostituito dalla Cour de cassation (1804), giudice deputato a vagliare la corretta applicazione delle norme del diritto a opera dei giudici di merito: capacità divenute definitive solo dopo l’abrogazione (1837) del travagliato référé législatif, che negava la ragione chiarificatrice della giurisprudenza. Insieme a quell’abrogazione, furono istituite le Sezioni Unite (Chambres réunies) aprendo così la via definitiva del controllo giudiziario dell’interpretazione: il relatore del disegno di legge affermò che la Cour de cassation “est chargé de mantenir l’unité et l’uniformité de la doctrine et de la jurisprudence”. Si tornava così a riconoscere ai giudici una capacità interpretativa, seppur col dovere del giudice di rinvio di conformarsi alla decisione di cassazione. Lo stesso J.-É.-M. PORTALIS, il principale dei commissari che scrissero il Code civil, aveva riconosciuto che l’applicazione della legge era impossibile senza interpretazione, specie a fronte del divieto del non liquet posto dall’art. 4 che qualifica come sanzionabile diniego di giustizia, il rifiuto di giudicare sotto pretesto del silenzio, dell’oscurità o dell’insufficienza della legge. Resta icastica l’esclamazione attribuita a Napoleone, «Mon code est perdu», davanti ai primi commenti e interpretazioni (LAS CASES, Le Mémorial de Sainte-Hélène, Paris, La Pléiade, 1956, II, 53).

[2] MONTESQUIEU, De l’esprit des lois [1748], I, 6.

[3] «par une bizarrerie qui vient plutôt de la nature que de l’esprit des hommes, il est quelquefois nécessaire de changer certaines lois. Mais le cas est rare, et lorsqu’il arrive, il ne faut y toucher que d’une main tremblante»: MONTESQUIEU, Lettres persanes [1721], Lettre 79.

[4] Rechtssicherheit, sécurité juridique. Il concetto è di formulazione tedesca. Lo si fa risalire al giurista liberale bavarese Wilhelm Joseph BEHR, 1810, come riferito ai diritti del singolo (vita, libertà, onore, proprietà) verso lo Stato mediante il diritto ed è usualmente utilizzato nel mondo giuridico germanico: per G. RADBRUCH è una delle finalità essenziali dello Stato. È ripreso dall’ambiente francese dagli anni ’60, con un’accezione inclusiva ma più ampia della nostra certezza del diritto. Si veda il rapporto del Conseil d’État francese del 1991 Rapport public 1991, De la sécurité juridique, ed. La Documentation française, che tratta dell’instabilità delle regole e della degradazione delle norme, individuandone le cause con formule rimaste celebri. In Italia, cfr. A. PACE, Libertà individuali e qualità della vita, Napoli, 2008, 93, la individua nella “legittima aspettativa a che i pubblici poteri rispettino il sistema delle fonti”. Per la giurisprudenza costituzionale è elemento fondamentale dello Stato di diritto: cfr. Corte cost., 10 febbraio 1993, n. 39, 26 gennaio 1994, n. 6, 28 febbraio 1997, n. 50, 23 dicembre 1997, n. 432; 22 novembre 2000, n. 525; 24 luglio 2009, n. 236; 11 giugno 2010, n. 209; 19 luglio 2013, n. 225;10 giugno 2016, n. 133; 24 gennaio 2017, n. 16. M. LUCIANI, L’éclipse de la sécurité juridique, in Revue française de droit constitutionnel, 2014, 991 ss.. Id., voce Interpretazione conforme a costituzione, in Enc. dir., Annali IX, 2016.

[5] V. per tutti F. LÓPEZ DE OÑATE, La certezza del diritto, a cura di G. Astuti, Milano 1968.

[6] V. il rapporto del Conseil d’État del 2006, Sécurité juridique et complexité du droit – Rapport public 2006, che riprende quello del 1991, in http://www.conseil-etat.fr/Decisions-Avis-Publications/Etudes-Publications/Rapports-Etudes/Securite-juridique-et-complexite-du-droit-Rapport-public-2006. Nel mondo anglosassone oggi si tende a sintetizzare la legal certainty nella formula legal stability and predictability.

[7] che riprendeva il divieto di interpretatio della Ordonnance civile del 1667, per la quale se nel giudizio si fossero presentate difficoltà interpretative di un testo regio, il giudice avrebbe dovuto sospendere il giudizio e chiedere l’interpretazione autentica del sovrano. Dal che poi il référé législatif della Rivoluzione.

[8] L’espressione, da allora invalsa in dottrina, oggi non è più soltanto di scuola ma anche normativa: il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 si intitola “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica” (cfr. E. LUPO, Il ruolo della cassazione: tradizione e mutamenti, in Arch. pen., 2012, 155 ss. e G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale,- “Giudici e legislatori” in Diritto Pubblico, n. 1/2017 e Dir. pen. contemp., 2).

[9] L’origine dell’ufficio è connessa all’esigenza di sicurezza e stabilità delle leggi, evidentemente non sufficientemente garantita dall’avvenuto passaggio al diritto scritto ad opera dei grandi legislatori. In Atene e in varie πόλεις dell’antica Grecia, specialmente a costituzione aristocratica, i “nomofìlaci” (νομοφὐλαξ: “custode della norma”; da νóμοϛ, legge, e φυλάσσω, vigilare; da cui νομοφυλακία) costituivano una magistratura, collegiale o monocratica, che custodiva il testo ufficiale delle leggi e assicurava la stabilità della legislazione contro le tendenze a mutarla di assemblee popolari e demagoghi. Fino a Clìstene (507 a.C.) gli ateniesi erano promanazione dell’Aeropago, il tribunale supremo. Vagliavano preventivamente le proposte di legge. Potevano vietarne la presentazione per incostituzionalità o manifesta inopportunità; e potevano denunciarne penalmente i proponenti e giudicarli. Aristotele, Politica (VI, 8), li chiama istituzione aristocratica. Cicerone lamenta che non erano previsti a Roma (De legibus, III, 20: “legum custodiam nullam habemus”). Talora erano chiamati “tesmofìlaci” (custodi delle leggi primordiali, ispirate dalla divinità: θεσμοί). Ad Atene i sette nomofilaci furono istituiti nel 462 a.C. e sono documentati dal 317 a.C. con la costituzione aristocratica di Demetrio di Falero. Così ad vocem V[incenzo] A[RANGIO]-R[UIZ], in Enc. italiana Treccani, XXIV, Roma 1934, 902. Per Platone, Le Leggi (VI, 755 A), i νομοφὐλακεϛ sono magistrati supremi, tra i cinquanta e i settant’anni, che hanno la funzione di controllo di costituzionalità e, all’occorrenza, di correzione della legislazione vigente: A. BISCARDI, “Nomophylakes”, in Nov.ss.mo Dig. It., XI, Torino 1965, 313; A. BANFI, Sulla legislazione di Demetrio del Falero, in Boll. Ist. dir. rom. ‘V. Scialoja’, III s., vol. XL-XLI, Milano 2010, 136. Undici anni dopo (1931) C. SHMITT, Il custode della costituzione, trad. it., Milano 1981, 17, ricordava che il pensiero filosofico e giuridico tedesco del XIX secolo si rifà al paradigma degli efori di Sparta.

[10] Cfr. N. IRTI, Un diritto incalcolabile, Torino 2016; e Calcolabilità giuridica, a cura di A. Carleo, Bologna 2017.

[11] Cfr. P. CALAMANDREI, La Cassazione Civile. II. Disegno generale dell’istituto, Torino 1920, 22, 48 e 86; o in Id., Opere giuridiche, II, Napoli 1976, 34, 92, 105.

[12] P. CALAMANDREI, voce Cassazione civile, in Nov.ss.mo Dig. It., II, Torino 1958, 1057.

[13] V. anche S. EVANGELISTA e G. CANZIO, Corte di cassazione e diritto vivente, in Foro it., 2005, V, 82. L’affidato, statunitense, Black’s Law Dictionary definisce il precedent come una “rule of law established for the first time by a court for a particular type of case and thereafter referred to in deciding similar cases”; per il Merriam Webster’s Dictionary of Law è “a judicial decision that should be followed by a judge when deciding a later similar case”.

[14] M. TARUFFO, Precedente e giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 3, 709.

[15] L’espressione non si ritrova nella dottrina francese (vi corrisponde, all’incirca, l’espressione “fonction juridique” di cassazione), mentre si trova utilizzata dalla dottrina spagnola e sudamericana. Nel linguaggio francese del sec. XVIII, la “nomophilie” stava a significare l’assoluta fiducia nella legge, spinta fino al “legicéntrisme”. Ad ogni buon conto, il modello è quello, è dalla storia della Cassazione francese (v. sopra) che deriva il suo compito di uniformare la giurisprudenza per evitare disparità di giudizi e di sentenze: così, in Francia è assunto che funzione della Cour de cassation è “de veiller au respect de la loi en cassant les décisions en dernier ressort qui la violent et de faire régner l’unité d’interprétation du droit”: G. CORNU, Vocabulaire juridique, Paris 1987-2005, 246. Specifica J. BUFFET, Cour de cassation, in Dictionnaire de la Justice, Paris 2004, 261 che “la mission principal et essentielle de la Cour de cassation […] est veiller à une application uniforme de la loi par les juridictions de l’ordre judiciaire. Il lui revient donc de dire le droit, d’interpréter elle-même la loi, de lever ses ambigüités, de combler s’il y a lieu ses lacunes et, avec l’autorité morale attachée à ses arrêts, d’éclairer les juridictions du fond pare les décisions normatives. Aussi l’appelle-t-on parfois «la Cour régulatrice»”.

[16] Dei due compiti, per F. MAZZARELLA, in Cassazione (diritto processuale civile), in Enc. giur. Treccani, V, Roma 1988 (che richiama P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, 1920, II, 189), domina «l’unità del diritto oggettivo nazionale», cioè l’unificazione della giurisprudenza, che è il primo “dovere funzionale” della Cassazione: da intendere però in senso relativo, come tendenza all’uniformità della giurisprudenza (c.d. nomofilachia tendenziale o dialettica, non più autoritativa, cioè che segue l’opinione più persuasiva perché più accettabile, più razionale e meglio consona ai principi–guida costituzionali: non è questa però, avverte l’A., una storicizzazione della nomofilachia).

[17] Cioè tranne che per le questioni attinenti alla giurisdizione (c.d. nomofilachia esterna): cfr. G.P. CIRILLO, La frammentazione della funzione nomofilattica (2013), in http://www.lexitalia.it/articoli/cirillo_nomofilachia.htm.

[18] «Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione».

[19] «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

 Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa».

[20] A. PAJNO, Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Rassegna Forense, nn.3-4/2014 e in Riv. it. dir.pubbl. com.rio, 2015, n. 2, 645 ss.; L. ROVELLI, Nomofilachia e diritto vivente, 2017: “La funzione di nomofilachia (parallela e non comunicante) appartiene pienamente al Consiglio di Stato benché essa non sia legata ad una particolare organizzazione del giudizio (di tipo cassatorio) ma soltanto al ruolo coperto dall’organo entro il plesso giurisdizionale in cui la funzione è esercitata. Quella funzione è pienamente esercitata da Giudici come il Consiglio di Stato e la Corte dei conti che, pur organizzati secondo il modello proprio del giudice di appello, sono collocati al vertice del proprio Ordine di giudizi. L’esclusione del ricorso per cassazione per violazione di legge fa della decisione di tali Giudici, pronunciata nell’ambito della propria giurisdizione, senza superarne il limiti esterni, la decisione dell’ultimo grado di giudizio, e chiaramente attribuisce ai medesimi, nel rispettivo ordine di competenze, il compito di stabilire quale sia “l’esatta osservanza” dei testi normativi oggetto di interpretazione, e dunque anche la funzione di unificazione della giurisprudenza, di garantire cioè la “uniforme interpretazione””.

[21] «e) le controversie:

1) relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative;

2) relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto;».

[22] In questo stesso senso, confutando la tesi dell’esistenza di una nomofilachia “esterna” della Corte di cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, v. F. PATRONI GRIFFI, Valore del precedente e nomofilachia (intervento alla tavola rotonda al Convegno organizzato del Consiglio Nazionale Forense “Il valore del precedente nel sistema ordinamentale”, Roma, 13 ottobre 2017), in www.giustizia-amministrativa.it,11 ss..

[23] Una “una forma “debole” del principio dello stare decisis – “debole” nel senso che non si arriva ad un vero e proprio sistema di binding precedent –”, secondo G. AMOROSO, Nomofilachia e Massimario, in L’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione: il presente che guarda al passato per pensare al futuro, Ufficio della Formazione decentrata della Corte di cassazione, Roma 12 aprile 2017, 9.

[24] “[…] il precedente vincolante si risolve, ad un tempo, in una regola di funzionamento delle Corti supreme, ed in un elemento di unificazione della giurisprudenza, ed in ultima analisi, in un oggettivo incremento della sua accountability”: A. PAJNO, op. cit., 647.

[25] «Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso».

[26] «Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso».

[27] Su cui, da ultimo, v. G.F. LICATA, Note minime in tema di (continuità e) impersonalità delle decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in www.giustamm.it., n. 4/2018.

[28] e, per la giurisdizione contabile, all’art. 1, comma 7, terzo periodo, d.-l. 15 novembre 1993 n. 453, conv. dalla l. 14 gennaio 1994 n. 19, come integrato dall’art. 42, comma 2, l. 18 giugno 2009 n. 69, che attribuisce al presidente della Corte dei conti di poter deferire le questioni di «particolare importanza» su giudizi pendenti in primo grado: che Corte cost., 27 gennaio 2011, n. 30, ha affermato legittimo riguardo agli art. 24, 25 e 111 Cost..

[29] , che prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione «quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa». Riguardo allo schema verticalizzante dell’art. dell’art. 374, terzo comma, Cod. proc. civ. come mod. dall’art. 8 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40: “Il legislatore ha deciso di rilanciare questo concetto operativo in funzione di governo dell’impetuosa fluidità del diritto contemporaneo. La nomofilachia è la risposta alla postmodernità del discorso giuridico”: G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale,– “Giudici e legislatori” in Diritto Pubblico, n. 1/2017 e Diritto penale contemporaneo, 2.

[30] Rileva G. AMOROSO, op. loc. cit., che ormai la violazione della “giurisprudenza conforme” è parametro di ricorso per cassazione (art. 360-bis Cod. proc. civ. introdotto dall’47, comma 1, lett. a), l. 18 giugno 2009, n. 69, per cui «Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; […]». Cfr.Cass., SS.UU, 21 marzo 2017, n. 7155 per cui il ricorso che censuri l’atto impugnato conforme alla giurisprudenza della corte è inammissibile, ma non manifestamente infondato. Sicché per l’A. “La censura deve quindi essere specificamente orientata verso un invocato revirement che, per essere plausibilmente richiesto, deve fondarsi su argomenti nuovi e diversi da quelli già in precedenza esaminati dalla corte stessa”.

[31] “precedente relativamente vincolante”: così L. ROVELLI, op. cit..

[32] così G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, cit., 6.

[33] Si è ormai persa la consapevolezza che un tempo l’espressione giurisprudenza di merito era considerata quasi un ossimoro, perché per “giurisprudenza” si intendeva a rigore quella delle giurisdizioni superiori, perché carattere essenziale ne era comunque – al di là della mera descrittività,- l’autorevolezza (una semi-fonte di diritto), base della persuasività del precedente.

[34] O. FANELLI, La funzione nomofilattica della Corte di cassazione, in Foro it., 1988, I, 3302 e Id., Il diritto giurisprudenziale e la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, in atti del convegno Le Corti supreme, del Centro internazionale magistrati ‘Luigi Severini’, Perugia, 5-6 maggio 2000, Milano 2001, 57 vede nella nomofilachia “una proiezione dell’art. 3 della Costituzione, essendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge offesa da sentenze che, diversamente interpretando una medesima norma, dettino a casi uguali regole e assetti diversi”.

[35] Si teorizzava che la nomofilachia si alimentasse anche dei contributi della magistratura di merito: cfr. E. FAZZALARI, Il giudizio civile di Cassazione, Milano 1966, 208-209; S. SENESE, Funzioni di legittimità e ruolo di nomofilachia, in Foro it., 1987, V, 256 ss., per il quale la nomofilachia è storicamente e strutturalmente legata ad un modello statuale accentrato, geloso della sovranità nazionale, gerarchizzato, e ad una struttura piramidale della giustizia, del tutto diverso dal modello statuale disegnato dal sistema costituzionale; M. PIVETTI, Quale cassazione. Quale nomofilachia, ivi,1991, 836 ss.; G. BORRÈ, La corte di cassazione oggi, in Diritto giurisprudenziale, a cura di M. Bessone, Torino 1996, 160 [e Id., Il giudizio di cassazione nel sistema delle fonti, in Dem. Dir., 1992, suppl..]; G. SALMÈ, Interpretazione e nomofilachia, in Quest. giust., 2001, 937 ss.. Si è sostenuto che, dopo l’abolizione del concorso per accedervi, ormai la Cassazione conserverebbe il compito di concorrere a formare l’«esatta» interpretazione della legge, ma non più quello di assicurare l’«uniforme» interpretazione, perché oggi la nomofilachia, interpretando il pluralismo, deve esprimere l’incessante tensione dialettica tra le esigenze di certezza del diritto e la libertà di ciascun giudice di rapportarsi direttamente ai valori costituzionali nell’applicazione della legge al caso concreto: M. FRANCESCHELLI, Nomofilachia e Corte di Cassazione, in Giustizia e costituzione, 1986, n. 1-2, p. 39. V. altresì MONETA; Nomofilachia, in Contr. e impresa, 1997, 368.

Sul tema, nel senso invece del recupero della nomofilachia specie di fronte al disordine normativo (pur se si si parla tuttora di nomofilachia anche “circolare”), v. S. EVANGELISTA e G. CANZIO, Corte di cassazione e diritto vivente, in Foro it., 2005, V, 82 ss.; R. RORDORF, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del Diritto Treccani 2012, sottolinea che la nomofilachia è stata spesso intesa come frutto della dialettica tra giudici di merito e giudice di legittimità, fermo il ruolo centrale della Cassazione.

[36] v. oggi art. 118, terzo comma, disp. att. al Cod. proc. civ.: «In ogni caso deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici». La disposizione ricalca l’art. 265, secondo comma, del Regolamento giudiziario per l’esecuzione del Codice di procedura civile, approvato con r.d. 14 dicembre 1865, n. 2641, per il quale «nelle compilazione dei motivi delle sentenze» era fatto divieto di «invocare l’autorità degli scrittori legali»: cfr. G. BARBAGALLO, Stile e motivazione delle decisioni del Consiglio di Stato, in I Consigli di Stato di Francia e d’Italia, Milano 1998; Id., Per la chiarezza delle sentenze e delle loro motivazioni. Il linguaggio della giurisprudenza, in Foro it., 2016, V, 362.

[37] Il giudice francese non cita i precedenti giurisprudenziali, solo parla di giurisprudenza costante o conforme: la motivazione dev’essere infatti intrinseca al singolo caso ed è proscritta la motivazione per riferimento ai motivi di una sentenza resta in altro processo.

[38] Il cui primo comma oggi dice: «La motivazione della sentenza di cui all’art. 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi».

[39] e una “nuova forza espansiva”, come “il legislatore ha deciso di rilanciare questo concetto operativo in funzione di governo dell’impetuosa fluidità del diritto contemporaneo. La nomofilachia è la risposta alla postmodernità del discorso giuridico”: G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale,– “Giudici e legislatori” in Diritto Pubblico, n. 1/2017 e Diritto penale contemporaneo, 2.

[40] L’espressione (che si ispira alla “società liquida” di Zygmunt Bauman) è del norvegese Hans Petter GRAVER per dire delle norme sempre più policentriche, con abbondanza di fonti e alto grado di instabilità e cambiamento, fino al punto che non esistono più punti fissi di riferimento per tirare linee, nelle decisioni, tra il judicial activism e il self-restraint. Un contesto dove le regole non riescono a tenere la loro condizione, perdono in imperatività e coattività sotto la pressione dei corpi politici e soprattutto degli interessi sociali articolati, per essere sostituite da una normatività “leggera e fluida”, come ad es. con il soft law: v. anche M.A. QUIROZ VITALE, Il diritto liquido. Decisioni giuridiche tra regole e discrezionalità. Milano Giuffré 2012; G. MESSINA, Diritto liquido? La governance come nuovo paradigma della politica e del diritto. F. Angeli, Milano.

[41] sempre più ricercate, in tempi di fragilità di maggioranze parlamentari, per traferire al momento applicativo conflitti in realtà non composti a livello legislativo: analogamente alla ‘ambiguità costruttiva’ (ambiguïté constructive, constructive ambiguity) negli accordi internazionali, tecnica della diplomazia per concludere l’accordo nonostante l’assenza di un pieno consenso, funzionale a raggiungere un compromesso per colmare il divario. Cfr. C. VILLAR, Le discours diplomatique, Paris 2006.

[42] S. EVANGELISTA e G. CANZIO, Corte di cassazione e diritto vivente, in Foro it., 2005, V, 82; R. RORDORF, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del Diritto Treccani 2012.

[43] Si veda ad es. gli atti del convegno “Funzione nomofilattica e integrazione delle fonti”, Trento 16 dicembre 2016 e ivi, in particolare, la presentazione e le considerazioni di E. DE FRANCISCO e le relazioni di R. CAPONIGRO, La giurisprudenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nel sistema delle fonti e A. STORTO, I TAR dinanzi ai contrasti giurisprudenziali e alle pronunce dell’Adunanza Plenaria.

[44] Per la giustizia amministrativa, A. PAJNO, Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Rassegna Forense, nn.3-4/2014 e in Riv. it. dir. pubbl. com.rio, 2015, n. 2, 345 ss., parla di “stagioni diverse della nomofilachia e del suo esercizio.”. V. anche F. PATRONI GRIFFI, La funzione nomofilattica: profili interni e sovranazionali (Relazione al 63° Convegno di Varenna, 23 settembre 2017), in www.giustizia-amministrativa.it.

[45] “dobbiamo guardarci da una nomofilachia “verticale”, riservata alla Corte di cassazione e declinata in senso gerarchico. La nomofilachia moderna non può essere che ‘orizzontale’, ‘circolare’ e ‘cetuale’”: G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale,“Giudici e legislatori” in Diritto Pubblico, n. 1/2017 e Diritto penale; “È ovvio che all’espletamento di questa funzione sono indispensabili gli apporti e gli stimoli critici provenienti dai giudici di merito”: R. RORDORF, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del Diritto Treccani 2012.

[46] v. ad es. R. RORDORF, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del Diritto Treccani 2012. S veda il recente (maggio 2017) documento, a cura della Fondazione Italiadecide, La nomofilachia nelle tre giurisdizioni, in www.italiadecide.it, che precede e accompagna l’omonimo Memorandum sottoscritto dai vertici delle giurisdizioni superiori al Quirinale il 15 maggio 2017, ivi e in www.federalismi.it. Sia consentito rinviare a G. SEVERINI, Il dialogo tra le giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrativa in Italia, in www.federalismi.it, n. 4/2017; F. PATRONI GRIFFI, Convergenze tra le Carte e criticità tra le Corti nel dialogo tra Giudici supremi, ivi, 2/2017.

[47] Cfr. S. CASSESE, La democrazia e i suoi limiti, Milano 2017, per il quale le giurisdizioni superiori sono “componenti aristocratiche dello stato democratico”.

[48] M. WEBER, Economia e società, 2^ ed. it., Milano, Comunità, 1968 [Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr, 1922], III, 100 ss..

[49] “[…] recuperare, sul piano della stabilità della giurisprudenza, quanto la certezza del diritto ha perso in termini di sistematicità e chiarezza della normativa”: R. RORDORF, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del Diritto Treccani 2012.

[50] A. CAMUS, Sur une philosophie de l’expression [1944], in Oeuvres complètes, Paris 2009, I, 908.

[51] “[…] un diverso rilievo che l’esercizio della funzione di nomofilachia è andato assumendo, in correlazione con i mutamenti intervenuti nel suo oggetto e nei suoi contenuti” […]; Tale complessità, che ha fatto apparire necessario alla dottrina un ripensamento dell’intero sistema delle fonti, impone al giudice interno, in sede di applicazione delle norme giuridiche, un più intenso impegno interpretativo, dovendo egli sforzarsi di individuare una lettura che risulti di volta in volta coerente con i valori emergenti dalla Costituzione, dalla CEDU o dal diritto comunitario. Il progressivo allargamento della prospettiva ermeneutica verso questa dimensione “esterna” della legalità fa apparire quanto mai attuale e rilevante l’esigenza della nomofilachia la quale […] non può ritenersi mutata nella sostanza, ma nell’oggetto, avendo come punto di riferimento un νόμος ben diverso, nelle fonti e nei contenuti, da quello tenuto presente da Calamandrei agli inizi del secolo scorso”: E. LUPO, Il ruolo della cassazione: tradizione e mutamenti, in Arch. pen., 2012, 155 ss.. Cfr. M. LUCIANI, Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale, in Dir. e società, 2014, 433 e www.rivistaaic.it.

[52] Nομοθέσια (da νóμοϛ, legge; e τίθημι, porre): l’opera dei legislatori. Realizza l’esigenza di ordinamento pubblico e certezza universale delle norme, prima appannaggio dell’aristocrazia che esprimeva i giudici; precede nella storia la nomofilachia, pur orientata ad analogo fine di sicurezza giuridica. Il νομοθέτης era il grande legislatore [es. Licurgo (forse VII sec. a.C.), Solone (594 a.C.), Clistene (507 a.C.)] o comunque il membro di collegi nominati dalla Βουλή competenti a proporre o approvare la revisione della legislazione. Cfr. L. SORGE LEPRI, “Nomothetai”, in Nov.mo Dig. It., XI, Torino 1955, 232. Nel 403 a.C. ad Atene, caduto il regime dei Trenta, la commissione dei nomoteti ebbe il compito di ripristinare le norme tradizionali, garantirne l’osservanza e introdurre le innovazioni ritenute necessarie. L’approvazione avveniva dopo che una prima stesura era stata sottoposta al vaglio del popolo (δοκιμασία) e così le leggi venivano scolpite all’angolo dell’Agorà sul muro della Στοά Βασίλειος, sede dell’arconte re e dell’Aeropago, di fronte alla statua di Temi. Sia per Platone che per Aristotele, la parola designa il legislatore ideale: A. BANFI, Sulla legislazione di Demetrio del Falero, in Boll. Ist. dir. rom. ‘V. Scialoja’, III s., vol. XL-XLI, Milano 2010, 60.

Nelle colonie (ἀποικίαι) della Magna Grecia, particolarmente bisognose di certezza del diritto rispetto alla madrepatria (μητρόπολις) – perché composte da nuove comunità di fuorusciti, mercanti ed eccedentari, frammiste ad autoctoni di diverse origini e tradizioni -, la nomothesia (νομοθεσία) o nomografia (νομογραφία) segnò attorno al VI-V sec. a.C. il primo passaggio greco al diritto scritto (νóμοϛ ἔγγραφος) dal diritto consuetudinario (νóμοϛ ἄγραφος), preferito dai greci e spesso tramandato dapprima in metrica e musica da un cantore delle leggi (νομωδός) poi a memoria da appositi funzionari (μνήμωνες): cfr. L. BRACCESI e G. MILLINO, La Sicilia greca, Roma 2000. Tra le prime πόλεις a darsi leggi scritte – già apparse a Creta – pare sia stata nel VII sec. a.C. Locri (Λοκροὶ Επιζεφύριοι) con Zaleuco, celebre per la legge del laccio al collo a contrastare innovazioni o male interpretazioni orali – finanche del giudice supremo regolatore della città (κοσμόπολις) – della legge finalmente scritta: V. GHEZZI, I Locresi e la legge del laccio, in Dike, 2008, 101; M.L. ZUNINO, Scrivere la legge orale, interpretare la legge scritta. I nomoi di Zaleuco, in Quaderni di storia, Bari 1998). Altri riferiscono la figura al catanese Caronda (VI sec. a.C.). Le leggi venivano incise su steli esposte al pubblico, erano immodificabili “per cento anni” (είς εκατόν έτη) e per renderle stabili il legislatore (es. Licurgo, Solone) dopo averle date andava in allontanamento, quasi un esilio (αποδημία).

Analogo fu poi a Roma il compito dei decemviri legibus scribundis per le leggi delle XII tavole (451-450 a.C.), il cui ufficio fu di rendere il diritto scritto, certo e conoscibile per tutti, contro l’arbitrio dei patrizi depositari delle consuetudini (mores) nel collegio dei cinque pontifices e la contingente interpretatio pontificum. Pare che il loro compito fosse preceduto da una missione di un anno di tre senatori nella Magna Grecia e, forse, nell’Atene di Pericle, per conoscere l’opera di scrittura dei greci. Le leggi furono – analogamente alla δοκιμασία ateniese – previamente lette (lex da lĕgĕre, scegliere, dire, leggere) e sottoposte all’approvazione dei comizi centuriati; infine, scolpite nel bronzo, esposte nel Foro. Cicerone ricorda che ancora ai suoi tempi il testo delle Tavole veniva imparato a memoria dai bambini come poema d’obbligo (Discebamus enim pueri XII ut carmen necessarium, quas iam nemo discit: De legibus, 2,23,59).

[53] Verticalità peraltro negata da G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale,– “Giudici e legislatori” in Diritto Pubblico, n. 1/2017 e in Diritto penale contemporaneo, 5.

[54] binding (o mandatory o authoritative) precedent: l’horizontal stare decisis concerne i precedenti della medesima corte e si esprime nel dovere del giudice di fedeltà a quei precedenti o ai precedenti di uffici di livello corrispondente. Va rammentato la “doctrine of precedent” (che “decide similar cases similarly”) dei paesi di common law deriva dal principio medievale per cui il diritto espresso dalle corti del re rappresentava “the common system of law throughout the land of the realm”, a contrastare le consuetudini locali applicate dalle corti locali o signorili.

[55] così G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, “Giudici e legislatori”, in Diritto Pubblico, n. 1/2017 e Diritto penale contemporaneo, 6.

[56] art. 5 del Code civile: «Il est défendu aux juges de prononcer par voie de disposition générale et réglementaire sur les causes qui leur sont soumises».

[57] V. per tutti C. MEOLI, Il declino della legge statale – Libro dell’anno del Diritto Treccani 2013.

[58] “la crescente “complessità” degli ordinamenti facenti capo ad uno Stato-nazione moderno, comporta inevitabilmente un certo grado di trasferimento sui soggetti cui è attribuito il compito di risolvere conflitti, di un ruolo molto rilevante nel passare dai testi normativi, all’individuazione della “regula iuris” destinata ad applicarsi in ciascun caso concreto”: L. ROVELLI, Nomofilachia e diritto vivente, 2017.

[59] Gli argomenti tradizionali contrari sono quelli della separazione del poteri, della mancanza di abilitazione costituzionale porre norme, dell’esclusività della legge, del difetto di rappresentatività del giudice, della retroattività della giurisprudenza, della limitazione soggettiva del giudicato.

[60] MONTESQUIEU, De l’esprit des lois [1748], XI, cap. XVI: «Mais les juges de la nation ne sont, comme nous avons dit, que la bouche qui prononce les paroles de la loi ; des êtres inanimés, qui n’en peuvent modérer ni la force ni la rigueur».

[61] Cfr. artt. 363, 374, 384 Cod. proc. civ., come modd. dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40; art. 99 Cod. proc. amm..

[62] la prospective overruling nasce nel diritto statunitense – ma non britannico -, che si preoccupa della reliance, cioè dell’affidamento nel principio che viene overruled. Perciò innova (overrule) sì ai precedenti, ma escludendo dall’innovazione il caso all’esame. Sicché è solo prospective, cioè de futuro. In sostanza, nella sentenza sono contenuti due precetti in apparente contraddizione: uno che vale ancora per il caso concreto, un altro per tutti i casi futuri.

[63] Che fonda tale specifico poter sull’art. 264 TFUE: «Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell’Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. // Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi» [già art. 174 del Trattato di Roma, che peraltro era limitato all’annullamento dei soli regolamenti].

[64] es. Cass. SS.UU., 11 luglio 2011, n. 15144 (su cui R. RORDORF, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, cit.), che conferma l’efficacia dichiarativa di mutamenti, essendo i giudici soggetti alla legge ex art. 101, secondo comma, Cost.; c’è affidamento incolpevole quando il mutamento, “repentino e imprevedibile”, preclude del diritto di azione e di difesa (cfr. Cass., SS.UU., 9 settembre 2010, n. 19246 e ord. 11 aprile 2011, n. 8127, e 28 gennaio 2011, n. 2067; SS.UU.,16 giugno 2014, n. 13676; 7 ottobre 2015, n. 20007, e 2 ottobre 2015, n. 19700). Il principio è recepito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato: es. Cons. Stato, VI, 10 maggio 2011, n. 2755; IV, 6 dicembre 2013, n. 5822; V, 2 ottobre 2014, n. 4929; Ad. plen., 7 giugno 2012, n. 21; 30 gennaio 2014, n. 7 e 2 novembre 2015, n. 9; 22 dicembre 2017, n. 13. Contra, Cons. Stato, Ad. plen., 13 aprile 2015, n. 4, per la quale in virtù del principio della domanda, in presenza di un atto illegittimo (causa petendi) di cui si è chiesto l’annullamento (petitum), non può non seguire l’effetto distruttivo a causa di una valutazione del giudice; questi al massimo può determinare, in relazione ai motivi sollevati, la portata dell’annullamento, con formule come l’annullamento parziale. V. oltre sui mutamenti di giurisprudenza in tema di oneri di sicurezza aziendali negli appalti pubblici.

[65] In Francia si parla di droit transitoire de la règle jurisprudentielle” o di “revirement prospectif”. Il Conseil d’État ammette di modulare nel tempo gli effetti di un revirement giurisprudenziale, anche se in casi limitatissimi, a partire dalla “jurisprudence Tropic (CE, Assemblée, 16 luglio 2007, Société Tropic Travaux Signalisation, n. 291545, che ammette il ricorso contro il contratto pubblico dell’impresa esclusa dalla gara). V. anche CE, Section du Contentieux, 6 giugno 2008, Conseil départemental de l’ordre des chirurgiens-dentistes de Paris, n. 283141 (le regole che derivano da una decisione, non poste dalla legge e non risultanti da giurisprudenza anteriore, non possono essere opposte al ricorrente se ne comportano la negazione del diritto al ricorso); CE, 2 settembre 2009, Assistance publique de Marseille, n. 297013, T.; CE, Assemblée, 4 aprile 2014, Département de Tarn-et-Garonne, n. 358994 (che generalizza la giurisprudenza Société Tropic Travaux Signalisation e cambia le regole contenziose, ammettendo – ma solo per il futuro – il ricorso di terzi direttamente contro i contratti pubblici e non più soltanto contro gli atti preparatori e di evidenza pubblica («actes détachables») del contratto, com’era sin dalla celebre ma lontana “jurisprudence Martin”: CE, 4 agosto 1905, Martin); CE, 17 dicembre 2014, M. Serval, n. 369037 (anch’essa sul dies a quo per ricorrere)[cortese segnalazione del conseiller d’État Louis DUTHEILLET DE LAMOTHE]. Analogamente per la Cour de Cassation, si ritiene che la sicurezza giuridica, sulla base del giusto processo, impedisca l’applicazione immediata di una nuova soluzione da evoluzione della giurisprudenza, se questa sacrifica un diritto che deriva da una giurisprudenza consolidata, se la parte viene privata dell’accesso al giudice (Cass., 1ère Chambre civile, 11 giugno 2009, n. 07-14932, BICC del 1 dicembre 2009 e Legifrance; Ass. Plén., 21 dicembre 2006, n. 00-20493, Bull. 2006, Ass. plén, n°15 (rejet), et le sentenze citate; Com., 13 novembre 2007, n. 05-13248, Bull. 2007, IV, n. 243. La Corte nel 2004 era stata sollecitata a riflettere sugli inconvenienti dei revirements di giurisprudenza e un gruppo di lavoro a composizione mista istituto in seno al Service de documentation et d’études de la Cour de cassation, con un rapporto al Presidente del 25 marzo 2006 (Rapport Molfessis), sottolineò la necessità di un diritto transitorio dei revirements e suggerì che la stessa Corte avrebbe potuto anche decidere della retroattività delle sue sentenze: fu fatto riferimento sia alla giurisprudenza della CGUE che della Corte EDU, sia a un precedente del Conseil d’État dell’11 maggio 2004

[66] Per la Corte EDU – cauta sul tema – il riguardo è all’art. 13 (Diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione. La Corte tende a tener ferma la retroattività delle innovazioni giurisprudenziali e a relegare la questione a tema di diritto interno, solo richiedendo la motivazione del revirement: es Corte EDU, Atanasovski c. “Ex Repubblica jugoslava di Macedonia”, n. 36815/03 del 4 gennaio 2010, per cui “le esigenze di certezza del diritto e di tutela della fiducia dei cittadini non conferiscono un diritto acquisito alla coerenza giurisprudenziale (si veda Unédic c. Francia, n. 20153/04 § 74, 18 dicembre 2008)”. La Corte ha affermato (in Corte EDU, Sepe e Di Leta c. Italia, 16 settembre 2014, n. 36167/07) che “l’evoluzione della giurisprudenza non è, di per sé, contraria alla corretta amministrazione della giustizia, poiché il venire meno di un approccio dinamico ed evolutivo rischierebbe di ostacolare le riforme o il miglioramento”.

[67] Sono queste le dettagliate considerazioni di M. CONDORELLI, Il nuovo prospective overruling, «dimenticando» l’Adunanza plenaria n. 4 del 2015, nota a Cons. Stato, Ad. plen., 22 dicembre 2017, n. 13, in Il Foro italiano, 2018, III, 163.

[68] Così, testualmente, Cass., III, 11 maggio 2009, n. 10741 (in Foro it., 2010, I, 141, con nota parzialmente critica di F. DI CIOMMO, “Giurisprudenza- normativa” e ruolo del giudice nell’ordinamento italiano) in tema di responsabilità civile del sanitario, che afferma:

“[…] l’apporto della giurisprudenza, in specie di legittimità nell’espletamento della funzione di «nomofilachia» […], assume sempre più rilievo nel sistema delle fonti in linea con la maggiore consapevolezza dei giudici di operare in un sistema ordinamentale che, pur essendo di civil law e, quindi, non basato su soli principî generali come avviene nei paesi di common law […], si configura come semi-aperto perché fondata non solo su disposizioni di legge riguardanti settoriali e dettagliate discipline ma anche su c.d. clausole generali, e cioè su indicazioni di «valori» ordinamentali, espressi con formule generiche (buona fede, solidarietà, funzione sociale della proprietà, utile sociale dell’impresa, centralità della persona) che scientemente il legislatore trasmette all’interprete per consentirgli, nell’ambito di una più ampia discrezionalità, di «attualizzare» il diritto, anche mediante l’individuazione (là dove consentito, come nel caso dei diritti personali, non tassativi) di nuove aree di protezione di interessi.

 In tal modo, con evidente applicazione del modello ermeneutico tipico dell’interessenjurisprudenz ([…], in contrapposizione alla begriffsjurisprudenz o giurisprudenza dei concetti quale espressione di un esasperato positivismo giuridico) si evita sia il rischio, insito nel c.d. sistema chiuso (del tutto codificato e basato sul solo dato testuale delle disposizioni legislative senza alcuno spazio di autonomia per l’interprete), del mancato, immediato adeguamento all’evolversi dei tempi, sia il rischio che comporta il c.d. sistema aperto, che rimette la creazione delle norme al giudice sulla base anche di parametri socio-giuridici (ordine etico, coscienza sociale, ecc.) la cui valutazione può diventare arbitraria ed incontrollata.

 La funzione interpretativa del giudice, i suoi limiti, la sua vis expansiva sono, dunque, funzionalmente collegati all’assetto costituzionale del nostro ordinamento quale Stato di diritto anch’esso caratterizzato dal Rule of law (vale a dire dal principio di legalità), assetto in cui il primato della legge passa necessariamente attraverso l’attività ermeneutica del giudice.

 

[70] espressione che pare dovuta a Arthur M. SCHLESINGER Jr. in un articolo del 1947 in Fortune, The Supreme Court, di cui identificava e ripartiva quei giudici in Judicial Activists e Champions of Self Restraint.

[71] La formula è sottolineata da A. BARAK, Judicial Discretion, New Haven and London, Yale University Press, 1989. L’attivismo di Barak da presidente della Corte suprema di Israele (1995-2006) è stato oggetto di rilievi – perché arrivava a rivedere le proprie decisioni e a disattendere le leggi – tra gli altri da R. POSNER, in How Judges Think, Harvard University Press, Cambridge-London, 2008, 364. Posner chiama Barak ‘legal buccaneer’ e lo equipara a Napoleone che si autoincorona, per la concezione di hyperactive judiciary”, che conduce – espandendo la justiciability e universalizzando ragionevolezza e proporzionalità e buona fede come canoni di giudizio – l’interpretazione fino all’ideale personale del giudice e apre le porte al regno del giudizio discrezionale, invece che fornire l’interpretazione obiettiva della legge: “only in Israel […] do judges confer the power of abstract review on themselves, without benefit of a constitutional or legislative provision”. La columnist del Jerusalem Post, Caroline Glick scrisse (17 nov. 2005) che sotto la presidenza di Barak “the country was effectively transformed from a parliamentary democracy governed by law into a judicial tyranny governed by the preferences and prejudices of a fraternity of lawyers that Barak empowered”.

Nella polemica pubblicistica statunitense contro il judicial activism si trovano sovente enfatizzazioni come “judicial tyranny”, “judicial imperialism”, “judicial supremacism”, che domandano a quale titolo il giudice possa creare norme ricorrendo a proprie personali opinioni e prevalere sugli organi elettivi solo in base all’assunto c.d. della Living Constitution (Loose Constructionism vs. Strict Constructionism).

[72] A. GARAPON, Le gardien des promesses. Justice et démocratie, Paris 1996, trad. it. I custodi della giustizia. Giustizia e democrazia, Milano 1996.

[73] è lo schema detto del “governo dei giudici”, celebre sintesi, riguardo al diritto negli Stati Uniti, del francese É. LAMBERT, Le Gouvernement des juges et la lutte contre la législation sociale aux États-Unis. L’expérience américaine du contrôle judiciaire de la constitutionnalité des lois, Paris 1921: trad. it., Milano 1996. Cfr. Governo dei giudici. La magistratura tra diritto e politica, a cura di E. Bruti Liberati, A. Cerettti e A. Giasanti, Milano 1966.

[74] cioè fondata sulla competenza tecnica (ἐπιστήμη). Cfr. J. BRENNAN, Contro la democrazia, Roma 2018 [Against democracy, Princeton University Press, 2016]; S. CASSESE, La democrazia e i suoi limiti, Bologna 2017.

[75] Bernd RÜTHERS, L’interpretazione illimitata (Die unbegrenzte Auslegung. Zum Wandel der Privatrechtsordnung im Nationalsozialismus, Mohr Siebeck, Tübingen 1968; 8 ed. ampliata 2017). Per RÜTHERS, le più importanti fonti di diritto finiscono per essere nella realtà pratica della stessa Repubblica federale tedesca le decisioni di ultima istanza, che modificando il diritto prevalgono di fatto su costituzione e leggi causando un cambiamento strisciante, una “rivoluzione clandestina” della Repubblica federale da stato costituzionale a “stato giudice”: Id: La rivoluzione clandestina dallo Stato di diritto allo Stato dei giudici. Costituzione e metodi. Un saggio, a cura di G. Stella, Mucchi, Modena 2018 [Die heimliche Revolution vom Rechtsstaat zum Richterstaat. Verfassung und Methoden, Mohr Siebeck, Tübingen 2014]. Sulla stessa prospettiva è Jacques KRYNEN, L’État de justice. France, XIIIe-XXe siècle. Tomo II. L’emprise contemporaine des juges, Gallimard, Paris 2012, per il quale in tutti gli aspetti della vita privata e pubblica, e malgrado il deficit di legittimazione dei giudici, la Francia è tornata ad essere, sotto gli auspici dello Stato di diritto, lo Stato di giustizia che era sotto la monarchia, dove i giudici creano norme sulla base del diritto europeo, dei principi generali del diritto, del diritto CEDU. L’A. vede un rimedio nella figura del giudice elettivo.

[76] si allude solo nominalmente alla teologica intepretatio prudens, che era intesa come riduzione della lettera normativa a equità. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 10, paragona l’equità (ἐπιείκεια), che per la giustizia del caso concreto corregge la lettera della legge, al regolo di piombo usato a Lesbo, che si adatta alla pietra e non rimane rigido. La teoria della prudens interpretatio – misericordiosa, benevola e perciò ragionevole – risaliva al teologo Antonino Pierozzi (sant’Antonino da Firenze, 1389-1459) e fu fatta propria dal Concilio di Trento. La Rivoluzione afferma la legge contro l’abuso della giurisprudenza, vissuto nel quotidiano: eloquente l’adagio «Dieu nous garde de l’équité des parlements», in auge sin dalla fine del sec. XVI, come la chiusa della favola di LA FONTAINE, Les Animaux malades de la peste: «Selon que vous serez puissant ou misérable,// Les jugements de cour vous rendront blanc ou noir».

[77]la uniformità della giurisprudenza è espressione della prudenza, intesa come utilizzazione dell’esperienza altrui”: O. FANELLI, op. loc. cit..

[78] v. ad es. R. RORDORF, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del Diritto Treccani 2012, parla di progressivo avvicinamento del nostro sistema giuridico a quello dei paesi anglosassoni – favorito dalla comune partecipazione ad organismi legislativi e giurisdizionali europei e sovranazionali – nei quali, com’è noto, l’area del diritto scritto è meno ampia che da noi ed il precedente giurisprudenziale ha un peso assai più rilevante”.

[79] A. GARAPON, Le gardien des promesses. Justice et démocratie, Paris 1996, trad. it. I custodi della giustizia. Giustizia e democrazia, Milano 1996.

[80] che cioè decida non in modo libero ma sulla scorta di regole tratte da un sistema di norme positive: A. PAJNO, Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Rassegna Forense, nn. 3-4/2014 e in Riv. it. dir. pubbl. com.rio, 2015, n. 2, 650 ss.. Si noti la messa in guardia dall’opposto rischio di M.A. SANDULLI, Principi e regole dell’azione amministrativa”: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in www.federalismi.it, n. 23/2017: “uno Stato costituzionale fondato sulla separazione dei poteri e sul primato delle regole dettate dagli organi rappresentativi della volontà popolare non è compatibile con l’abdicazione del potere normativo a soggetti privi di responsabilità politica […] e, tanto meno, con l’attribuzione alla giurisprudenza di un ruolo di supplenza nella creazione delle regole.”.

[81] “Il restauro della funzione di nomofilachia postula anche la garanzia di un elevato livello professionale dei magistrati chiamati ad esercitarla, sia attraverso una rigorosa disciplina dell’accesso in Cassazione, che selezioni i magistrati effettivamente dotati delle specifiche capacità richieste dall’attività in questione, sia attraverso una costante opera di formazione ed aggiornamento, orientata non solo ai settori tradizionali del sapere giuridico, ma anche alle nuove aree di intervento del giudice, nonché ai più vasti orizzonti offerti dal diritto comunitario ed internazionale. […] Occorre […] prendere atto della peculiarità e delicatezza della funzione demandata alla Corte, la quale esige che la stessa sia composta da magistrati che, per preparazione e capacità di analisi, siano in grado di cogliere, nell’interpretazione del diritto positivo, tutte le implicazioni connesse al segnalato pluricentrismo delle fonti.”: E. LUPO, Il ruolo della cassazione: tradizione e mutamenti, in Arch. pen., 2012, 155 ss..

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