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Non spetta alcun rimborso delle spese legali al revisore dell’ente locale anche se è assolto

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

 

Con sentenza n. 18553, del 13 luglio 2018, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un professionista in qualità di presidente del collegio dei revisori nei confronti del Comune in cui svolgeva tale incarico; per i giudici di legittimità al revisore coinvolto in un procedimento penale e poi assolto con formula piena, non spetta alcun rimborso delle spese legali.
Il contenzioso
Il presidente del collegio dei revisori di un ente locale con atto di citazione aveva chiamato in giudizio davanti al Tribunale il Comune in cui ricopriva tale incarico, per sentirlo condannare al risarcimento del danno da esso subito a causa di un procedimento penale cui era stato sottoposto in ragione del proprio ruolo e dal quale era andato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”. Il revisore ricorrente affermò che, in ragione delle norme sui mandati , egli aveva titolo al rimborso delle spese e al risarcimento degli ulteriori danni, per un importo di € 800.000.
Il Comune si costituì resistendo alla domanda del revisore.
Il Tribunale rigettò le domande, sia la principale sia la riconvenzionale, compensando le spese.
Il revisore propose appello e la Corte d’Appello anche in questo caso rigettò l’appello, ritenendo che le vicende penali che avevano coinvolto lo stesso revisore erano state soltanto occasionate dall’espletamento dell’incarico ma non avevano trovato in esso causa immediata e diretta evidenziando, tra l’altro, il ruolo di “amministratore” del revisore negli enti locali.
Funzioni dell’organo di revisione negli enti locali
Brevemente si evidenzia che il revisore degli enti locali ha precisi adempimenti da svolgere, che il D.Lgs. n. 267 del 2000 gli impone. L’organo di revisione svolge le seguenti funzioni:
a) attività di collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento;
b) pareri, con le modalità stabilite dal regolamento, in materia di:
1) strumenti di programmazione economico-finanziaria;
2) proposta di bilancio di previsione verifica degli equilibri e variazioni di bilancio escluse quelle attribuite alla competenza della giunta, del responsabile finanziario e dei dirigenti;
3) modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni;
4) proposte di ricorso all’indebitamento;
5) proposte di utilizzo di strumenti di finanza innovativa, nel rispetto della disciplina statale vigente in materia;
6) proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e transazioni;
7) proposte di regolamento di contabilità, economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei tributi locali;
c) vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all’acquisizione delle entrate, all’effettuazione delle spese, all’attività contrattuale, all’amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità; l’organo di revisione svolge tali funzioni anche con tecniche motivate di campionamento;
d) relazione sulla proposta di deliberazione consiliare di approvazione del rendiconto della gestione e sullo schema di rendiconto entro il termine, previsto dal regolamento di contabilità e comunque non inferiore a 20 giorni, decorrente dalla trasmissione della stessa proposta approvata dall’organo esecutivo;
e) relazione sulla proposta di deliberazione consiliare di approvazione del bilancio consolidato e sullo schema di bilancio consolidato, entro il termine previsto dal regolamento di contabilità e comunque non inferiore a 20 giorni, decorrente dalla trasmissione della stessa proposta approvata dall’organo esecutivo;
e) referto all’organo consiliare su gravi irregolarità di gestione, con contestuale denuncia ai competenti organi giurisdizionali ove si configurino ipotesi di responsabilità;
f) verifiche di cassa.
L’analisi della Cassazione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1720 c.c.. La sentenza sarebbe contraddittoria laddove, da un lato, individua il revisore ricorrente quale “amministratore” dell’ente e, dall’altro, omette di considerare che l’incarico di presidente del collegio dei revisori dei conti poteva configurare esclusivamente un rapporto di mandato con l’ente.
Per la Corte di Cassazione il motivo di ricorso è infondato.
Per i giudici di legittimità l’art. 1720, comma 2, c.c., allorché stabilisce che il mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico, si riferisce ai danni che sono conseguenza immediata e diretta dell’incarico di mandato, restando estranei quei danni per i quali detta condizione non ricorra.
Per la Corte di Cassazione il preteso danno subito dal revisore ricorrente non dipendeva da ragioni connesse con l’incarico di revisore, ma da denunce di altri organi pubblici o privati e non già dall’espletamento in sé dell’attività di mandatario.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sono da escludere dall’ambito dei danni risarcibili, le spese che il mandatario abbia sostenuto per difendersi in un giudizio penale dal quale sia stato anche prosciolto. In tale caso, infatti, la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l’esecuzione del mandato, ma tra l’uno e l’altro si pone un elemento intermedio, dovuto all’attività di una terza persona, pubblica o privata, e costituito dall’accusa poi rivelatasi infondata.
Con il secondo motivo di ricorso il revisore denuncia l’omessa e contraddittoria motivazione in relazione alla rilevanza degli esiti del procedimento penale. La sentenza sarebbe censurabile nella parte in cui ha, da un lato, escluso il nesso eziologico tra il danno e l’espletamento dell’incarico conferito e, dall’altro, ha escluso la rilevanza del processo penale sulle vicende di causa.
Per i giudici di legittimità il motivo è infondato. Correttamente la Corte d’Appello ha osservato che gli esiti del giudizio penale non sono rilevanti ai fini della domanda di ristoro avanzata dal revisore e che i danni trovano la loro ragione nell’esercizio dell’azione penale da parte della pubblica accusa. Non sussiste alcuna contraddizione tra le due argomentazioni.
Non deducibili le spese per la difesa penale dell’amministratore della società con personalità giuridica
Sull’argomento si segnala la sentenza n. 23089 del 2012 (citata anche nella sentenza in commento) in relazione alle spese legali sostenute da una società per difendere il proprio amministratore.
Per la Corte di Cassazione la società non può portare in detrazione la fattura dell’avvocato che ha difeso il legale rappresentante dall’accusa di corruzione. La spesa non è detraibile neanche se il manager viene assolto perché possono gravare sulla società soltanto le spese sostenute dall’amministratore per attività svolte a causa del mandato tra le quali non rientra l’illecito penale.
La Cassazione con la suindicata sentenza n. 23089 del 2012 aveva respinto il ricorso di una società nei confronti dell’Agenzia delle Entrate che aveva inviato alla contribuente alcuni avvisi di accertamento relativi a Iva, Irpeg e Irap. Una delle varie contestazioni riguardava la detrazione di una fattura emessa dall’avvocato difensore del legale rappresentante della società. Il manager era stato imputato e poi assolto dall’accusa di corruzione nei confronti di alcuni funzionari di aziende appaltanti.
I giudici del merito di secondo grado avevano ritenuto che questi costi non fossero attinenti all’oggetto sociale dell’impresa dal momento che il delitto di corruzione non è equiparabile a responsabilità per sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica.
La società si è, quindi, rivolta alla Cassazione sostenendo che se l’amministratore viene assolto da un’accusa comunque legata alla sua funzione la società deve farsi carico delle spese per la sua difesa.
La Cassazione non è stata dello stesso avviso stabilendo, al contrario, che non è qualificabile come costo di operazioni sociali legittime, ovvero rientranti nell’oggetto sociale, l’assunzione delle spese per la difesa penale dell’amministratore della società con personalità giuridica.
Infatti, ha chiarito il collegio, “possono gravare sulla società soltanto le spese sostenute dall’amministratore per attività svolte a causa del mandato da essa ricevuto e non semplicemente per attività svolte in occasione del mandato stesso. L’illecito penale non può essere compreso tra le attività che il mandante ha il diritto di pretendere dal mandatario, ovvero le attività che sono identificabili come connesse causalmente al mandato. Tra le attività occasionali, e dunque non trasferibili in termini di costi alla società, rientra l’ipotesi in cui le spese siano state effettuate dall’amministratore allo scopo di difendersi in un processo penale per fatti connessi all’incarico, anche se questo si conclude col proscioglimento, l’esito non incidendo poiché quel che rileva è l’assenza del nesso causale, insussistente anche in ipotesi di proscioglimento, posto che, pure in tal caso, la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l’adempimento del mandato, ma tra l’uno e l’altro fatto si inserisce un elemento intermedio, dovuto all’attività di una terza persona, pubblica o privata, costituito dall’accusa poi rivelatasi infondata”.
Le conclusioni
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare, in favore del Comune resistente, le spese del giudizio di cassazione sostenute.

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