21/07/2018 – Per il giudice di legittimità nessun obbligo da parte della PA del riconoscimento dei debiti fuori bilancio per radicare l’ingiustificato arricchimento

Per il giudice di legittimità nessun obbligo da parte della PA del riconoscimento dei debiti fuori bilancio per radicare l’ingiustificato arricchimento

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

Un professionista aveva proceduto alla progettazione di lavori per un impianto sportivo, sulla base di formale deliberazione da parte dell’organo esecutivo, ma a seguito di decreto ingiuntivo sia il Tribunale di prime cure che la Corte di Appello ne avevano respinto la domanda, in mancanza del requisito di sussidiarietà e dell’arricchimento senza causa. Ricorre il professionista in Cassazione evidenziando come sussista, in presenza di un ingiustificato arricchimento da parte della P.A., in ogni caso la possibile azione di sussidiarietà essendosi quest’ultima giovata della prestazione da parte del professionista. In ogni caso vi sarebbe un obbligo da parte del Consiglio comunale di esprimersi in merito all’ingiustificato arricchimento ai sensi degli artt. 191 e 194 del TUEL e, qualora lo stesso non si esprima, spetta al giudice ordinario la verifica dell’ingiustificato arricchimento in via equitativa.

Le indicazioni della Suprema corte

Precisa la Suprema Corte come in presenza di violazione degli obblighi contabili (mancato impegno della spesa) la normativa preveda la costituzione di un rapporto obbligatorio diretto fra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia consentito la prestazione; tale rapporto comporta l’azionabilità della pretesa del terzo nei confronti dell’amministratore o funzionario responsabile e determina la preclusione dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente, per difetto del necessario requisito della sussidiarietà, che non ricorre quando esista altra azione esperibile non solo contro l’arricchito, ma anche verso persona diversa, fatta salva la possibilità dell’ente di riconoscere a posteriori (ed espressamente) il debito fuori bilancio ex art. 194D.Lgs. n. 267 del 2000. A tal riguardo, il richiamo da parte del ricorrente al principio di sussidiarietà non risulta pertinente in quanto lo stesso operava prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 66 del 1989, in considerazione della mancanza del richiamo alla responsabilità diretta del funzionario o amministrazione che aveva consentito la prestazione in mancanza del relativo impegno contabile e della conseguente copertura finanziaria. Inoltre, va escluso che il requisito della sussidiarietà possa essere “recuperato” sulla base di una lettura degli artt. 191 e 194D.Lgs. n. 267 del 2000 che equipari la riconoscibilità all’espresso riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio, sì da poter ritenere (come sostenuto dal ricorrente) che il riconoscimento di cui all’art. 194 cit. non sia affatto discrezionale e che sussista dunque la possibilità di agire nei confronti della P.A. ogniqualvolta siano accertabili l’utilità e l’arricchimento dell’ente, a prescindere dall’adozione di una formale deliberazione di riconoscimento. Per consolidato orientamento del giudice di legittimità, pertanto, la regolarizzazione prevista dagli artt. 191 e 194 citati costituisce una «facoltà discrezionale per l’ente locale» la cui finalità non è affatto quella di apportare una deroga al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento, bensì quella di consentire all’ente pubblico (nel suo solo interesse, e non per tutelare il contraente privato) di far salvi gli impegni di spesa in precedenza assunti, precisando che il riconoscimento “a posteriori” del debito fuori bilancio può avvenire solo espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto anche dal mero comportamento tenuto dagli organi rappresentativi.

Sull’obbligo da parte del Consiglio comunale ad esprimersi

La giurisprudenza amministrativa si è recentemente espressa sull’obbligo a meno da parte del Consiglio comunale di esprimersi sul riconoscimento del debito fuori bilancio al fine del possibile accertamento dell’utilità della prestazione effettuata dal professionista. A una iniziale espressione di tale obbligo (Cons. di Stato, Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6269) la giurisprudenza più recente lo ha invece negato, conformandosi alla posizione dei giudici di legittimità. In particolare, è stato rilevato che spetta non già al giudice amministrativo, bensì al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie intercorrenti fra soggetti privati e soggetti pubblici che agiscono iure privatorum e concernenti la liquidazione di crediti pecuniari derivanti dall’esercizio di contratti d’opera professionale, ed invero, dette controversie, facendo riferimento a lamentate inadempienze dei soggetti pubblici, coinvolgono esclusivamente posizioni di diritto soggettivo collegate a rapporti di tipo paritetico, senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione, e ciò, a prescindere dall’adozione di atti amministrativi (Cons. di Stato, Sez. V, sentenza 17 giugno 2015, n. 3057). Secondo altra giurisprudenza amministrativa, l’azione avverso il silenzio non è compatibile con tutte quelle pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una situazione di inerzia, e che invece concernono diritti soggettivi la cui eventuale lesione è direttamente accertabile dal giudice ordinario (T.A.R. Lazio, sentenza 27 marzo 2018, n. 3402).

Cass. Civ., Ord., 9 luglio 2018, n. 17940

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